Göbekli Tepe 
Turchia

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2018

    

Tra il X e il VI millennio a.C. nel Vicino Oriente si verificò una svolta cruciale per la storia dell’umanità: la cosiddetta rivoluzione neolitica. In questo lungo processo la vecchia società dei cacciatori-raccoglitori cedette il passo a una vera e propria economia agricola, basata sulla domesticazione di piante e animali. Gli archeologi hanno individuato le testimonianze più antiche di questa trasformazione nella Mezzaluna fertile, un’ampia regione che va dalla Mesopotamia alla valle del Nilo e che comprende i siti di Gerico in Cisgiordania e Jarmo e Shanidar nell’attuale Iraq. Nel 1995 a questi luoghi si è aggiunto Göbekli Tepe, situato nell’odierna Turchia sudorientale. Scoperto dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt, che si dedicò agli scavi fino alla morte nel 2014, Göbekli Tepe ha modificato profondamente la nostra comprensione del modo in cui si è prodotta la rivoluzione neolitica.   

Il giacimento risale al Neolitico preceramico, il periodo in cui iniziò la domesticazione della flora e della fauna. A conferma di questo fatto sono stati ritrovati nel sito alcuni falcetti di selce e delle piccole macine di pietra. A soli trenta chilometri di distanza, sul monte Karaca Dağ, poi, sono state identificate le prime varianti domesticate del frumento. Eppure, il ritrovamento di una grande quantità di ossa di gazzelle e di cinghiali e l’assenza di resti di specie domesticate suggeriscono che il complesso sia stato costruito da cacciatori-raccoglitori.

Ma ciò che rende davvero unico Göbekli Tepe è la sua struttura monumentale. Nell’area studiata fino a oggi sono state trovate varie costruzioni megalitiche circolari, costituite da mura intervallate da pilastri a forma di T, di un’altezza che oscilla tra il metro e mezzo delle costruzioni più recenti e i cinque metri e mezzo delle più antiche. Al centro di questi edifici erano situati due pilastri più alti, anch’essi a forma di T, con incisioni molto schematiche di figure umane: si possono distinguere occhi e braccia, e dei tratti che, forse, rappresentavano vestiti. È difficile stabilire con certezza l’identità degli esseri raffigurati, ma le loro dimensioni e la posizione che occupano al centro del complesso fanno pensare a delle divinità o comunque a persone che comandavano.

Vi è stato rinvenuto uno tra i più antichi esempi di costruzione in pietra (si suppone un tempio): datato al X millennio a.C., e dunque risalente come minimo a 11600 anni fa, poiché la datazione è stata ricavata dall'esame C-14 dello stucco organico (tipicamente conteneva un fango di paglie e fibre di fogliame) che ricopre alcuni muri del sito archeologico, ma che potrebbe anche essere stato applicato, o riapplicato, in altro momento successivo, anche a grande distanza di tempo dalla sua primordiale edificazione e quindi eventualmente anche più antico; la sua costruzione dovette interessare centinaia di uomini nell'arco di tre o cinque secoli. Le più antiche testimonianze architettoniche note in precedenza erano le ziqqurat sumere, datate 5000 anni più tardi. Oggigiorno è tra i più antichi siti archeologici che testimoniano una antica civiltà, assieme al sito "gemello" Karahan Tepe.

La datazione, confermata a 12.000 anni fa, mette in discussione la cronologia storica delle civiltà umane, così come finora ipotizzate. I manufatti artistici, in pietra scolpita, rivoluzionano la teoria scientifica che definiva tale tempo come quello di popolazioni nomadi dedite alla caccia ed alla raccolta di frutti selvatici. Non si è ancora scoperto il modo in cui i blocchi di pietra, gli obelischi monoliti e soprattutto le figure in altorilievo possano essere state scolpite (la metallurgia ufficialmente è iniziata circa 5 millenni dopo). Né si ha un'idea sul modo di trasporto dei gigantesche monoliti, estratti dalla cava situata ad un chilometro di distanza.

Intorno all'8000 a.C. il sito di Gobekli Tepe venne deliberatamente abbandonato e volontariamente sepolto con terra riportata dall'uomo.  

Göbekli Tepe è costituita da una collina artificiale alta circa 15 m e con un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città di Harran. Il sito utilizzato dall'uomo avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m².  

La valenza archeologica di questa località fu riconosciuta nel 1963 da un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività umana nell'età della pietra.

Il sito fu riscoperto trent'anni dopo da un pastore locale, che notò alcune pietre di strana forma che spuntavano dal terreno. La notizia arrivò al responsabile del museo della città di Şanlıurfa, che contattò il ministero, il quale a sua volta si mise in contatto con la sede di Istanbul dell'Istituto archeologico germanico. Gli scavi furono iniziati nel 1995 da una missione congiunta del museo di Şanlıurfa e dell'Istituto archeologico germanico sotto la direzione di Klaus Schmidt, che dall'anno precedente stava lavorando in alcuni siti archeologici della regione. Nel 2006 gli scavi passarono alle università tedesche di Heidelberg e di Karlsruhe.

Finora è stata portata alla luce solo una parte delle strutture del sito. Le prospezioni mostrano che si estende su nove ettari e che ci sono vari complessi ancora sepolti, forse una ventina. Alcuni di essi potrebbero essere più antichi di quelli studiati fino a oggi, che risalgono al X millennio a.C. Sarebbero quindi precedenti alle prime testimonianze di agricoltura. Lo studio degli edifici emersi dagli scavi sembra indicare un cambiamento: i più antichi sono formati da blocchi di dimensioni maggiori e con decorazioni più complesse, mentre quelli più recenti sono delimitati da mura rettangolari e le decorazioni sono più semplici. In entrambi i casi furono realizzati con la pietra calcarea proveniente da alcune cave distanti poche centinaia di metri. Considerata la rudimentale tecnologia disponibile all’epoca, il trasporto di blocchi del peso di diverse tonnellate non dovette rivelarsi un’impresa semplice. Un’opera di tale portata necessitava di un’organizzazione collettiva su larga scala, in un’epoca in cui i gruppi umani erano di dimensioni ridotte. La costruzione di Göbekli Tepe richiese quindi la cooperazione di differenti tribù e clan.

Sono inoltre stati rinvenuti inizialmente quattro recinti circolari, delimitati da enormi pilastri in calcare pesanti oltre 15 tonellate ciascuno, probabilmente cavati con l'utilizzo di strumenti in pietra. Secondo il direttore dello scavo le pietre, drizzate in piedi e disposte in circolo, simboleggerebbero assemblee di uomini. Al maggio 2020, sono stati escavati 40 circoli di pietra delimitati da imponenti colonnati, in numero di oltre 200 colonne di 6 metri e pesanti 15 tonnellate, ma ispezioni geologiche fanno presumere che questi circoli di pietra siano presenti a centinaia nella zona e quindi i lavori archeologici proseguono ancor oggi.

Sono state riportate in luce circa 40 pietre a forma di T, che raggiungono tra i 3 e i 6 metri di altezza. Per la maggior parte sono incise e vi sono raffigurati diversi animali (serpenti, anatre, gru, tori, volpi, leoni, cinghiali, vacche, scorpioni, formiche). Alcune incisioni vennero volontariamente cancellate, forse per preparare la pietra a riceverne di nuove. Sono inoltre presenti elementi decorativi, come insiemi di punti e motivi geometrici.

Indagini geomagnetiche hanno indicato la presenza di altre 250 pietre ancora sepolte nel terreno.

Un'altra pietra a forma di T, estratta solo a metà dalla cava, è stata rinvenuta a circa 1 km dal sito. Aveva una lunghezza di circa 9 m ed era probabilmente destinata al santuario, ma una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro.

Oltre alle pietre sono presenti sculture isolate, in argilla, molto rovinate dal tempo, che rappresentano probabilmente un cinghiale o una volpe. Confronti possono essere fatti con statue del medesimo tipo rinvenute nei siti di Nevalı Çori e di Nahal Hemar. Gli scultori dovevano svolgere la loro opera direttamente sull'altopiano del santuario, dove sono state rinvenute anche pietre non terminate e delle cavità a forma di scodella nella roccia argillosa, secondo una tecnica già utilizzata durante l'epipaleolitico per ottenere argilla per le sculture o per il legante argilloso utilizzato nelle murature.

Nella roccia sono anche presenti raffigurazioni di forme falliche, che forse risalgono ad epoche successive, trovando confronti nelle culture sumere e mesopotamiche (siti di Byblos, Nemrik, Helwan e Tell Aswad).  

Questo manufatto istantaneamente mette in discussione e si contrappone alle teorie precedenti che negavano la presenza di civiltà precedenti alla Sumera o Egizia in quanto secondo le ipotesi precedenti non sarebbe esistente alcun resto antecedente a queste note e studiate civiltà. I resti ritrovati risalenti come minimo ad oltre il decimo millennio prima dell'epoca moderna ed addirittura i siti "gemelli" anche antecedenti di alcuni secoli, sono evidenze scientifiche dimostrate con datazioni certe che ripropongono la discussione sulla nascita delle civiltà, agricoltura, simbolismo, religioni e organizzazioni sociali. Il famoso Zahi Hawass archeologo egittologo e Segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità egizie in alcuni dibattiti, presenti su YouTube, Facebook e Twitter, ha negato la rilevanza di Gobekli Tepe ed addirittura ha messo in dubbio più volte la sua esistenza.

Le raffigurazioni di animali hanno permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico, antecedente ai culti organizzati in pantheon di divinità delle culture sumera e mesopotamiche.

Lo studio degli strati di detriti accumulati sul fondo del lago di Van in Anatolia ha prodotto importanti informazioni sui cambiamenti climatici del periodo, individuando una consistente crescita della temperatura intorno al 9500 a.C. I resti di pollini presenti nei sedimenti hanno permesso di ricostruire una flora composta da querce, ginepri e mandorli. Fu forse il cambiamento climatico a determinare una progressiva sedentarizzazione delle genti che costruirono il sito. All'inizio degli anni novanta lo studioso di preistoria Jacques Cauvin ha ipotizzato che lo sviluppo delle concezioni religiose avrebbe costituito una spinta alla sedentarizzazione, spingendo gli uomini a raggrupparsi per celebrare riti comunitari. Questa ipotesi ribalta completamente la concezione seguita fino a questo momento dagli studiosi, secondo cui la religione si sarebbe sviluppata solo in seguito al formarsi di insediamenti stabili causati dalla nascita dell'agricoltura.

La presenza di una così grande struttura monumentale, dimostra che anche precedentemente allo sviluppo dell'agricoltura e nell'ambito di un'economia di caccia e raccolta, gli uomini possedevano mezzi sufficienti per erigere strutture monumentali. Secondo il direttore dello scavo fu proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di questa struttura a favorire uno sfruttamento pianificato delle risorse alimentari e di conseguenza lo sviluppo delle prime pratiche agricole, ribaltando quindi di nuovo le ipotesi finora seguite. Il sito si trova infatti nella regione della Mezzaluna fertile, dove era presente naturalmente il grano selvatico, che poi gli uomini addomesticarono dando vita ai primi esperimenti agricoli.

Nessuna traccia di piante o animali domestici è stata tuttavia rinvenuta negli scavi, e mancano inoltre resti di abitazioni. A circa 4 m di profondità, ossia ad un livello corrispondente a quello della costruzione del santuario, sono state rinvenute tracce di strumenti in pietra (raschiatoi e punte per frecce), insieme ad ossa di animali selvatici (gazzelle e lepri), semi di piante selvatiche e legno carbonizzato, che testimoniano la presenza in questo periodo di un insediamento stabile.

Klaus Schmidt in Costruirono i primi templi, come proposta di tipo speculativo, lascia intendere che la civiltà sviluppata nella provincia di Urfa, che aveva qui uno dei suoi principali templi noti (definibile anche come archetipo di anfizionia, o "anfizionia dell'età della pietra"), sarebbe stata trasfigurata nel mito dei monti di Du-Ku della cosmogonia sumera: in questi monti sarebbero esistite le prime divinità (non dotate di nomi individuali, ma semplici spiriti, retaggio degli spiriti sciamanici) e i Sumeri ritenevano che l'uomo vi avesse appreso l'agricoltura, l'allevamento e la tessitura (vi sono forti indizi che almeno i primi due di questi elementi siano effettivamente comparsi in questa zona verso la fine, o comunque durante, la costruzione del complesso megalitico).  

Gli archeologi si sono interrogati a lungo riguardo a quale fosse la funzione di Göbekli Tepe. Lo scopritore del sito, Klaus Schmidt, non aveva dubbi: si trattava di un centro religioso eretto da gruppi di cacciatori-raccoglitori che vi si recavano periodicamente in pellegrinaggio per celebrare un rituale di qualche tipo. Quest’interpretazione significava mettere in discussione molte idee consolidate. Le altre costruzioni megalitiche conosciute sono molto più tarde – Stonehenge, per esempio, risale al III millennio a.C. – e sono opera di società agricole complesse, dotate di un sistema di credenze religiose che ne garantiva la coesione. Se gli edifici di Göbekli Tepe sono stati invece costruiti da gruppi di cacciatori-raccoglitori, questo implicherebbe che la religione si è sviluppata prima dell’agricoltura.

Ma esistono anche altre teorie. Secondo l’antropologo canadese Ted Banning, il complesso potrebbe essere un insediamento permanente, sul modello degli spazi collettivi organizzati attorno a totem scoperti lungo la costa nord-occidentale degli Stati Uniti. Ma questa teoria alternativa non chiarisce il ritrovamento di utensili in pietra di diversa origine, alcuni dei quali prodotti a notevole distanza dal sito. La presenza di questi reperti è meglio spiegata dall’ipotesi che Göbekli Tepe fosse un centro di pellegrinaggio per differenti gruppi di cacciatori-raccoglitori. Un’altra difficoltà che devono affrontare i sostenitori della teoria dell’insediamento permanente è che non si sa con certezza se le strutture ritrovate a Göbekli Tepe fossero coperte. Alcuni esperti sostengono di sì, in base alla disposizione dei pilastri e ad altre ragioni strutturali, e soprattutto perché gli edifici più recenti mostrano delle suddivisioni interne che fanno pensare a delle stanze.

Anche il ritrovamento di un gran numero di ossa di animali destinati al consumo potrebbe andare a favore dell’ipotesi dell’insediamento. Secondo Klaus Schmidt si tratta invece di resti di banchetti rituali, il che implica che Göbekli Tepe ospitava quanto meno una sorta di clero.   

Il giacimento solleva ancora molti interrogativi, per esempio in merito alla causa del suo abbandono. A questo proposito si è ipotizzato che gli edifici venissero interrati ritualmente quando perdevano il loro potenziale magico, oppure alla morte di qualche personaggio importante, come un capo clan e, successivamente, se ne costruissero di nuovi. Secondo una teoria più recente l’abbandono non era intenzionale, ma provocato da frane ed erosioni. I templi di Göbekli Tepe non sono un caso isolato. In vari siti anatolici sono state scoperte strutture simili. A Nevalı Çori – insediamento che potrebbe essere sorto in seguito all’abbandono definitivo di Göbekli Tepe – sono stati trovati dei pilastri a forma di T. Il repertorio iconografico di Göbekli Tepe ricorre poi nelle sculture di serpenti e cinghiali di Nevalı Çori o nelle figure di avvoltoi di Nahal Hemar (Israele) e Gerico (Cisgiordania). Tutto questo indica l’esistenza di uno sfondo religioso comune che si sviluppò durante la rivoluzione neolitica e favorì la formazione di gruppi molto più grandi dei semplici nuclei familiari o dei clan. Fu proprio questo orizzonte condiviso che nel X millennio a.C. permise la comparsa, in un angolo dell’Anatolia, di quello che fu probabilmente il primo tempio della storia.