DAL
2016
SITO
PATRIMONIO
IN
PERICOLO
-
Seconda
guerra
civile
in
Libia
Appena
superato
il
confine
che
divide
la
Tunisia
dalla
Libia,
dopo
la
città
di
Zouara,
adagiata
sul
litorale
mediterraneo
Sabratha
ci
appare
in
tutta
la
sua
bellezza,
sovrastata
dal
magnifico
teatro
romano.
Dopo
Léptis
Magna
è
la
zona
archeologica
più
importante
della
Tripolitania.
Anticamente
ebbe
una
posizione
di
rilievo
come
emporio
commerciale
collegata
all'oasi
di
Ghadames,
quindi
sotto
la
dominazione
romana
si
sviluppò
anche
come
centro
culturale
al
pari
di
Léptis
Magna.
Le
sue
sorti
furono
parecchio
contrastate;
infatti
subì
molti
saccheggi
e
distruzioni
dagli
invasori
come
i
Vandali
e
gli
Arabi
che
ne
carpirono
l'anima
e
purtroppo
non
riuscì
più
a
riprendersi
se
non
durante
il
periodo
bizantino
(troppo
breve),
caratterizzato
da
numerosi
restauri
alle
antiche
mura
e
ai
monumenti.
Oggi
la
zona
archeologica
è
quasi
totalmente
tornata
alla
luce
grazie
soprattutto
al
paziente
e
meticoloso
lavoro
degli
italiani,
che
le
hanno
ridato
in
parte
la
vita.
Archi,
colonne,
capitelli,
mosaici
sono
stati
liberati
dall'abbraccio
silenzioso
della
sabbia
e
del
tempo,
ora
possiamo
di
nuovo
ammirare
i
capolavori
scultorei
e
renderci
conto
di
cosa
erano
capaci
gli
artisti
di
quel
tempo.

Subito
all'ingresso
c'è
il
museo
con
alcune
vetrine
adorne
di
oggetti
funerari,
vasellame
e
monete,
quindi
alcune
sculture
e
pitture
parietali
provenienti
da
alcune
case
patrizie,
e
gli
immancabili
mosaici.
Ve
ne
sono
alcuni
anche
all'esterno.
Dal
viale
alberato
si
oltrepassa
la
porta
bizantina
che
conduce
ai
resti
del
tempio
antoniniano
che
ha
di
fronte
la
basilica
cristiana
del
foro.
Attraverso
una
bella
via
pavimentata
si
giunge
al
foro
dove
era
concentrata
la
vita
pubblica
della
città.
Poco
distante
il
tempio
di
Giove,
di
età
augustea
con
la
basilica
cristiana
giustinianea
costruita
da
Giustiniano
aveva
tre
navate
laterali
con
colonne
e,
al
centro,
un
maestoso
pavimento
in
mosaico
(visibile
nel
museo).
Da
qui
in
avanti
si
possono
osservare
le
abitazioni,
o
quello
che
resta,
di
un
quartiere
su
cui
spiccano
sul
pavimento
alcuni
interessanti
mosaici,
che
la
luce
del
tramonto
rende
ancora
più
belli.
Certo
che
lo
sfondo
del
mare
mediterraneo,
e
il
blu
del
cielo
contrastano
efficacemente
con
le
rovine
ingentilite
da
colonne
e
statue.
Se Italo Balbo, governatore
della
Libia
italiana
negli
anni
Venti,
non
è
passato
alla
storia
per
particolari
doti
di
stratega
militare
o
di
amministratore,
chi
ama
le
antichità
gli
sarà
grato
per
aver
restituito
all'antico
splendore
il
teatro
di
Sabratha.
Soggiogato dalla bellezza
delle
rovine,
Balbo
attinse
abbondantemente
dalle
casse
dello
Stato
per
intraprendere
una
colossale
campagna
di
scavo
e
restauro.

I
lavori
furono
affidati
agli
archeologi
Giacomo
Giusti
e
Giacomo
Caputo,
che
ricostruirono
fedelmente
il
più
grande
teatro
dell'Africa,
realizzato
nel
190
d.C.
per
volere
dell'imperatore
Commodo.
Mauàitorium
-
che
poteva
ospitare
5000
spettatori
-
misura
quasi
95
metri
di
diametro,
mentre
il
palcoscenico
è
lungo
45
metri.
Il
pulpito
ha
una
serie
di
decorazioni
in
bassorilievo
rappresentanti
dività,
scene
storiche
e
teatrali,
ed
una
serie
di
nicchie
rettangolari
e
semicircolari.
In
quella
centrale
troviamo
la
dea
Roma
con
elmo
e
scudo
e
vestita
da
amazzone,
con
al
fianco
un'altra
divinità
rappresentante
Sabratha.
Poco
distante
si
trova
l’anfiteatro
con
l’arena
dove
un
tempo
i
gladiatori
affrontavano
le
belve
feroci
combattendo
fino
a
morire.
Ben
visibili
i
corridoi
sotterranei
che
venivano
usati
per
far
entrare
le
belve
nell’arena.
Alle
spalle
del
teatro
si
trova
una
stupefacente
frons
scaenae,
composta
da
tre
nicchie
semicircolari
e
da
un
triplice
ordine
di
108
colonne
corinzie
in
marmo
di
diverso
colore
e
con
elaborate
decorazioni
sui
capitelli.
Magnifici,
poi,
gli
altorilievi
scolpiti
nelle
nicchie,
con
celebrazioni
allegoriche
dei
rapporti
tra
Roma
e
Sabratha,
scene
di
danza
e
personaggi
mitologici.
Ma
il
teatro
non
è
l'unica
delle
meraviglie
di
Sabratha.
Questa
città
portuale
della
Tripolitania
romana
-
fondata
da
coloni
punici
nel
IV
secolo
a.C.
-
visse
un'era
di
grande
ricchezza
tra
il
138
e
il
210
d.C.
grazie
al
commercio
di
animali
feroci
e
avorio
dall'Africa
a
Roma.
Nell'arco
di
quel
secolo
d'oro
Sabratha
vide
la
costruzione
di
monumentali
edifici
in
marmo
e
in
arenaria
ricoperta
di
stucco.
Tra
questi
spicca
-
anche
grazie
alla
superba
posizione
sul
mare
-
il
tempio
dedicato
a
Iside,
il
cui
culto
ebbe
ampia
diffusione
nelle
città
romane
e
che
qui
veniva
venerata
come
protettrice
dei
naviganti,
oltre
al
Capitolium,
al
santuario
di
Serapide,
al
tempio
di
Liber
Pater
e
al
cosiddetto
Mausoleo
B.
Quest'ultimo,
ricostruito
dagli
archeologi
italiani,
ha
un
tetto
a
piramide
e
mescola
nello
stile
elementi
punici,
egizi,
ellenistici
e
romani.
Sono
notevoli
le
decorazioni
ad
altorilievo
sulle
metope,
delimitate
da
leoni
che
sorreggono
figure
maschili
alte
3
metri.

Sebbene molte statue e mosaici
che
ornavano
Sabratha
siano
andati
perduti
o
trasferiti
nel
museo
posto
ai
margini
dell'area
archeologica,
un'aura
di
grandiosità
permane
nelle
costruzioni
adibite
alla
vita
comunitaria
della
città,
come
il
foro,
la
curia
e
tre
eleganti
complessi
termali.
Il
declino
delle
fortune
di
Roma,
nel
III
secolo
d.C,
segnò
gravemente
il
destino
di
Sabratha,
che
nel
365
d.C.
venne
funestata
anche
da
un
violento
terremoto.
La
città
dovette
attendere
quasi
due
secoli
prima
di
riacquistare
una
certa
importanza
sotto
i
bizantini,
nel
VI
secolo.
Risalgono
a
quell'epoca
la
costruzione
della
cinta
muraria
e
della
magnifica
basilica
di
Giustiniano.
In verità, Sabratha già
possedeva
una
basilica
-
di
cui
oggi
restano
solo
le
fondamenta
-
che
dal
I
secolo
d.C.
era
adibita
a
tribunale
e
al
culto
degli
imperatori
prima
di
essere
trasformata,
300
anni
più
tardi,
in
chiesa
cristiana.
L'edificio
fu
teatro
di
un
evento
che,
nel
158
d.C,
ebbe
forte
risonanza
in
tutto
il
mondo
romano.
Vi
fu
infatti
celebrato
il
processo
contro
il
filosofo
Apuleio,
accusato
di
aver
concupito
e
sposato
un'anziana
e
ricca
vedova
per
carpirle
l'eredità
facendo
uso
di
poteri
magici.
L'autore
de
L'Asino
d'Oro
si
occupò
personalmente
della
difesa:
la
sua
arringa
durò
per
quattro
giorni
ininterrotti,
al
termine
dei
quali
venne
scagionato.
Quel
capolavoro
di
oratoria,
poi
trascritto,
non
solo
diede
grande
fama
al
suo
autore,
ma
resta
una
preziosa
fonte
per
la
conoscenza
della
vita
quotidiana
nella
Sabratha
del
II
secolo
d.C.

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