Collina di Arslantepe 
Turchia

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2021

    

Arslantepe sorge nel villaggio di Orduzu, nella piana di Malatya in Anatolia Orientale, un'oasi nella catena dell'Antitauro, a circa 15 chilometri dalla riva destra dell'Eufrate e a 6 chilometri dalla città moderna di Malatya.

In turco Arslan-tepe significa “collina del leone” o “dei leoni”: il nome deriva dalle due statue dei leoni in pietra, già individuate a inizio novecento da viaggiatori di passaggio, che emergevano sulla sua sommità. I leoni, insieme alla grande statua di un re e a una serie di altri bassorilievi avevano ornato una porta di accesso alla città neo-ittita del I millennio a.C. Portati alla luce da una missione archeologica francese guidata negli anni trenta del novecento da Louis Delaporte, i leoni, la statua e i bassorilievi sono esposti oggi al Museo delle civiltà anatoliche di Ankara.

Il sito è stato occupato ininterrottamente a partire almeno dal V millennio a.C. fino all’età romana e bizantina, quando diventa un piccolo villaggio agricolo (IV-VI sec. d.C.), mentre viene edificato il grande castrum di Melitene in posizione più vicina al corso dell’Eufrate (attuale cittadina di Eski Malatya). L’affascinante storia stratificata di quest’area è racchiusa nella lunghissima successione di abitati che, sovrapponendosi uno all’altro nel corso di millenni, hanno formato la grande collina artificiale di Arslantepe (“collina dei leoni”), alta circa 30 metri e con una superficie totale di 4 ettari.

Ad Arslantepe, i primi scavi furono condotti dall'archeologo francese L. Delaporte tra il 1932 e il 1939. Dopo il secondo conflitto mondiale le indagini furono riprese brevemente da Claude F. A. Schaeffer.  

Qui dal 1961 opera la Missione Archeologica Italiana in Anatolia Orientale, a circa 15 chilometri dalla riva destra dell’Eufrate e a 6 chilometri dalla città moderna.

Allora si sapeva che, oltre alla città di epoca ittita e alla successiva neo-ittita, Arslantepe nascondeva importanti resti molto più antichi. Lungo il margine sud-occidentale del tell si era scoperto un edificio templare in mattoni crudi della fine del IV millennio a.C. Le indagini avevano evidenziato che il tempio non era isolato, ma faceva parte di un complesso di edifici pubblici ben più ampio. Questo si estendeva sotto un accumulo di oltre dieci metri di livelli di epoche successive: ci vollero molti decenni per portarlo alla luce su un’ampia superficie. 

A mano a mano che venivano scoperti e ripuliti dai loro stessi crolli, gli edifici apparivano monumentali e straordinariamente ben conservati. E tutto ciò nonostante si trattasse di strutture in mattoni crudi, per loro natura molto fragili, ricoperti da altrettanto fragili strati di intonaco bianco, ancora miracolosamente al suo posto dopo più di 5mila anni. E fu straordinaria l’emozione quando, ripulendo due di questi muri, sotto varie mani di intonaco bianco apparvero dei bellissimi dipinti con figure rosse e nere. L’intervento immediato di restauratori specialisti permise di portare alla luce ampie superfici con decorazioni pittoriche e plastiche, ancora conservate nonostante l’estrema fragilità del supporto (fango) e della pittura (ocra e carbone). 

I dipinti raffiguravano in modo schematizzato personaggi o scene che trasmettevano un forte messaggio ideologico a chi entrava. Nell’ultima fase di vita degli edifici la cancellazione dei dipinti con mani di intonaco bianco aveva permesso la loro conservazione. Il lavoro di restauro fatto permette oggi anche ai visitatori di fruirne e condividere l’emozione che provammo quando li vedemmo per la prima volta, sapendo che nessuno per millenni lo aveva più fatto.

Quello che oggi è riconosciuto come il più antico esempio di un vero e proprio “palazzo”, che anticipa di quasi un millennio i più noti palazzi vicino-orientali del III millennio a.C. (come quello di Mari, nell’attuale Siria) è formato da un vasto complesso di edifici monumentali, datati tra il 3400 e il 3100 a.C. Si tratta di un insieme unitario di strutture pubbliche e residenziali connesse l’una all’altra e dislocate su più terrazzi lungo il pendio della collina. Intorno al 3100 a.C. il palazzo fu distrutto da un violento incendio che permise la conservazione, sotto i crolli, di abbondantissimi materiali sui pavimenti: ceramiche, metalli, impressioni di sigillo su argilla, resti di materiale vegetale carbonizzato e numerose ossa animali, ovvero gli avanzi del cibo. Il loro studio ha consentito di ricostruire la vita e le attività economiche del palazzo e le funzioni degli edifici. Sono stati così individuati due templi, alcuni magazzini centrali, cortili, edifici di rappresentanza e aree in cui si svolgevano attività amministrative o nelle quali il materiale amministrativo (essenzialmente impressioni di sigillo) veniva tenuto per la contabilità.     

Qui le prime élite controllavano o coordinavano l’economia di base della popolazione in modo regolare e sistematico, impiegando forza-lavoro e ricompensandola con cibo, accumulato nei magazzini e distribuito in grandi quantità in ciotole prodotte in serie. Le migliaia di impressioni di sigillo ritrovate costituiscono una documentazione unica della nascita di un sistema amministrativo centrale e della burocrazia prima della scrittura. La stretta relazione simbolica tra le funzioni del leader e le attività economiche è evidente in una delle rappresentazioni pittoriche sulla parete del corridoio del palazzo e su un sigillo cilindrico. Entrambi riproducono probabili scene collegate all’agricoltura: l’aratro trainato da buoi che esce dal palazzo nel dipinto, e un personaggio eminente seduto su una tipica slitta da trebbia trainata da un bovino, e seguita da una processione di uomini con forcone, sul sigillo.  

LA SALA DELLE "UDIENZE" - Le scoperte fatte tra il 2014 e il 2016 (gli scavi vengono finanziati fin dall’inizio dall’Università La Sapienza e dal ministero degli affari esteri) hanno portato alla luce un grande cortile cui conduceva il corridoio principale di accesso e su cui si affacciava un edificio monumentale. Solo una piccola stanza di questo edificio comunicava con la corte mediante un’ampia apertura ed era occupata quasi interamente da un basamento in argilla con tre gradini, su cui resti bruciati in legno di ginepro di non grandi dimensioni indicano la presenza di un possibile trono ligneo. 

Davanti al podio due basse pedane d’argilla erano forse punti di sosta per chi si presentava al cospetto del leader, che probabilmente qui dava udienza al pubblico, esercitando, forse per la prima volta, un’autorità esplicitamente laica, senza mediazioni cultuali o religiose. Ne è prova il fatto che, mentre gli edifici pubblici del periodo precedente consistevano in due grandi templi, in cui avveniva una distribuzione cerimoniale di pasti in contesto sacro (con centinaia di ciotole sparse intorno al podio-altare), l’edificio “delle udienze” non consentiva l’accesso al pubblico e non aveva né ciotole né attrezzature cultuali religiose. L’edificio comunicava alle spalle con strutture residenziali d’élite che, quindi, proprio come nei palazzi successivi, facevano parte integrante del complesso monumentale.     

Il palazzo di Arslantepe ha rivoluzionato alcune delle conoscenze tradizionali sulla nascita delle prime civiltà urbane e statuali. Da un lato, dimostra che il centro di gestazione di questi fenomeni non fu solo la Mesopotamia, ma tutte le regioni gravitanti attorno al Tigri e all’Eufrate, fino alle montagne dell’Anatolia. Dall’altro, evidenzia che il sistema di governo incentrato sui palazzi nacque già alla fine del IV millennio a.C., in un’area considerata periferica rispetto al mondo mesopotamico. Per ultimo, il fatto che Arslantepe non fosse una grande città testimonia che nascita dello stato e urbanizzazione non furono sempre fenomeni associati.

Queste colline sono il risultato della distruzione di case, villaggi e città, costruiti con mattoni di terra seccati al sole, che tornavano ad essere terra quando gli edifici crollavano. Ogni città distrutta veniva poi ricostruita sulle macerie spianate della precedente, e tutte le successive fasi di distruzione si accumulavano in grandi depositi che crescevano, epoca dopo epoca, formando le “colline”. Gli archeologi sfogliano queste colline, strato per strato, livello per livello, ricomponendo i frammenti del nostro passato. Arslantepe è una di queste colline. 

Il nome antico del sito era Malitiya nelle fonti ittite, Melid, Meliddu o Meliteya in quelle neoassire ed urartee. Ma la lunga storia di Arslantepe inizia almeno dal VI millennio a.C. (periodo di Halaf) e continua ininterrotta fino alla fine del VIII sec. a.C., quando, nel 712 a.C., Sargon II di Assiria conquistò e distrusse la città. All’epoca neo-ittita (XII-VIII sec. a.C.) si data un palazzo, portato alla luce nella parte settentrionale del tepe, di cui furono esposti l’ingresso con la famosa Porta dei leoni e un cortile lastricato con bellissimi bassorilievi, oggi conservati al Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara insieme alla gigantesca statua di un re di Melid, trovata abbattuta davanti all’ingresso del palazzo. 

Dopo un periodo di abbandono, l’abitato fu rioccupato come semplice villaggio rurale in età tardo romana e bizantina e riutilizzato come cimitero alla fine di questo periodo. 

Lo Stato, la burocrazia, le differenze di classe, il lavoro dipendente e “salariato” non sono categorie sociali che sono sempre esistite, ma si originano, ad un certo punto della storia umana, da un remoto passato di uguaglianza sociale e di autosufficienza economica, caratteristico delle più antiche società neolitiche. Il Vicino Oriente e’ stato teatro primario di queste trasformazioni. 

La Mesopotamia richiama per tutti dai vecchi libri di scuola l’idea di “culla delle civiltà”, ma le recenti indagini e scoperte archeologiche hanno enormemente arricchito il quadro delle conoscenze tradizionali su questi temi, permettendo oggi di conoscere molto più a fondo la storia di queste trasformazioni, ma soprattutto dimostrando che le aree geografi che interessate sono state più ampie della sola Mesopotamia in senso stretto. In particolare, un ruolo propulsivo nelle dinamiche di trasformazione verso le tappe cruciali che hanno segnato il cammino delle società umane ha avuto l’Anatolia orientale, dove ha avuto luogo anche la prima grande rivoluzione verso la nascita dell’agricoltura e l’insediarsi delle comunità in villaggi sedentari. Le scoperte di Arslantepe mostrano la successiva e fondamentale tappa verso la formazione di società complesse e stratificate con organismi di governo centrale, ossia verso lo Stato. 

Il sito fu uno dei primi centri proto-urbani, il più importante e significativo dell’Anatolia orientale e l’unico al mondo a presentare ancora in piedi gli edifici in cui presero forma le prime organizzazioni statali, nonché uno dei più antichi sistemi politici ed economici centralizzati. Il complesso palaziale, distrutto da un violento incendio, conservava sotto le macerie dei crolli dei possenti muri di terra cruda, tutti gli oggetti e i resti materiali delle attività che all’interno di questi edifici si svolgevano al momento della loro distruzione. Uno scavo accurato e attentissimo di questi edifici e del loro contenuto ha permesso di ricomporre i “frammenti di quel passato” e di costruire ipotesi sul modo di funzionare di quel sistema e sulle dinamiche della sua formazione. 

I muri, rimasti in piedi per un’altezza di 2/2,50 m, conservano gli intonaci originali bianchi e straordinarie pitture in rosso e nero con scene figurate, portate in luce, restaurate e conservate in loco. Le pitture costituiscono reperti unici per lo stile, per ciò che raccontano e per lo stato di conservazione. Le indagini attraverso 30 m di strati di rovine che si sono accumulati nel corso di circa 7 millenni, durante i quali villaggi e città sono stati edificati, distrutti e poi nuovamente edificati formando la “collina”, hanno permesso agli archeologi da un lato di ricostruire la storia di questa cruciale regione dell’Alto Eufrate, punto di incontro e di scontro delle più grandi civiltà del Vicino Oriente, dall’altro di comprendere i processi che hanno determinato la nascita delle gerarchie sociali e del potere, originando lo Stato e la società urbana. 

Gli scavi hanno portato in luce, su un’area di più di 2000 mq., vari edifici imponenti dagli spessi muri in mattoni crudi, diversi per forma e per funzione, ma uniti da un unico progetto, in cui si può riconoscere un vero e proprio insieme armonico: il “palazzo” . Questo era stata la sede di varie attività pubbliche, religiose, economiche, politiche e amministrative, gestite dalle istituzioni centrali nascenti. 

Al complesso palaziale si accedeva da sud attraverso una porta monumentale a camera rettangolare e un lungo corridoio, che, seguendo in salita il pendio della collina antica, dava accesso ai vari settori, dislocati su più terrazzi: sulle parti alte si trovavano gli edifici di culto e di rappresentanza, mentre nelle zone basse erano situate le aree per le funzioni economicoamministrative.

LA PORTA - La Porta costituiva un vano monumentale con le caratteristiche di struttura difensiva e forse anche luogo di sosta. Sul lato sinistro del vano, due piattaforme, una all’esterno dell’ingresso e una all’interno, potevano esser servite da posti di guardia. Quattro grossi buchi di palo sulle due pareti indicano l’esistenza di una possente intelaiatura lignea collegata alla porta. Il Complesso Palatino Proseguendo lungo il corridoio, si accedeva ad un complesso di stanze adibite all’immagazzinamento e alla distribuzione di derrate alimentari. 

Nel palazzo di Arslantepe la gestione centralizzata dell’economia si basava sullo sfruttamento della forza lavoro più che sull’accumulazione di prodotti: i magazzini del palazzo erano piuttosto piccoli, e vi era stato un intenso movimento quotidiano di derrate alimentari. 

Cosa conservavano e distribuivano i magazzini? All’interno dei magazzini non sono state trovate granaglie, ma solo pochi semi frammentari di grano e orzo, forse residui della acinatura. I numerosi contenitori di varie forme e dimensioni ci dicono però che i beni immagazzinati erano prodotti alimentari, evidentemente già trasformati in cibo elaborato o farina, o in liquidi. Un gruppetto di vinaccioli d’uva conservati in una ciotola costituisce una delle più antiche testimonianze della domesticazione della vite e potrebbe indicare l’inizio della vinificazione. 

Anche la carne doveva essere distribuita, come suggerisce la grande abbondanza di ossa animali trovate nel magazzino piccolo. 

Le due stanze-magazzino avevano funzioni diverse: 

Il magazzino più grande, dotato di un solo accesso dalla stanza centrale e di due finestrelle per la presa d’aria e di luce, era, un vero e proprio deposito di derrate: conteneva, infatti, quasi esclusivamente vasi da conservazione (giare, grandi olle e bottiglie) e serviva forse a rifornire il magazzino più piccolo, man mano che questo si svuotava. 

Il magazzino più piccolo, che al contrario comunicava anche con il cortile interno del palazzo, aveva un contenuto più vario: insieme a pochi grandi contenitori, vi si trovavano pentole, tre macine per il grano e soprattutto centinaia di ciotole e centinaia di cretule (sigillature dei vasi). Le ciotole erano state quasi certamente usate per la distribuzione di pasti a lavoratori che prestavano la loro opera per il palazzo. Le cretule indicano l’uso di sigillare i contenitori ad ogni prelievo e dimostrano che questa redistribuzione avveniva sotto un rigoroso controllo amministrativo. 

Nella stanza centrale che dava acceso ai due veri e propri magazzini, due figure umane o antropomorfe stilizzate erano dipinte ai due lati di una porta che originariamente comunicava con il cortile interno del palazzo, e che era stata poi bloccata e trasformata in una nicchia. Queste pitture riproducevano una figura forse femminile a sinistra ed una sicuramente maschile a destra, in piedi con le mani alzate forse in atteggiamento da orante, dietro a un tavolo o altare, e sovrastate da un baldacchino o tetto riccamente ornato. I grandi occhi e i capelli o “fiamme” rosse e nere che si dipartono dalla testa danno a questi personaggi un aspetto inquietante, lasciando degli interrogativi sulla loro interpretazione: divinità, sacerdoti-sciamani, figure mitiche? 

Un altro esteso complesso pittorico decorava il tratto più interno del corridoio del palazzo. Qui sono rappresentati in modo molto schematico due tori forse legati al giogo, che trainano un carro guidato da un cocchiere. Il carro sembra uscire da un edificio molto stilizzato (forse il palazzo). Alcuni elementi caratteristici della scena (i bovini da trasporto, l’impugnatura ad anello delle redini, il cocchiere) ricorrono, in stile diverso, sull’impressione di uno dei sigilli di Arslantepe, come pure su un sigillo dalla grande città mesopotamica di Uruk, entrambi interpretati come scene di trebbiatura rituale. Ciò sottolineerebbe, da un lato, il legame simbolico tra la figura del capo e le pratiche agricole, dall’altro, il richiamo alle ideologie del potere della civiltà mesopotamica. Sulle pareti del corridoio e in altri punti del palazzo, i muri erano stati decorati anche imprimendo uno stampo romboidale sull’intonaco ancora fresco. Ne risultava una bella decorazione plastica a file di rombi concentrici. 

La cretula era un grumo di argilla usato per sigillare le chiusure dei contenitori e sul quale veniva poi apposto un sigillo da parte del funzionario o della persona responsabile. La sua duplice funzione di garanzia della sicurezza dei beni (l’integrità della cretula garantiva che il contenitore non era stato aperto) e di documento delle transazioni avvenute (il sigillo impresso era la “firma” di chi aveva prelevato il bene) la resero un elemento indispensabile nella gestione dell’economia di palazzo. La cretula, in assenza di scrittura, serviva a mantenere la memoria delle operazioni compiute e pertanto, dopo la sua rimozione, veniva conservata per la contabilità. 

2.200 di queste cretule recavano ancora l’impronta riconoscibile di bellissimi sigilli. Esse, oltre che nel magazzino, sono state trovate in grandi e piccoli accumuli all’interno degli edifici, gettate tutte insieme nei riempimenti di stanzette o spazi non più in. In particolare, circa 2000 cretule sono state trovate gettate in una successione ordinata di straterelli di rifiuti, all’interno di uno stretto vano ricavato nel muro del corridoio del palazzo, di fronte ai magazzini. Questo accumulo rappresentava lo scarto finale di cretule precedentemente raccolte, ordinate e contabilizzate alla fine di uno o più periodi amministrativi. Queste cretule avevano sigillato anche le porte dei magazzini, indicando la presenza di funzionari con diverso grado di responsabilità. Solo 28 funzionari su 127 avevano, infatti, apposto il loro sigillo sulle porte e, tra questi, solo 5 avevano avuto la responsabilità della sigillatura di più di una porta. Esisteva dunque ad Arslantepe una gerarchia di funzionari con diverso rango nell’amministrazione. 

Il ruolo dell’ideologia religiosa nella vita pubblica era forte, anche se il palazzo nel suo complesso testimonia una tendenza a “laicizzare” il potere. I due templi erano piuttosto piccoli e chiusi verso l’esterno. Alla sala di culto si accedeva solo attraverso una stanza laterale ed essa comunicava direttamente con l’esterno solo attraverso due finestre. La sala principale aveva attrezzature per il culto: un altare sulla parete di fondo, due podi per offerte al centro, adiacenti ad un ampio focolare, e, nel tempio B, anche una bassa piattaforma sul lato lungo, di fronte alle due finestre. Piccoli tavolini d’argilla, miracolosamente conservati, dovevano anch’essi essere stati adibiti a pratiche cultuali. E’ possibile che solo i sacerdoti o personale autorizzato entrassero nella cella , mentre il resto della popolazione doveva fermarsi all’esterno o nella stanza di entrata, dove solo si trovavano decorazioni delle pareti. 

Dodici lance e nove spade di rame arsenicato sono state trovate in una delle stanze del palazzo insieme ad una placca a quadrupla spirale, forse da cinturone. Le armi originariamente erano appese alla parete di fondo della stanza, a simboleggiare il nuovo tipo nascente di potere militare. Le spade sono il primo esempio in assoluto dell’uso di quest’arma, che non ha riscontro in altri siti fino a quasi mille anni dopo. Delle nove spade di Arslantepe, tre avevano l’elsa decorata da agemina d’argento, in un caso associata ad una decorazione incisa. La presenza combinata di spade e lance indica lo sviluppo embrionale di un sistema organizzato di combattimento. L’uso sapiente del metallo mostrato dalle armi indica un notevole sviluppo della tecnologia metallurgica e la sperimentazione di tecniche raffinate per la produzione di differenti metalli (rame, piombo, argento, oro) e leghe. Il prodotto più diffuso fu una combinazione di rame e arsenico, che produceva un metallo somigliante al bronzo. Grande perizia mostra anche la raffinata agemina d’argento usata per decorare l’elsa di alcune spade. 

In questo periodo, Arslantepe divenne uno dei poli di un’ampia rete di relazioni che legava le montagne dell’Anatolia orientale, ricche di materie prime, tra cui metalli, alla Mesopotamia, che invece ne era priva. Il sito mantenne tuttavia il carattere locale della propria cultura. La ceramica adottò in parte stili e tecniche di tipo meridionale, ma il repertorio vascolare mantenne caratteristiche originali. Rari sono i vasi importati o imitati in modo fedele. Arslantepe ampliò le sue relazioni anche verso le regioni anatoliche del nord e del nord-est, come indicato da una nuova bellissima ceramica fatta a mano di colore nero lucido tipica di quelle regioni. 

SCAMBI, CONFLITTI E CRISI - Attorno al 3000 a.C., il palazzo fu distrutto da un incendio e non verrà mai più ricostruito. Ma Arslantepe non perde la sua centralità simbolica e politica nella regione, ed i continui cambiamenti di uso e destinazione dell’insediamento sottolineano come il sito sia diventato, all’inizio del Bronzo Antico, un luogo di contesa/competizione e confronto tra nuove entità politiche e tra mondi culturali differenti. 

Le temporanee occupazioni di capanne in legno e fango, costruite sopra le rovine del palazzo, testimoniano passaggi di gruppi pastorali di cultura e tradizioni diverse dalle precedenti e fortemente collegate alla cultura Kura-Araks del Caucaso meridionale. Subito dopo queste occupazioni, la costruzione di una tomba di un capo-guerriero, evidenzia nuovamente, sia nel rituale che nel ricco corredo, la forte influenza che le culture caucasiche esercitano sulla regione. 

L’abbandonza di armi in metallo del corredo, sottolinea inoltre radicali cambiamenti nella natura dei poteri e che in questo momento la forza politica è inscindibilmente legata alle attività della guerra. Infine, la successiva costruzione di un imponente muro in mattoni crudi sulla parte più alta della collina crea una cittadella fortificata attorno alla quale si organizzerà un piccolo villaggio di agricoltori. 

Ma in questo caso, ceramica e metallurgia mostrano invece forti affinità con le culture dell’ Anatolia sud-orientale e della Siria. Attorno al 2800 a.C. un incendio distruggerà il grande muro ed il villaggio, segnando la definitiva interruzione dei rapporti tra Arslantepe e le regioni a sud delle montagne del Tauro.