Situata
nella fertile valle del Rio Motagua, in un sito abitato già dal II secolo a.C,
Quiriguà era una città maya di media importanza che viveva di commerci e
dipendeva dalla potente Copan. Questo fino al 737 d.C, quando Cielo Cauac
(723-784), il suo ambizioso sovrano, decise di porre fine alla scomoda
sudditanza per gestire da sé il trasporto della giada e dell'ossidiana che,
estratte nelle miniere sulle montagne che circondavano Quiriguà, venivano
vendute con grande profitto nelle città maya della costa. Armate le truppe,
arrivò a Copàn, prese prigioniero il suo re, XVIII Jog (18 Coniglio) e lo fece
decapitare. Diventata indipendente, Quiriguà visse un'età di grande prosperità
e Cielo Cauac fondò una dinastia che proseguì con il figlio Cielo Xul e il
nipote Imx Cane, il cui trono venne usurpato da Cielo di Giada nell'810. Quiriguà
sopravvisse fino a metà del IX secolo, quando venne abbandonata, probabilmente
in seguito a un violento terremoto.
La
ricostruzione precisa della storia dell'età d'oro di Quiriguà è stata
possibile grazie alle stele di arenaria scura che, a partire dal 754, Cielo
Cauac e i suoi successori eressero a un intervallo di cinque anni (detto hotun)
l'una dall'altra. Esse recano infatti incisi sul retro e sui lati i geroglifici
che segnano il calendario degli eventi di carattere politico e militare occorsi
in quel lasso di tempo. Caratteristiche della civiltà di Quiriguà - come anche
di quella di Copàn - le stele erano una sorta di "manifesto" dei
sovrani. Sul davanti essi venivano rappresentati adorni di simboli religiosi e
circondati dagli dèi e da animali sacri, un corredo iconografico che serviva a
marcare la legittimazione divina del potere. Al di là dei preziosissimi
elementi di carattere storico che vi sono incisi, le stele di Quiriguà devono
la loro eccezionalità alle dimensioni e alla finezza con cui furono scolpite.

La più
imponente è la Stele E, un monolito di 60 tonnellate alto 10,5 metri, dei quali
3 interrati, con magnifici bassorilievi che la ricoprono per un'altezza di 8
metri; le raffinatissime decorazioni della Stele D sono state riprodotte sulla
moneta guatemalteca da dieci centavos. Oggi, per rallentare l'azione erosiva
della pioggia, che qui cade copiosa, le stele - nove in tutto - sono state
protette da tettoie e si ergono in ordine sparso come silenziose sentinelle di
quella che era la Grande Piazza cerimoniale della città.
Estesa
su una superficie di 100 metri per 80, ha al centro un masso, detto
"Zoomorfo G": probabilmente il monumento funerario di Cielo Cauac,
dato che le sue sculture a bassorilievo e altorilievo raffigurano il sovrano con
le sembianze di un giaguaro con la testa di re XVIII Jog nelle fauci.
Altri
macigni con rappresentazioni zoomorfe, tra le più sconcertanti del mondo maya,
sono sparse per la piazza dove, all'estremità settentrionale, sorge l'Acropoli.
Sebbene sia ormai in rovina, questo complesso di edifici - che racchiudeva i
palazzi di Cielo Cauac e Cielo di Giada - era molto elegante, e ospitava persino
un sistema di terme (temascales). Accanto all'Acropoli si trova invece il campo
per il gioco della palla, delimitato da un muro decorato con immagini di Kinich
Ahau, il dio maya del Sole.

L'antica
città di Quiriguà rimase pressoché dimenticata nella foresta fino al 1841
quando, dopo giorni di faticoso cammino, vi giunse l'americano John Stephens.
Grande
amante della cultura maya, Stephens tentò di acquistare da un contadino della
zona il terreno su cui sorgevano le rovine, in modo da poter rimuovere le stele
e portarle a New York. Ma il proprietario gli chiese una cifra esorbitante e non
se ne fece nulla.
Nel
1910, invece, la transazione riuscì alla società americana United Fruit
Company, che disboscò il terreno e lo utilizzò per piantarvi le banane,
finanziando anche le campagne di scavo degli archeologi della Pennsylvania State
University. Restituita al Guatemala negli anni Settanta, oggi Quiriguà è un
parco nazionale.
