Sito archeologico di Ege, oggi chiamata Vergina
  

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1996

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Verghina è un piccolo paesino del nord della Grecia, appartenente alla prefettura di Imathia, nella Macedonia Centrale. Si sviluppa sulle pendici dei Monti della Pieria, poco oltre i duemila metri di altitudine e ha una popolazione di circa duemila abitanti. 

Verghina è nota principalmente in quanto attigua a uno dei più importanti siti archeologici della Grecia, identificato con i resti dell'antica Ege (greco Αγαί, latino Aegae), prima capitale del Regno di Macedonia, poi trasferita a Pella, pur rimanendo il luogo di sepoltura dei sovrani.

Verghina, al giorno d'oggi, è uno dei più importanti luoghi archeologici della Grecia. Prende il nome da una leggendaria regina morta suicida nel fiume Aliakmone dove si era gettata per non cadere nelle mani dei Turchi. 

Il paesino è diventato famoso nell'autunno del 1977 con la scoperta della tomba di Filippo II, cosa che ha dimostrato, senza ombra di dubbio, che la prima capitale della Macedonia antica è da identificare proprio in Verghina.

Nel 336 a.C. vennero ivi celebrate le nozze tra Cleopatra di Macedonia, figlia proprio del celebre re Filippo II e sorella di Alessandro Magno, e Alessandro I, detto il Molosso, sovrano dell'Epiro.

Dal I secolo d.C. la città venne abbandonata; da allora, il nome Aigài (Ege) non apparve più e fu sostituito con Palatitsia, nome che compare la prima volta nel XIV secolo, ed ha probabilmente a che fare con le rovine dei palazzi adiacenti. 

Secondo la mitologia, Archelao, figlio Temeno, re di Argos, seguì come gli aveva consigliato Apollo, una capra, che lo condusse nel luogo in cui fu fondata Aigai (Ege). Secondo un'altra versione, Carano, figlio di Fidone, partì da Argos, arrivò in Macedonia e, obbedendo al vaticinio ricevuto dall’Oracolo di Delfi, seguì un gregge di capre. Nel luogo in cui si fermò il gregge per dormire, Carano fondò Ege. Tutti i miti sono faziosi e alludono al fatto che i re Macedoni discendevano da Eracle e da suo padre, Zeus, e da Temeno, re di Argos, tanto che erano chiamati Eraclidi e Temenidi.

Quando Archelao I (413-399 a.C.), per motivi strategici, trasferì la capitale del regno macedone a Pella, Ege non perse importanza. Al contrario, raggiunse un grande splendore nel IV sec. a.C. D’altra parte, anche dopo il trasferimento della capitale a Pella, i re macedoni continuavano ad essere sepolti ad Ege. Unica eccezione fu Alessandro sepolto ad Alessandria.

Nel 276 a.C. sul trono della Macedonia salì Antigono Gonata, che si scontrò con Pirro, re dell’Epiro, che lo sconfisse e si impadronì di Ege.

Nel 168 a.C. la città fu conquistata dai Romani e successivamente decadde. Col tempo furono dimenticati sia il nome che l’ubicazione di Ege.

Nel 1861 l’archeologo francese Léon Heuzey effettuò scavi nel palazzo di Verghina, che furono continuati, nel 1937, da K. Romeos e nel 1952-1963 da M. Andronikos.

Nel 1968 l’archeologo inglese N. Hammond sostenne che Ege doveva essere ricercata a Verghina e non ad Edessa, come si era creduto fino ad allora: in effetti, nel 1978 Manolis Andronikos portò alla luce le famose tombe reali. 

NECROPOLI - L'area della necropoli, situata tra i villaggi Palatitsia e Verghina, si estende per più di un chilometro quadrato e comprende più di trecento tumuli, tutti situati verso sud. Il loro diametro può variare da 15 a 20 metri, l'altezza da 0,50 a 1,00 metri, ma ve ne possono essere alcuni che superano queste misure in larghezza o in altezza. Le ricerche archeologiche hanno mostrato che il tumulo più antico risale all'Età del ferro (1000-700 a.C.) e quello più recente è del periodo ellenistico.

Le tombe macedoni sono in genere formate da camera a volta, facciata architettonica con porta monumentale, corridoio e tumulo. Questo tipo di impostazione strutturale è simile a quella dei tholoi micenei, come anche i corredi funerari che sono stati trovati a Sindos, alla foce del Vardar, ad est di Verghina, conservano in età arcaica il rituale della maschera d'oro. Questi dati, unitamente alle continue esaltazioni e ai riferimenti alle discendenze argive da parte della famiglia reale macedone, ci danno la certezza che la popolazione dorica, dopo aver sostanzialmente accettato gran parte delle strutture e usanze civili di Micene, le abbia mantenute in uso anche in Macedonia.

In corrispondenza del luogo identificato come Palatìtsia, a due km dal villaggio di Verghina, nel 1855, l'archeologo francese Léon Heuzey, intraprese i primi scavi verso la parte orientale. Successivamente vennero condotti altri scavi, dando la possibilità di delineare in maniera precisa la pianta del complesso architettonico del palazzo imperiale. 

Manolis Andronikos, nel 1949, riuscì ad ottenere un incarico per Veria, che comprendeva anche l'area di Verghina. Egli esplorò nel 1952 il "Grande tumulo", un'altura che già dal secolo precedente attirò l'attenzione per il suo carattere artificiale. Si tenne conto dei frammenti di stele funerarie rinvenute in quel punto; queste, insieme all'abbondante cumulo di terra e pietrame, sarebbero state ammassate sulle tombe reali da Antigono Gonata con lo scopo di difenderle in seguito al saccheggio di Aigài da parte dei Galati al servizio di Pirro avvenuto intorno al 273 a.C. Gli scavi proseguirono nel resto dell'area cimiteriale fino al 1961.

Nel sito archeologico, mentre il visitatore percorre i 2 Km della strada che collega i villaggi di Verghina e Palatitsia, scorge una grande area disseminata di tumuli: è la Necropoli dei Tumuli. La maggior parte di essi raggiunge un’altezza di 1 metro ed un diametro di 15-20 m: sono tombe familiari. I tumuli datano dal periodo protogeometrico (intorno al 1000 a.C.) fino all’età ellenistica (III sec. a.C.). I morti venivano seppelliti sia all'Interno di fosse sia in grandi pithoi. Accanto alle salme collocavano di solito due vasi contenenti offerte.

Delle tombe in muratura la più sorprendente è quella detta Tomba di Romeos. Si trova a circa 500 m a Nord del palazzo e data al III sec. a.C. Sulla facciata presenta 4 semicolonne ioniche e un frontone. La porta in marmo a due battenti è ornata con chiodi a rilievo, al fine di dare l’impressione di un manufatto ligneo. All’interno di essa c’è un elegante trono di marmo, i cui bracciali poggiano su due piccole sfingi.  

IL GRANDE TUMULO - Nel 1977-78, M. Andronikos scoprì a Verghina le Tombe Reali, coperte da una collina artificiale: la "Grande Tumba". Per prima fu messa in luce quella più grande; secondo lo scavatore apparteneva a Filippo II, che era stato ucciso dalla sua guardia del corpo, Pausania, nel teatro di Ege. 

La tomba di Filippo II è costituita da due stanze, anticamera e camera principale, entrambi coperte da volte a botte ed alte m. 5.30; nella prima, che misura m. 3.36 x 4.46, quindi rettangolare, vennero deposte le ceneri di Cleopatra, moglie più giovane del sovrano, assassinata subito dopo la sua morte. La seconda stanza, quella riservata a Filippo, è quadrata e risulta di m. 4.46 di lato. Sommando queste misure allo spessore dei tre muri da m. 0.56, e che insieme misurano m.1.68, si ottiene la lunghezza di m. 9.50. Questo vuol dire che la tomba in questione è la più lunga e la più alta tra quelle scoperte finora in Macedonia. 

La parte esterna delle volte non venne lasciata scoperta, come era solito fare per questo genere di opere in area macedone, ma venne interamente coperta da uno strato di stucco dello spessore di dieci centimetri. 

L’ingresso, monumentale, è sormontato da un fregio dorico al di sopra del quale si trova, protetto da una cornice in rilievo, una scena di caccia che misura m. 5.56 di larghezza e m. 1.16 di altezza. In questo fregio, un paesaggio montuoso fa da sfondo a cinque scene scandite da alberi di specie diverse; i tronchi senza foglie, i vestiti pesanti ed i cappelli di alcuni cacciatori, sembrano propri di un clima invernale. 

Davanti al luogo dell’azione vi è un ampio piano di terra e sia il paesaggio che l’ambiente sono perfettamente definiti. Con un cavallo dipinto in bianco è indicato con chiarezza il sovrano, Filippo, che si viene a trovare davanti alla lotta tra uomini e animali, con esplicita funzione di rivolgere lo sguardo verso il lato destro della scena; egli sovrasta un leone e lo sta per colpire a morte. Invece, il giovane erede Alessandro, è inquadrato tra due alberi ed è identificabile dalla corona di alloro. 

È da rilevare il sorprendente studio dei cavalieri, dei cani (ve ne sono rappresentate ben nove razze) e degli alberi, così come gli effetti di volume che costituiscono il culmine di una ricerca classica in uno spazio plastico. Nel primo albero troviamo un elemento che Nikias, autore dell’opera, aveva già adottato nella sua “Allegoria di Nemea”: un piccolo quadro votivo appeso e contornato da nastri a formare un gioco del quadro nel quadro. 

Accanto è presente un pilastro visto di spigolo, lì situato a rappresentare l’intervento umano nella consacrazione dell’ambiente naturale, quest’ultimo comunque messo in evidenza come primo e fondamentale stadio per la rappresentazione della scena. 

Dalla disposizione delle figure si può ritenere che l’attenzione di Nikias non fosse volta a definire una narrazione continua rispettosa del susseguirsi cronologico delle azioni, ma piuttosto all’unità visiva della composizione, dove le figure stesse, seppur in taluni casi solo leggermente, si vanno armonicamente a sovrapporre. 

La costante preoccupazione del pittore testimoniata dalle fonti, era quella di dare il giusto risalto alle figure rispetto al fondo, e doveva riflettere lo studio di un corretto rapporto chiaroscurale tra gli elementi della scena. La luce, diluita e azzurrina, rende evanescenti le montagne sullo sfondo, e si diffonde tra le quinte di roccia; la stessa luce si fa più contrastata e si diffonde verso il primo piano della scena sciogliendosi nel paesaggio senza che se ne possa riconoscere una fonte determinata. Il calcolo meticoloso di un passaggio continuo della luce dal fondo lattescente ai primi piani, condizionò la tecnica di esecuzione dell’affresco, dove l’intonaco fu bagnato ripetutamente in corso d’opera, verosimilmente per ritornare su ciò che era stato già fatto e per graduare più sensibilmente e con maggiore precisione le sfumature, sfumature che vengono sottolineate dalla scelta del colore: il bianco del fondo e di uno dei cavalli, i toni caldi del giallo-arancio, rosso, bruno, viola pallido e porpora per le figure in primo piano, e quelli freddi più bassi, verde ed ombra azzurra, fino agli accenti cupi delle rocce. L’artista non si limita così all’uso dei quattro colori che facevano parte dell’antica tradizione pittorica (azzurro, nero, ocra e rosso). Nikias rinuncia, quindi, allo splendor, il riflesso lampeggiante introdotto in pittura poco tempo prima probabilmente da Euphranor, dove la luce proveniva da un punto fortemente determinato.

La tomba venne fatta costruire sicuramente da Alessandro intorno al 336 a.C., anno della morte del padre, ed è probabile che fu egli stesso a scegliere Nikias per l’esecuzione del fregio. Il pittore ateniese si inserì in uno degli ambienti culturali più vivi dell’antichità, in gran parte influenzato da Aristotele, che fu chiamato da Filippo per educare il figlio. Ma quasi certamente fu l’artista ad influenzare in parte il filosofo che, nell’elaborazione del “De Sensu”, parla di pittori che “vogliono rappresentare qualcosa che appare attraverso l’aria, o l’acqua” ; il testo evoca proprio la trasparenza atmosferica, la densità corposa dell’elemento in cui sono immersi gli oggetti.

Nella camera della tomba è stato rinvenuto il sarcofago di marmo all’interno del quale c’era l’urna d’oro con le ossa di Filippo, avvolte in un tessuto di porpora. Su di esse era stata collocata una preziosissima corona d’oro, costituita da 313 foglie di quercia e 68 ghiande. Sul coperchio spicca in rilievo l’astro dei re macedoni.

Nella stessa camera sono stati trovati molti altri preziosi corredi funebri. Si conservano anche i resti di una kline (letto) con decorazione in avorio. Nel vestibolo è stato rinvenuto un altro sarcofago di marmo con un’urna d’oro più piccola all’interno. La defunta era forse Cleopatra, la settima e ultima moglie di Filippo. Le sue ossa erano avvolte in un tessuto d’oro e di porpora; accanto ad esse era stato posto un bellissimo diadema d’oro, un capolavoro delle arti minori. Accanto al sarcofago è stata rinvenuta una corona d’oro con 80 foglie e 112 fiori di mirto, nonché altri corredi funebri, che però appartenevano al re: due schinieri di bronzo dorato e una faretra (gorytòs) d’oro.

Una tomba più piccola apparteneva ad un giovane principe, che alcuni hanno identificato con Alessandro IV, figlio di Alessandro Magno. La tomba del Principe ha una sobria facciata dorica con due pilastri e due paraste di marmo, che sorreggono l’architrave. Il vestibolo era decorato con uno stretto fregio con scene di corsa dei carri. Un tavolo in muratura con una cavità circolare al centro era la base per l’idria di bronzo con le ossa del morto. Su di essa era stata collocata una corona d’oro di foglie di quercia. Nel vestibolo è stata rinvenuta anche una certa varietà di vasi d’argento e di altri utensili, un grande portalucerne di ferro argentato, piccoli avori a rilievo, ed altro.

Uno studio, pubblicato nel 2000 sull'autorevole rivista Science, confuta il fatto che le spoglie appartengano a Filippo II, affermando che si tratta di quelle di Filippo III Arrideo, fratellastro di Alessandro Magno, avvelenato dalla sua stessa madre perché mentalmente e fisicamente disabile. Le prove in merito sono schiaccianti, e riguardano sia l'analisi ossea sia quella del corredo funebre. Ma un'altra diatriba è divampata negli ultimi anni. E quella riguardante la stella macedone raffigurata sul baule funerario. Nel 1992 il nuovo Stato indipendente di Macedonia l'aveva adottata come simbolo sulla bandiera nazionale, sollevando le proteste del governo greco che considerava la stella - come lo stesso nome di "Macedonia" - proprio patrimonio culturale inalienabile. Tanto che nel 1995 la Macedonia è riuscita a negoziare il diritto di conservare il nome a scapito della bandiera. Che adesso reca una stella stilizzata a otto punte, al posto delle sedici originarie, simile a un Sole radiante.

La tomba nota come di Persefone è una costruzione quadrata di calcare, rinvenuta saccheggiata. I soggetti degli affreschi del suo interno sono in rapporto con il mondo degli Inferi.

La forma originale del tumulo che copriva le tombe reali di Verghina è stata riprodotta artificialmente, consentendo ai visitatori di entrare all'Interno del tumulo e di ammirare i monumenti architettonici e i ricchissimi ritrovamenti.

Il Palazzo di Ege è situato in un’incantevole località con vista sulla piana del fiume Aliacmone. Al centro si trova un cortile quadrato, circondato da quattro portici con colonne doriche, 16 su ogni lato. L’entrata monumentale si trova nel lato orientale ed è formata da 3 ambienti in successione. A Sud dell’entrata si trova una camera circolare che, secondo un’iscrizione ivi rinvenuta, era dedicata ad Eracle. Al centro del lato meridionale c’era un grande vano, aperto sul cortile.

Queste due sale erano ambienti di ricevimento e per banchetti. Nella sala ad Ovest dell’entrata si è conservato un meraviglioso pavimento musivo con una composizione vegetale al centro e 4 figure femminili agli angoli. Nel lato occidentale si conservano tre vani, probabilmente ausiliari, e tre grandi sale quadrate. Il lato settentrionale è in pessime condizioni. Sembra, comunque, che lungo di esso si estendesse un atrio lungo e stretto con una vista meravigliosa sulla sconfinata pianura macedone.

Il Teatro di Ege si trova a breve distanza, a Nord del palazzo. La cavea è divisa in 9 gradinate. Si è conservata solo la prima fila dei sedili, che erano litici, mentre i rimanenti dovevano essere lignei. Èstata rinvenuta anche parte delle fondazioni della scena e la pietra della thymele al centro dell’orchestra.

Circa 80 metri a Nord del teatro si conservano le fondazioni del piccolo tempio di Eucleia con pronao e cella, che data alla seconda metà del IV sec. a.C. "Eucleia" (cioè gloria, buona fama) era un appellativo di Artemide, che fu adorata anche come divinità indipendente in molte zone della Grecia. Più ad Est del tempio è in corso di scavo il santuario della Madre degli Dèi.

Collegamenti:
Fonti:
Grecia Antica - Niki Drosou-Panayiotou