Città del Libano, sorta nella
valle fra Libano e Antilibano, a 1170 metri sul livello del mare, deve
il suo attuale nome, Baalbek, documentato a partire dal 400 d. C., al
culto del dio Baal, massima divinità del pantheon orientale, assimilato
spesso a Giove. In età ellenistica e romana la città era invece nota
come Heliopolis. Anche questo nome trova una spiegazione nelle
tradizioni religiose della città, dove sembra fosse fortemente radicato
il culto di Hadad, identificato in età ellenistica con il Sole.
A un evidente fenomeno di
sincretismo religioso si deve quindi il culto di Giove Heliopolitano, le
cui testimonianze esplicite datano all’età romana, da ritenersi
evidentemente una trasposizione dell’antico culto locale del Sole. Il
nome della città ci viene tramandato in alcuni brevi passi anche dalle
fonti antiche. Di Heliopolis infatti fanno menzione sia Giuseppe flavio,
in merito alla spedizione compiuta da Pompeo nel 64 a. C., sia
Strasbone, che la colloca vicino ad Apamea, città della Siria di antica
fondazione seleucide. In età giulio-claudia Heliopolis divenne colonia
romana, con il titolo per esteso “Iulia Augusta Felix Heliopolitana”
(titolatura ricorrente nelle monete e nei militari).
Nei secoli dell'apogeo della
civiltà fenicia, la cui potenza e il cui splendore derivavano dalle
grandi città commerciali della costa, la Valle della Békaa rivestì un
ruolo secondario e le sue popolazioni non raggiunsero mai lo splendore
leggendario di Biblos, Tiro e Sidone. Lo stesso destino toccò a
Baalbek, situata nella parte più alta della valle, il cui nome, che si
potrebbe tradurre come "signore della Békaa", evoca la sua
antichissima funzione di santuario per il culto della triade formata
dalle divinità di Baal, dalla sua sposa Anat e dal figlio Aliyan,
guardiano delle fonti e delle acque sotterranee. Di tutte le divinità
che facevano parte del numeroso
pantheon fenicio, Baal era quella più venerata e conosciuta.
Originariamente era un dio della fertilità cananeo, protagonista di un
ciclo annuale di morte e resurrezione che rappresentava quello della
vegetazione. Alla fine dell'estate veniva condannato a sprofondare negli
inferi per poi risalire all'inizio della primavera.
Questo mito, molto antico e
comune a tutte le culture agricole orientali, in Grecia si trasformò
nella celebre leggenda di Adone, il cui amore era conteso da Afrodite e
Persefone. Con il tempo l'importanza di Baal crebbe e la sua immagine
acquisì sempre maggior valore, fino al punto di consentirgli di
sostituire il padre El come dio del cielo. Ed era proprio questa
accezione della divinità come Baal-Shamash, cioè signore del cielo, ad
essere venerata a Baalbek.
Non meno importante era però
il suo culto nelle città costiere: per gli abitanti di Biblos era
semplicemente Adon, "il signore", nome da cui sarebbe derivato
il greco Adone; a Sidone era chiamato Asmun e a Tiro Melqart, "il
re della città", perché considerato il fondatore
dell'insediamento urbano e lo scopritore della porpora.
I
luoghi santi hanno sempre avuto una tenace vocazione alla sopravvivenza,
e Baalbek non fa eccezione a questa regola. Quando Alessandro Magno
incluse la Valle della Békaa nel mondo ellenico, il santuario di
Baalbek, che prese il nome di Heliopolis, continuò a essere un
importante luogo di pellegrinaggio in cui si adorava l'antica triade
fenicia, ormai ribattezzata con nomi greci.
Il
momento di maggior splendore giunse dopo la conquista della Fenicia da
parte dei Romani nel 64 a.C. Grazie alla pax romana, Baalbek divenne uno
dei santuari principali e più frequentati dell'Impero, anche in virtù
della politica di sincretismo religioso seguita dai suoi governanti.
L'intero
complesso architettonico fu ricostruito su scala molto più ampia e
assunse l'aspetto che conserva ancora oggi. Venne consacrato a divinità
latine che si possono facilmente identificare con quelle originarie dei
Fenici, sicché tanto la popolazione autoctona quanto i coloni
provenienti da altre regioni dell'Impero poterono praticare i loro culti
senza suscitare conflitti o rivalità. Baal divenne Giove, Anat Venere e
Aliyan Mercurio.
Accanto
ai loro templi ne sorsero altri dedicati a dei venerati in Oriente, come
ad esempio Bacco, incarnazione del greco Dioniso. Ma la monumentalità
del progetto era eccessiva, tanto che i lavori si protrassero per circa
tre secoli, pur con alcuni intervalli. L'idea originaria fu dello stesso
Augusto, al quale si attribuisce anche il progetto del nuovo santuario,
dominato dall'immenso Tempio di Giove Eliopolitano, orientato verso il
sole nascente. Accanto ad esso sorgeva il Tempio di Venere e, su una
collina fuori dalle mura, quello di Mercurio.
La
costruzione continuò fino alla caduta della dinastia Giulio-Claudia,
avvenuta alla morte di Nerone nel 68 d.C. Pochi anni prima era stato
portato a termine il Tempio di Giove. Gli imperatori che regnarono in
seguito ripresero in mano il progetto: nel 100 si costruì il grande
altare, fra il 120 e il 125 il Tempio di Bacco e intorno al 150 il
cortile principale. Le ultime aggiunte furono apportate nel III secolo,
quando vennero edificati i Propilei, su iniziativa di Caracalla, e il
cortile esagonale, sotto Filippo l'Arabo.
Progressivamente
abbandonati in epoca bizantina, devastati in qualche caso dallo zelo
religioso degli imperatori cristiani, i templi vennero riutilizzati come
fortezza dagli Arabi e, dopo la conquista ottomana, caddero
definitivamente nell'oblio. Il tempo e i terremoti fecero il resto, ma
il complesso che è giunto fino ai giorni nostri permette comunque di
ammirare il notevole sincretismo architettonico che fu alla base della
sua costruzione.
I
diversi edifici non si sono conservati in modo uniforme: del Tempio di
Mercurio rimangono solo pochi resti, mentre quello di Bacco è ancora in
ottimo stato. Innalzato su fondamenta megalitiche di epoca ellenica, il
Tempio di Giove è tuttora il più imponente di tutto il complesso. Si
trovano anche altre costruzioni romane, come l'Odeon, la porta che un
tempo serviva per accedere all'interno delle mura, oggi non più
esistenti, e la vicina necropoli, così come resti arabi di una grande
moschea omayyade e dei mausolei di Qubbat Amjad e Qubbat Douris,
costruiti con materiali romani recuperati.
Nel
corso di circa duecento anni i romani resero il santuario di Baalbek
talmente magnifico che ancora oggi i libanesi affermano che anche a
Roma, se si eccettua il Colosseo, non vi è nulla di paragonabile: basta
aggirarsi per i templi, scoprire di essere alti quanto le basi delle
loro colonne o contemplare l'estensione delle scalinate che conducono ai
luoghi di culto per rendersi conto della sua grandiosità. Il complesso
fu progettato nel suo insieme verosimilmente al tempo di Ottaviano
Augusto, durante il cui governo venne iniziato il tempio di Giove
Eliopolitano: esso sorse nel punto più elevato della collina su cui è
adagiata la città, e ricopriva un'area molto maggiore di quanto non
fosse stata quella occupata dall'altare di Baal; dentro la cella si
trovava una grande statua di Giove e il tutto si ergeva su una
piattaforma rettangolare di
80 metri
per 48 fatta di blocchi di pietra del peso di almeno 700 tonnellate,
delimitata da 54 colonne del diametro di
2,2 metri
e alte 20.
Del
tempio di Giove Eliopolitano, il più grande in stile corinzio
dell'antichità, grandioso quanto le terme di Diocleziano a Roma, sono
rimaste solo sei colonne: otto furono forse destinate da Giustiniano
alla basilica, ora moschea, di Santa Sofia a Istanbul, le altre sono
andate distrutte o sono state rubate.
I
capitelli e i frammenti degli architravi, ricchi di fregi con teste di
tori e di leoni, foglie d'acanto e rose, attestano la raffinatezza del
corredo scultoreo di cui doveva essere dotato, e furono numerosi gli
imperatori che si impegnarono perché l'edificio fosse all'altezza del
progetto di Cesare. Nerone, intorno al 60 d.C, fece erigere una torre di
fronte al tempio che permetteva ai pellegrini di alternarsi alla vista
della statua del dio da una posizione rialzata. A Traiano - imperatore
dal 98 al 117 d.C. - va invece il merito della costruzione di un enorme
cortile d'accesso. Era a forma di quadrato, con
113 metri
di lato, e su tre dei lati erano disposte dodici esedre, ognuna delle
quali preceduta da un portico con colonne di granito rosa dell'Egitto.
Dalle iscrizioni si è appurato che le esedre ospitavano i sacerdoti
delle varie comunità e fungevano da luoghi di ricevimento per i
pellegrini di alto lignaggio.
Il
santuario rivestì una particolare importanza per l'imperatore Traiano
(98-117 d.C), che davanti al tempio di Giove fece realizzare la grande
corte, un enorme spiazzo limitato da dodici esedre, otto rettangolari e
quattro semicircolari: l'idea del cortile antistante al sagrato di un
tempio è un'idea semita, ma fu ripresa dai romani, che lo trasformarono
in una sorta di Pantheon, dove ogni esedra era dedicata al culto di una
divinità dell'Olimpo. Di fronte alle esedre sorgeva un portico con
colonne in granito rosa di Assuan per proteggere i fedeli che prendevano
parte alle cerimonie di culto e ai pasti sacri. Il forte legame che
Traiano nutriva per questo luogo è testimoniato, oltre che dalle opere
da lui volute, dalla sua devozione: si dice infatti che prima di
affrontare i parti in Oriente l'imperatore consultò l'oracolo di
Baalbek sulle sue sorti e che questi in risposta gli presentò un
tralcio di vite fatto a pezzi. Traiano morì in Cilicia di ritorno dalla
guerra, a Roma tornarono solo le sue spoglie.
Un altro
imperatore originario delle province d'Occidente come Traiano, Antonino
Pio (138-161), fu il promotore della costruzione di un tempio che, per
le decorazioni raffiguranti scene dionisiache, viti, ghirlande e
melograni, è generalmente considerato di Bacco; tuttavia, la presenza,
sul soffitto, di un'aquila scolpita che artiglia due serpenti, simbolo
di Mercurio, ha indotto in passato alcuni studiosi ad attribuire questo
tempio al messaggero degli dei, il terzo componente della triade
venerata a Baalbek.
Sorto,
in posizione meno elevata e in dimensioni più
ridotte (copre una superficie di
69 metri
per 36), accanto a quello di Giove, è l'edificio meglio conservato, il
massimo esempio a Baalbek della perizia e della ricchezza decorativa di
un'arte che, accanto alle forme occidentali delle splendide colonne
corinzie, delle cornici e dei fregi, presenta caratteri della tradizione
locale, soprattutto nella raffigurazione delle divinità: nel soffitto
del peristilio Marte,
la Vittoria
, Diana e Tyche sono ancora riconoscibili dai loro attributi, mentre i
volti sono stati cancellati dal furor iconoclasta dei musulmani.
All'interno si trovano le statue raffiguranti l'intero pantheon romano,
con gli dèi riconoscibili nonostante i volti siano stati cancellati
dalla furia iconoclasta dei musulmani.
Non del
tutto conservato è il tempio di Venere, che venne edificato discosto
dagli altri due agli inizi del III secolo d.C. sotto Settimio Severo
(193-211 d.C). Esso si distingue per l'originalità della pianta
circolare, un'eccezione nell'architettura romana se si esclude il
Pantheon (ricostruito da Adriano nel 115-127 d.C. sul precedente
edificio voluto da Agrippa nel
27 a
.C): al di là della fronte rettilinea con portico a quattro colonne,
l'andamento a superfici concave del podio e della cornice, a esso
collegata tramite colonne, si armonizza con la superficie convessa del
corpo centrale della cella.
Eusebio
di Cesarea, primo storico della chiesa cristiana, scriveva inorridito
che qui "gli uomini e le donne si accoppiavano senza vergogna, e i
padri e i mariti permettevano alle figlie e alle mogli di prostituirsi
per compiacere la dea". In realtà, i romani avevano mutuato dalla
locale tradizione semitica la pratica della prostituzione sacra. Come,
del resto, la divina triade di Baalbek è il frutto del sincretismo tra
la religione dei romani e quella dei fenici. Giove è identificato con
il dio Baal, Venere con Astarte, e Bacco, il loro figlio, con lo spirito
della natura.
Anche
quando la costruzione dei templi fu terminata, gli imperatori romani non
smisero di interessarsi a Baalbek: Caracalla (211-217 d.C), l'ultimo dei
Severi, l'adorno di un ingresso monumentale, una scalinata che conduce
ai propilei, un portico a dodici colonne al centro del quale si colloca
un timpano, mentre due torri lo affiancano alle estremità; infine
Filippo Arabo (244-249 d.C.) fece raccordare questa entrata solenne e la
grande corte tramite la corte esagonale, ambiente singolare creato,
ancora una volta, da esedre e colonne.
Con
l'avvento del cristianesimo e la promulgazione dell'Editto di Milano, il
santuario iniziò una lenta decadenza, accelerata probabilmente dai
crolli dovuti ai terremoti. Le prime trasformazioni si ebbero sotto
Costantino I (306-337), che secondo Eusebio di Cesarea vi istituì una
sede vescovile e decise la costruzione di una chiesa. L'imperatore
Teodosio I (379-395) distrusse le statue pagane, fece radere al suolo
l'altare-torre per erigere nel grande cortile una basilica cristiana e
trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere.
Alcuni studiosi ritengono tuttavia che Baalbek continuò a costituire un
centro di culto pagano.
L'imperatore
bizantino Giustiniano (527-561) ordinò infine di asportare otto delle
colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate nella
basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
In
seguito alla conquista araba del 637, l'acropoli del complesso templare
venne trasformata in cittadella fortificata e venne costruita la grande
moschea in stile omayyade, oggi in rovina. La città passò, dopo l'età
omayyade e quella abbaside, sotto l'amministrazione fatimide che la
scelse come capitale di governatorato nel 972.
Occupata
per breve tempo dai Bizantini di Giovanni Zimisce nel 974, Baalbek
divenne nel 1025 dominio dei Mirdasidi e infine dei Selgiuchidi nel
1075. La cittadina rimase dominio ayyubide fino al 1282 quando venne
conquistata dal sultano mamelucco Sayf al-Dīn Qalāwūn al-Alfī.
Dopo
il 1516, Baalbek entrò a far parte dell'impero ottomano, all'interno
del governatorato di Damasco. Nei secoli successivi, come in altre aree
della Bekaa, la popolazione, prevalentemente musulmana sciita e divisa
in clan, fu soggetta all'autorità de facto di due famiglie di
proprietari terrieri, i cui privilegi feudali vennero erosi, a partire
dalla fine del diciottesimo secolo, dai tentativi di modernizzazione
amministrativa sperimentati dalle autorità ottomane.
Nel
XVIII secolo gli esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a
riportarne dettagliate descrizioni, piante e vedute a disegno. Nel 1751
Robert Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere di
architettura dell'antichità. Erano ancora in piedi nove colonne del
tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in occasione del
terremoto del 1759. Altri viaggiatori furono Volney (1781), Cassas
(1785), Laborde (1837), David Roberts (1839). I blocchi crollati dalle
antiche costruzioni venivano all'epoca ancora riutilizzati per la
costruzione di edifici moderni della cittadina.
Una
prima spedizione scientifica fu condotta nel 1873 dal Fondo di
Esplorazione della Palestina e in seguito alla visita dell'imperatore
Guglielmo II di Germania vi venne condotta una missione archeologica
tedesca (1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono
effettuati i primi restauri. Dopo la prima guerra mondiale altre
missioni si ebbero durante il Mandato francese. Dopo l'indipendenza del
Libano nel 1943 le operazioni di restauro e conservazione passarono
sotto l'egida del Servizio delle Antichità del Libano.
SINCRETISMO
RELIGIOSO A BAALBEK
Baalbek
significa "signore della Bekaa" e deriva dal Baal, divinità
dei cananei e dei fenici, il cui culto si è diffuso anche presso popoli
diversi assumendo varie forme e assimilandosi a culti o dei
preesistenti. Come Baal-Hadad era il dio dei fenomeni atmosferici e
della fertilità e veniva assimilato al ciclo annuale delle stagioni:
venerato come Adon, "il signore", al termine dell'estate era
destinato a scomparire nell'aldilà per riemergervi all'inizio della
primavera. Questo antico mito agricolo delle culture orientali passerà
nella cultura greca e darà origine a un mito analogo, quello di Adone
conteso e diviso tra Afrodite, dea dell'amore, e Persefone, regina degli
inferi.
Nel
frattempo la figura di Baal subisce un'evoluzione e diviene la
principale divinità nell'olimpo degli dei fenici, sostituendosi al
padre El come dio del cielo, proprio come Zeus si sostituirà a Crono.
Baal era venerato a Baalbek appunto come "signore del cielo"
insieme con la moglie Astarte, dea della fertilità il cui culto
contemplava la prostituzione sacra, e un figlio, forse Aliyan, custode
delle fonti e delle acque sotterranee. In età ellenistica Baal venne
assimilato a Helios, il dio sole, dal quale alla città derivò il nome
di Heliopolis. Con la pax romana il santuario divenne uno dei principali
dell'impero: i romani proseguirono nella pratica del sincretismo
religioso e identificarono la triade fenicia con Giove, Venere e
Mercurio, dedicando loro templi solenni e grandiosi.