Rovine maya di Copan
Honduras

patrimonio dell'umanità dal 1980 

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John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood furono i primi visitatori di Copàn nel 1939. L'entusiasmo e l'intelligenza del primo e il talento d'illustratore del secondo assicurarono la fama delle rovine e attirarono ben presto l'attenzione degli studiosi. Con la spedizione del Peabody Museum di Harvard, che diede inizio ai lavori nel 1891, Copàn fu il primo sito maya fatto oggetto di ricerche scientifiche. Oggi forma il parco archeologico di Paseo Quetzal. 

Situata all’estremità occidentale del Paese, al confine con il Guatemala, Copàn conserva un gran numero di sculture e bassorilievi di eccezionale qualità, mentre nei resti dell’Acropoli e delle sue piazze monumentali si trova la maggior parte dei geroglifici maya conosciuti. Dopo aver raggiunto il massimo splendore tra il III e il X secolo d.C., Copàn fu lentamente e misteriosamente abbandonata. La riscoprì, nel 1570, lo spagnolo Diego Garcia de Palacios.  

A differenza di Tikàl, Palenque e delle altre principali città del vastissimo impero dei Maya, Copàn si segnala, più che per l'imponenza delle architetture, per la mole dell'arte che le accompagna. Il numero delle sculture e delle stele è impressionante: sono state contate 4509 strutture, 3450 delle quali si trovano in un'area di soli 24 chilometri quadrati attorno al gruppo principale. 

Durante la dominazione dei Maya a Copàn furono costruiti templi, giardini e ampie piazze decorate con stele e altari. Qui vennero sviluppati una complessa scrittura geroglifica composta da segni principali e secondari che non è stata ancora completamente decifrata, un nuovo metodo per il computo delle lune e un sistema più perfezionato per la misurazione dell'anno solare.  

Questo centro sorse in una piccola valle di 24 kmq, circondata da basse montagne, che presentano faraglioni di tufi vulcanici. Sebbene le prime costruzioni dell'area metropolitana maya risalgano a circa due secoli prima, il vero e proprio sviluppo urbano del centro di Copàn si ebbe tra il 400 e il 900 d.C, il cosiddetto "periodo classico", grazie all'insediamento di un potere dinastico istituzionale maya che introdusse la scrittura geroglifica e nuovi parametri estetici. Furono adottati sistemi marcati di gerarchizzazione delle classi sociali e di centralizzazione della vita politica, economica e religiosa. L'esercito costituì un sistema parallelo al potere oligarchico esprimendone la forza legalizzata e la dinastia governante fu l'elemento sul quale si resse la supremazia dello stato espressa in strategiche alleanze, sudditanze, guerre intraprese per sottomettere centri anche lontani dai quali esigere tributi.  

La città estendeva i quartieri residenziali intorno a una zona centrale nota come "gruppo principale". Questo distretto si configurava come un insieme di strutture che presentava, a nord, una vasta distesa ribassata di piazze pubbliche e, a sud, un'acropoli elevata artificialmente. La Grande piazza a nord contiene una serie di stele dedicate tutte dal tredicesimo sovrano, Waxaklalun ubah K'awil, in occasione di grandi cerimonie da lui organizzate per mantenere il proprio regno in armonia con le potenti forze del cosmo. Le gradinate che la delimitano potevano accogliere 3000 persone, senza contare lo spazio disponibile nella piazza stessa, probabilmente occupata da quella parte della popolazione che partecipava in prima persona alle cerimonie. Dopo la morte del re, sopravvenuta nel corso della battaglia contro il suo ex vassallo del sito di Quiriguà, la Grande piazza non venne modificata dai suoi successori; il suo martirio colpì talmente la dinastia reale che le sue roccaforti furono considerate un sacro retaggio sul quale i re successivi non avrebbero più costruito.  

Una delle maggiori opere dell'arte maya è il Piazzale della Scalinata dei Geroglifici, posta al centro dell'Acropoli: una scala di 62 gradini, larga circa 10 metri, conduce al Santuario numero 26, del quale oggi si conservano solo alcuni preziosi bassorilievi. Sulla scala sono scolpiti circa 2500 glifi, la più ampia iscrizione maya finora scoperta, che probabilmente non verranno mai decifrati, dal momento che, tranne quelli dei primi 16 scalini, non si sono conservati nel loro ordine originale. Le statue antropomorfe riccamente scolpite che si ergevano ogni 12 gradini contribuivano ad aumentare la sontuosità della scalinata. Sedute su di un piedistallo in atteggiamento ieratico, sembrano accompagnare impassibili la salita del visitatore. Anche se non tutte ci sono pervenute nella loro originale ubicazione e alcune appaiono molto deteriorate, la qualità della loro fattura rivela chiaramente l'abilità degli artisti che lavorarono a Copàn.

Nel piazzale orientale si erge la Scala dei Giaguari, le cui statue in origine presentavano coperture di ossidiana nera che imitavano il manto di questi felini.  

L'ampia corte occidentale è circondata da templi su tutti e quattro i lati: per mezzo di una grande scalinata si accede al Tempio 11, detto anche Tempio delle Iscrizioni, con due gallerie che si intersecano ad angolo retto e terminano con una porta decorata con glifi. Sono degni di menzione anche l'Altare Q e la Tribuna, forse adibita alle rappresentazioni e ai giochi, dotata di gradinate e dominata dalla scultura di una divinità.  

La piazza, più a sud, era inquadrata dal campo del gioco della palla, dalla scalinata dei Geroglifici con il suo tempio e dal Tempio 11.1. La piattaforma su cui è impostato il campo si divide in due parti: l'area verso nord era piuttosto larga, mentre l'altra parte fu ristretta costruendo due scarpate laterali. 

La scalinata dei Geroglifici che s'inerpica sulla piramide del Tempio 26 fu costruita dal quindicesimo sovrano, "Fumo Conchiglia", in omaggio agli ultimi sei sovrani che lo avevano preceduto. Cinque di loro, presentati come grandi guerrieri e sacrificatori, sono seduti nell'asse centrale della scalinata. Nella parte alta della piramide, il sesto re, eretto, è addossato alla piattaforma che sosteneva il tempio, oggi distrutto. Sulle alzate dei gradini è riportato un lungo testo che ripercorre due secoli di storia dinastica. Nel suo insieme, la costruzione rappresenta il cosmo: l'inframondo era raffigurato, ai piedi della scalinata, da un altare a forma di teschio abitato da serpenti; il tempio, decorato da pappagalli, simboli del sole, rappresentava il cielo; la scalinata è un serpente a testa in giù che unisce i mondi superiore e inferiore e che sostiene sul dorso, fra cielo e terra, i grandi antenati. 

Anche il Tempio 11 nel suo complesso è una trasposizione dell'universo, in cui il livello superiore rappresenta il cielo, e il livello inferiore, la terra e l'inframondo. La pianta del piano terra, infatti, disegnava una croce orientata verso i punti cardinali, come indicano le quattro porte d'ingresso, e la sala centrale era inquadrata da pannelli glifici rappresentanti fauci scheletriche di serpenti, animale simbolo della terra. È sorprendente ritrovare la stessa forma nella rappresentazione del cosmogramma riportata nel Tzolkin (calendario rituale) del Codice di Madrid. Dato che lo spazio inferiore meglio si presta alla circolazione che all'occupazione, possiamo supporre che esso fosse utilizzato per processioni rituali, le quali tenevano certamente conto delle quattro direzioni indicate dai bracci della croce riproducenti il corso del tempo.  

La sommità dell'acropoli era coronata dal Tempio 16, che occupava così il centro geografico del complesso e che si estendeva fino a coprire i cortili est e ovest. Questo monumento fu eretto da Yax Pasah, "Sole Nascente", ultimo re di Copàn, morto nell'830 d.C, in memoria di K'inich Yax K'uk Mo ', fondatore della dinastia. Un blocco a forma di T, in cima alla prima rampa della scalinata, che sale sulla piramide, era decorato da file di teschi accompagnati da croci kan, un simbolo che significa "giallo" o "prezioso". In fondo alla sala ovest del tempio, una nicchia a forma di fauci di serpente conteneva la statua di un re dalle gambe mascherate da zampe di uccello, recante in una mano una testa mozzata. Questo personaggio sembra essere lo stesso fondatore della dinastia, che figura sull'altare Q, ai piedi della piramide. Qui egli presenta lo scettro regale a Sole Nascente, il giorno della sua ascesa al trono, circondato dai precedenti 14 sovrani. A tutti loro furono offerti in sacrificio i 15 giaguari rinvenuti in una cista di pietra scavata nella terra proprio dietro all'altare.

Il Tempio 18 è situato nell'angolo sud-est dell'acropoli. Un testo geroglifico sul muro ovest della camera interna reca la data corrispondente all'800 d.C. Una scala che si estende su tutta la lunghezza del tempio consente l'accesso alla prima sala che si apre a nord. Sotto la sala di fondo vi è una tomba a volta, consistente in un'anticamera in cui è aperta una cripta. In origine dal Tempio 16 si accedeva alla tomba mediante una scala interna. La facciata comprendeva quattro nicchie circondate da decorazioni di piume e separate da fiori di ninfea e dove erano collocate statue su maschere di mostri terrestri. 

La parte alta dei muri era adorna di serpenti con gli stessi fiori nelle fauci. Medaglioni antropomorfi su fondo di perle, mostri e teste di serpente con ninfee decoravano il tetto. Lungi dall’evocare la morte, questa iconografia insisteva sulla rinascita e sulla fertilità. Gli stipiti delle due porte recano scolpito il ritratto di Sole Nascente eretto su una maschera di mostro terrestre o su un emblema della Terra. Il sovrano è rappresentato come guerriero vittorioso armato di lancia e scudo o nell'atto di brandire uno scettro adorno di una testa di giaguaro ruggente, carico di teste-trofeo e di corde destinate a legare i suoi prigionieri. Il monumento funerario del re è una stele scolpita che in origine era collocata sul fondo del tempio: il re è raffigurato morto e affondato fino a metà del corpo nell'inframondo, rappresentato da conchiglie e da ossa.  

TEMPLI NELLA FORESTA - Il sito archeologico di maggiore interesse è rappresentato dal complesso dell'Acropoli con le sue cinque piazze, situato su un terreno rialzato, di 5 ettari di superficie e 35 metri d'altezza, profondamente eroso dal Rio Copàn che, nel corso dei secoli, è uscito dal suo alveo minandone pericolosamente la base. Dopo il 1930 il fiume è stato deviato per evitare ulteriori danni al sito.

Tra i vari templi e piramidi di differenti epoche, i più famosi sono quelli denominati (in modo conciso, ma normale in ambito archeologico) con i numeri 26, 11 e 22. Alcuni studiosi sono del parere che il tempio 22, di forma allungata e rettangolare, diviso in due enormi sale, fosse il luogo più recondito di Copàn, riservato esclusivamente alla casta dei sacerdoti. 

L'elemento più interessante è la porta situata subito dopo quella d'accesso, per mezzo della quale si entrava nelle stanze interne. La luce che filtrava dall'ingresso metteva in risalto l'incredibile rappresentazione del dio della morte che decorava il portale. È probabile che le pareti delle stanze fossero decorate con affreschi.

STELE E ALTARI - Copàn è estremamente importante sia per i resti architettonici sia per la varietà, la perfezione e la qualità delle sue sculture, il cui vigore corrisponde alla massima raffinatezza della cultura maya. La bellezza di alcuni visi scolpiti, la solenne regalità delle rappresentazioni e la minuziosità di ogni singolo particolare sono elementi che dimostrano la maestria degli scultori di Copàn.

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La ricchezza delle decorazioni è straordinaria: i personaggi rappresentati sulle stele calcaree sono sempre ornati di piume fluenti e dalla loro cintura pendono un drappo e una borsa, come quella utilizzata dagli indovini per conservare il mais necessario ai riti propiziatori. A volte i personaggi recano tra le mani una sbarra, il cui significato è ignoto, e indossano due tipi diversi di abiti, forse in base alla loro posizione nella gerarchia sociale. I ricchi ornamenti, il sontuoso abbigliamento e la serena solennità delle loro espressioni indicano, comunque, che queste figure rappresentavano personaggi di alto rango, sia religioso che militare, o divinità oggetto di culto.

Le stele presentano la parte posteriore ricoperta da bassorilievi e da geroglifici, ma in alcuni casi recano incisioni su tutti e quattro i lati. Ve ne sono inoltre alcune che, insieme a glifi e motivi decorativi, mostrano anche figurazioni umane; attualmente si conosce una sola rappresentazione femminile. 

Gli altari di Copàn, ricoperti per la maggior parte della superficie da bassorilievi e geroglifici, formano un tutt'uno con le stele che hanno di fronte: spesso, infatti, le iscrizioni hanno inizio su una stele e si concludono sull'altare che sorge di fronte.

L'altare più famoso di Copàn è il Q, nel piazzale occidentale. Gli archeologi hanno battezzato uno dei bassorilievi che lo adornano "il Congresso degli Astronomi" poiché vi sono raffigurate quattro persone dal portamento aristocratico che conversano sedute.

Attualmente la maggior parte delle stele è stata ricollocata nella posizione originaria e un buon numero di edifici, di altari e di bassorilievi è stato restaurato: l'obiettivo è quello di conservare e restituire ai posteri il fascino di uno dei prin­cipali insediamenti della cultura maya.

LA CIVILTÀ MAYA   - L'impero maya si estendeva dalle regioni sudorientali del Messico fino al Belize, il Guatemala settentrionale e centrale, l'Honduras e il Salvador nord-occidentali. Nel corso dello spazio temporale che comprende il "periodo preclassico antico" (2500-850 a.C.) si definirono gli elementi culturali che caratterizzarono la popolazione maya. Vennero sviluppati modelli urbanistici propri con insediamenti in grandi villaggi costituiti da case realizzate con materiali deperibili sulla base di piattaforme atte a isolare le abitazioni dall'umidità del terreno. Nel "periodo preclassico medio e recente" (850 a.C.-200 d.C.) si assiste a un incremento notevole degli insediamenti seguito da una trasformazione incisiva sia dal punto di vista sociale che culturale. La decorazione dei manufatti esprime complessi contenuti simbolici che sottolineano la trasformazione politico-sociale per l'evidente affermarsi di una classe elitaria in stretto rapporto con un potere religioso. In campo architettonico vengono perfezionate le tecnologie. 

Un ulteriore cambiamento fu prodotto dalla maturazione del modello urbanistico costituito dalla presenza di un nucleo cerimoniale all'interno delle città, nettamente differenziato dalle fasce anulari di abitazioni che si sviluppavano intorno a esso. A questo periodo cronologico si riferisce l'utilizzo iniziale di un sistema di scrittura. Durante il periodo classico (III-X secolo d.C.) nell'area delle pianure centro-meridionali si assistette alla costituzione di un modello socio-politico basato sulle dinamiche di una pluralità di città stato, vincolate tra loro da una serie di relazioni, ma tendenzialmente autonome. 

Questa fase della civiltà maya può essere considerata come un'epoca in cui il fenomeno di espressione nei diversi campi tecnologici e artistici mostra un'evidente raggiunta maturità. A questo periodo corrisponde l'edificazione dei grandi centri di dimensioni monumentali. L'equilibrio tra le potenze delle città-stato non fu sempre costante e potrebbe essere una della cause per cui alla fine del "periodo classico" e per tutto il "postclassico" (900-1546 d.C.) si assiste al declino dei centri più importanti. Altre cause possono essere collegate a eventi catastrofici ambientali (inondazioni o siccità) o a un eccessivo incremento demografico e a un conseguente depauperamento dei terreni coltivabili.  

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IL CALENDARIO E LA SCRITTURA - I  maya avevano due modi per computare il tempo. Il calendario rituale, chiamato Tzolkin, era formato dalla combinazione dei nomi di 20 giorni con le cifre comprese da 1 a 13 ed era legato ai rituali divinatori. Il primo giorno del ciclo era "1 Imix", affinché questa combinazione si vendicasse di nuovo dovevano passare 260 giorni. 

Il calendario civile, invece, corrispondeva all'anno solare ed era composto da 360 giorni, diviso in 18 parti, analoghe ai nostri mesi, di 20 giorni ciascuna. Alla fine di ogni anno, per completare il ciclo del sole, veniva aggiunto un periodo di 5 giorni, considerati infausti. Sulla base del secondo modello di computo venivano stabiliti i cicli agricoli e le numerose festività. La combinazione dei due cicli avveniva solo ogni 52 anni originando quella che è stata chiamata ruota calendarica. La suddivisione del tempo permise a questo popolo di adottare un altro sistema per registrare le date importanti della loro storia: è stato chiamato, "serie iniziale", o "conto lungo", poiché comprendeva 20 anni di 360 giorni, i katun. 

Grazie all'uso del segno zero, considerato un elemento di completamento, questo calendario copriva un periodo di 5125 anni, il cui "anno zero" è stato calcolato al 13 agosto del 3114 a.C. Cifre e date venivano espressi attraverso una scrittura detta "a glifi". Ogni simbolo inciso sulla pietra o dipinto su strisce di carta o di pelle poteva avere valore ideografico, e quindi esprime un concetto completo, o valore fonetico, per cui la somma di un insieme di glifi dava una parola. La decifrazione della scrittura è avvenuta solo di recente dopo un lungo studio dei materiali rinvenuti negli scavi, prevalentemente stele, e dei quattro codici sopravvissuti alla Conquista: il Codice di Dresda, il Codice di Madrid, il Codice di Parigi e il Codice Grolier.