Parco archeologico di Quiringuà 
Guatemala

patrimonio dell'umanità dal 1981 

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Situata nella fertile valle del Rio Motagua, in un sito abitato già dal II secolo a.C, Quiriguà era una città maya di media importanza che viveva di commerci e dipendeva dalla potente Copan. Questo fino al 737 d.C, quando Cielo Cauac (723-784), il suo ambizioso sovrano, decise di porre fine alla scomoda sudditanza per gestire da sé il trasporto della giada e dell'ossidiana che, estratte nelle miniere sulle montagne che circondavano Quiriguà, venivano vendute con grande profitto nelle città maya della costa. Armate le truppe, arrivò a Copàn, prese prigioniero il suo re, XVIII Jog (18 Coniglio) e lo fece decapitare. Diventata indipendente, Quiriguà visse un'età di grande prosperità e Cielo Cauac fondò una dinastia che proseguì con il figlio Cielo Xul e il nipote Imx Cane, il cui trono venne usurpato da Cielo di Giada nell'810. Quiriguà sopravvisse fino a metà del IX secolo, quando venne abbandonata, probabilmente in seguito a un violento terremoto.

La ricostruzione precisa della storia dell'età d'oro di Quiriguà è stata possibile grazie alle stele di arenaria scura che, a partire dal 754, Cielo Cauac e i suoi successori eressero a un intervallo di cinque anni (detto hotun) l'una dall'altra. Esse recano infatti incisi sul retro e sui lati i geroglifici che segnano il calendario degli eventi di carattere politico e militare occorsi in quel lasso di tempo. Caratteristiche della civiltà di Quiriguà - come anche di quella di Copàn - le stele erano una sorta di "manifesto" dei sovrani. Sul davanti essi venivano rappresentati adorni di simboli religiosi e circondati dagli dèi e da animali sacri, un corredo iconografico che serviva a marcare la legittimazione divina del potere. Al di là dei preziosissimi elementi di carattere storico che vi sono incisi, le stele di Quiriguà devono la loro eccezionalità alle dimensioni e alla finezza con cui furono scolpite. 

La più imponente è la Stele E, un monolito di 60 tonnellate alto 10,5 metri, dei quali 3 interrati, con magnifici bassorilievi che la ricoprono per un'altezza di 8 metri; le raffinatissime decorazioni della Stele D sono state riprodotte sulla moneta guatemalteca da dieci centavos. Oggi, per rallentare l'azione erosiva della pioggia, che qui cade copiosa, le stele - nove in tutto - sono state protette da tettoie e si ergono in ordine sparso come silenziose sentinelle di quella che era la Grande Piazza cerimoniale della città. 

Estesa su una superficie di 100 metri per 80, ha al centro un masso, detto "Zoomorfo G": probabilmente il monumento funerario di Cielo Cauac, dato che le sue sculture a bassorilievo e altorilievo raffigurano il sovrano con le sembianze di un giaguaro con la testa di re XVIII Jog nelle fauci. 

Altri macigni con rappresentazioni zoomorfe, tra le più sconcertanti del mondo maya, sono sparse per la piazza dove, all'estremità settentrionale, sorge l'Acropoli. Sebbene sia ormai in rovina, questo complesso di edifici - che racchiudeva i palazzi di Cielo Cauac e Cielo di Giada - era molto elegante, e ospitava persino un sistema di terme (temascales). Accanto all'Acropoli si trova invece il campo per il gioco della palla, delimitato da un muro decorato con immagini di Kinich Ahau, il dio maya del Sole.  

L'antica città di Quiriguà rimase pressoché dimenticata nella foresta fino al 1841 quando, dopo giorni di faticoso cammino, vi giunse l'americano John Stephens. 

Grande amante della cultura maya, Stephens tentò di acquistare da un contadino della zona il terreno su cui sorgevano le rovine, in modo da poter rimuovere le stele e portarle a New York. Ma il proprietario gli chiese una cifra esorbitante e non se ne fece nulla. 

Nel 1910, invece, la transazione riuscì alla società americana United Fruit Company, che disboscò il terreno e lo utilizzò per piantarvi le banane, finanziando anche le campagne di scavo degli archeologi della Pennsylvania State University. Restituita al Guatemala negli anni Settanta, oggi Quiriguà è un parco nazionale.