Baalbek
Libano

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1984

    

Città del Libano, sorta nella valle fra Libano e Antilibano, a 1170 metri sul livello del mare, deve il suo attuale nome, Baalbek, documentato a partire dal 400 d. C., al culto del dio Baal, massima divinità del pantheon orientale, assimilato spesso a Giove. In età ellenistica e romana la città era invece nota come Heliopolis. Anche questo nome trova una spiegazione nelle tradizioni religiose della città, dove sembra fosse fortemente radicato il culto di Hadad, identificato in età ellenistica con il Sole.

A un evidente fenomeno di sincretismo religioso si deve quindi il culto di Giove Heliopolitano, le cui testimonianze esplicite datano all’età romana, da ritenersi evidentemente una trasposizione dell’antico culto locale del Sole. Il nome della città ci viene tramandato in alcuni brevi passi anche dalle fonti antiche. Di Heliopolis infatti fanno menzione sia Giuseppe flavio, in merito alla spedizione compiuta da Pompeo nel 64 a. C., sia Strasbone, che la colloca vicino ad Apamea, città della Siria di antica fondazione seleucide. In età giulio-claudia Heliopolis divenne colonia romana, con il titolo per esteso “Iulia Augusta Felix Heliopolitana” (titolatura ricorrente nelle monete e nei militari).

Nei secoli dell'apogeo della civiltà fenicia, la cui potenza e il cui splendore derivavano dalle grandi città commerciali della costa, la Valle della Békaa rivestì un ruolo secondario e le sue popolazioni non raggiunsero mai lo splendore leggendario di Biblos, Tiro e Sidone. Lo stesso destino toccò a Baalbek, situata nella parte più alta della valle, il cui nome, che si potrebbe tradurre come "signore della Békaa", evoca la sua antichissima funzione di santuario per il culto della triade formata dalle divinità di Baal, dalla sua sposa Anat e dal figlio Aliyan, guardiano delle fonti e delle acque sotterranee. Di tutte le divinità che facevano parte del  numeroso pantheon fenicio, Baal era quella più venerata e conosciuta. Originariamente era un dio della fertilità cananeo, protagonista di un ciclo annuale di morte e resurrezione che rappresentava quello della vegetazione. Alla fine dell'estate veniva condannato a sprofondare negli inferi per poi risalire all'inizio della primavera.

Questo mito, molto antico e comune a tutte le culture agricole orientali, in Grecia si trasformò nella celebre leggenda di Adone, il cui amore era conteso da Afrodite e Persefone. Con il tempo l'importanza di Baal crebbe e la sua immagine acquisì sempre maggior valore, fino al punto di consentirgli di sostituire il padre El come dio del cielo. Ed era proprio questa accezione della divinità come Baal-Shamash, cioè signore del cielo, ad essere venerata a Baalbek. 

Non meno importante era però il suo culto nelle città costiere: per gli abitanti di Biblos era semplicemente Adon, "il signore", nome da cui sarebbe derivato il greco Adone; a Sidone era chiamato Asmun e a Tiro Melqart, "il re della città", perché considerato il fondatore dell'insediamento urbano e lo scopritore della porpora.  

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I luoghi santi hanno sempre avuto una tenace vocazione alla sopravvivenza, e Baalbek non fa eccezione a questa regola. Quando Alessandro Magno incluse la Valle della Békaa nel mondo ellenico, il santuario di Baalbek, che prese il nome di Heliopolis, continuò a essere un importante luogo di pellegrinaggio in cui si adorava l'antica triade fenicia, ormai ribattezzata con nomi greci.

Il momento di maggior splendore giunse dopo la conquista della Fenicia da parte dei Romani nel 64 a.C. Grazie alla pax romana, Baalbek divenne uno dei santuari principali e più frequentati dell'Impero, anche in virtù della politica di sincretismo religioso seguita dai suoi governanti. 

L'intero complesso architettonico fu ricostruito su scala molto più ampia e assunse l'aspetto che conserva ancora oggi. Venne consacrato a divinità latine che si possono facilmente identificare con quelle originarie dei Fenici, sicché tanto la popolazione autoctona quanto i coloni provenienti da altre regioni dell'Impero poterono praticare i loro culti senza suscitare conflitti o rivalità. Baal divenne Giove, Anat Venere e Aliyan Mercurio. 

Accanto ai loro templi ne sorsero altri dedicati a dei venerati in Oriente, come ad esempio Bacco, incarnazione del greco Dioniso. Ma la monumentalità del progetto era eccessiva, tanto che i lavori si protrassero per circa tre secoli, pur con alcuni intervalli. L'idea originaria fu dello stesso Augusto, al quale si attribuisce anche il progetto del nuovo santuario, dominato dall'immenso Tempio di Giove Eliopolitano, orientato verso il sole nascente. Accanto ad esso sorgeva il Tempio di Venere e, su una collina fuori dalle mura, quello di Mercurio. 

La costruzione continuò fino alla caduta della dinastia Giulio-Claudia, avvenuta alla morte di Nerone nel 68 d.C. Pochi anni prima era stato portato a termine il Tempio di Giove. Gli imperatori che regnarono in seguito ripresero in mano il progetto: nel 100 si costruì il grande altare, fra il 120 e il 125 il Tempio di Bacco e intorno al 150 il cortile principale. Le ultime aggiunte furono apportate nel III secolo, quando vennero edificati i Propilei, su iniziativa di Caracalla, e il cortile esagonale, sotto Filippo l'Arabo.  

Progressivamente abbandonati in epoca bizantina, devastati in qualche caso dallo zelo religioso degli imperatori cristiani, i templi vennero riutilizzati come fortezza dagli Arabi e, dopo la conquista ottomana, caddero definitivamente nell'oblio. Il tempo e i terremoti fecero il resto, ma il complesso che è giunto fino ai giorni nostri permette comunque di ammirare il notevole sincretismo architettonico che fu alla base della sua costruzione. 

I diversi edifici non si sono conservati in modo uniforme: del Tempio di Mercurio rimangono solo pochi resti, mentre quello di Bacco è ancora in ottimo stato. Innalzato su fondamenta megalitiche di epoca ellenica, il Tempio di Giove è tuttora il più imponente di tutto il complesso. Si trovano anche altre costruzioni romane, come l'Odeon, la porta che un tempo serviva per accedere all'interno delle mura, oggi non più esistenti, e la vicina necropoli, così come resti arabi di una grande moschea omayyade e dei mausolei di Qubbat Amjad e Qubbat Douris, costruiti con materiali romani recuperati.  

Nel corso di circa duecento anni i romani resero il santuario di Baalbek talmente magnifico che ancora oggi i libanesi affermano che anche a Roma, se si eccettua il Colosseo, non vi è nulla di paragonabile: basta aggirarsi per i templi, scoprire di essere alti quanto le basi delle loro colonne o contemplare l'estensione delle scalinate che conducono ai luoghi di culto per rendersi conto della sua grandiosità. Il complesso fu progettato nel suo insieme verosimilmente al tempo di Ottaviano Augusto, durante il cui governo venne iniziato il tempio di Giove Eliopolitano: esso sorse nel punto più elevato della collina su cui è adagiata la città, e ricopriva un'area molto maggiore di quanto non fosse stata quella occupata dall'altare di Baal; dentro la cella si trovava una grande statua di Giove e il tutto si ergeva su una piattaforma rettangolare di 80 metri per 48 fatta di blocchi di pietra del peso di almeno 700 tonnellate, delimitata da 54 colonne del diametro di 2,2 metri e alte 20. 

Del tempio di Giove Eliopolitano, il più grande in stile corinzio dell'antichità, grandioso quanto le terme di Diocleziano a Roma, sono rimaste solo sei colonne: otto furono forse destinate da Giustiniano alla basilica, ora moschea, di Santa Sofia a Istanbul, le altre sono andate distrutte o sono state rubate.  

I capitelli e i frammenti degli architravi, ricchi di fregi con teste di tori e di leoni, foglie d'acanto e rose, attestano la raffinatezza del corredo scultoreo di cui doveva essere dotato, e furono numerosi gli imperatori che si impegnarono perché l'edificio fosse all'altezza del progetto di Cesare. Nerone, intorno al 60 d.C, fece erigere una torre di fronte al tempio che permetteva ai pellegrini di alternarsi alla vista della statua del dio da una posizione rialzata. A Traiano - imperatore dal 98 al 117 d.C. - va invece il merito della costruzione di un enorme cortile d'accesso. Era a forma di quadrato, con 113 metri di lato, e su tre dei lati erano disposte dodici esedre, ognuna delle quali preceduta da un portico con colonne di granito rosa dell'Egitto. Dalle iscrizioni si è appurato che le esedre ospitavano i sacerdoti delle varie comunità e fungevano da luoghi di ricevimento per i pellegrini di alto lignaggio.  

Il santuario rivestì una particolare importanza per l'imperatore Traiano (98-117 d.C), che davanti al tempio di Giove fece realizzare la grande corte, un enorme spiazzo limitato da dodici esedre, otto rettangolari e quattro semicircolari: l'idea del cortile antistante al sagrato di un tempio è un'idea semita, ma fu ripresa dai romani, che lo trasformarono in una sorta di Pantheon, dove ogni esedra era dedicata al culto di una divinità dell'Olimpo. Di fronte alle esedre sorgeva un portico con colonne in granito rosa di Assuan per proteggere i fedeli che prendevano parte alle cerimonie di culto e ai pasti sacri. Il forte legame che Traiano nutriva per questo luogo è testimoniato, oltre che dalle opere da lui volute, dalla sua devozione: si dice infatti che prima di affrontare i parti in Oriente l'imperatore consultò l'oracolo di Baalbek sulle sue sorti e che questi in risposta gli presentò un tralcio di vite fatto a pezzi. Traiano morì in Cilicia di ritorno dalla guerra, a Roma tornarono solo le sue spoglie. 

Un altro imperatore originario delle province d'Occidente come Traiano, Antonino Pio (138-161), fu il promotore della costruzione di un tempio che, per le decorazioni raffiguranti scene dionisiache, viti, ghirlande e melograni, è generalmente considerato di Bacco; tuttavia, la presenza, sul soffitto, di un'aquila scolpita che artiglia due serpenti, simbolo di Mercurio, ha indotto in passato alcuni studiosi ad attribuire questo tempio al messaggero degli dei, il terzo componente della triade venerata a Baalbek. 

Sorto, in posizione meno elevata e in dimensioni più ridotte (copre una superficie di 69 metri per 36), accanto a quello di Giove, è l'edificio meglio conservato, il massimo esempio a Baalbek della perizia e della ricchezza decorativa di un'arte che, accanto alle forme occidentali delle splendide colonne corinzie, delle cornici e dei fregi, presenta caratteri della tradizione locale, soprattutto nella raffigurazione delle divinità: nel soffitto del peristilio Marte, la Vittoria , Diana e Tyche sono ancora riconoscibili dai loro attributi, mentre i volti sono stati cancellati dal furor iconoclasta dei musulmani. All'interno si trovano le statue raffiguranti l'intero pantheon romano, con gli dèi riconoscibili nonostante i volti siano stati cancellati dalla furia iconoclasta dei musulmani. 

Non del tutto conservato è il tempio di Venere, che venne edificato discosto dagli altri due agli inizi del III secolo d.C. sotto Settimio Severo (193-211 d.C). Esso si distingue per l'originalità della pianta circolare, un'eccezione nell'architettura romana se si esclude il Pantheon (ricostruito da Adriano nel 115-127 d.C. sul precedente edificio voluto da Agrippa nel 27 a .C): al di là della fronte rettilinea con portico a quattro colonne, l'andamento a superfici concave del podio e della cornice, a esso collegata tramite colonne, si armonizza con la superficie convessa del cor­po centrale della cella.

Eusebio di Cesarea, primo storico della chiesa cristiana, scriveva inorridito che qui "gli uomini e le donne si accoppiavano senza vergogna, e i padri e i mariti permettevano alle figlie e alle mogli di prostituirsi per compiacere la dea". In realtà, i romani avevano mutuato dalla locale tradizione semitica la pratica della prostituzione sacra. Come, del resto, la divina triade di Baalbek è il frutto del sincretismo tra la religione dei romani e quella dei fenici. Giove è identificato con il dio Baal, Venere con Astarte, e Bacco, il loro figlio, con lo spirito della natura. 

Anche quando la costruzione dei templi fu terminata, gli imperatori romani non smisero di interessarsi a Baalbek: Caracalla (211-217 d.C), l'ultimo dei Severi, l'adorno di un ingresso monumentale, una scalinata che conduce ai propilei, un portico a dodici colonne al centro del quale si colloca un timpano, mentre due torri lo affiancano alle estremità; infine Filippo Arabo (244-249 d.C.) fece raccordare questa entrata solenne e la grande corte tramite la corte esagonale, ambiente singolare creato, ancora una volta, da esedre e colonne.  

Con l'avvento del cristianesimo e la promulgazione dell'Editto di Milano, il santuario iniziò una lenta decadenza, accelerata probabilmente dai crolli dovuti ai terremoti. Le prime trasformazioni si ebbero sotto Costantino I (306-337), che secondo Eusebio di Cesarea vi istituì una sede vescovile e decise la costruzione di una chiesa. L'imperatore Teodosio I (379-395) distrusse le statue pagane, fece radere al suolo l'altare-torre per erigere nel grande cortile una basilica cristiana e trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere. Alcuni studiosi ritengono tuttavia che Baalbek continuò a costituire un centro di culto pagano.

L'imperatore bizantino Giustiniano (527-561) ordinò infine di asportare otto delle colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.

In seguito alla conquista araba del 637, l'acropoli del complesso templare venne trasformata in cittadella fortificata e venne costruita la grande moschea in stile omayyade, oggi in rovina. La città passò, dopo l'età omayyade e quella abbaside, sotto l'amministrazione fatimide che la scelse come capitale di governatorato nel 972.

Occupata per breve tempo dai Bizantini di Giovanni Zimisce nel 974, Baalbek divenne nel 1025 dominio dei Mirdasidi e infine dei Selgiuchidi nel 1075. La cittadina rimase dominio ayyubide fino al 1282 quando venne conquistata dal sultano mamelucco Sayf al-Dīn Qalāwūn al-Alfī. 

Dopo il 1516, Baalbek entrò a far parte dell'impero ottomano, all'interno del governatorato di Damasco. Nei secoli successivi, come in altre aree della Bekaa, la popolazione, prevalentemente musulmana sciita e divisa in clan, fu soggetta all'autorità de facto di due famiglie di proprietari terrieri, i cui privilegi feudali vennero erosi, a partire dalla fine del diciottesimo secolo, dai tentativi di modernizzazione amministrativa sperimentati dalle autorità ottomane.

Nel XVIII secolo gli esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a riportarne dettagliate descrizioni, piante e vedute a disegno. Nel 1751 Robert Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere di architettura dell'antichità. Erano ancora in piedi nove colonne del tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in occasione del terremoto del 1759. Altri viaggiatori furono Volney (1781), Cassas (1785), Laborde (1837), David Roberts (1839). I blocchi crollati dalle antiche costruzioni venivano all'epoca ancora riutilizzati per la costruzione di edifici moderni della cittadina.

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Una prima spedizione scientifica fu condotta nel 1873 dal Fondo di Esplorazione della Palestina e in seguito alla visita dell'imperatore Guglielmo II di Germania vi venne condotta una missione archeologica tedesca (1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono effettuati i primi restauri. Dopo la prima guerra mondiale altre missioni si ebbero durante il Mandato francese. Dopo l'indipendenza del Libano nel 1943 le operazioni di restauro e conservazione passarono sotto l'egida del Servizio delle Antichità del Libano.

SINCRETISMO RELIGIOSO A BAALBEK

Baalbek significa "signore della Bekaa" e deriva dal Baal, divinità dei cananei e dei fenici, il cui culto si è diffuso anche presso popoli diversi assumendo varie forme e assimilandosi a culti o dei preesistenti. Come Baal-Hadad era il dio dei fenomeni atmosferici e della fertilità e veniva assimilato al ciclo annuale delle stagioni: venerato come Adon, "il signore", al termine dell'estate era destinato a scomparire nell'aldilà per riemergervi all'inizio della primavera. Questo antico mito agricolo delle culture orientali passerà nella cultura greca e darà origine a un mito analogo, quello di Adone conteso e diviso tra Afrodite, dea dell'amore, e Persefone, regina degli inferi. 

Nel frattempo la figura di Baal subisce un'evoluzione e diviene la principale divinità nell'olimpo degli dei fenici, sostituendosi al padre El come dio del cielo, proprio come Zeus si sostituirà a Crono. Baal era venerato a Baalbek appunto come "signore del cielo" insieme con la moglie Astarte, dea della fertilità il cui culto contemplava la prostituzione sacra, e un figlio, forse Aliyan, custode delle fonti e delle acque sotterranee. In età ellenistica Baal venne assimilato a Helios, il dio sole, dal quale alla città derivò il nome di Heliopolis. Con la pax romana il santuario divenne uno dei principali dell'impero: i romani proseguirono nella pratica del sincretismo religioso e identificarono la triade fenicia con Giove, Venere e Mercurio, dedicando loro templi solenni e grandiosi.