E' un'altra "Casa Bianca"
al mondo, che svetta insospettabile migliaia di metri più in alto di
quella di Washington, oltre che a decine di migliaia di chilometri di
distanza da essa. Si tratta del Potrang Karpo, vale a dire il Palazzo
bianco, che assieme ad altri edifici compone il Potala, la sede del
cesaropapismo dei Dalai Lama. Se già la valle del Kyichu, il fiume che
lambisce Lhasa, scorre a 3600 metri d'altitudine, il Potala è
un'impressionante acropoli su un'acropoli, incombente sul panorama della
città da una rocca di 130 metri.
Il Potala va espugnato ancor oggi, come milletrecento anni
fa, a piedi. Non vi sono ascensori a facilitare la via, tra il basso
continuo delle litanie buddhiste e l'odore di burro di yak, usato come
combustibile per le lanterne delle cappelle.
Le
origini di Potala coincidono di fatto con l'introduzione del Buddhismo
nel Tibet, avvenuta grazie al grande sovrano Songtsen Gampo (ca.
613-650), che cercò di unificare la regione e di diffondervi una
civiltà più avanzata, frutto della sintesi tra l'apporto indiano e
quello cinese. Con lo scopo di stringere legami con i suoi vicini, il re
sposò la principessa Tritsun, della casa reale del Nepal, e la
principessa Wen Cheng, della famiglia imperiale dei Tang. Entrambe
sarebbero diventate in seguito e per lungo tempo oggetto di venerazione.
Motivi militari e politici indussero il sovrano a trasferire la capitale
a Lhasa, nel cui centro, sulla Collina Rossa, fu intrapresa la
costruzione di un grande palazzo protetto da una tripla muraglia:
l'edificio contava 999 stanze, alle quali se ne aggiungeva una,
costruita sulla cima della stessa collina.
Dopo la
caduta della dinastia di Songtsen, nel IX secolo il palazzo cadde in
stato di abbandono. Proprio in quel periodo, però, cominciò a
rivestire il suo ruolo di centro religioso in una regione che stava
facendo del Buddhismo non solo la sua unica religione, bensì la base
della propria organizzazione politica.

Nel XVI
secolo la setta dei Gelukpa ("berretti gialli"), una delle
tante in cui si era frazionato il Buddhismo tibetano, riuscì a
convenire e ad avere l'appoggio del principe mongolo Altan Khan, che
conferì al massimo gerarca della setta il titolo di Dalai Lama. Nel
XVII secolo l'occupazione del Tibet da parte dei Mongoli di Gushri Khan
determinò la vittoria dei Gelukpa sulle sette rivali. Da allora iniziò
il potere temporale dei Dalai Lama.
La prima
capitale della teocrazia fu il Monastero di Drepung. Tuttavia il
prestigio di cui godeva il Potala, in quanto residenza del mitico
Songtsen Gampo, convinse i nuovi governanti a ricostruirlo e ad
ampliarlo affinché fungesse da centro del potere politico dello Stato
tibetano, riservando a Drepung il ruolo di centro spirituale.
Il rilancio di questo complesso
architettonico poté avvenire solo quando si ricrearono le premesse
economiche per gestire un progetto di tale respiro, ovvero nel tardo
XVII secolo sotto Lozang Gyasto, il quinto Dalai Lama, fondatore della
teocrazia Gelugpa. Le vestigia dell'occupazione del VII secolo furono
incorporate nella fondazione del complesso più ampio, ancor oggi
esistente. I lavori furono inaugurati nel 1645 e coinvolsero settemila
operai e millecinquecento artigiani. Dopo soli tre anni il quinto Dalai
Lama si trasferì dal monastero Zhaibung al Potrang Karpo, o Palazzo
bianco, già terminato, mentre il Potrang Marpo, o Palazzo rosso, fu
aggiunto tra il 1690 e il 1694.
La configurazione del complesso
rimase pressoché inalterata sino al 1922, quando il tredicesimo Dalai
Lama, figura politica di spicco, restaurò una parte cospicua del
Palazzo bianco e aggiunse due piani al Palazzo rosso. Lievissimi danni
furono arrecati dalla ribellione tibetana durante l'occupazione cinese
del 1959; il Potala scampò miracolosamente anche al saccheggio delle
Guardie rosse - con sorte dunque assai più felice di tanti altri siti
archeologici cinesi - pare per diretto interessamento dell'allora primo
ministro Zhou Enlai.
Il nome del complesso ha origine
nell'identificazione tra il primo promotore dell'occupazione
architettonica della collina rossa, Songtsen, con AvalokitesVara: una
delle dimore del dio, infatti, è un monte dell'India meridionale che
porta proprio il nome Potala, di cui la rocca e il palazzo sono ideale
riproposizione.

Con i suoi 130.000 metri quadrati, incastonati in un'area
globale di 360.000, 360 metri di lato est-ovest e 270 di lato nord-sud,
119 metri di altezza su tredici piani che lo rendono il più alto
palazzo antico del mondo, il Potala è un complesso architettonico
immane, forse anche eccessivo, con il suo migliaio di stanze: nasce e
cresce come un compromesso. Il Potala viene edificato - all'incrocio fra
storia e leggenda - per l'incontro tra la cultura tibetana e quella
cinese, fra un re appena costituito e la principessa di un impero
millenario, e quindi risente anche a livello strutturale della
mescolanza delle due culture. È una sincresi, un compromesso
architettonico fra torri da sentinelle in pietra e legno, tipicamente
tibetane, e sale d'udienza squisitamente cinesi. Tredici piani,
novecentonovantanove camere, mille sale di meditazione nella collina.
Con la sua pianta dedalica, il Potala
sfugge a qualunque tentativo di definizione. Racchiude in sé mille
stanze e altrettante funzioni: residenza del Dalai Lama e della sua
corte, pensatoio politico, sede del governo tibetano e delle cerimonie
statali, scuola per la formazione di monaci e amministratori, senza
dimenticare che - come una tibetana Santa Croce - è anche l'ultima
dimora delle salme dei Dalai Lama precedenti, e quindi è meta di
pellegrinaggio focale per Yekklesìa buddhista con i suoi stùpa.
Le cappelle tenute in maggior
considerazione dallo stuolo di pellegrini si trovano all'interno del
Palazzo bianco: si tratta di due piccole sale, la Phakpa Lhakhang e la
Chogyal Drubphuk, che risalgono alla prima occupazione architettonica
della montagna, nel VII secolo d.C. Proprio la Phakpa Lhakhang ospita la
statua più venerata, Arya Lokeshvara.
Ancora, nel Potala convivono due
palazzi in uno: il Palazzo bianco, costruito come abbiamo visto nel
1645-1653, si sviluppa dall'originale Sala di Guanyin secondo l'asse
est-ovest e comprende sale monastiche dalle bianche pareti, da cui il
nome. Anche l'asse di sviluppo verticale non è da sottovalutare, dato
che il palazzo vanta ben sette piani, di cui il quarto ospita il cuore
religioso del Potala, il Coqenxag o Sala orientale, che copre un'area di
717 metri quadrati, scandita da trentotto pilastri: questo tessuto di
colonne è il teatro della cerimonia d'insediamento del Dalai Lama
all'età di diciotto anni.
Al quinto e sesto piano trovano posto
la sua dimora e gli uffici del principe reggente; il settimo piano, con
le enormi finestre che lo spalancano alla luce, è il "palazzo
d'inverno" del sovrano. In questa ascensione simbolica, di piano in
piano, si passa a fianco di vasellami d'oro e coppe in giada, sino alla
terrazza della Sala della luce, aggettante su Lhasa. Da lì è possibile
abbracciare con lo sguardo le catene montuose in lontananza, il fiume
Kyichu, con i campi e i filari d'alberi che punteggiano i villaggi in
lontananza, sino al monastero Jokhang.

Anche il Palazzo rosso, costruito nel
1690, è l'enorme, tridimensionale emblema della passata convivenza
culturale tra l'Impero di Mezzo e il regno tibetano: l'imperatore Kangxi
della dinastia Qing, una dinastia eteroctona mancese, mise a
disposizione un centinaio dei suoi artigiani, fra han, mancesi e
mongoli, perché prendessero parte alla costruzione. Accanto al trono
del Dalai Lama, si stagliano le tende regalate da Kangxi e un'iscrizione
augurale di Qianlong, due tra i più grandi imperatori della dinastia
Qing, a metà strada tra il regalo deferente e il silenzioso monito,
emblema della longa manus dell'impero. Sulla stessa scia si iscrive
l'edizione pechinese Dangyur regalata da Yongzhen al settimo Dalai Lama,
ancora gelosamente conservata nella Sala dei tre mondi, la più alta.
Anche il Palazzo rosso nasconde al
suo interno cappelle buddhiste, con ben otto stupa di precedenti Dalai
Lama. Il monumento funebre per il quinto Dalai Lama è avvolto in foglia
d'oro per 110.000 taels, con 18.677 tra perle, gemme, ambra, agata e
frammenti di corallo incastonati attorno. La sala più vasta, che tocca
i 725 metri quadrati, è Sixipuncog, la Sala Orientale. Nella parte più
occidentale si trova invece la Sala del sacro stupa per il tredicesimo
Dalai Lama: alto 14 metri, vanta un mandala di 200.000 perle; alle
pareti si può ammirare l'affresco dell'incontro fra costui e
l'imperatore Qing Guangxu e l'imperatrice vedova Ci Xi a Pechino.
Oggi il palazzo è un museo immane, con 50.000 metri
quadrati di affreschi, i cui soggetti spaziano dalle biografie di
personaggi religiosi e secolari agli eventi storici. Nella Sala
Orientale, ad esempio, campeggia l'incontro fra il quinto Dalai Lama e
l'imperatore Qing Shunzhi nel 1652.

Nel Palazzo rosso si contano mille
pagode buddhiste, diecimila statue del Buddha, dipinti tangka, sutra di
foglie di pattra, certificati in oro che attestano le nomine più
svariate, sigilli in giada o in oro, garanzie di continui scambi con gli
imperatori Ming e Qing, collezioni di tappeti di lana, baldacchini,
tende, sete, paramenti sacri in oro e argento, porcellana, pietra.
Un restauro strutturale del Potala -
la più grande impresa di questo genere cui il governo cinese si fosse
mai dedicato dalla Liberazione del 1949 - fu inaugurato l'11 ottobre
1989, al suono dei corni, dal giovane lama del monastero Sera, Gyaincain
Qoinjor, scelto nella più stretta osservanza degli antichi metodi di
divinazione: entrambi i genitori erano vivi, e lui stesso era nato in un
anno considerato propizio. Nel settembre 1994, l'opera di restauro era
completata, al costo di 53 milioni di renminbi.
Ai cinesi è un monumento che torna
comodo: memento del divario fra élite teocratica tibetana e i reggenti
per il popolo. All'epoca del regno del quattordicesimo Dalai Lama, il 95
per cento dei tibetani versava in condizione di schiavitù, o di
servitù, senza diritti umani. Oggi i meravigliosi affreschi alle pareti
stridono con lo shopping di ninnoli ricordo delle bancarelle all'interno
delle medesime sale. Ancora un compromesso, ancora un contrasto tra le
uniformi militari dei custodi e i pochi monaci anziani che si aggirano a
descrivere le beltà del palazzo.
Il monastero del tempio di
Jokhang - Secondo una leggenda, il carro con cui la
principessa Wen Cheng della dinastia cinese Tang faceva trasportare una
statua del Buddha Sakyamuni sarebbe sprofondato nel fango vicino al Lago
Wotang, mentre si recava in Tibet per sposarsi con il re. In base a una
profezia, la giovane riconobbe in questo luogo il Palazzo del Drago, il
cui influsso malefico poteva essere combattuto solo con la costruzione
di un monastero.
La prima
pietra di Jokhang fu collocata nell'anno 647. Giunto fino ai giorni
nostri dopo essere stato oggetto di numerose ristrutturazioni, il
monastero del Tempio di Jokhang, formato essenzialmente da un portico
d'ingresso, da un cortile, da una sala circondata da celle monastiche e
da magazzini sui quattro lati, occupa una superficie di due ettari e
mezzo nel cuore del centro storico di Lhasa. Tutti gli edifici sono
fabbricati in pietra e legno.
