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Verghina è un
piccolo paesino del nord della Grecia, appartenente alla prefettura di Imathia,
nella Macedonia Centrale. Si sviluppa sulle pendici dei Monti della Pieria, poco
oltre i duemila metri di altitudine e ha una popolazione di circa duemila
abitanti.
Verghina è
nota principalmente in quanto attigua a uno dei più importanti siti
archeologici della Grecia, identificato con i resti
dell'antica Ege (greco Αἰγαί,
latino Aegae), prima capitale del Regno di Macedonia, poi trasferita
a Pella, pur rimanendo il luogo di sepoltura dei sovrani.
Verghina, al
giorno d'oggi, è uno dei più importanti luoghi archeologici della Grecia.
Prende il nome da una leggendaria regina morta suicida nel fiume Aliakmone dove
si era gettata per non cadere nelle mani dei Turchi.
Il paesino è
diventato famoso nell'autunno del 1977 con la scoperta della tomba di Filippo
II, cosa che ha dimostrato, senza ombra di dubbio, che la prima capitale della
Macedonia antica è da identificare proprio in Verghina.
Nel 336 a.C.
vennero ivi celebrate le nozze tra Cleopatra di Macedonia, figlia proprio
del celebre re Filippo II e sorella di Alessandro Magno, e Alessandro I,
detto il Molosso, sovrano dell'Epiro.
Dal I
secolo d.C. la città venne abbandonata; da allora, il nome Aigài (Ege)
non apparve più e fu sostituito con Palatitsia, nome che compare la prima
volta nel XIV secolo, ed ha probabilmente a che fare con le rovine dei
palazzi adiacenti.

Secondo la
mitologia, Archelao, figlio Temeno, re di Argos, seguì come gli aveva
consigliato Apollo, una capra, che lo condusse nel luogo in cui fu fondata Aigai
(Ege). Secondo un'altra versione, Carano, figlio di Fidone, partì da Argos,
arrivò in Macedonia e, obbedendo al vaticinio ricevuto dall’Oracolo di Delfi,
seguì un gregge di capre. Nel luogo in cui si fermò il gregge per dormire,
Carano fondò Ege. Tutti i miti sono faziosi e alludono al fatto che i re
Macedoni discendevano da Eracle e da suo padre, Zeus, e da Temeno, re di Argos,
tanto che erano chiamati Eraclidi e Temenidi.
Quando Archelao
I (413-399 a.C.), per motivi strategici, trasferì la capitale del regno
macedone a Pella, Ege non perse importanza. Al contrario, raggiunse un grande
splendore nel IV sec. a.C. D’altra parte, anche dopo il trasferimento della
capitale a Pella, i re macedoni continuavano ad essere sepolti ad Ege. Unica
eccezione fu Alessandro sepolto ad Alessandria.
Nel 276 a.C.
sul trono della Macedonia salì Antigono Gonata, che si scontrò con Pirro, re
dell’Epiro, che lo sconfisse e si impadronì di Ege.
Nel 168 a.C. la
città fu conquistata dai Romani e successivamente decadde. Col tempo furono
dimenticati sia il nome che l’ubicazione di Ege.
Nel 1861
l’archeologo francese Léon Heuzey effettuò scavi nel palazzo di Verghina,
che furono continuati, nel 1937, da K. Romeos e nel 1952-1963 da M. Andronikos.
Nel 1968
l’archeologo inglese N. Hammond sostenne che Ege doveva essere ricercata a
Verghina e non ad Edessa, come si era creduto fino ad allora: in effetti, nel
1978 Manolis Andronikos portò alla luce le famose tombe reali.

NECROPOLI
- L'area della necropoli, situata tra i villaggi Palatitsia e
Verghina, si estende per più di un chilometro quadrato e comprende più di
trecento tumuli, tutti situati verso sud. Il loro diametro può variare da 15 a
20 metri, l'altezza da 0,50 a 1,00 metri, ma ve ne possono essere alcuni che
superano queste misure in larghezza o in altezza. Le ricerche archeologiche
hanno mostrato che il tumulo più antico risale all'Età del ferro (1000-700
a.C.) e quello più recente è del periodo ellenistico.
Le
tombe macedoni sono in genere formate da camera a volta, facciata architettonica
con porta monumentale, corridoio e tumulo. Questo tipo di impostazione
strutturale è simile a quella dei tholoi micenei,
come anche i corredi funerari che sono stati trovati a Sindos, alla foce
del Vardar, ad est di Verghina, conservano in età arcaica il rituale della
maschera d'oro. Questi dati, unitamente alle continue esaltazioni e ai
riferimenti alle discendenze argive da parte della famiglia reale macedone, ci
danno la certezza che la popolazione dorica, dopo aver sostanzialmente accettato
gran parte delle strutture e usanze civili di Micene, le abbia mantenute in
uso anche in Macedonia.
In
corrispondenza del luogo identificato come Palatìtsia,
a due km dal villaggio di Verghina, nel 1855, l'archeologo francese Léon
Heuzey, intraprese i primi scavi verso la parte orientale. Successivamente
vennero condotti altri scavi, dando la possibilità di delineare in maniera
precisa la pianta del complesso architettonico del palazzo imperiale.
Manolis
Andronikos, nel 1949, riuscì ad ottenere un incarico per Veria, che
comprendeva anche l'area di Verghina. Egli esplorò nel 1952 il
"Grande tumulo", un'altura che già dal secolo precedente attirò
l'attenzione per il suo carattere artificiale. Si tenne conto dei frammenti di
stele funerarie rinvenute in quel punto; queste, insieme all'abbondante cumulo
di terra e pietrame, sarebbero state ammassate sulle tombe reali da Antigono
Gonata con lo scopo di difenderle in seguito al saccheggio di Aigài da
parte dei Galati al servizio di Pirro avvenuto intorno al 273
a.C. Gli scavi proseguirono nel resto dell'area cimiteriale fino al 1961.

Nel
sito archeologico, mentre il visitatore percorre i 2 Km della strada che collega
i villaggi di Verghina e Palatitsia, scorge una grande area disseminata di
tumuli: è la Necropoli dei Tumuli. La maggior parte di essi raggiunge
un’altezza di 1 metro ed un diametro di 15-20 m: sono tombe familiari. I
tumuli datano dal periodo protogeometrico (intorno al 1000 a.C.) fino all’età
ellenistica (III sec. a.C.). I morti venivano seppelliti sia all'Interno di
fosse sia in grandi pithoi. Accanto alle salme collocavano di solito due vasi
contenenti offerte.
Delle
tombe in muratura la più sorprendente è quella detta Tomba di Romeos. Si trova
a circa 500 m a Nord del palazzo e data al III sec. a.C. Sulla facciata presenta
4 semicolonne ioniche e un frontone. La porta in marmo a due battenti è ornata
con chiodi a rilievo, al fine di dare l’impressione di un manufatto ligneo.
All’interno di essa c’è un elegante trono di marmo, i cui bracciali
poggiano su due piccole sfingi.
IL
GRANDE TUMULO - Nel 1977-78, M. Andronikos scoprì a Verghina le Tombe
Reali, coperte da una collina artificiale: la "Grande Tumba". Per
prima fu messa in luce quella più grande; secondo lo scavatore apparteneva a
Filippo II, che era stato ucciso dalla sua guardia del corpo, Pausania, nel
teatro di Ege.
La
tomba di Filippo II è costituita da due stanze,
anticamera e camera principale, entrambi coperte da volte a botte ed alte m.
5.30; nella prima, che misura m. 3.36 x 4.46, quindi rettangolare, vennero
deposte le ceneri di Cleopatra, moglie più giovane del sovrano, assassinata
subito dopo la sua morte. La seconda stanza, quella riservata a Filippo, è
quadrata e risulta di m. 4.46 di lato. Sommando queste misure allo spessore dei
tre muri da m. 0.56, e che insieme misurano m.1.68, si ottiene la lunghezza di
m. 9.50. Questo vuol dire che la tomba in questione è la più lunga e la più
alta tra quelle scoperte finora in Macedonia.
La
parte esterna delle volte non venne lasciata scoperta, come era solito fare per
questo genere di opere in area macedone, ma venne interamente coperta da uno
strato di stucco dello spessore di dieci centimetri.
L’ingresso, monumentale, è sormontato da un fregio dorico al di sopra del
quale si trova, protetto da una cornice in rilievo, una scena di caccia che
misura m. 5.56 di larghezza e m. 1.16 di altezza. In questo fregio, un paesaggio
montuoso fa da sfondo a cinque scene scandite da alberi di specie diverse; i
tronchi senza foglie, i vestiti pesanti ed i cappelli di alcuni cacciatori,
sembrano propri di un clima invernale.
Davanti
al luogo dell’azione vi è un ampio piano di terra e sia il paesaggio che
l’ambiente sono perfettamente definiti. Con un cavallo dipinto in bianco è
indicato con chiarezza il sovrano, Filippo, che si viene a trovare davanti alla
lotta tra uomini e animali, con esplicita funzione di rivolgere lo sguardo verso
il lato destro della scena; egli sovrasta un leone e lo sta per colpire a morte.
Invece, il giovane erede Alessandro,
è inquadrato tra due alberi ed è identificabile dalla corona di alloro.
È
da rilevare il sorprendente studio dei cavalieri, dei cani (ve ne sono
rappresentate ben nove razze) e degli alberi, così come gli effetti di volume
che costituiscono il culmine di una ricerca classica in uno spazio plastico. Nel
primo albero troviamo un elemento che Nikias,
autore dell’opera, aveva già adottato nella sua “Allegoria di Nemea”:
un piccolo quadro votivo appeso e contornato da nastri a formare un gioco del
quadro nel quadro.
Accanto
è presente un pilastro visto di spigolo, lì situato a rappresentare
l’intervento umano nella consacrazione dell’ambiente naturale,
quest’ultimo comunque messo in evidenza come primo e fondamentale stadio per
la rappresentazione della scena.
Dalla
disposizione delle figure si può ritenere che l’attenzione di Nikias non
fosse volta a definire una narrazione continua rispettosa del susseguirsi
cronologico delle azioni, ma piuttosto all’unità visiva della composizione,
dove le figure stesse, seppur in taluni casi solo leggermente, si vanno
armonicamente a sovrapporre.
La
costante preoccupazione del pittore testimoniata dalle fonti, era quella di dare
il giusto risalto alle figure rispetto al fondo, e doveva riflettere lo studio
di un corretto rapporto chiaroscurale tra gli elementi della scena. La luce,
diluita e azzurrina, rende evanescenti le montagne sullo sfondo, e si diffonde
tra le quinte di roccia; la stessa luce si fa più contrastata e si diffonde
verso il primo piano della scena sciogliendosi nel paesaggio senza che se ne
possa riconoscere una fonte determinata. Il calcolo meticoloso di un passaggio
continuo della luce dal fondo lattescente ai primi piani, condizionò la tecnica
di esecuzione dell’affresco, dove l’intonaco fu bagnato ripetutamente in
corso d’opera, verosimilmente per ritornare su ciò che era stato già fatto e
per graduare più sensibilmente e con maggiore precisione le sfumature,
sfumature che vengono sottolineate dalla scelta del colore: il bianco del fondo
e di uno dei cavalli, i toni caldi del giallo-arancio, rosso, bruno, viola
pallido e porpora per le figure in primo piano, e quelli freddi più bassi,
verde ed ombra azzurra, fino agli accenti cupi delle rocce. L’artista non si
limita così all’uso dei quattro colori che facevano parte dell’antica
tradizione pittorica (azzurro, nero, ocra e rosso). Nikias
rinuncia, quindi, allo splendor, il riflesso lampeggiante introdotto in
pittura poco tempo prima probabilmente da Euphranor,
dove la luce proveniva da un punto fortemente determinato.
La
tomba venne fatta costruire sicuramente da Alessandro intorno al 336 a.C., anno
della morte del padre, ed è probabile che fu egli stesso a scegliere Nikias per
l’esecuzione del fregio. Il pittore ateniese si inserì in uno degli ambienti
culturali più vivi dell’antichità, in gran parte influenzato da Aristotele,
che fu chiamato da Filippo per educare il figlio. Ma quasi certamente fu
l’artista ad influenzare in parte il filosofo che, nell’elaborazione del
“De Sensu”, parla di pittori che “vogliono rappresentare qualcosa che
appare attraverso l’aria, o l’acqua” ; il testo evoca proprio la
trasparenza atmosferica, la densità corposa dell’elemento in cui sono immersi
gli oggetti.

Nella
camera della tomba è stato rinvenuto il sarcofago di marmo all’interno del
quale c’era l’urna d’oro con le ossa di Filippo, avvolte in un tessuto di
porpora. Su di esse era stata collocata una preziosissima corona d’oro,
costituita da 313 foglie di quercia e 68 ghiande. Sul coperchio spicca in
rilievo l’astro dei re macedoni.
Nella
stessa camera sono stati trovati molti altri preziosi corredi funebri. Si
conservano anche i resti di una kline (letto) con decorazione in avorio. Nel
vestibolo è stato rinvenuto un altro sarcofago di marmo con un’urna d’oro
più piccola all’interno. La defunta era forse Cleopatra, la settima e ultima
moglie di Filippo. Le sue ossa erano avvolte in un tessuto d’oro e di porpora;
accanto ad esse era stato posto un bellissimo diadema d’oro, un capolavoro
delle arti minori. Accanto al sarcofago è stata rinvenuta una corona d’oro
con 80 foglie e 112 fiori di mirto, nonché altri corredi funebri, che però
appartenevano al re: due schinieri di bronzo dorato e una faretra (gorytòs)
d’oro.
Una
tomba più piccola apparteneva ad un giovane principe, che alcuni hanno
identificato con Alessandro IV, figlio di Alessandro Magno. La tomba del
Principe ha una sobria facciata dorica con due pilastri e due paraste di marmo,
che sorreggono l’architrave. Il vestibolo era decorato con uno stretto fregio
con scene di corsa dei carri. Un tavolo in muratura con una cavità circolare al
centro era la base per l’idria di bronzo con le ossa del morto. Su di essa era
stata collocata una corona d’oro di foglie di quercia. Nel vestibolo è stata
rinvenuta anche una certa varietà di vasi d’argento e di altri utensili, un
grande portalucerne di ferro argentato, piccoli avori a rilievo, ed altro.
Uno studio, pubblicato nel
2000 sull'autorevole rivista Science, confuta il fatto che le spoglie
appartengano a Filippo II, affermando che si tratta di quelle di Filippo III
Arrideo, fratellastro di Alessandro Magno, avvelenato dalla sua stessa madre
perché mentalmente e fisicamente disabile. Le prove in merito sono
schiaccianti, e riguardano sia l'analisi ossea sia quella del corredo funebre.
Ma un'altra diatriba è divampata negli ultimi anni. E quella riguardante la
stella macedone raffigurata sul baule funerario. Nel 1992 il nuovo Stato
indipendente di Macedonia l'aveva adottata come simbolo sulla bandiera
nazionale, sollevando le proteste del governo greco che considerava la stella -
come lo stesso nome di "Macedonia" - proprio patrimonio culturale
inalienabile. Tanto che nel 1995 la Macedonia
è riuscita a negoziare il diritto di conservare il nome a scapito della
bandiera. Che adesso reca una stella stilizzata a otto punte, al posto delle
sedici originarie, simile a un Sole radiante.

La
tomba nota come di Persefone è una costruzione quadrata di calcare, rinvenuta
saccheggiata. I soggetti degli affreschi del suo interno sono in rapporto con il
mondo degli Inferi.
La
forma originale del tumulo che copriva le tombe reali di Verghina è stata
riprodotta artificialmente, consentendo ai visitatori di entrare all'Interno del
tumulo e di ammirare i monumenti architettonici e i ricchissimi ritrovamenti.
Il
Palazzo di Ege è situato in un’incantevole località con vista sulla piana
del fiume Aliacmone. Al centro si trova un cortile quadrato, circondato da
quattro portici con colonne doriche, 16 su ogni lato. L’entrata monumentale si
trova nel lato orientale ed è formata da 3 ambienti in successione. A Sud
dell’entrata si trova una camera circolare che, secondo un’iscrizione ivi
rinvenuta, era dedicata ad Eracle. Al centro del lato meridionale c’era un
grande vano, aperto sul cortile.
Queste
due sale erano ambienti di ricevimento e per banchetti. Nella sala ad Ovest
dell’entrata si è conservato un meraviglioso pavimento musivo con una
composizione vegetale al centro e 4 figure femminili agli angoli. Nel lato
occidentale si conservano tre vani, probabilmente ausiliari, e tre grandi sale
quadrate. Il lato settentrionale è in pessime condizioni. Sembra, comunque, che
lungo di esso si estendesse un atrio lungo e stretto con una vista meravigliosa
sulla sconfinata pianura macedone.
Il
Teatro di Ege si trova a breve distanza, a Nord del palazzo. La cavea è divisa
in 9 gradinate. Si è conservata solo la prima fila dei sedili, che erano
litici, mentre i rimanenti dovevano essere lignei. Èstata rinvenuta anche parte
delle fondazioni della scena e la pietra della thymele al centro
dell’orchestra.
Circa
80 metri a Nord del teatro si conservano le fondazioni del piccolo tempio di
Eucleia con pronao e cella, che data alla seconda metà del IV sec. a.C.
"Eucleia" (cioè gloria, buona fama) era un appellativo di Artemide,
che fu adorata anche come divinità indipendente in molte zone della Grecia. Più
ad Est del tempio è in corso di scavo il santuario della Madre degli Dèi.

Collegamenti:
- Fonti:
- Grecia Antica - Niki
Drosou-Panayiotou
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