L'isola
di Chiloé si trova nel sud del
Cile. Fa parte dell'arcipelago di Chiloé ed è la più grande: è lunga 180
chilometri e larga 50. La sua popolazione è di circa 155.000 abitanti e ha una
superficie di 9.181 km².
La
provincia di Chiloé comprende l'isola omonima e un gruppo di isole secondarie.
Le sue due città principali sono Castro (capitale) e Ancud, vecchia capitale
della provincia e sede vescovile.
La
morbida, verde Chiloé è praticamente divisa da due laghi, Huillinco e Cucao.
Il territorio è in gran parte coperto da boschi. L’isola è solcata da lunghe
insenature e baie che costringono le strade a cammini tortuosi. Le isole minori
sono a loro volte abitate e ammantate da laghi e foreste.
La
regione centrale della Patagonia, compresa fra i 38° e i 47° di latitudine
sud, identificabile nelle provincie delle città cilene di Temuco, Puerto Montt
e Puerto Aisen e argentine di Perito Moreno, Esquel e Bariloche, corrisponde
grosso modo all'antica Araucania. Occupata dagli Spagnoli che impiegarono oltre
un secolo, tra il 1550 e il 1655, per sottometterla completamente, l'Araucania
si liberò nel 1700 in seguito ad una rivolta d’indigeni e rimase a lungo
indipendente, fino alla metà dell'800, quando riprese l'insediamento
d'immigrati europei, soprattutto francesi, inglesi, svizzeri, iugoslavi e
tedeschi. Alcuni gruppi d’indigeni, ormai totalmente integrati, rimangono
ancora nella zona di Osorno e sull'isola di Chiloé, dove si dedicano alla
pesca, all'agricoltura, alla tessitura e ai lavori di oreficeria in argento.
Molteplici sono i motivi d'interesse dell'Araucania, regione straordinariamente
bella e misteriosa, dove in un ambiente quasi inalterato da un punto di vista
naturale si può andare alla scoperta di alcune delle pagine meno note della
storia del Sudamerica.

Gli
abitanti di Chiloé, noti come Chiloti,
sono bruschi ma non scortesi e preferiscono nascondere le proprie emozioni agli
estranei per dividerle solo con i propri cari, riuniti la sera accanto al
camino. Di poche parole, trattengono le frasi superflue così come fanno con il
calore, avvolti nelle loro spesse giacche di lana. Dei primi abitatori
dell’isola, Chonos al sud e Huilliches
più a nord, conservano la pelle scura e gli occhi a mandorla assieme alla
passione per la terra ed il mare. Per questo motivo si possono considerare una
cultura marinara che vive sfruttando l’acqua a guisa di una dispensa da cui
traggono pesci, frutti di mare e alghe ma anche coltivando la terra e allevando
il bestiame per non dover dipendere da un’unica risorsa.
A
Chiloé vi sono numerosi villaggi e pochissime cittadine, Ancud, Quellon e
Castro, il capoluogo. La maggior parte degli abitanti sono dispersi
nell’entroterra collinare ricoperto da vaste zone di boschi. Seguire una delle
strade sterrate che portano al Parco Nazionale di Chiloé oppure raggiungere una
tra le numerose chiese isolate sparse nell’isola costituisce un’esperienza
senza dubbio affascinante.
L’arcipelago
conta oltre 150 chiese e cappelle costruite dai gesuiti, dalla struttura lignea
e dalle linee sobrie ed essenziali. Percorrendone le navate si inizia un lungo
viaggio nella penombra, tra le nodosità del legno e gli incastri dei pezzi di
cipresso, tra cunei e vecchi tronchi sui quali spiccano ancora ben visibili le
impronte delle accette dei falegnami di Chiloé.
Nel
2000 le sue chiesette sono state dichiarate Patrimonio dell'umanità
dall'UNESCO. Queste costruzioni sono state interamente realizzate con legno
locale, a dispetto del fatto che il clima dell'isola sia famoso per essere molto
umido ed inclemente. Costruite nel corso del XVIII e XIX secolo quando il Cile
faceva ancora parte dell'Impero spagnolo, rappresentano la fusione della cultura
gesuita europea con le abilità e tradizioni delle popolazioni native
dell'arcipelago: un esempio di cultura meticcia. Una leggenda locale racconta di
un nave fantasma, il Caleuche, che naviga nei dintorni dell'isola durante la
notte.

Le
chiese sono una delle sorprese per il visitatore, asservite a un duplice scopo
in quanto il campanile può anche essere visto come un faro che, durante il
giorno, guida i naviganti. Hanno inoltre la funzione di ospitare le immagini
sacre e di offrire rifugio ai fedeli ogni volta che si celebra una festa
religiosa. Il calendario di tali ricorrenze ne conta quasi 300. La più antica
è la celebrazione del Divin Gesù Nazareno di Caguach, ma la gente proviene
anche dai villaggi e dalle isole vicine, radunandosi per impetrare i favori
della divinità e per rendere grazie. Persino un santo protettore come San
Francesco, se contrariato, può mandare venti di tempesta o rovinare il
raccolto. Di conseguenza è difficile sfuggire a questi periodi di preghiera
collettiva dove l’occasione è propizia per la preparazione del curanto
(stufato di carne e mariscos), che
nutre in eguale misura il corpo e l’anima. 
La
fede degli abitanti di Chiloé è un dato fisiologico, come l’altezza o il
colore degli occhi, inestricabilmente connesso con la natura stessa dei Chiloti.
Non a caso i gesuiti nel XVII secolo hanno sviluppato a Chiloé l’arte della
scultura sacra in legno, facendone un efficace strumento di conversione.
Alcune
immagini di santi si conservano ancora nelle chiese dell’isola con il corpo
appena abbozzato ma ricoperto da raffinati abiti la cui foggia richiama quelli
in uso alla Corte spagnola dell’epoca. Gli arti snodati pongono l’accento
sulle espressioni sofferenti di un volto finemente lavorato allo scopo di
raffigurarne il martirio con crudo realismo. I capelli di alcune teste di Cristo
sono offerti dai devoti, doni tanto più espressivi perché in certi luoghi,
come ad Achao, vige la credenza che il privarsi di un così importante attributo
faccia rischiare la perpetua solitudine.
La
baia di Castro ospita vecchie case di pescatori collocate su palafitte che, non
appena la marea si ritira, rimangono sospese a guisa di trampolieri sugli esili
pali rosi dall’umidità e rivestiti da muschio vecchio e alghe verdi. Le
abitazioni presentano al piano terra una facciata ordinata da una serie di
finestre e porte. Alcune sono rivestite da lamiere di ferro galvanizzato
ondulato sottile, verniciato con colori accesi per contrastare le tinte grigie
delle tipiche giornate plumbee.
Per
effetto del clima l’aspetto cromatico delle costruzioni è destinato a mutare
in maniera rilevante, al punto da far avvicinare il colore del legno delle
costruzioni più vecchie al colore grigio-argento del cemento, che conferisce
alle case una sorta di anonimato. Eppure la grande eterogeneità cromatica e
stilistica delle architetture non stona con l'ambiente naturale, ma all'opposto
ne rappresenta una diretta emanazione, essendo il frutto di un perfetto
adattamento delle popolazioni al luogo geografico nel quale vivono. Per tutti
questi motivi è particolarmente difficile riuscire a descrivere in modo
esauriente le peculiarità di questo settore della Patagonia, sicuramente uno
dei meno noti e frequentati dai visitatori, ma proprio per questo uno dei più
autentici.

L’oceano
è la vera frontiera di Chiloé e non si può lasciare l’isola senza essersi
recati nel fianco occidentale che si affaccia al Pacifico: la costa
brava. Il paesaggio è nettamente diverso da quello delle tranquille acque
dei golfi orientali di Ancud e Corcovado, la costa
gentil. Qui è possibile ammirare le bianche vele degli schooner in
navigazione sottocosta, mai troppo distanti dalla spiaggia nel caso servisse
cercare improvvisamente riparo o prestare soccorso. Di forma arrotondata, queste
barche non hanno chiglia, di modo che, quando la marea scende, si arenano
dolcemente sulle spiagge sabbiose. L’oceano è vitale per i Chiloti
e ciò spiega l’origine di tanti miti affascinanti. Quando cala la nebbia
molti sostengono che appaia la Chaleuche,
una nave fantasma carica d’oro e di spettri, parente stretta dell’Olandese
Volante.
Tra
le onde si cela poi un personaggio ancor più universale, perché la grande
Balena Bianca, Moby Dick, proviene
proprio da questi mari. E il bianco colore del cetaceo non è altro che la
rappresentazione della canizie di un animale tanto astuto da essere riuscito a
sopravvivere a intere generazioni di pescatori. Sul mare, o meglio in
prossimità delle spiagge, vaga Pincoya. E’ una dea marina che la tradizione
vuole vada “seminando” doni prodigiosi quali pesci e crostacei, portatori di
nutrimento e benessere ai Chiloti. E
mentre le divinità benigne, come Pincoya, dispensano regali miracolosi, altre
creature malefiche popolano la foresta, come Trauco, una specie di satiro che
insidia le giovani donne che trascurano di recarsi a messa la domenica.

Immancabili
le streghe, esseri tanto temibili da non potersi nemmeno nominare per il rischio
di attirarne l’indesiderata attenzione. Sono solite radunarsi in caverne per
il sabba e poi mescolarsi alla gente comune. Questo è il motivo per cui non è
raro trovare sulla porta di casa di un Chilote un paio di forbici aperte come pure una coppia di aghi
disposti a croce sopra al cuscino di una sedia. Il primo serve ad impedire
l’ingresso e la seconda ad alzarsi. Perché nessun isolano dirà mai
apertamente che crede ai mostri, anche se nell’animo è convinto che essi
esistano, esistano sul serio.
La costa
brava è la più selvaggia di Chiloé e al suo centro, perennemente immerso
nella nebbia, si trova il villaggio di Cucao, circondato da vuote spiagge
battute dai venti e dalle tempeste del Pacifico. In questi luoghi circolano le
storie più strane. Qui Bruce Chatwin, non molti anni fa, poco prima di iniziare
il suo ultimo viaggio, ascoltò le leggende del folclore locale che parlano di
driadi, tritoni e mostri marini. Una, in particolare, racconta di uno strano
traghettatore che trasporta le anime dei morti oltre lo stretto canale che mette
in comunicazione le nere acque del lago di Cucao con quelle dell’oceano per
consentir loro di attraversare il
mare e raggiungere l’Aldilà. E di come sia saggio evitare d’invocarlo
invano da queste spiagge, gridando contro le brume «Traghettatore!
Traghettatore!…». Perché, talvolta, pare che il Traghettatore venga davvero.
