Area archeologica di Sabratha
Libia

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Appena superato il confine che divide la Tunisia dalla Libia, dopo la città di Zouara, adagiata sul litorale mediterraneo Sabratha ci appare in tutta la sua bellezza, sovrastata dal magnifico teatro romano. Dopo Léptis Magna è la zona archeologica più importante della Tripolitania. 

Anticamente ebbe una posizione di rilievo come emporio commerciale collegata all'oasi di Ghadames, quindi sotto la dominazione romana si sviluppò anche come centro culturale al pari di Léptis Magna. 

Le sue sorti furono parecchio contrastate; infatti subì molti saccheggi e distruzioni dagli invasori come i Vandali e gli Arabi che ne carpirono l'anima e purtroppo non riuscì più a riprendersi se non durante il periodo bizantino (troppo breve), caratterizzato da numerosi restauri alle antiche mura e ai monumenti. 

Oggi la zona archeologica è quasi totalmente tornata alla luce grazie soprattutto al paziente e meticoloso lavoro degli italiani, che le hanno ridato in parte la vita. Archi, colonne, capitelli, mosaici sono stati liberati dall'abbraccio silenzioso della sabbia e del tempo, ora possiamo di nuovo ammirare i capolavori scultorei e renderci conto di cosa erano capaci gli artisti di quel tempo.  

Subito all'ingresso c'è il museo con alcune vetrine adorne di oggetti funerari, vasellame e monete, quindi alcune sculture e pitture parietali provenienti da alcune case patrizie, e gli immancabili mosaici. Ve ne sono alcuni anche all'esterno. Dal viale alberato si oltrepassa la porta bizantina che conduce ai resti del tempio antoniniano che ha di fronte la basilica cristiana del foro. Attraverso una bella via pavimentata si giunge al foro dove era concentrata la vita pubblica della città. Poco distante il tempio di Giove, di età augustea con la basilica cristiana giustinianea costruita da Giustiniano aveva tre navate laterali con colonne e, al centro, un maestoso pavimento in mosaico (visibile nel museo).Sabratha4.jpg (196135 byte)

Da qui in avanti si possono osservare le abitazioni, o quello che resta, di un quartiere su cui spiccano sul pavimento alcuni interessanti mosaici, che la luce del tramonto rende ancora più belli. Certo che lo sfondo del mare mediterraneo, e il blu del cielo contrastano efficacemente con le rovine ingentilite da colonne e statue. 

Se Italo Balbo, governatore della Libia italiana negli anni Venti, non è passato alla storia per particolari doti di stratega militare o di amministratore, chi ama le antichità gli sarà grato per aver restituito all'antico splendore il teatro di Sabratha.

Soggiogato dalla bellezza delle rovine, Balbo attinse abbondantemente dalle casse dello Stato per intraprendere una colossale campagna di scavo e restauro.

I lavori furono affidati agli archeologi Giacomo Giusti e Giacomo Caputo, che ricostruirono fedelmente il più grande teatro dell'Africa, realizzato nel 190 d.C. per volere dell'imperatore Commodo. Mauàitorium - che poteva ospitare 5000 spettatori - misura quasi 95 metri di diametro, mentre il palcoscenico è lungo 45 metri

Il pulpito ha una serie di decorazioni in bassorilievo rappresentanti dività, scene storiche e teatrali, ed una serie di nicchie rettangolari e semicircolari. In quella centrale troviamo la dea Roma con elmo e scudo e vestita da amazzone, con al fianco un'altra divinità rappresentante Sabratha.

Poco distante si trova l’anfiteatro con l’arena dove un tempo i gladiatori affrontavano le belve feroci combattendo fino a morire. Ben visibili i corridoi sotterranei che venivano usati per far entrare le belve nell’arena.

Alle spalle del teatro si trova una stupefacente frons scaenae, composta da tre nicchie semicircolari e da un triplice ordine di 108 colonne corinzie in marmo di diverso colore e con elaborate decorazioni sui capitelli. Magnifici, poi, gli altorilievi scolpiti nelle nicchie, con celebrazioni allegoriche dei rapporti tra Roma e Sabratha, scene di danza e personaggi mitologici. 

Ma il teatro non è l'unica delle meraviglie di Sabratha. Questa città portuale della Tripolitania romana - fondata da coloni punici nel IV secolo a.C. - visse un'era di grande ricchezza tra il 138 e il 210 d.C. grazie al commercio di animali feroci e avorio dall'Africa a Roma. Nell'arco di quel secolo d'oro Sabratha vide la costruzione di monumentali edifici in marmo e in arenaria ricoperta di stucco.

Tra questi spicca - anche grazie alla superba posizione sul mare - il tempio dedicato a Iside, il cui culto ebbe ampia diffusione nelle città romane e che qui veniva venerata come protettrice dei naviganti, oltre al Capitolium, al santuario di Serapide, al tempio di Liber Pater e al cosiddetto Mausoleo B.

Quest'ultimo, ricostruito dagli archeologi italiani, ha un tetto a piramide e mescola nello stile elementi punici, egizi, ellenistici e romani. Sono notevoli le decorazioni ad altorilievo sulle metope, delimitate da leoni che sorreggono figure maschili alte 3 metri.  

Sebbene molte statue e mosaici che ornavano Sabratha siano andati perduti o trasferiti nel museo posto ai margini dell'area archeologica, un'aura di grandiosità permane nelle costruzioni adibite alla vita comunitaria della città, come il foro, la curia e tre eleganti complessi termali. 

Il declino delle fortune di Roma, nel III secolo d.C, segnò gravemente il destino di Sabratha, che nel 365 d.C. venne funestata anche da un violento terremoto. 

La città dovette attendere quasi due secoli prima di riacquistare una certa importanza sotto i bizantini, nel VI secolo. Risalgono a quell'epoca la costruzione della cinta muraria e della magnifica basilica di Giustiniano.  

In verità, Sabratha già possedeva una basilica - di cui oggi restano solo le fondamenta - che dal I secolo d.C. era adibita a tribunale e al culto degli imperatori prima di essere trasformata, 300 anni più tardi, in chiesa cristiana. L'edificio fu teatro di un evento che, nel 158 d.C, ebbe forte risonanza in tutto il mondo romano. Vi fu infatti celebrato il processo contro il filosofo Apuleio, accusato di aver concupito e sposato un'anziana e ricca vedova per carpirle l'eredità facendo uso di poteri magici. L'autore de L'Asino d'Oro si occupò personalmente della difesa: la sua arringa durò per quattro giorni ininterrotti, al termine dei quali venne scagionato. Quel capolavoro di oratoria, poi trascritto, non solo diede grande fama al suo autore, ma resta una preziosa fonte per la conoscenza della vita quotidiana nella Sabratha del II secolo d.C.  

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