Timgad,
oggi,
è
il
nome
di
un
misero
villaggio
di
pastori
con
appena
300
anime,
sperduto
nella
piana
desertica
a
1100
metri
di
altitudine,
alle
pendici
dei
monti
Aurés.
A
vederlo,
nulla
lascerebbe
supporre
che
nell'antichità
la
valle
che
lo
ospita
fosse
tanto
fertile
da
donare
ai
suoi
abitanti
abbondanti
messi
di
grano
e
ricchi
raccolti
di
olive
per
la
produzione
di
un
olio
molto
apprezzato
a
Roma.
E
quei
pastori
-
o
meglio,
i
loro
antenati
-
erano
stati
per
secoli
i
custodi
del
segreto
dell'esistenza
di
Thamugadi,
una
città
romana
semisepolta
in
quel
luogo
dimenticato
dalle
sabbie
sahariane
portate
dal
vento.
Non
a
torto,
dunque,
l'antica
Timgad
è
considerata
"
la
Pompei
algerina".
Fu
fondata
nel
100
d.C.
dall'imperatore
Traiano
con
l'intento
di
ospitarvi
i
veterani
della
Legio
Tertia
Augusta.
Per
lungo
tempo
fu
il
principale
avamposto
romano
in
Numidia,
una
regione
che
-
sebbene
conquistata
già
all'epoca
di
Cesare
-
era
popolata
da
nomadi
poco
inclini
ad
assimilare
usi
e
costumi
dei
dominatori.
Sorta
sul
classico
modello
del
castrum
romano
e
in
origine
estesa
su
12
ettari
di
superficie,
in
pochi
decenni
arrivò
a
espandersi
su
50
ettari
e
a
trasformarsi
da
base
difensiva
popolata
da
rozzi
militari
in
una
città
con
20.000
abitanti
che
ambivano
a
uno
stile
di
vita
raffinato,
tipico
delle
più
floride
città
della
provincia
romana.
A
Timgad
il
tradizionale
schema
urbanistico
a
scacchiera
disposto
sui
due
assi
principali
del
decumano
e
del
cardo
presenta
una
curiosa
variante,
dato
che
il
secondo
si
interseca
con
il
primo
in
corrispondenza
del
sesto
isolato,
senza
proseguire
oltre.
All'intersezione
corrisponde
il
cuore
della
città,
costituito
da
un
elegante
foro
eretto
su
una
piattaforma
dal
quale,
mediante
un
passaggio
colonnato
posto
in
diagonale
rispetto
agli
assi,
si
arriva
al
teatro
dotato
di
4000
posti.
Lungo
il
cardo
si
allineano
le
dimore
patrizie,
tutte
precedute
da
un
portico,
mentre
il
decumano,
fiancheggiato
da
colonne,
termina
a
sud
nell'arco
di
Traiano,
il
più
maestoso
dei
monumenti
dell'antica
Timgad.

A
poca
distanza
dall'arco
sorgono
i
resti
del
mercato,
detto
"di
Sertius",
le
cui
decorazioni
sono
un
evidente
richiamo
allo
sviluppo
commerciale
e
agricolo
della
città.
Era
uno
spazio
coperto,
con
una
piazza
sul
cui
perimetro
si
allineavano
i
banchi
in
pietra
delle
botteghe.
Alcuni
sono
ancora
intatti
-
così
come
resta
buona
parte
delle
colonne
su
cui
poggiava
la
copertura
-
e
recano
scolpiti
i
prodotti
in
vendita.
Nelle
vicinanze
si
trova
anche
il
basamento
con
due
delle
cinque
colonne
corinzie
della
facciata
del
tempio
dedicato
a
Giove,
Giunone
e
Minerva.
Iniziati
nel
dai
francesi,
gli
scavi
di
Timgad
sono
lontani
dall'essere
ultimati.
Mancano
ancora
all'appello
costruzioni
che
non
potevano
mancare
in
ogni
città
romana,
come
l'anfiteatro
e
il
circo.
Sono
venuti
alla
luce,
invece,
i
resti
di
14
complessi
termali
pubblici
che,
oltre
al
calidarium,
al
tepidarium
e
al
frigidarium,
comprendono
ognuno
una
sala
per
massaggi
con
l'olio
d'oliva.
Questi
edifici,
come
pure
alcune
di
queste
dimore,
erano
decorati
da
mosaici
che
ora
sono
ospitati,
insieme
a
suppellettili
e
a
stele
votive
dedicate
a
Saturno,
nel
museo
annesso
al
sito.
Lo
sviluppo
della
città
proseguì
nel
III
e
nel
IV
secolo
d.C.
Accanto
ai
templi
dedicati
a
divinità
romane
e
locali,
si
affiancarono
presto
numerose
chiese,
segno
dell’esistenza
di
una
comunità
cristiana
numerosa
e
vitale.
Un
brusco
arresto
si
ebbe
con
l’invasione
dei
vandali,
nel
430;
poi,
con
la
riconquista
della
regione
da
parte
dell’imperatore
di
Costantinopoli,
Giustiniano,
vi
fu
un
breve
risveglio
di
appena
un
secolo:
la
città
non
sopravvisse
all’arrivo
degli
arabi,
il
cui
intervento
tolse
spazio
alle
popolazioni
locali
e
le
privò
delle
possibilità
di
comunicazione,
tagliando
le
vie
marittime,
e
stroncando
definitivamente
il
fiorente
commercio
mediterraneo.
Con
la
fine
dell'impero
romano,
Timgad
fu
popolata
dai
bizantini
che
nel
534
vi
eressero
una
fortezza.
Dell'epoca
resta
anche
una
necropoli
con
9000
sarcofagi.
Avviata
verso
un
inesorabile
declino,
la
città
divenne
un
rifugio
dei
donatisti,
una
setta
cristiana
eretica
che
trovò
largo
seguito
tra
la
popolazione
di
origine
numidica.
nel
VI
secolo
un
incendio,
di
cui
non
è
nota
la
causa,
la
distrusse
quasi
completamente
e
duecento
anni
dopo,
quando
in
Numidia
arrivarono
gli
arabi,
di
Timgad
si
era
persa
la
memoria.
L’ARCO
DI
TRAIANO
Situato
all’estremità
ovest
del
decumano
è
il
monumento
meglio
conservato
della
città.
Le
sue
mura
si
elevano
per
12
metri
sul
terreno
e
sulla
sua
facciata,
abbellita
da
due
finestre
cieche
e
da
quattro
colonne
corinzie
poste
su
basamenti,
si
aprono
tre
passaggi
con
volte
a
botte.
L'attico
che
lo
sormontava
è
purtroppo
andato
distrutto.
Sul
pavimento
lastricato,
in
corrispondenza
delle
porte,
sono
ancora
visibili
i
segni
lasciati
dalle
ruote
delle
bighe.
Al
momento
del
ritrovamento,
gli
fu
dato
il
nome
convenzionale
di
Arco
di
Traiano,
in
ragione
dell’iscrizione
che
commemora
la
fondazione
della
città
per
volere
di
Traiano,
ma
l’edificio
è
sicuramente
più
tardo.
Assai
probabilmente
la
sua
costruzione
risale
all’epoca
degli
Antonini
o
dei
Severi.
IL
TEATRO
Un
grande
e
ben
conservato
edificio
per
spettacoli
è
il
Teatro,
a
pochi
passi
dal
Foro.
Edificato
nella
seconda
metà
del
II
secolo
d.C.,
ha
tutte
le
caratteristiche
dei
più
bei
teatri
romani:
l’ampia
cavea
a
gradini
per
gli
spettatori,
divisa
in
due
da
una
balaustra;
l’orchestra
semicircolare,
delimitata
dal
pulpito
della
scena;
il
frontescena,
certo
in
origine
lussuoso
e
purtroppo
mal
ridotto;
dietro
la
scena,
un
portico
serviva
per
il
disimpegno
e
le
passeggiate
all’ombra.
In
questo
edificio
si
tenevano
senz’altro
spettacoli
di
ogni
genere,
ma
anche
assemblee
pubbliche,
data
la
vicinanza
al
Foro.
GLI
EDIFICI
TERMALI
Gli
edifici
termali
a
Timgad
erano
ben
quattordici;
gli
esempi
maggiori,
le
Terme
Nord
e
le
Terme
Sud,
entrambe
fuori
dalle
mura
più
antiche,
non
hanno
nulla
da
invidiare
alle
terme
delle
grandi
città
dell’impero.
Il
complesso
Nord,
che
misura
80
x
65
metri
,
adotta
lo
schema
delle
terme
assiali,
con
ambienti
che
si
ripetono
simmetricamente
sui
due
lati;
più
libera
è
la
sequenza
degli
ambienti
nelle
Terme
Sud.
Legato
alle
acque
era
del
resto
anche
uno
dei
maggiori
santuari
della
città,
quello
della
fonte
sacra,
situato
a
sud,
presso
la
fortezza
bizantina,
e
coincidente
con
il
bacino
dell’aqua
Septimiana,
l’acquedotto
che
garantiva
l’approvvigionamento
idrico
della
città:
solo
grazie
alla
ricchezza
d’acqua
la
città
poté
vivere
e
prosperare
per
tanti
secoli.
IL
MERCATO
DI
SERTIUS
Appena
oltrepassato
l’Arco
si
trovava
a
destra
l’area
del
più
grande
mercato
della
città.
Offerto
ai
suoi
concittadini
da
Marcus
Plotius
Faustus
Sertius,
cavaliere
romano
e
flamine
(sacerdote)
perpetuo
della
provincia,
rappresenta
un
tipico
caso
di
evergetismo
locale,
molto
diffuso
nelle
province:
con
quest’opera
demagogica
il
facoltoso
personaggio
faceva
probabilmente
campagna
elettorale,
o
comunque
s’ingraziava
i
suoi
concittadini.
Una
facciata
monumentale
immetteva
in
una
grande
piazza
porticata,
terminata
sul
lato
corto
opposto
da
un’esedra
colonnata.
Ben
tre
basi
portavano
statue
dello
stesso
Sertius,
e
almeno
una
quella
di
sua
moglie,
Cornelia
Valentina
Tucciana
Sertia.
Notevole
nell’edificio
è
una
serie
di
archi
appoggiati
su
colonne,
fatto
inusuale
nell’architettura
romana.
LA
BIBLIOTECA
All’interno
della
città
traianea
si
trovavano
numerosi
edifici
d’interesse
pubblico.
La
Biblioteca
merita
un
cenno
particolare.
Situata
lungo
il
cardo,
sopraelevata
di
alcuni
gradini,
si
presenta
come
un’esedra
semicircolare;
lungo
i
muri,
inquadrate
da
colonne,
si
aprivano
nicchie
in
cui
erano
gli
scaffali
per
i
rotoli
e
i
codici,
questi
ultimi
già
diffusi
all’epoca
della
costruzione,
che
risale
al
IV
secolo
d.C.
Conosciamo
anche
il
nome
del
finanziatore,
Marco
Giulio
Quinziano
Flavio
Rogaziano,
che
spese
ben
quattrocentomila
sesterzi.
Si
tratta
di
una
delle
rare
testimonianze
conservate
di
biblioteche
antiche;
si
ricorderanno
quelle
del
Foro
di
Traiano
a
Roma,
quella
di
Efeso
e
probabilmente
anche
il
cosiddetto
tempio
di
Diana
a
Nîmes.
IL
CAPITOLIUM

Un
tempio
grandioso
è
il
Capitolium,
edificato
nella
città
nuova,
non
lontano
dall’Arco.
Stranamente,
sembra
che
a
Timgad
il
Capitolium,
il
tempio
della
triade
di
Giove,
Giunone
e
Minerva,
essenziale
in
una
città
romana,
mancasse
nell’impianto
primitivo.
Si
decise
in
ogni
caso
di
costruirlo
più
tardi,
in
proporzioni
colossali:
il
tempio
si
trova
in
una
corte
di
105
per
68
metri,
rivestita
internamente
da
portici
e
preceduta
sul
lato
nord
da
un
altro
portico.
Il
tempio,
di
cui
restano
in
piedi
solo
due
colonne,
aveva
sei
colonne
in
facciata
e
otto
sui
lati,
mentre
il
lato
posteriore
si
appoggiava
al
muro
di
cinta.
Fuori
dell’ordinario
erano
però
le
dimensioni
delle
colonne
alte
oltre
14
metri;
i
capitelli
da
soli
sono
alti
quasi
1,60
metri.
Le
dimensioni
sono
quelle
dei
grandi
edifici
romani
della
seconda
metà
del
II
secolo
d.C.,
epoca
cui
appartiene
il
monumento
stesso.
IL
FORO
Entrando
in
città
dal
lato
nord,
si
può
tuttora
percorrere
il
cardo,
perfettamente
lastricato
con
blocchi
rettangolari
disposti
obliquamente
e
fiancheggiato
da
colonne,
fino
all’ingresso
del
Foro.
La
piazza,
un
rettangolo
lastricato
di
50
metri
per
43,
è
circondata
interamente
da
portici;
sul
lato
settentrionale
si
aprono
porte
di
botteghe
e
uffici;
su
quello
orientale
si
apre
la
scalinata
di
accesso
all’aula
della
Basilica,
l’edificio
più
grande
della
zona
forense;
sul
lato
occidentale
si
trova
invece
un
tempietto
tetrastilo
di
piccole
dimensioni
preceduto
non
da
una
scala,
ma
da
una
tribuna
forse
riservata
agli
oratori
che
parlavano
al
popolo
di
Timgad.
Qui
era
anche
un
ambiente
sotterraneo,
forse
la
cassaforte
dell’erario
pubblico.
Non
sappiamo
a
chi
fosse
dedicato
il
tempio:
forse
a
Traiano,
oppure
alla
Vittoria.
A
lato
del
tempio
era
la
curia,
in
cui
si
riuniva
il
senato
cittadino.
Fra
i
due
edifici
sorgeva
un
monumento
alla
Fortuna
Augusta,
di
cui
resta
la
base.
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