Area archeologica di Leptis Magna
Libia

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DAL 2016 SITO PATRIMONIO IN PERICOLO - Seconda guerra civile in Libia

Nel XV secolo i viaggiatori arabi nei loro appunti descrivevano Leptis Magna come una città fantasma, che il deserto ha però preservato, e che gli archeologi italiani per primi, nel 1921, hanno iniziato a far riemergere, riportando alla luce un'intera città, lunga ben tre chilometri. Ora qui è solo il deserto, ma nell'antichità era una posizione assai felice per fondarvi una città: a ridosso di un porto naturale e al centro di una zona resa assai fertile dai numerosi torrenti che scendevano al mare (tra questi, il wadi Lebdah, cui è connesso il nome Leptis). Tutto intorno vi era inoltre un mare di ulivi che in età imperiale romana fece di Leptis Magna la maggior fornitrice d'olio della capitale. Fondata dai fenici tra il X e l'VIII secolo a.C, la città dovette la sua importanza al porto, uno dei pochi che interrompesse le estese coste della Libia, a cui faceva capo il commercio dei popoli dell'entroterra retrostante. 

Dapprima tributaria di Cartagine, all'inizio del II secolo a.C. venne inclusa nel regno berbero di Numidia: durante la guerra giugurtina che, tra 112 e 105 a.C. vede fronteggiarsi l'esercito romano e quello dei numidi, Leptis si schierò a favore dei romani divenendone amica, finché verso la metà del I secolo d.C. venne resa municipio e nel 110 Traiano le conferì lo statuto di colonia. Ma il periodo di massimo splendore coincise con il governo dei Severi, che erano originari proprio di Leptis: nel 193 d.C. Settimio Severo le concesse lo ius italicum. In seguito, come nel resto dell'impero, seguì un processo di decadenza che venne aggravato dalla distruzione nel 455 per mano dei vandali e dei berberi; nel VI secolo d.C. ebbe un momento di ripresa con i bizantini, per venir definitivamente abbandonata due secoli dopo, in conseguenza delle invasioni arabe.

Il primo imperatore proveniente da una provincia posta al di fuori dell'Europa fu Settimio Severo, nato a Leptis Magna nel 146 d.C. da una famiglia non particolarmente illustre. 

Figlio di ricchi mercanti di origine punica, Lucio Settimio Severo - nato a Leptis nel 146 d.C. - venne mandato a studiare a Roma appena adolescente. A quel tempo era un "vero africano" e parlava male il latino. Intrapresa la carriera senatoria, che lo portò a rivestire incarichi militari di primo piano sotto gli ultimi Antonini, nei disordini che seguirono all'uccisione di Commodo (dicembre 192) divenne imperatore sconfiggendo al comando delle sue legioni gli altri pretendenti. Il suo governo si fondò sulla forza dell'esercito e si impegnò in continue guerre, in Asia Minore e in Britannia, dove morì. La sua Autobiografia è andata perduta e di lui è rimasto il ricordo di un uomo dai capelli crespi, che mantenne sempre un forte accento punico e che scarsi legami aveva con il senato e la tradizione italica; proveniente da una provincia lontana e periferica, aveva sposato una colta donna orientale profondamente radicata nelle tradizioni culturali e religiose siriache, Giulia Domna (158-217 d.C.) che riunì intorno a sé un circolo di dotti tra cui gli eruditi Filostrato ed Eliano, il medico Galeno, il filosofo Diogene Laerzio. 

La sua scalata fu veloce, e lo portò dritto alla vetta: nel 193 divenne imperatore. Aspettò dieci anni prima di tornare in patria, in quella Leptis a cui, in suo onore, venne concesso l'attributo di Magna. E fece di tutto per renderla, appunto, magna. Fece erigere all'ingresso della città il maestoso arco di trionfo che porta il suo nome, delimitato da quattro fonti decorate da colonne e bassorilievi. Poi ricostruì interamente il porto e lo collegò al cuore di Leptis mediante un'imponente via colonnata, inaugurò un elegante Ninfeo e volle uno sterminato foro circondato da una selva di colonne e ornato da teste di Medusa. Ma la più straordinaria delle architetture da lui concepite fu la basilica - portata a termine da suo figlio Caracalla - che vanta una sala alta 30 metri e, ovunque, eleganti rilievi di ninfe, foglie d'acanto, uva e melograni.  

In realtà, Leptis era già grandiosa: contava 80.000 abitanti ed era nota in tutto l'impero come la "perla d'Africa". Come era accaduto per Settimio Severo, anche la città era sbocciata. Grazie, per così dire, all'incontro con Roma. Fondata dai fenici provenienti da Tiro, era stata per secoli sotto il dominio di Cartagine; ma nel 146 a.C. i romani sconfissero la storica rivale d'oltremare e la vollero per sé. 

Divenuta il centro più importante della Tripolitania e dell’intera Provincia d’Africa, Leptis – grazie al porto e all'abilità dei suoi mercanti - si arricchì con il commercio di oro, avorio, ebano, schiavi e fiere per i giochi circensi. Al pari dell'attività sulle banchine e nelle botteghe del mercato, ferveva la costruzione di edifici - civili e religiosi -sempre più maestosi. A finanziarli furono proprio le famiglie della classe mercantile, che facevano a gara per importare i marmi più pregiati e chiamare le maestranze più abili.  

Morto Settimio nel 211 d.C, la storia della famiglia è scandita da atti violenti. Soltanto un anno dopo il figlio Caracalla, per assicurarsi il potere, uccise, forse addirittura al cospetto della madre, il fratello minore Geta, sebbene da vivo il padre li avesse destinati a governare insieme. Caracalla, famoso per l'editto del 212 d.C. che concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero, nel 217 perì a sua volta di morte violenta per mano del suo prefetto del pretorio Macrino, che lo sostituì nell'esercizio del potere. Da questo momento le figure femminili della famiglia ebbero un ruolo determinante nelle vicende della dinastia severiana. 

Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna, insieme con le figlie Giulia Soemia e Giulia Mamea, riuscì a riconquistare il potere facendo proclamare imperatore (218 d.C.) il primo nipote Eliogabalo, allora quattordicenne, ma la sua scelta si rivelò infelice, poiché i pretoriani erano ostili agli eccessi e alle stravaganze del nuovo dinasta, il cui unico interesse era introdurre a Roma il culto del dio Baal, di cui era sacerdote e da cui prendeva nome. 

Giulia Mesa impose allora a Eliogabalo l'adozione del cugino Alessandro Severo (221) e aprì uno scontro nella famiglia: i pretoriani uccisero Eliogabalo e la madre Giulia Soemia e posero sul trono il cugino minorenne, per il quale furono reggenti la nonna, Giulia Mesa, e la madre, Giulia Mamea. Durante il governo di Alessandro Severo la cultura giuridica romana conobbe il suo massimo sviluppo, grazie all'opera di giuristi come Ulpiano e Paolo.  

Il facoltoso Annibale Tapapio Rufo volle stupire i concittadini patrocinando la costruzione del teatro ornato di statue, forse il gioiello della città - e del superbo mercato, con due eleganti chioschi ottagonali al centro e, tutt'intorno, una moltitudine di banchi per esporre le merci. Alla famiglia dei Flamini va invece il merito di aver concepito l'opera più singolare di Leptis, un immenso anfiteatro scavato nel terreno, quasi in riva al mare. Altri imperatori, prima di Settimio Severo, avevano giudicato la città meritevole di una particolare attenzione. Adriano l'aveva dotata di un magnifico complesso termale, di due grandi templi affacciati sul porto e di una cinta muraria. E, andando indietro nel tempo, Nerone aveva voluto proteggerne il porto con una diga, che però ne peggiorò la funzionalità e, interrompendo il flusso delle correnti, ne provocò il graduale insabbiamento. 

L'errore degli ingegneri di Nerone fu, proprio quando Leptis era a un passo dal raggiungere il massimo splendore, la prima - e al momento quasi impercettibile - avvisaglia del suo declino. Verso il 250 d.C, con l'estinzione della dinastia dei Severi, la città perse velocemente il suo prestigio, e i commerci scemarono. 

La fine arrivò nel 365, quando, con tutte le città della Tripolitania, dovette soccombere alla furia di un terremoto. Uno spiraglio di luce c'era stato, in verità, poco prima, sotto Diocleziano e Costantino. Proprio ai tempi di quest'ultimo, forse presago della rovina, un cassiere seppellì a ovest di Leptis un tesoro di 100.000 monete. Scoperte nel 1981, sono il più sensazionale rinvenimento numismatico del mondo antico. Oggi alcune di esse sono in mostra, insieme ad altri tesori, nel museo inaugurato accanto al bellissimo sito archeologico di Leptis Magna.  

Quando Leptis Magna è riaffiorata per la prima volta dal deserto, nel XVII secolo, il console francese Lemaire non poteva probabilmente credere ai propri occhi: egli prelevò una buona quantità di colonne che tuttora si trovano nella chiesa parigina di Saint-Germain-des-Prés, così come gli inglesi che ne abbellirono il castello di Windsor. 

È possibile distinguere due fasi nella crescita urbanistica della città: in un primo momento, coincidente con il governo di Ottaviano Augusto, la preponderante classe mercantile contribuì in massima parte a far ricostruire in calcare travertinoso sul modello di Roma i vecchi edifici in terra cruda dei cartaginesi. Vennero inoltre edificati il Foro vecchio, cuore della città sito in vicinanza del mare, il quartiere del mercato e il teatro: quest'ultimo è uno dei primi del mondo romano, posteriore solo a quello di Pompeo a Roma, e conserva la cavea intatta, la scena irta di colonne e abbellita da eleganti statue, nonché lo sfondo naturale di un azzurrissimo mare. 

All'età adrianea risalgono le terme (126-127 d.C), non monumentali ma tanto più significative in quanto mantengono intatti il fascino e la vivezza di un tempo. Settimio Severo poi si prodigò in special modo per rendere monumentale la sua città natale, dotandola di costruzioni grandi e imponenti, che richiesero l'impiego di una grande quantità di marmo di provenienza greca, dato che la zona ne è completamente sfornita: elemento cardine dell'"addizione severiana" è la via trionfale colonnata che si diparte dal mare, dove sorge la vasca monumentale del ninfeo, e arriva al nuovo fulcro urbano, il foro severiano. 

Costruito prendendo a modello il foro di Traiano a Roma, era circondato sui tre lati interni da un porticato le cui colonne presentano basi e capitelli con incisi i nomi di scalpellini greci; su di essi si impostavano archi ornati da tondi raffiguranti teste di Medusa o di Scilla. L'analisi di queste protomi lascia supporre l'esistenza di un modello importato da un altro centro e copiato, anche con notevoli variazioni, da scultori locali. Su un lato corto del foro sorge la basilica, quasi cento metri di colonne di granito rosso e marmo bianco, chiusa ai lati da due absidi sui quali si appoggiavano pilastri riccamente decorati da volute d'acanto e di vite che incorniciano protomi, animali e scene mitologiche. Appare evidente che nel dare una veste monumentale alla città si guardò all'organizzazione urbana delle grandi e ricche città commerciali del Vicino Oriente, come testimoniano il motivo della via colonnata e il foro con le sue mura che lo fanno somigliare a un cortile.

L'ARCO DI SETTIMIO SEVERO E LA CRISI DEL NATURALISMO CLASSICO

Il monumento più famoso di Leptis Magna è il grande arco quadrifronte fatto costruire nel 203 d.C. in proprio onore da Settimio Severo: l'uomo che da quella zona povera e assolata, uno dei lembi meno apprezzati di tutto l'impero, era giunto sino al trono e all'apoteosi volle celebrare se stesso e la propria città natale con un monumento analogo a quello che aveva fatto erigere nello stesso torno di tempo a Roma in occasione del decennale della sua ascesa al potere. 

Posto all'incrocio di cardo e decumano massimi, l'arco, costituito da quattro pilastri che sostenevano una cupola a vela, non presentava una struttura né innovativa né particolarmente audace, e lo stesso si può dire delle colonne d'ordine corinzio, dei plinti e della trabeazione: unica eccezione i mezzi timpani a cresta, che conferiscono una non finitezza anti-classica all'insieme dell'opera. 

Essa presentava una ricca decorazione a motivi vegetali; nell'interno dei piloni e sull'attico vennero invece collocati grandi rilievi figurati con scene di trionfo e di sacrificio: in particolare, una facciata era dedicata all'avvento di Severo, una al sacrificio in onore di Giulia Domna, una all'investitura di Geta e una al trionfo di Caracalla. 

Questi altorilievi ornamentali, oggi conservati al Museo del Castello di Tripoli, sono la prima testimonianza di principi artistici nuovi, che, allontanandosi dalla tecnica del rilievo a tutto tondo e dalla prospettiva razionale propri del  linguaggio classico, segnano l'inizio della visione tardo-antica. 

Infatti, il marmo è lavorato con il trapano corrente, che, attraverso il caratteristico effetto chiaroscurale di luce-ombra, conferisce alla composizione un carattere coloristico più che plastico. Ma soprattutto, nella rappresentazione delle scene trionfali, predomina la frontalità. 

Un esempio eloquente è offerto dal pannello che descrive il trionfo di Caracalla, dove, dopo le due file di cavalieri di profilo, la biga imperiale è presentata, con un prospetto sforzato, "di fronte", in modo che le figure dei Severi appaiano pienamente nella loro maestà. 

È l'invenzione di una prospettiva carismatica, che sacrifica il gusto di una rappresentazione realistica degli spazi e delle dimensioni, alle esigenze celebrative e all'ideologia che divinizza l'imperatore e lo stato, riducendo il significato della persona alla carica che essa riveste.  

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