Diyarbakır
o Diyarbekir è una città del sudest della Turchia, situata lungo le
sponde del fiume Tigri, e capoluogo della provincia omonima.
Dell’antica
città resta la muraglia e notevoli i resti della cittadella (prima metà
XIII sec.), dove sono venuti alla luce alcuni ambienti del palazzo, con
īwān e piscina centrale, riccamente decorati di mosaici figurati e
geometrici ispirati a quelli della tarda antichità. Resti della chiesa
di S. Maria e di quella di
S. Tommaso
(eretta nel 629 e trasformata in moschea nell’XI sec.), e il ponte sul
Tigri, a 10 archi.
È nota
principalmente come città di interesse culturale, per il suo ricco
folklore e per la produzione di angurie.
È
inoltre una delle città turche a contare la maggior presenza di Curdi,
tanto da essere talvolta definita, dai curdi stessi e da alcuni
osservatori esterni, come "la capitale del Kurdistan turco".
Questa definizione non è comunque ufficiale, né tantomeno accettata
dal governo di Ankara. Stando ad uno studio il 72% degli abitanti della
città parla curdo (oltre che persiano), e lo utilizza come lingua
primaria al posto del turco. Nei pressi della città è inoltre molto
sentita la festa del Nawruz, il capodanno curdo festeggiato il 21 marzo.
Amida
venne fortificata da Costanzo II tra il 324 e il 327, conquistata da Shāpūr
II nel 359 e ripresa da Giuliano l'Apostata nel 363. Ricaduta in mano ai
Persiani con l'assedio di Kawādh del 502, ritornò bizantina due anni
più tardi grazie alla tregua caldeggiata da Anastasio. Presa da Cosroe
II nel 602 e liberata da Eraclio nel 628, fu definitivamente occupata
dagli Arabi nel 639 e vani furono i tentativi di riconquista greca nel
IX e X secolo.

La città
preesistente a Costanzo, che Ammiano Marcellino definisce di dimensioni
modestissime, doveva coincidere, con tutta probabilità, con l'odierna
area della cittadella. I lavori del 324-327 la estesero forse fino alla
linea dell'attuale rettifilo nord-sud: in questa fase la porta
meridionale - oggi murata - poteva fungere da accesso sul cardo. Nel 363
l'arrivo dei profughi da Nisibi, ceduta dai Romani ai Persiani, comportò
l'installarsi di un vero e proprio sobborgo nella piana a ovest della
città. Come attestano le fonti, Gioviano dispose subito di inglobare
questa nuova area nella cinta urbana; ma i lavori furono condotti a
termine dai suoi successori Valentiniano, Valente e Graziano tra il 367
e il 375, se si presta fede a un'iscrizione reimpiegata nella porta di
Harput. In coincidenza con questo ampliamento, che raddoppiò la
superficie di Amida fino a farle raggiungere la dimensione attuale,
furono certamente aperti anche gli assi viari principali, in direzione
nord, sud, ovest (verso le porte di Harput, di Mardin, di Urfa), il cui
tracciato non coinvolse però la metà preesistente dell'abitato con la
porta sul Tigri (Yeni Kapı o Porta Nuova).
Il
grandioso circuito delle mura, a struttura tripartita (murale,
antemurale, fossato), si sviluppa per una lunghezza di km. 5,5 ca.,
includendo nell'angolo nordorientale la cittadella, e si apre
all'esterno con quattro porte maggiori. Dell'antemurale rimangono tracce
abbastanza chiare solo nel tratto meridionale, mentre la cinta
principale, mantenuta e restaurata per tutto il periodo islamico, è
giunta quasi nella sua interezza, a eccezione di due lacune a nord e a
est, la prima delle quali è il risultato di una demolizione del 1931.
Tanto la cinta principale quanto l'antemurale sono realizzati in
conglomerato di malta e pietrisco, con paramento esterno e interno a
conci squadrati di basalto, il cui colore ha valso alla città
l'appellativo turco di Kara Amid, 'Amida. la nera'. Le variazioni
strutturali e tipologiche presenti nei diversi settori (solo in parte
spiegabili come un adeguamento alla natura del terreno) inducono a
escludere che i lavori siano stati condotti in un'unica campagna, come
aveva ipotizzato van Berchem (1954), il quale in base a Procopio,
supponeva un'integrale ricostruzione di età giustinianea. Infatti,
l'originario impianto della fine del IV secolo, già seriamente
danneggiato durante l'assedio di Kawādh (502), dovette essere
totalmente rifatto nei settori nord e ovest dopo il 504, per iniziativa
dell'imperatore Anastasio; mentre il successivo intervento giustinianeo
avrebbe comportato solo sporadici consolidamenti, specie nel settore
sudorientale, quello più antico, compromesso forse dal terremoto del
528.
Numerosi
sono i monumenti dell'Amida bizantina noti oggi esclusivamente dalle
testimonianze documentarie: il ponte sul Tigri, costruito dal vescovo
Giovanni tra il 479 e il 484, probabilmente nella stessa ubicazione di
quello attuale, finito nel 1065; uno xenodochéion, forse del V secolo,
presso la porta di Harput; varie chiese e cinque monasteri esistenti nel
V e VI secolo.

L'edificio
religioso di cui restano le tracce più cospicue è la chiesa della
Vergine (al-'Adhra), databile in base alle sculture della zona est
(l'unica superstite) entro la prima metà del VI secolo. Secondo i
rilievi di Guyer (1920), essa doveva presentare un impianto a tetraconco
con profondo coro rettangolare absidato, una tipologia che rientra nel
ben noto gruppo di analoghi edifici di Bosra (Ss. Sergio, Bacco e
Leonzio), Ruṣāfa (chiesa episcopale), Apamea e Seleucia Pieira, tutti
collocabili tra fine V e prima metà del VI secolo. In assenza di
conferme di scavo resta però ipotetica la scansione dello spazio
interno, per il quale la soluzione più coerente sembrerebbe comunque
quella del trifoglio o quadrifoglio colonnato, documentata a Ruṣāfa
e, in un contesto particolarmente simile alla chiesa di Amida, nel martýrion
di Seleucia. Come nei casi affini, risulta invece difficile poter
pensare a una copertura a cupola per il nucleo centrale.
Una
sorte non certo migliore ha avuto la chiesa di Mar Kosmo, rilevata e
fotografata al principio del Novecento, ma oggi integralmente scomparsa.
A giudicare dalle modanature e dai capitelli del settore orientale (che
trovano confronti in al-'Adhra e nella Ulu Cami di Amida., nonché in
altri monumenti mesopotamici), l'edificio doveva risalire alla prima metà
del VI secolo. Ma restauri documentati nei secoli XIII e XVII ne avevano
già sostanzialmente alterato la struttura, tanto da rendere impossibile
un'esatta ricostruzione della sua planimetria primitiva (centralizzata
secondo Bell, 1910; basilicale secondo Guyer, 1912).
Ma il
monumento certamente più problematico, anche per l'Amida cristiana, è
la Ulu Cami o Grande moschea. Sorta forse sul luogo di un edificio
preesistente (la grande chiesa per Guyer, 1916; un palazzo per Berliner,
1922), essa ingloba nella sua struttura, in massima parte del XII
secolo, una grande quantità di elementi scultorei e architettonici più
antichi. Nella corte, il fianco nord e, soprattutto, le facciate est e
ovest costituiscono dei veri e propri palinsesti di controversa lettura.
Le colonne, i capitelli e gli architravi di reimpiego risultano
ricomposti, assieme a pezzi islamici che a essi si ispirano, in un
contesto architettonico di epoca artuqide improntato a un gusto
fortemente classicistico.
La
probabile esistenza di un'ulteriore fondazione ecclesiastica
paleobizantina è testimoniata, infine, dai fusti di colonna e dai
capitelli erratici presso la chiesa armena (oggi in parte scomparsi),
che Strzygowski (1930) ha supposto pertinenti a un battistero.
Cronologicamente discusso, ma probabilmente tutto di età islamica e di
destinazione profana, è l'edificio a due corpi cupolati nell'angolo
nordorientale della cittadella, il cui settore più antico, quello a
est, era stato considerato una chiesa nestoriana.
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