Insieme storico del Palazzo del Potala - Lhasa/Tibet
(Cina)

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1994-2000-2001

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E' un'altra "Casa Bianca" al mondo, che svetta insospettabile migliaia di metri più in alto di quella di Washington, oltre che a decine di migliaia di chilometri di distanza da essa. Si tratta del Potrang Karpo, vale a dire il Palazzo bianco, che assieme ad altri edifici compone il Potala, la sede del cesaropapismo dei Dalai Lama. Se già la valle del Kyichu, il fiume che lambisce Lhasa, scorre a 3600 metri d'altitudine, il Potala è un'impressionante acropoli su un'acropoli, incombente sul panorama della città da una rocca di 130 metri.

Il Potala va espugnato ancor oggi, come milletrecento anni fa, a piedi. Non vi sono ascensori a facilitare la via, tra il basso continuo delle litanie buddhiste e l'odore di burro di yak, usato come combustibile per le lanterne delle cappelle.

Le origini di Potala coincidono di fatto con l'introduzione del Buddhismo nel Tibet, avvenuta grazie al grande sovrano Songtsen Gampo (ca. 613-650), che cercò di unificare la regione e di diffondervi una civiltà più avanzata, frutto della sintesi tra l'apporto indiano e quello cinese. Con lo scopo di stringere legami con i suoi vicini, il re sposò la principessa Tritsun, della casa reale del Nepal, e la principessa Wen Cheng, della famiglia imperiale dei Tang. Entrambe sarebbero diventate in seguito e per lungo tempo oggetto di venerazione. Motivi militari e politici indussero il sovrano a trasferire la capitale a Lhasa, nel cui centro, sulla Collina Rossa, fu intrapresa la costruzione di un grande palazzo protetto da una tripla muraglia: l'edificio contava 999 stanze, alle quali se ne aggiungeva una, costruita sulla cima della stessa collina.

Dopo la caduta della dinastia di Songtsen, nel IX secolo il palazzo cadde in stato di abbandono. Proprio in quel periodo, però, cominciò a rivestire il suo ruolo di centro religioso in una regione che stava facendo del Buddhismo non solo la sua unica religione, bensì la base della propria organizzazione politica.  

Nel XVI secolo la setta dei Gelukpa ("berretti gialli"), una delle tante in cui si era frazionato il Buddhismo tibetano, riuscì a convenire e ad avere l'appoggio del principe mongolo Altan Khan, che conferì al massimo gerarca della setta il titolo di Dalai Lama. Nel XVII secolo l'occupazione del Tibet da parte dei Mongoli di Gushri Khan determinò la vittoria dei Gelukpa sulle sette rivali. Da allora iniziò il potere temporale dei Dalai Lama.

La prima capitale della teocrazia fu il Monastero di Drepung. Tuttavia il prestigio di cui godeva il Potala, in quanto residenza del mitico Songtsen Gampo, convinse i nuovi governanti a ricostruirlo e ad ampliarlo affinché fungesse da centro del potere politico dello Stato tibetano, riservando a Drepung il ruolo di centro spirituale. 

Il rilancio di questo complesso architettonico poté avvenire solo quando si ricrearono le premesse economiche per gestire un progetto di tale respiro, ovvero nel tardo XVII secolo sotto Lozang Gyasto, il quinto Dalai Lama, fondatore della teocrazia Gelugpa. Le vestigia dell'occupazione del VII secolo furono incorporate nella fondazione del complesso più ampio, ancor oggi esistente. I lavori furono inaugurati nel 1645 e coinvolsero settemila operai e millecinquecento artigiani. Dopo soli tre anni il quinto Dalai Lama si trasferì dal monastero Zhaibung al Potrang Karpo, o Palazzo bianco, già terminato, mentre il Potrang Marpo, o Palazzo rosso, fu aggiunto tra il 1690 e il 1694.

La configurazione del complesso rimase pressoché inalterata sino al 1922, quando il tredicesimo Dalai Lama, figura politica di spicco, restaurò una parte cospicua del Palazzo bianco e aggiunse due piani al Palazzo rosso. Lievissimi danni furono arrecati dalla ribellione tibetana durante l'occupazione cinese del 1959; il Potala scampò miracolosamente anche al saccheggio delle Guardie rosse - con sorte dunque assai più felice di tanti altri siti archeologici cinesi - pare per diretto interessamento dell'allora primo ministro Zhou Enlai.

Il nome del complesso ha origine nell'identificazione tra il primo promotore dell'occupazione architettonica della collina rossa, Songtsen, con AvalokitesVara: una delle dimore del dio, infatti, è un monte dell'India meridionale che porta proprio il nome Potala, di cui la rocca e il palazzo sono ideale riproposizione.  

Con i suoi 130.000 metri quadrati, incastonati in un'area globale di 360.000, 360 metri di lato est-ovest e 270 di lato nord-sud, 119 metri di altezza su tredici piani che lo rendono il più alto palazzo antico del mondo, il Potala è un complesso architettonico immane, forse anche eccessivo, con il suo migliaio di stanze: nasce e cresce come un compromesso. Il Potala viene edificato - all'incrocio fra storia e leggenda - per l'incontro tra la cultura tibetana e quella cinese, fra un re appena costituito e la principessa di un impero millenario, e quindi risente anche a livello strutturale della mescolanza delle due culture. È una sincresi, un compromesso architettonico fra torri da sentinelle in pietra e legno, tipicamente tibetane, e sale d'udienza squisitamente cinesi. Tredici piani, novecentonovantanove camere, mille sale di meditazione nella collina.

Con la sua pianta dedalica, il Potala sfugge a qualunque tentativo di definizione. Racchiude in sé mille stanze e altrettante funzioni: residenza del Dalai Lama e della sua corte, pensatoio politico, sede del governo tibetano e delle cerimonie statali, scuola per la formazione di monaci e amministratori, senza dimenticare che - come una tibetana Santa Croce - è anche l'ultima dimora delle salme dei Dalai Lama precedenti, e quindi è meta di pellegrinaggio focale per Yekklesìa buddhista con i suoi stùpa.  

Le cappelle tenute in maggior considerazione dallo stuolo di pellegrini si trovano all'interno del Palazzo bianco: si tratta di due piccole sale, la Phakpa Lhakhang e la Chogyal Drubphuk, che risalgono alla prima occupazione architettonica della montagna, nel VII secolo d.C. Proprio la Phakpa Lhakhang ospita la statua più venerata, Arya Lokeshvara.

Ancora, nel Potala convivono due palazzi in uno: il Palazzo bianco, costruito come abbiamo visto nel 1645-1653, si sviluppa dall'originale Sala di Guanyin secondo l'asse est-ovest e comprende sale monastiche dalle bianche pareti, da cui il nome. Anche l'asse di sviluppo verticale non è da sottovalutare, dato che il palazzo vanta ben sette piani, di cui il quarto ospita il cuore religioso del Potala, il Coqenxag o Sala orientale, che copre un'area di 717 metri quadrati, scandita da trentotto pilastri: questo tessuto di colonne è il teatro della cerimonia d'insediamento del Dalai Lama all'età di diciotto anni.

Al quinto e sesto piano trovano posto la sua dimora e gli uffici del principe reggente; il settimo piano, con le enormi finestre che lo spalancano alla luce, è il "palazzo d'inverno" del sovrano. In questa ascensione simbolica, di piano in piano, si passa a fianco di vasellami d'oro e coppe in giada, sino alla terrazza della Sala della luce, aggettante su Lhasa. Da lì è possibile abbracciare con lo sguardo le catene montuose in lontananza, il fiume Kyichu, con i campi e i filari d'alberi che punteggiano i villaggi in lontananza, sino al monastero Jokhang.  

Anche il Palazzo rosso, costruito nel 1690, è l'enorme, tridimensionale emblema della passata convivenza culturale tra l'Impero di Mezzo e il regno tibetano: l'imperatore Kangxi della dinastia Qing, una dinastia eteroctona mancese, mise a disposizione un centinaio dei suoi artigiani, fra han, mancesi e mongoli, perché prendessero parte alla costruzione. Accanto al trono del Dalai Lama, si stagliano le tende regalate da Kangxi e un'iscrizione augurale di Qianlong, due tra i più grandi imperatori della dinastia Qing, a metà strada tra il regalo deferente e il silenzioso monito, emblema della longa manus dell'impero. Sulla stessa scia si iscrive l'edizione pechinese Dangyur regalata da Yongzhen al settimo Dalai Lama, ancora gelosamente conservata nella Sala dei tre mondi, la più alta.

Anche il Palazzo rosso nasconde al suo interno cappelle buddhiste, con ben otto stupa di precedenti Dalai Lama. Il monumento funebre per il quinto Dalai Lama è avvolto in foglia d'oro per 110.000 taels, con 18.677 tra perle, gemme, ambra, agata e frammenti di corallo incastonati attorno. La sala più vasta, che tocca i 725 metri quadrati, è Sixipuncog, la Sala Orientale. Nella parte più occidentale si trova invece la Sala del sacro stupa per il tredicesimo Dalai Lama: alto 14 metri, vanta un mandala di 200.000 perle; alle pareti si può ammirare l'affresco dell'incontro fra costui e l'imperatore Qing Guangxu e l'imperatrice vedova Ci Xi a Pechino.

Oggi il palazzo è un museo immane, con 50.000 metri quadrati di affreschi, i cui soggetti spaziano dalle biografie di personaggi religiosi e secolari agli eventi storici. Nella Sala Orientale, ad esempio, campeggia l'incontro fra il quinto Dalai Lama e l'imperatore Qing Shunzhi nel 1652.  

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Nel Palazzo rosso si contano mille pagode buddhiste, diecimila statue del Buddha, dipinti tangka, sutra di foglie di pattra, certificati in oro che attestano le nomine più svariate, sigilli in giada o in oro, garanzie di continui scambi con gli imperatori Ming e Qing, collezioni di tappeti di lana, baldacchini, tende, sete, paramenti sacri in oro e argento, porcellana, pietra.

Un restauro strutturale del Potala - la più grande impresa di questo genere cui il governo cinese si fosse mai dedicato dalla Liberazione del 1949 - fu inaugurato l'11 ottobre 1989, al suono dei corni, dal giovane lama del monastero Sera, Gyaincain Qoinjor, scelto nella più stretta osservanza degli antichi metodi di divinazione: entrambi i genitori erano vivi, e lui stesso era nato in un anno considerato propizio. Nel settembre 1994, l'opera di restauro era completata, al costo di 53 milioni di renminbi.

Ai cinesi è un monumento che torna comodo: memento del divario fra élite teocratica tibetana e i reggenti per il popolo. All'epoca del regno del quattordicesimo Dalai Lama, il 95 per cento dei tibetani versava in condizione di schiavitù, o di servitù, senza diritti umani. Oggi i meravigliosi affreschi alle pareti stridono con lo shopping di ninnoli ricordo delle bancarelle all'interno delle medesime sale. Ancora un compromesso, ancora un contrasto tra le uniformi militari dei custodi e i pochi monaci anziani che si aggirano a descrivere le beltà del palazzo.

Il monastero del tempio di Jokhang - Secondo una leggenda, il carro con cui la principessa Wen Cheng della dinastia cinese Tang faceva trasportare una statua del Buddha Sakyamuni sarebbe sprofondato nel fango vicino al Lago Wotang, mentre si recava in Tibet per sposarsi con il re. In base a una profezia, la giovane riconobbe in questo luogo il Palazzo del Drago, il cui influsso malefico poteva essere combattuto solo con la costruzione di un monastero.

La prima pietra di Jokhang fu collocata nell'anno 647. Giunto fino ai giorni nostri dopo essere stato oggetto di numerose ristrutturazioni, il monastero del Tempio di Jokhang, formato essenzialmente da un portico d'ingresso, da un cortile, da una sala circondata da celle monastiche e da magazzini sui quattro lati, occupa una superficie di due ettari e mezzo nel cuore del centro storico di Lhasa. Tutti gli edifici sono fabbricati in pietra e legno.