La
più celebre struttura architettonica dell'India e probabilmente una
delle più belle al mondo. Nessuna riproduzione rende la magia e le
perfette proporzioni di questo luogo, che Tagore definì "Una
lacrima sul volto del Tempo".
Fu voluto da Shah Jahàn, imperatore dal 1628 al 1658, che
apparteneva alla stirpe islamica dei Moghul; questa dinastia discendeva
dalle tribù mongole che nei secoli precedenti, capeggiate da Attila e
Gengis Khan, avevano seminato il terrore in Asia e in Europa. Nel 1526
il loro condottiero Baber calò in India dalle pianure dell'Asia
centrale dopo avere fallito nell'intento di conquistare Samarcanda,
scalzò la dinastia musulmana che da più di trecento anni vi dominava e
fondò il suo impero.
Stabilì la sua capitale ad Agra, situata a 206 chilometri
a sud di Delhi, non distante dal deserto del Rajasthan. In quella città,
che era appena stata strappata da suo figlio Humayun al clan guerriero
indiano dei Rajputi, Baber iniziò subito i lavori per realizzare un
parco che chiamò Rambagh (il giardino della bellezza), facendo scavare
un pozzo e deviare le acque del fiume Jumna per alimentare canali, terme
e fontane. Con i suoi giochi d'acqua, i sentieri simmetrici e le distese
di fiori, il Rambagh divenne allora il modello di tutti i giardini
moghul, compreso quello del Taj Mahal. Tutti gli imperatori che
succedettero a Baber proseguirono la sua opera, dedicando sforzi e mezzi
economici ingenti alla costruzione della città imperiale. Non fu però
soltanto il rispetto della tradizione a far nascere il Taj Mahal,
un'opera alla cui origine sta il grande amore di un uomo per la sua
donna.
Il Taj
Mahal, La Corona del Palazzo, è una tomba, un mausoleo costruito
da Shah Jahan, quinto imperatore Moghul (dal 1628 al 1658) per la
moglie Mumtaz Mahal, la Preferita del Palazzo, seconda e favorita sposa
del sovrano. Mumtaz Mahal, il cui vero nome era Arjuman Banu Begum, era
una principessa persiana, che influenzò grandemente la vita e la
visione politica di Shah Jahan. Morì a trentanove anni dando alla luce
il 13 figlio nel 1631, lasciando il sovrano in un profondissimo lutto
che gli incanutì i capelli tutti in una volta, e che estese per
decreto al regno. Alla moglie agonizzante - che soleva
accompagnarlo in ogni circostanza, comprese le campagne militari,
rivelando una relazione strettissima di amicizia, fiducia e
complicità tra i due sposi - il sovrano promette di non sposarsi mai più
e di edificarle un mausoleo funebre che sarà la testimonianza perenne
del loro profondo e unico amore.
Sei mesi dopo la morte della regina, avvenuta a Burhanpur,
il suo corpo venne trasportato ad Agra e nel 1631 fu riposto
provvisoriamente in una cripta vicino al luogo destinato alla tomba
definitiva che, nelle intenzioni di Shah Jahan, doveva essere il più
straordinario monumento mai costruito per una donna.
Il
risultato sarà un'opera eccezionale: dodicimila tonnellate di pietre e
marmi trasportati da grandi distanze; un edificio la cui circonferenza
supera la Basilica di San Pietro e la Piazza del Bernini messe assieme;
la perfezione delle forme raggiunta grazie a complessi calcoli
matematici; la profusione di pietre rare incastonate nei muri; le
pregevoli decorazioni affidate al più grande calligrafo persiano
dell'epoca, Amanat Khan.
La notizia che l'imperatore stava
cercando qualcuno cui affidare il grandioso progetto fece accorrere ad
Agra schiere di architetti e artigiani provenienti dall'India
meridionale, dalla Birmania, da Ceylon, dalla Transcaucasia e dalla
Persia. Nessun documento dell'epoca indica il nome del progettista del
Taj Mahal, ma la tradizione vuole che a realizzarlo sia stato
l'architetto Ustad 'Isa. Si racconta che, alla conclusione dei lavori,
Shah Jahan abbia fatto tagliare le mani ai capomastri, accecare i
calligrafi e decapitare l'architetto, affinché nessuno di loro potesse
più realizzare un altro edificio simile.
Ricordato di volta in volta con nomi
diversi (Ustad Khan Effendi, 'Isa Mohammed Effendi, Ustad Mohammed, 'Isa
Affendi, 'Isa Khan), indicato come proveniente dai luoghi più disparati
(da Costantinopoli, da Shiraz o Isfahan in Persia, da Samarcanda, da
Kandahar in Afghanistan, o anche da Delhi o Agra) e appartenente a
svariate etnie (arabo, cristiano, russo, indiano o ebreo), Ustad 'Isa è
forse un personaggio nato per soddisfare la curiosità dei turisti
inglesi che nell'Ottocento andavano in visita ad Agra.
Altrettanto prive di fondamento sono
le ipotesi secondo cui quel monumento, in perfetto stile indo-persiano,
sarebbe stato disegnato da un europeo (sono stati fatti i nomi
dell'orafo veneziano Gerolamo Veroneo e dell'argentiere francese Austin
de Bordeaux).
Oltre
alle considerazioni stilistiche e all'inattendibilità delle fonti su
cui queste ipotesi poggiano, è inaccettabile l'idea che un architetto
cristiano possa aver ricevuto l'incarico di costruire un edificio il cui
ingresso, fino all'occupazione inglese, era proibito ai non musulmani, i
quali, se contravvenivano al divieto, venivano condannati a morte. Del
resto l'ispiratrice del mausoleo Mumtaz Mahal, come testimonia
l'iscrizione che orna il suo sarcofago - "Proteggici, o Signore,
dalla genìa dei miscredenti" - era stata un'acerrima nemica del
cristianesimo e aveva spinto Shah Jahàn a sterminare i portoghesi che
si erano stanziati a Hooghly (sul luogo dell'odierna Calcutta).
Secondo alcuni studiosi, l'ideatore
più probabile del Tàj Mahal è il persiano Ustad Ahmad Lahori, che già
in precedenza, nel suo duplice ruolo di ingegnere e di astrologo, aveva
ricevuto da Shah Jahan l'incarico di disegnare alcune delle sue opere più
ambiziose. Secondo altri, il mausoleo non fu progettato da un solo uomo,
ma da un gruppo di esperti coordinati personalmente
dall'imperatore.
L'impianto dell'edificio, peraltro,
non è una novità assoluta, ma richiama con le sue cupole e i suoi
minareti molte costruzioni indiane, quali il Forte Rosso di Agra,
ampliato e rimaneggiato per volontà dello stesso Shah Jahan, e ancor più
il sepolcro del secondo imperatore moghul Humayun, costruito a Delhi più
di un secolo prima. Come quella dei suoi illustri precedenti,
l'architettura del Taj Mahal costituisce una sintesi armoniosa tra la
ricca tradizione costruttiva islamica persiana e quella della
decorazione indiana.
Molto prima dell'avvento di Shah Jahan, infatti, gli
scalpellini indiani erano famosi in tutto l'Oriente per la loro non
comune abilità nel lavorare la pietra; quando nel XIV secolo Tamerlano
aveva voluto abbellire la sua capitale, Samarcanda, vi aveva chiamato
dall'India i migliori artigiani del marmo, che divennero l'orgoglio
delle sue botteghe e, alla sua morte, innalzarono per lui il mausoleo
del Gure AmTr, indicato anch'esso come uno dei modelli ai quali il Tàj
Mahal potrebbe essersi ispirato.
Nonostante la comprovata perizia delle maestranze locali,
per il suo progetto ambizioso l'imperatore fece giungere ad Agra
artigiani provenienti da tutta l'Asia: dalla Turchia, Ismail Afandi, che
realizzò l'enorme cupola del mausoleo; da Lahore, nell'attuale
Pakistan, l'esperto gioielliere Qazim Khan, che ebbe l'incarico di
fondere e modellare l'oro del pinnacolo della cupola; da Delhi, infine,
abilissimi mosaicisti guidati da Chiranji Lai. Ma gli artisti giunti
dalla Persia, e in particolare da Bagdad e da Shiraz, i più numerosi e
considerati superiori per cultura e conoscenze tecniche, furono
determinanti nel dare al Tàj Mahal il suo singolare carattere misto,
indiano e persiano. In particolare, da Shiraz fu chiamato Amanat Khan,
il celebre maestro di calligrafia che decorò la facciata e la cripta
del mausoleo con iscrizioni in caratteri arabi.
Le iscrizioni che costellavano
nicchie, archi, cupole, portali e minareti rappresentavano da un
millennio un motivo tipico dell'arte musulmana (nella quale era
proscritta la rappresentazione della figura umana), che impiegava i
segni eleganti della scrittura per definire lo spazio architettonico e,
soprattutto, per offrire agli occhi dei fedeli brani dei testi sacri
islamici. L'importanza attribuita all'attività dei calligrafi è
testimoniata al Taj Mahal dagli ingenti compensi pagati a Amanat Khan,
la cui firma fu l'unica considerata degna di comparire sulle mura del
mausoleo ed è tuttora visibile all'interno, alla base della cupola,
circondata da versetti del Corano.
I lavori, iniziati nel 1631,
proseguirono ininterrottamente per diciassette anni e richiesero il
lavoro di 20.000 operai. Per accoglierli sorse nello spazio di fronte al
cantiere una piccola città, che assunse il nome di Mumtàzabad in onore
della regina morta. Questa città crebbe con una prosperità tale da
divenire più importante della stessa Agra, e sembra persino che Shah
Jahan abbia pensato di trasferirvi la sua residenza ufficiale. A Mumtàzabad
giungevano le carovane che portavano i materiali da costruzione: il tufo
rosso estratto nelle vicine cave della regione; il marmo bianco,
trasportato su carri trainati da buoi, bufali, elefanti e cammelli dal
Makran, a più di trecento chilometri di distanza; e le pietre rare
provenienti da regioni ancora più lontane, come giada e cristallo dalla
Cina, turchese dal Tibet, lapislazzuli dall'Afghanistan, crisolito
dall'Egitto, conchiglie, corallo e madreperla dall'oceano Indiano.
Nel
XVIII secolo, con l'avvento degli europei e il crollo dell' impero
Moghul, il complesso cadde nell'abbandono e fu oggetto di scempio, fino
allo scellerato progetto di Lord William Bentink, Governatore generale
del Bengala, che ne cominciò lo smantellamento e la vendita del
marmo in Europa. Fortunatamente, a causa dello scarso riscontro
economico ottenuto, la distruzione si interruppe. Ma in 4 secoli di
esistenza il Taj ha attraversato tutte le tensioni e le contraddizioni
della storia indiana, fino al 1965, quando durante la guerra
Indo-pakistana fu tenuto lungamente incappucciato con un'immensa rete
nera per nasconderlo ai raid aerei e sottrarlo ai bombardamenti. Le
ultime aggressioni sono quelle dell'inquinamento e del turismo: per
salvare i suoi marmi candidi dalla corrosione dell'anidride solforosa il
governo ha dovuto chiudere 250 piccole fabbriche locali, costringendo
100mila operai alla disoccupazione. Persino il fiato dei turisti è una
minaccia: 3 milioni di visitatori all'anno provocano un'umidità
pericolosa per la conservazione dei dipinti all'interno del mausoleo.
Il complesso architettonico del Taj
Mahal copre approssimativamente un'area di 580 x
300 metri quadrati
e si compone di cinque elementi principali: il darwaza (portone),
il bageecha (giardino) che è la tipica forma di charbagh
(giardino diviso in quattro parti) mughal, il masjid (moschea),
il mihman khana (casa degli ospiti) ed infine il mausoleum
ovvero la tomba di Taj Mahal.
Il complesso tombale venne realizzato
in modo tale da essere accessibile sia dal nord che dal sud,
rispettivamente dal fiume Yamuna oppure dalla terraferma.
All'interno del giardino, si trovano aiuole di fiori, canali
d'acqua che riflettono l'immagine del Taj e viali alberati.
Il Taj Mahal fu costruito all'interno di un grande giardino
che misura 300 x
300 metri quadrati
, interamente circondato da un muro di pianta quadrata. Sui
lati della strada che conduce al cancello esterno, collocato al centro
della cinta orientale, vi sono due edifici ottagonali: a sinistra quello
definito "tomba delle dame di compagnia" perché ospita al suo
interno due sarcofaghi, a destra una piccola moschea di tufo rosso,
diventata un'officina di marmisti durante il periodo dell'occupazione
inglese e perciò detta "dei tagliatori di pietra".
All'entrata un lungo corridoio pieno
di botteghe conduce a un cortile su cui sorge il portale interno,
ingresso vero e proprio del Taj Mahal. Il portale è un edificio a tre
piani rivestito di arenaria rossa, con un'arcata colossale al centro;
l'ingresso si apre sulla sua facciata sud, decorata con versetti del
Corano abilmente realizzati con lettere di marmo nero di dimensioni
crescenti verso l'alto per sembrare, a chi guarda dal basso, tutte della
stessa misura. La presenza di una serie di barriere che compongono un
edificio separato dalla costruzione principale è caratteristica
dell'architettura musulmana, e svolgeva la doppia funzione di proteggere
le ricchezze custodite all'interno e di separare lo spazio sacro da
quello profano. Purtroppo non è più possibile ammirare i portali
d'argento che qui si trovavano in origine, smontati e fusi durante la
ribellione della fazione indù degli Jati, avvenuta nel 1764.
Si accede così ai giardini,
concepiti con un sorvegliatissimo criterio geometrico. Il loro tappeto
verde, che si estende dal portale fino alla base dell'edificio
principale, è infatti diviso in quattro riquadri regolari da canali di
marmo che confluiscono nella grande fontana centrale, nelle cui acque si
riflette la cupola del mausoleo. Il parco fu chiaramente ideato sul
modello del giardino persiano, che prevedeva l'inserimento degli
elementi naturali in una struttura artificiale creata dall'uomo. Il
giardino del Taj - assai lontano da quello giapponese, volto a imitare e
ad accentuare la natura - somiglia meno al giardino orientale che al
parco di Versailles, dal quale peraltro si differenzia nettamente per la
funzione cui adempie, quella di introdurre spiritualmente all'edificio
sacro. Dopo l'abbandono dell'intero complesso seguito alla morte dei
diretti discendenti di Shàh Jahan, e il decadimento e la predazione di
cui fu oggetto per due secoli, il parco fu restaurato. Degli animali,
dei boschetti, delle aiuole, dei frutteti che lo allietarono un tempo
nulla è rimasto, a eccezione, forse, di un vecchio albero di simal
vicino al mausoleo.
Grazie alla studiatissima
inquadratura del giardino e alla collocazione su una grande terrazza
all'estremità settentrionale del recinto, il mausoleo sembra
lontanissimo e piccolissimo se visto dal portale, mentre, per
l'illusione ottica contraria, si ingrandisce a dismisura se ci si
avvicina. L'edificio poggia su una piattaforma rettangolare di arenaria
rossa, alta sette metri, delimitata ai quattro angoli da minareti di
quarantadue metri d'altezza, privi di funzioni pratiche ma costruiti per
conferire slancio verticale all'insieme.
È fiancheggiato da due moschee
gemelle di marmo e arenaria rossa: quella a occidente, con tre cupole e
i pennacchi contornati di arabeschi di pietra dura, ha il soffitto
interno coperto da affreschi; quella a oriente, nota con il nome di
jawab, "la risposta", poiché perfettamente simmetrica
all'altra, non fu mai usata per il culto e svolgeva probabilmente una
pura funzione estetica.
Il mausoleo vero e proprio è il
grande edificio centrale, con pianta a base quadrata smussata agli
angoli. È dominato dalla maestosa cupola centrale, dal diametro di
venti metri e la caratteristica forma orientale a bulbo, che ritorna
nelle quattro cupolette minori. La sua struttura in mattoni è
interamente rivestita all'esterno da lastre di marmo bianco che
producono un effetto di straordinaria luminosità.
Quarantatré tipi di pietre dure e
preziose compongono raffinati motivi vegetali a intarsio, i cui giochi
di colore sono valorizzati dai riflessi delle fontane del giardino e
dalle variazioni di luce nelle diverse ore del giorno e condizioni
meteorologiche. Su ognuno dei quattro lati dell'edificio si apre un alto
arco acuto che conduce a una stanza ottagonale, da cui si accede alla
camera funeraria collocata al centro.
L'INFLUENZA PERSIANA - La tomba della regina Mumtaz Mahal è situata su un
terrazzo sopraelevato ed è circondata da quattro minareti, uno per ogni
angolo del terrazzo stesso. Si crede che i minareti siano leggermente
inclinati verso l'esterno in modo da non crollare sulla tomba, in caso
di terremoto.
Come la maggior parte delle tombe
moghul, anche il Taj mostra segni evidenti dell'influenza persiana.
Visto dall'alto è un quadrato con gli angoli smussati composto,
all'interno, da numerose stanze. La stanza principale è circondata da
otto stanze minori ciascuna delle quali presenta delle aperture a forma
di arco.
L'edificio è coperto da cinque
cupole: la più grande, che ha una forma a bulbo, si trova sopra la
stanza principale, le altre coprono quattro delle stanze minori. Il
cenotafio si trova al livello dell'ingresso della stanza principale; la
tomba vera e propria invece è esattamente nel livello sottostante.
La pavimentazione della stanza
tombale è una scacchiera di marmo bianco e nero e molti lavori
artistici in pietra dura, tra cui figure geometriche, fiori e piante,
adornano la stanza.
AD OGNI ORA, UN ASPETTO DIVERSO - Diversi studiosi hanno cercato di capire cosa renda questo
monumento così unico e magnifico. Una ragione è attribuita alle sue
perfette proporzioni e alla geometria.
Una seconda è dovuta ai diversi modi
in cui il Taj si mostra ai suoi visitatori.
Rivestito di delicato marmo, infatti,
il Taj varia il proprio aspetto durante la giornata, a seconda del
cambiamento della luce del sole e dei diversi effetti ottici provocati
dalle ombre sul marmo. Il monumento è considerato particolarmente bello
visto di notte, alla luce della luna piena.
In origine il progetto comprendeva
anche la costruzione, dalla parte opposta del fiume, di un complesso
identico ma in marmo nero invece che bianco, che sarebbe dovuto essere
il mausoleo dell'imperatore. Aurangzeb, il figlio di Shah Jahan,
preoccupato per le ingenti somme di denaro che il padre aveva già
investito per il Taj Mahal, costrinse l'imperatore agli arresti e ne
prese il posto sul trono nel 1658.
Shah Jahan trascorse il resto della
sua vita nella fortezza di Agra, fissando dalla finestra la lontana
sagoma del Taj dove, alla sua morte, venne seppellito insieme alla
moglie.
Per questo motivo, nonostante ci
siano prove archeologiche che le costruzioni del secondo monumento erano
iniziate, il progetto originario non fu mai portato a termine.
MODERNA MERAVIGLIA - Alla fine del XIX secolo, complice il tempo e i ladri di
tombe, il Taj Mahal versava in un forte stato di abbandono. Quando,
nello stesso periodo l'inglese Lord Curzon venne nominato vicerè
dell'India, fu avviato un progetto di restauro del monumento.
In questa occasione i tradizionali
giardini del Taj Mahal vennero sostituiti dai classici prati in stile
britannico che sono ancora oggi visibili.
IL SEPOLCRO DI MUMTAZ MAHAL
Alla fine del 1631, mentre iniziavano
i lavori per la costruzione del Tàj Mahal, il corpo di Mumtàz Mahal fu
trasportato da Burhanpur, dove la regina era morta, ad Agra, e posto in
un mausoleo provvisorio vicino al luogo destinato alla sepoltura
definitiva.
La tomba della regina fu, insieme
alle due moschee che le fanno da guardia, il primo edificio del
complesso a essere costruito. Probabilmente la tomba sorse in dieci
anni, mentre ne dovettero passare altri dodici prima che l'intero
complesso fosse terminato. Quando la tomba venne completata,
l'imperatore depose sul feretro della moglie i diamanti più preziosi
del suo tesoro e fece stendere sul sarcofago un manto di perle.
Il sepolcro fu circondato da una
balaustra d'oro e i pavimenti dell'intera stanza, oggi nudi e consumati
dal passaggio dei visitatori, vennero ricoperti da pregiatissimi tappeti
persiani e moghul, sostituiti quasi ogni giorno. Centinaia di candelieri
d'argento e di lampade d'oro vennero appesi alle pareti e la porta
d'ingresso fu dotata di un cancello d'argento massiccio.
Di tutti questi tesori, trafugati
durante i saccheggi che accompagnarono il tramonto dell'era moghul,
rimane ora assai poco. Nell'enorme vano ottagonale della camera
funeraria, in cui la luce filtra da finestre munite di transenne di
marmo traforate, campeggia il sarcofago della regina e accanto, in
posizione asimmetrica, quello di Shah Jahàn, qui collocato alla sua
morte nel 1666.
Entrambe le tombe, oggi vuote poiché
i corpi dei sovrani sono stati spostati nella cripta sottostante, sono
circondate da una transenna ottagonale di marmo scolpita in una
delicatissima filigrana. I mosaici di pietre rare che ricoprono i due
sepolcri sono considerati tra i più belli del mondo: al centro di
quello sul sarcofago di Mumtaz è rappresentata una penna, mentre sulla
tomba dell'imperatore compare un calamaio, simboli della complementarietà
delle loro anime.
La vivacità dei colori dei sepolcri
contrasta con la sobrietà dei disegni calligrafici delle pareti
superiori. Il motivo floreale della transenna si ritrova invece in
bassorilievo sulle pareti inferiori della sala centrale e delle quattro
stanze ottagonali che la circondano, destinate ad accogliere i parenti
di Shah Jahan, ma mai utilizzate. Per la loro acustica, rivelatasi
perfetta, questi ambienti ospitano talvolta concerti di musica sacra.
Sotto la cupola, in particolare, il rumore più debole si amplifica e si
riproduce in modo sorprendente.