Panorama culturale e resti archeologici della Valle di Bamiyan
(Afghanistan)

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2003 - SITO PATRIMONIO IN PERICOLO

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DAL 2003 SITO PATRIMONIO IN PERICOLO - Fragile stato di conservazione a causa di abbandono, azioni militari ed esplosioni dinamitarde: rischio di crollo della nicchia di Buddha, deterioramento dei dipinti murali delle grotte, saccheggi e scavi non autorizzati. Distruzione da parte dei talebani delle statue, da loro considerate un abominio nei confronti dell'Islam.

Bamiyan è una lunga vallata, una volta ricca di coltivazioni: qui passava la Via della Seta che dalla Cina raggiungeva Bamiyan per proseguire poi verso sud ed ovest e sempre da est giunse il buddhismo. 

Bamiyan sorge sotto una parete di roccia alta un centinaio di metri, verticale e molto lunga: qui monaci buddhisti hanno aperto centinaia di fori e caverne, da usare anche come eremitaggi. Due sono, anzi erano, molto più di questo: caverne molto grandi ed in fondo, nella roccia, i buddhisti scolpirono due grandi statue del loro dio e ricoprirono le pareti con affreschi.

La prima statua, detta del Piccolo Buddha, risaliva al III-IV secolo d.C. ed era la meglio conservata nonostante fosse priva del volto e delle mani. Scavata completamente nella roccia, in una nicchia profonda 8 metri ed a volta parabolica, era alta 35 metri ed era ricoperta da un miscuglio di paglia e di fango su cui era stato modellato il mantello: infine, era stata dipinta di blu. 

La posizione rigidamente frontale del corpo e la foggia del drappeggio rivelano l’influsso esercitato dall’arte del Gandhāra. Nella nicchia la decorazione dipinta rappresenta una divinità solare o lunare su un carro condotto da quattro cavalli alati: la divinità è circondata da una grande aureola bordata da brevi raggi. Si tratta forse della rappresentazione del dio solare sul suo carro di origine greca modificato dagli artisti greco-iranici, cui si riallaccerebbero le rappresentazioni del Sūria indiano.

La seconda statua, detta del Grande Buddha, era alta 53 metri: risaliva al V-VI secolo d.C. Il drappeggio del mantello era stato ottenuto attraverso corde fissate alla statua con tasselli di legno, coperte con uno spesso strato di paglia e fango mescolati insieme e poi dipinti di rosso. 

Alla base di questa statua si aprivano dieci grotte risalenti al VII secolo, di cui una a forma ottagonale, decorata con altorilievi rappresentanti piccole statue di Buddha e maschere grottesche, ed un’altra di forma rettangolare con un soffitto a lanterna ornato all’interno con anitre e grifoni volanti.

Entrambe le statue erano originariamente ricoperte d’oro: secondo le fonti, il bagliore che emettevano alla luce del sole era tale che le rendeva visibili a centinaia di chilometri di distanza, indicando ai viaggiatori la via fino a quel luogo manifestando, inoltre, la gloria del Buddha e della sua dottrina. 

Nella nicchia di questa gigantesca statua erano altre teste di Buddha scolpite in rilievo sotto due file sovrapposte di piccoli archi dipinti, poi il motivo delle acque sgorganti, maschere grottesche con baffi e sopracciglia a foglie, geni che volano verso Buddha per offrirgli fiori e ghirlande, un donatore con un vassoio di offerte che indossa una lunga tunica dal collo a risvolti, stivali alti e cintura a bandoliera con corto pugnale, tipicamente in uso in molte regioni a cominciare dall’Iran.

Ma tutta la valle era un santuario ed un museo: migliaia di grotte erano scavate nella città e nella valle e già i francesi negli anni ’20 videro decorazioni con sagome umane ed animali contornate da volute di foglie romane, figure femminili alate con capelli a forma di cono, bodhisattva con danzatori e musicanti, figure femminili con leggeri veli come vestiti. E poi il cavallo alato, la testa di cinghiale, i due uccelli addossati con la testa voltata ed una collana di perle nel becco, motivi questi di ispirazione certamente iranica, così come alcune teste in rilievo poste sui soffitti con barba ondulata ed acconciatura a forma di berretto conico.

Ma oggi quasi nulla resta di tutte queste meraviglie: anche i musei, in special modo quello di Kabul, sono stati depredati dei loro tesori. La speranza di tutti gli studiosi del mondo è che esista veramente quella statua di Buddha disteso che i pellegrini raccontano nelle loro storie, scolpito nella roccia e lunga più di 30 metri: certo, non sostituirà mai l’immenso patrimonio perduto, ma almeno rifocalizzerà l’attenzione su un paese crocevia di religioni, popoli e genti diverse.

La valle di Bamiyan si chiude poi con una strettoia: qui un gruppo di castelli e di torri domina dall’alto di un precipizio. Questo complesso si chiama la Città Rossa : era la roccaforte di difesa della valle e, secondo la tradizione, fu Gengis Khan a distruggerla dopo che questa tradì la sua fiducia. Uomini ed animali furono passati a fil di spada e per questo vi è l’attributo di Rossa, per il sangue che ancora colorerebbe i luoghi di quella strage. Poi Gengis decretò la morte perpetua di questo luogo, proibendo di viverci in quel momento ed in futuro. Mai desiderio fu realizzato dal destino in modo più crudele.

DISTRUZIONE

Quando Mahmud di Ghazni conquistò l'Afghanistan nel XII secolo, le statue dei Buddha e gli affreschi vennero risparmiate dalla distruzione. Aurangzeb, l'ultimo imperatore Moghul, si distinse per il suo zelo religioso e usò l’artiglieria pesante in un tentativo di distruggere le statue. Anche Gengis Khan e Nadir Shah fecero sparare colpi di cannone sulle statue. Ma a parte alcuni danni di scarsa rilevanza, i due Bhudda resistettero egregiamente fino alla fine del XX secolo.

Nel luglio del 1999 il Mullah Mohammed Omar emanò un decreto in favore delle conservazione dei Buddha di Bamiyan. A causa del fatto che la popolazione di fede buddista dell’Afghanistan non esisteva più da lungo tempo, il che impediva la possibilità che le due statue venissero adorate, egli dichiarò: “Il governo considera le statue di Bamiyan un esempio di una potenziale grande risorsa turistica per l’Afghanistan, e quindi dichiara che il sito di Bamiyan non dovrà essere distrutto ma protetto”.

Il clero islamico afgano diede poi un severo giro di vite nei confronti dei segmenti non islamici della società. I Talebani bandirono ogni forma di raffigurazioni, musica e sport, compresa la televisione, in accordo con quello che loro consideravano una rigorosa interpretazione della legge islamica.

Nel marzo 2001, secondo l’agenzia di stampa France Press, un decreto dichiarò: “in base al verdetto del clero e alla decisione della Corte Suprema dell’Emirato Islamico, tutte le statue in Afghanistan devono essere distrutte. Tutte le statue del paese devono essere distrutte perché queste statue sono state in passato usate come idoli dagli infedeli. Sono ora onorate e possono tornare a essere idoli in futuro. Solo Allah l’Onnipotente merita di essere adorato, e niente o nessun altro”.

Il ministro della Cultura e dell’Informazione Qadratullah Jamal rese nota all’agenzia di stampa Associated Press la decisione dei 400 religiosi afgani che dichiarava che le statue di Buddha erano contrari ai principi dell’Islam.

Il 6 marzo il quotidiano londinese Times riportò che il Mullah Mohammed Omar disse: “i musulmani dovrebbero essere orgogliosi di distruggere gli idoli”. Egli aveva chiaramente cambiato la sua posizione, dall’essere favorevole alla conservazione delle statue all’essere fortemente contrario.

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Il 18 marzo il New York Times riporta che un rappresentante dei Talebani disse che il governo prese questa decisione per l’ira derivante dal fatto che una delegazione straniera offrì denaro per salvare le antiche statue mentre un milione di afgani rischiavano di morire di fame.

Il 19 aprile 2004, durante un’intervista ad un giornale pachistano, il Mullah Mohammed Omar dichiarò: “Io non volevo distruggere i Buddha di Bamiyan. In realtà alcuni stranieri vennero da me e dissero che loro avrebbero voluto restaurare le statue che erano state lievemente danneggiate a causa delle piogge. Questo mi scandalizzò. Pensai “questa gente insensibile non ha riguardo delle migliaia di essere umani che muoiono di fame, ma sono così preoccupati per oggetti inanimati come i Buddha”. 

Questo era estremamente deplorevole, e questa è la ragione per cui ne ho ordinato la distruzione. Fossero venuti per ragioni umanitarie, non ne avrei mai ordinato la distruzione”.

Il governo dei Talebani decretò che le statue, che erano sopravvissute intatte per più di 1500 anni, erano idolatre e contrarie all’Islam. Durante la distruzione, il ministro dell’Informazione Qudratullah Jamal disse che “questo lavoro non è così semplice come la gente può pensare. Non si possono tirar giù le statue bombardandole perché entrambe sono incise e solidamente attaccate alla montagna”. I due Buddha vennero demoliti a colpi di dinamite e cannone dopo quasi un mese di intensi bombardamenti.

L'IMPEGNO PER LA RICOSTRUZIONE

Benché le statue dei due Buddha siano state quasi completamente distrutte, i loro profili e alcune loro fattezze sono tuttora riconoscibili. É possibile per i visitatori esplorare le caverne dei monaci e i passaggi che le uniscono.

 Come parte dello sforzo internazionale per ricostruire l’Afghanistan dopo la guerra contro i Talebani, il governo del Giappone e alcune altre organizzazioni (tra cui l’Afghanistan Institute di Bubendorf in Svizzera e l’ETH di Zurigo) si sono impegnate nella ricostruzione delle due grandi statue di Buddha.

Nel mese di dicembre del 2004 un gruppo di ricercatori giapponesi scoprì che gli affreschi di Bamiyan furono dipinti fra il V e il IX secolo, e non fra il VI e l’VIII secolo come si pensava precedentemente. La scoperta è stata fatta analizzando gli isotopi radioattivi contenuti in fibre di paglia trovate al di sotto degli affreschi.

Il governo afgano ha chiesto all’artista giapponese Hiro Yamagata di ricreare i Buddha di Bamiyan usando 14 raggi laser che proiettino le immagini delle statue nelle nicchie in cui erano stati scolpiti. I laser saranno alimentati tramite energia solare ed eolica. Se approvato dall’UNESCO il progetto, del costo di 9 milioni di dollari, dovrebbe essere completato entro il 2007.