DAL
1986
SITO
PATRIMONIO
IN
PERICOLO
-
Erosione
naturale.
Tra
il
900
e
il
1000
d.C.,
l'unificazione
culturale
apportata
nel
Perù
precolombiano
dall'Impero
di
Wari
si
sgretolò,
e
tale
crollo
diede
origine
alla
formazione
di
piccoli
"regni"
che
ebbero
vita
breve;
a
partire
dal
1450
circa,
vennero
inglobati
con
la
forza
nell'impero
Inca.
Queste
nuove
culture
del
cosiddetto
"Secondo
Periodo
Intermedio"
ebbero
carattere
regionale,
ed
ereditarono
dalla
civiltà
Wari
l'impianto
urbanistico
dei
centri
abitati
e
la
lavorazione
del
bronzo,
sconosciuta
in
Perù
sino
al
700
d.C.
I
nomi
di
alcuni
di
questi
regni
sono
stati
tramandati
dai
cronisti
spagnoli
che,
in
seguito
alla
Conquista,
narrarono
per
iscritto
le
imprese
e
le
conquiste
dei
sovrani
inca.
I
risultati
dell'indagine
archeologica
hanno
confermato
quanto
riportato
dalle
cronache
di
epoca
coloniale:
nell'area
costiera
settentrionale
fiorì
il
regno
di
Chimù
o
Chimòr,
i
cui
rappresentanti
ereditarono
molti
aspetti
della
cultura
materiale
propri
delle
genti
moche,
vissute
lungo
le
stesse
vallate
alcuni
secoli
prima
dell'Impero
Wari.
Una
leggenda
aleggia
intorno
alla
fondazione
del
regno
di
Chimù:
un
giorno
sarebbe
giunta
"dall'altra
parte
del
mare"
una
zattera,
che
approdò
sulle
coste
della
vallata
di
Moche,
e
un
uomo,
chiamato
Tacaynamo,
prese
il
potere
sul
nuovo
territorio,
secondo
il
volere
del
sovrano
di
un
lontanissimo
paese.
Non
è
mai
stato
chiarito
quale
verità
storica
si
celi
dietro
questo
mito,
che
narra
di
eroi
civilizzatori
di
origine
straniera,
tuttavia,
è
certo
che
il
popolo
chimù
ci
ha
lasciato
testimonianze
di
una
ricca
cultura
materiale,
soprattutto
nel
settore
della
lavorazione
dei
metalli,
nella
ceramica,
nell'arte
piumaria
e
di
una
società
organizzata
e
strutturata
secondo
i
criteri
di
una
rigida
gerarchia.
I
Chimù
della
Valle
di
Moche
imposero
il
loro
potere
sui
popoli
delle
vallate
limitrofe,
fondando
una
sorta
di
regno
confederato,
nel
quale
ogni
etnia
riuscì
comunque
a
mantenere
la
propria
identità
culturale.
In
base
ai
dati
archeologici,
i
sovrani
di
Chimòr
consentivano
ai
diversi
centri
urbani
di
salvaguardare
una
certa
indipendenza
anche
economica,
centralizzando
tuttavia
il
potere
amministrativo.
Tale
regime
accentratore
aveva
probabilmente
lo
scopo
di
gestire
la
ripartizione
dell'acqua
e,
di
conseguenza,
il
sistema
agricolo
che,
insieme
alla
pesca
e
alle
attività
artigianali,
rappresentava
una
importante
risorsa
economica.
E'
attestato
dai
resoconti
dei
cronisti
che,
nonostante
le
conquiste
incaica
e
spagnola,
la
dinastia
Chimù
non
si
spense
sino
al
1602.
All'apogeo
del
loro
splendore,
cioè
dal
1300
d.C.,
i
re
del
regno
Chimù
assegnarono
alla
città
di
Chan
Chan
il
ruolo
di
capitale.
Essi
trasformarono
questo
modesto
centro
urbano
preesistente,
risalente
alla
tarda
epoca
Wari,
in
una
vera
e
propria
"metropoli".
Eretta
in
varie
fasi,
Chan
Chan
ricopriva
un'area
di
20
chilometri
quadrati
e,
all'inizio
del
XV
secolo,
contava
60.000
abitanti.
All'interno
del
lunghissimo
muro
perimetrale
si
trovavano
almeno
dieci
cittadelle,
ognuna
a
pianta
trapezoidale
racchiusa
da
mura
alte
fino
a
10
metri
e
spesse
fino
a
4,
e
divise
l'una
dall'altra
da
strade
larghe
anche
8
metri.
Le
strutture,
in
adobe,
erano
a
loro
volta
ricoperte
dal
fango,
che
pare
fosse
dipinto
a
colori
vivaci
o
-
negli
edifici
più
importanti
-
rivestito
con
lamine
d'oro.
E
si
favoleggia
che
i
sovrani
chimù
avessero
anche
giardini
con
piante
e
animali
forgiati
in
questo
prezioso
metallo.
La
cittadella
giunta
fino
a
noi
nel
miglior
stato
di
conservazione
-
nonché
quella
in
cui
sono
stati
fatti
i
più
massicci
interventi
di
restauro
-
è
quella
di
Tschudi,
chiamata
così
dal
nome
del
viaggiatore
viennese
che
per
primo
la
studiò,
a
metà
del
XIX
secolo.
Come
le
sue
"gemelle",
è
costituita
da
un
cortile
cerimoniale
sul
quale
si
aprono
un'infinità
di
stanze
connesse
da
corridoi
e
adibite
a
usi
civili
e
religiosi.
Si
passa
poi
a
un
secondo
cortile
che
confina
con
quello
che
era
un
enorme
bacino
per
la
raccolta
dell'acqua.
E,
ancora,
agli
ambienti
destinati
ai
soldati,
alle
tombe
reali
e
alle
abitazioni
dei
dignitari.
Al
di
là
della
labirintica
struttura
del
luogo,
ad
attirare
l'attenzione
sono
i
fregi
che
decorano
gran
parte
delle
mura.
Sebbene
siano
stilizzati,
vi
si
riconoscono
le
onde
del
mare,
i
pesci
e
le
nutrie,
a
testimoniare
che
quella
dei
Chimu
era
una
civiltà
prevalentemente
marittima.
Se
la
nascita
di
questa
civiltà
è
avvolta
nel
mistero,
è
invece
ampiamente
documentata
la
sua
fine.
Tra
il
1465
e
il
1470,
i
Chimu
dovettero
piegarsi,
decidendo
di
non
combattere,
all'avanzata
degli
Inca,
guidati
da
Tupac
Yupanqui.
La
scelta
di
arrendersi
salvò
Chan
Chan
dalle
razzie
e
la
città
rimase,
vuota
ma
intatta,
fino
all'arrivo
degli
spagnoli,
che
invece
la
depredarono
dei
suoi
favolosi
ori.
Ormai
ridotta
a
un
guscio
di
adobe,
è
rimasta
così
per
secoli,
esposta
alle
intemperie,
sgretolandosi
a
poco
a
poco.
Nonostante
gli
sforzi
del
governo
peruviano
e
dell'Unesco,
che
ha
iscritto
il
sito
nella
Lista
del
Patrimonio
Mondiale
in
Pericolo,
il
degrado
di
Chan
Chan
è
considerevole
e
le
operazioni
di
restauro
sono
più
lente
dell'azione
del
clima.
Per
non
dire
di
un'altra
calamità:
quella
degli
huaqueros,
i
tombaroli
alla
ricerca
dell'oro
scampato
alle
truppe
di
Pizarro.
CITTA'
MORTA
D'ARGILLA
- Le sue rovine,
estese
su
di
una
superficie
di
circa
20
chilometri
quadrati,
portano
a
considerarla
la
più
vasta
città
dell'America
precolombiana.
La
struttura
del
centro
urbano
si
è
rivelata
estremamente
complessa
e
originale:
sono
state
individuate
nove
aree
recintate,
da
alcuni
studiosi
considerate
vere
e
proprie
cittadelle,
circondate
da
mura
alte
fino
a
7
metri
e
lunghe
poco
meno
di
un
chilometro.
Altri,
invece,
preferiscono
usare
il
termine
di
"Palazzi",
intesi
nel
significato
più
ampio
analogo
a
quello
delle
corti
medioevali.
Ognuna
di
queste
unità
architettoniche
fortificate,
infatti,
racchiudeva
strade,
quartieri
abitativi,
giardini
all'epoca
perfettamente
irrigati,
necropoli,
cisterne,
templi
e
piccole
celle
destinate
a
un
uso
non
bene
identificato.
Attorno a questi nove complessi, senza dubbio regali o aristocratici, sono
state
rinvenute,
sia
nella
zona
occidentale
sia
in
quella
meridionale,
quattro
aree
artigianali
dove
si
praticavano
prevalentemente
la
falegnameria,
la
tessitura
e
la
lavorazione
dell'oro
e
dell'argento,
collocate
disordinatamente
all'interno
di
alte
mura
senza
aperture.
L'area più lontana, situata nella zona meridionale, con pochi resti di
templi,
sembra
fosse
destinata
all'agricoltura,
come
testimoniano
le
strutture
tuttora
visibili
di
un
sistema
d'irrigazione.
È
quasi
sicuro
che
la
maggior
parte
dei
circa
30.000
abitanti
che
si
suppone
ospitasse
Chan
Chan
e
dintorni
vivessero
in
capanne
e
baracche
delle
quali
non
è
rimasto
nulla.
Gli
edifici
che
rivestivano
una
funzione
importante,
rappresentativa
o
cerimoniale,
sono
riconoscibili
in
base
alla
raffinatezza
dell'architettura:
i
muri
in
adobe
appaiono
decorati
con
nicchie
e
con
fregi
stuccati,
in
molti
casi
affrescati,
raffiguranti
pesci,
uccelli,
esseri
antropozoomorfi
e
motivi
geometrici,
simboli
indiscussi
dell'ideologia
religiosa.
Nonostante
il
pessimo
stato
di
conservazione
in
cui
si
trova
oggi
l'area
archeologica
di
Chan
Chan,
soggetta
nel
corso
dei
secoli
a
furti
e
a
saccheggi,
il
visitatore
rimane
affascinato
e
colpito
dalla
peculiarità
dello
stile
architettonico
e
dall'eleganza
delle
decorazioni,
simili
ad
arabeschi,
che
rappresentano
un
elemento
a
sé
stante
nel
mondo
precolombiano.
Anche
in
questo
caso,
come
a
Nazca,
a
Tiahuanaco
e
in
altri
luoghi
ancora,
gli
studiosi
hanno
formulato
ipotesi
diverse
e
spesso
contrastanti
riguardo
all'interpretazione
del
sito,
in
particolare
alla
funzione
delle
nove
cittadelle,
gigantesche
e
isolate
tra
di
loro.
Forse
un
dignitario,
chiamato
curaca
in
lingua
locale,
stava
a
capo
di
ognuna
di
esse,
svolgendo
la
funzione
di
rappresentante
del
sovrano.
Secondo
un'altra
ipotesi,
invece,
ogni
cittadella
era
la
sede
dei
membri
di
una
determinata
classe
sociale,
i
quali
non
avevano
il
diritto
di
fondersi
con
gli
altri
ed
erano
costretti
a
condurre
una
vita
propria
e
a
svolgere
le
loro
attività
in
spazi
separati
dalle
solide
mura.
Nei
pressi
del
complesso
urbano
di
Chan
Chan
sono
situate
altre
strutture
degne
di
nota,
tipiche
della
civiltà
chimù:
si
tratta
di
piattaforme
artificiali
chiamate
huacas,
che
in
lingua
quechua
significa
"posto
sacro",
a
causa
della
loro
originaria
funzione
di
luogo
di
culto.
Le
più
celebri
sono
la
Huaca
Esmeralda
e
quella
del
Dragon;
quest'ultima
è
stata
restaurata
negli
anni
Sessanta
e
la
sua
struttura
si
compone
di
una
muraglia
che
racchiude
due
piattaforme
sovrapposte,
la
prima
alta
4
metri
e
la
seconda
3.
Il
nome
trae
spunto
dall'iconografia
dei
bassorilievi
che
decorano
le
pareti:
al
centro
campeggia
un
serpente
bicefalo,
forse
simbolo
dell'acqua
e
della
fertilità,
associato
ad
altre
creature
serpentiformi
di
difficile
interpretazione.
Lo
stile
richiama
quello
dei
fregi
stuccati
che
decorano
i
muri
nelle
cittadelle
di
Chan
Chan
e
i
simboli
presentano
una
stretta
analogia
con
quelli
presenti
sui
tessuti,
sulle
ceramiche
di
fattura
semplice
e
poco
raffinata
e
soprattutto
sui
recipienti
d'oro
e
d'argento.
Gli
artigiani
chimù
eccelsero
per
la
lavorazione
dei
metalli
preziosi,
dando
vita
a
una
produzione
di
livello
straordinario:
alla
fine
del
1400,
quando
Chan
Can
fu
saccheggiata
e
abbandonata
dall'esercito
inca,
i
sovrani
di
Cuzco
costrinsero
gli
orafi
e
i
metallurgici
più
dotati
a
continuare
la
loro
produzione
a
corte,
dove
svolsero
la
loro
attività
sino
all'epoca
della
Conquista.