Città fortificata di Shibam (La Manhattan del deserto)
Yemen

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DAL 2015 SITO PATRIMONIO IN PERICOLO - Potenziali minacce dovute ai conflitti armati che aggravano i problemi di salvaguardia e di gestione già presenti nel sito.

Nella torrida Arabia meridionale, tra il deserto di Rub al-khali e il Golfo di Aden, sorgono l'oasi di Hadramaut e una città: Shibam, cinquecento grattacieli di sabbia e paglia spruzzati di calce bianca, alti fino a 40 metri e addossati gli uni agli altri così da sembrare un unico fantastico edificio chiuso da alte mura di terra. Una fortezza racchiusa tra colture e palmeti.  Ad alcuni turisti ricorda Chicago, ma nello Yemen case così alte si costruiscono già da 2000 anni.

La città fu eretta su un terrapieno quadrato circondato dal fiume. In cima alle case, costruite con mattoni di sabbia mescolata a letame, ci sono terrazze che raccolgono l'acqua piovana. Questa scorre per le strade lungo le linee di pendenza e attraverso una rete di canaletti superficiali viene convogliata in grandi cisterne; da qui scende fino alla piazza principale, che funziona come un grande impluvio con cisterna e fontana, e infine defluisce attraverso la porta della città. Ad aumentare l'impressione del labirinto, tra le case c'è una miriade di passaggi e vicoli ciechi per il recupero dei rifiuti organici.

Nel III secolo i grattacieli di Shibam erano abitati da profughi; lo stile era quello della loro città natale: Shabwa, antica capitale di Hadramaut, 150 km ad est di Shibam. Abbandonano Shabwa per sfuggire alla conquista, al saccheggio e alla distruzione da parte degli stranieri. Prima della fuga erano commercianti benestanti, a Shibam raggiungono nuovamente in breve tempo, ricchezza e potere. La città situata strategicamente sulla via dell'incenso diviene ben presto la nuova capitale di Hadramaut, ma questo accadeva molto tempo fa. Il commercio d'incenso, mirra e zafferano non offre più possibilità di grandi guadagni da quando i tesori d'Arabia viaggiano via mare verso l'Europa e le carovane non passano più attraverso Shibam.

Sono però ancora in molti a ricordare i bei tempi e l'invidia degli stranieri dai quali bisognava sempre stare in guardia. Qui le case sembrano fortezze. Vicino alle massicce porte di casa, una serie di feritoie; sotto le stalle, sopra i magazzini con piccole finestre di difesa e sopra ancora l'appartamento della famiglia. L'unico svantaggio è rappresentato dai vicini, quasi non esiste un luogo veramente privato, neppure sul tetto si può rimanere da soli. Spazi così limitati spingono molti figli della città a partire per il mondo, alla ricerca di un sostentamento si dirigono a ovest, a sud, ad est; saranno loro a portare l'islam nell'Africa del nord, addirittura fino in Spagna, nell'Africa orientale e fino in Indonesia.

Lo spirito d'iniziativa dei figli di Shibam, un tempo gloriosi, è di nuovo scemato, anche la città dal XV secolo non è più capitale. E' stata spostata nella vicina Seiyun dove fino al 1967 regna la dinastia dei Kathiri in uno sfarzoso palazzo del sultano, oggi trasformato in un museo. 

A Shibam il palazzo del sultano dei Kathiri è diventato la sede amministrativa e per questo motivo è tenuto ancora in buono stato.

Molti dei proprietari dei grattacieli di Shibam non possono permettersi lavori di restauro e la maggior parte delle case è corrosa da vento e intemperie.

Tra non molto il profilo di questa città non esisterà più; Shibam figura già nella lista rossa dei monumenti storici a più rischio. L'argilla non è affatto un materiale da costruzione eterno e nei vicoli c'è aria di svendita: casse, mobili, utensili per la casa. I turisti, gli unici acquirenti possibili, sono ormai rari.

Questa città è veramente unica nel suo genere, solo qui si trovano minareti dalla forma di campanili portoghesi o ancora colonne classicistiche ornamentali intonacate di argilla. Lo stile liberty non è giunto direttamente dall'Europa ma dall'Asia per vie traverse. Qui, gli emigranti che rimpatriavano arricchiti in Estremo Oriente, costruivano palazzi nello stile dei dominatori europei in Asia, come portoghesi, olandesi, britannici.

Le numerose comunità all'estero non hanno mai avuto il desiderio di salvare dal declino Shibam, la città dei loro padri. Come appare evidente al cambiavalute, le rimesse inviate ai parenti poveri ammontano a somme sempre più modeste. Sulla banconota da 50 riyal è impresso il profilo di Shibam, come potremo ammirare ancora per poco.

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Dalla sua fondazione Shibam è stata sempre circondata da una prosperosa agricoltura, in grado di sostentare l'intera città. Fino al 1967 i comunisti dello Yemen meridionale organizzavano la coltivazione in fattorie collettive. Con il crollo del comunismo nessuno sapeva più a chi appartenessero le terre che rimasero quindi inutilizzate e asciutte. Intanto si sono seccate anche le ultime palme e quello che resta di un ottimo sistema di irrigazione, sprofonda nella sabbia e nell'argilla. 

In città la pioggia crea sempre nuove voragini, modificando l'impressionante skyline. Molte sono le case disabitate, abbandonate al degrado, chi vi abitava ha traslocato perché fuori Shibam la vita è molto più facile. Ormai i devoti si dedicano solo alla manutenzione della moschea. Chi vuole restare, fintanto che che la farà, ripara gli edifici con del misero cemento.

Un tempo la produzione dei mattoni di argilla era un lavoro redditizio, oggi questo materiale è considerato superato nonostante sia perfetto per il clima di queste parti e crei abitazioni confortevoli. Ma oggi non esiste un motivo ragionevole per rimanere nei grattacieli addossati gli uni agli altri.

Molti cooperatori per i paesi in via di sviluppo tentano di arrestare il decadimento e di rendere la città nuovamente attrattiva; le persone devono restare invece di emigrare, non devono abbandonare la città ma preservarla.

Il tempo della gloriosa città d'argilla è purtroppo ormai terminato, anche le mura di Shibam sono effimere come la gloria antica.