Arslantepe
sorge nel villaggio di Orduzu, nella piana di Malatya in
Anatolia Orientale, un'oasi nella catena dell'Antitauro, a circa 15
chilometri dalla riva destra dell'Eufrate e a 6 chilometri dalla
città moderna di Malatya.
In
turco Arslan-tepe significa “collina del leone” o “dei leoni”:
il nome deriva dalle
due statue dei leoni in pietra, già individuate a inizio
novecento da viaggiatori di passaggio, che emergevano sulla sua sommità.
I leoni, insieme alla grande statua di un re e a una serie di altri
bassorilievi avevano ornato una
porta di accesso alla città neo-ittita del I millennio a.C. Portati
alla luce da una missione archeologica francese guidata negli anni
trenta del novecento da Louis Delaporte, i leoni, la statua e i
bassorilievi sono esposti oggi al Museo delle civiltà anatoliche di
Ankara.
Il
sito è stato occupato ininterrottamente a partire almeno dal V
millennio a.C. fino all’età romana e bizantina, quando diventa un
piccolo villaggio agricolo (IV-VI sec. d.C.), mentre viene edificato il
grande castrum di Melitene in posizione più vicina al corso
dell’Eufrate (attuale cittadina di Eski Malatya). L’affascinante
storia stratificata di quest’area è racchiusa nella lunghissima
successione di abitati che, sovrapponendosi uno all’altro nel corso di
millenni, hanno formato la grande collina artificiale di Arslantepe
(“collina dei leoni”), alta circa 30 metri e con una superficie
totale di 4 ettari.
Ad
Arslantepe, i primi scavi furono condotti dall'archeologo francese L.
Delaporte tra il 1932 e il 1939.
Dopo il secondo conflitto mondiale le indagini furono riprese brevemente
da Claude F. A. Schaeffer.
Qui
dal 1961 opera la Missione Archeologica Italiana in Anatolia Orientale,
a circa 15 chilometri dalla riva destra dell’Eufrate e a 6 chilometri
dalla città moderna.
Allora
si sapeva che, oltre alla città di epoca ittita e alla successiva
neo-ittita, Arslantepe nascondeva importanti resti molto più antichi.
Lungo il margine sud-occidentale del tell si era scoperto un
edificio templare in mattoni crudi della fine del IV millennio a.C. Le
indagini avevano evidenziato che il tempio non era isolato, ma faceva
parte di un complesso di edifici pubblici ben più ampio. Questo si
estendeva sotto un accumulo di oltre
dieci metri di livelli di epoche successive: ci vollero
molti decenni per portarlo alla luce su un’ampia superficie.
A
mano a mano che venivano scoperti e ripuliti dai loro stessi crolli, gli
edifici apparivano monumentali e straordinariamente
ben conservati. E tutto ciò nonostante si trattasse di
strutture in mattoni crudi, per loro natura molto fragili, ricoperti da
altrettanto fragili strati di intonaco bianco, ancora miracolosamente al
suo posto dopo più di 5mila anni. E fu straordinaria l’emozione
quando, ripulendo due di questi muri, sotto varie mani di intonaco
bianco apparvero dei
bellissimi dipinti con figure rosse e nere. L’intervento
immediato di restauratori specialisti permise di portare alla luce ampie
superfici con decorazioni pittoriche e plastiche, ancora conservate
nonostante l’estrema
fragilità del supporto (fango) e della pittura (ocra e carbone).
I
dipinti raffiguravano in modo schematizzato personaggi o scene che
trasmettevano un forte messaggio
ideologico a chi entrava. Nell’ultima fase di vita degli
edifici la cancellazione dei dipinti con mani di intonaco bianco aveva
permesso la
loro conservazione. Il lavoro di restauro fatto permette
oggi anche ai visitatori di fruirne e condividere l’emozione che
provammo quando li vedemmo per la prima volta, sapendo che nessuno per
millenni lo aveva più fatto.

Quello
che oggi è riconosciuto come il più
antico esempio di un vero e proprio “palazzo”, che
anticipa di quasi un millennio i più noti palazzi vicino-orientali del
III millennio a.C. (come quello di Mari, nell’attuale Siria) è
formato da un vasto complesso di edifici monumentali, datati
tra il 3400 e il 3100 a.C. Si tratta di un insieme unitario
di strutture pubbliche e residenziali connesse l’una all’altra e
dislocate su più terrazzi lungo il pendio della collina. Intorno al
3100 a.C. il
palazzo fu distrutto da un violento incendio che permise la
conservazione, sotto i crolli, di abbondantissimi materiali sui
pavimenti: ceramiche, metalli, impressioni di sigillo su argilla, resti
di materiale vegetale carbonizzato e numerose ossa animali, ovvero gli
avanzi del cibo. Il loro studio ha consentito di ricostruire
la vita e le attività economiche del palazzo e le funzioni
degli edifici. Sono stati così individuati due templi, alcuni magazzini
centrali, cortili, edifici di rappresentanza e aree in cui si svolgevano
attività amministrative o nelle quali il materiale amministrativo
(essenzialmente impressioni di sigillo) veniva tenuto per la contabilità.
Qui
le prime élite controllavano
o coordinavano l’economia di base della popolazione in
modo regolare e sistematico, impiegando forza-lavoro e ricompensandola
con cibo, accumulato nei magazzini e distribuito in grandi quantità in
ciotole prodotte in serie. Le migliaia di impressioni di sigillo
ritrovate costituiscono una
documentazione unica della nascita di un sistema
amministrativo centrale e della burocrazia prima della scrittura. La
stretta relazione simbolica tra le funzioni del leader e le attività
economiche è evidente in
una delle rappresentazioni pittoriche sulla parete del
corridoio del palazzo e su un sigillo cilindrico. Entrambi riproducono
probabili scene collegate all’agricoltura: l’aratro trainato da buoi
che esce dal palazzo nel dipinto, e un personaggio eminente seduto su
una tipica slitta da trebbia trainata da un bovino, e seguita da
una processione di uomini con forcone, sul sigillo.
LA
SALA DELLE "UDIENZE" - Le scoperte fatte tra il 2014 e il
2016 (gli scavi vengono finanziati fin dall’inizio dall’Università
La Sapienza e dal ministero degli affari esteri) hanno portato alla luce un
grande cortile cui conduceva il corridoio principale di
accesso e su cui si affacciava un edificio monumentale. Solo una piccola
stanza di questo edificio comunicava con la corte mediante un’ampia
apertura ed era occupata quasi interamente da un basamento in argilla
con tre gradini, su cui resti
bruciati in legno di ginepro di non grandi dimensioni
indicano la presenza di un possibile trono ligneo.
Davanti
al podio due basse pedane d’argilla erano forse punti di sosta per chi
si presentava al
cospetto del leader, che probabilmente qui dava udienza al
pubblico, esercitando, forse per la prima volta, un’autorità
esplicitamente laica, senza
mediazioni cultuali o religiose. Ne è prova il fatto che,
mentre gli edifici pubblici del periodo precedente consistevano in due
grandi templi, in cui avveniva una distribuzione cerimoniale di pasti in
contesto sacro (con centinaia di ciotole sparse intorno al
podio-altare), l’edificio “delle udienze” non consentiva
l’accesso al pubblico e non aveva né ciotole né
attrezzature cultuali religiose. L’edificio comunicava
alle spalle con strutture residenziali d’élite che, quindi, proprio
come nei palazzi successivi, facevano parte
integrante del complesso monumentale.
Il
palazzo di Arslantepe ha rivoluzionato alcune delle conoscenze
tradizionali sulla nascita delle prime civiltà urbane e statuali. Da un
lato, dimostra che il centro di gestazione di questi fenomeni non fu
solo la Mesopotamia, ma tutte
le regioni gravitanti attorno al Tigri e all’Eufrate, fino
alle montagne dell’Anatolia. Dall’altro, evidenzia che il sistema di
governo incentrato sui palazzi nacque già alla fine del IV millennio
a.C., in un’area considerata periferica rispetto al mondo
mesopotamico. Per ultimo, il fatto che Arslantepe non fosse una grande
città testimonia che nascita dello stato e urbanizzazione non
furono sempre fenomeni associati.

Queste
colline sono il risultato della distruzione di case, villaggi e città,
costruiti con mattoni di terra seccati al sole, che tornavano ad essere
terra quando gli edifici crollavano. Ogni città distrutta veniva poi
ricostruita sulle macerie spianate della precedente, e tutte le
successive fasi di distruzione si accumulavano in grandi depositi che
crescevano, epoca dopo epoca, formando le “colline”. Gli archeologi
sfogliano queste colline, strato per strato, livello per livello,
ricomponendo i frammenti del nostro passato. Arslantepe è una di queste
colline.
Il nome
antico del sito era Malitiya nelle fonti ittite, Melid, Meliddu o
Meliteya in quelle neoassire ed urartee. Ma la lunga storia di
Arslantepe inizia almeno dal VI millennio a.C. (periodo di Halaf) e
continua ininterrotta fino alla fine del VIII sec. a.C., quando, nel 712
a.C., Sargon II di Assiria conquistò e distrusse la città. All’epoca
neo-ittita (XII-VIII sec. a.C.) si data un palazzo, portato alla luce
nella parte settentrionale del tepe, di cui furono esposti l’ingresso
con la famosa Porta dei leoni e un cortile lastricato con bellissimi
bassorilievi, oggi conservati al Museo delle Civiltà Anatoliche di
Ankara insieme alla gigantesca statua di un re di Melid, trovata
abbattuta davanti all’ingresso del palazzo.
Dopo un
periodo di abbandono, l’abitato fu rioccupato come semplice villaggio
rurale in età tardo romana e bizantina e riutilizzato come cimitero
alla fine di questo periodo.
Lo
Stato, la burocrazia, le differenze di classe, il lavoro dipendente e
“salariato” non sono categorie sociali che sono sempre esistite, ma
si originano, ad un certo punto della storia umana, da un remoto passato
di uguaglianza sociale e di autosufficienza economica, caratteristico
delle più antiche società neolitiche. Il Vicino Oriente e’ stato
teatro primario di queste trasformazioni.
La
Mesopotamia richiama per tutti dai vecchi libri di scuola l’idea di
“culla delle civiltà”, ma le recenti indagini e scoperte
archeologiche hanno enormemente arricchito il quadro delle conoscenze
tradizionali su questi temi, permettendo oggi di conoscere molto più a
fondo la storia di queste trasformazioni, ma soprattutto dimostrando che
le aree geografi che interessate sono state più ampie della sola
Mesopotamia in senso stretto. In particolare, un ruolo propulsivo nelle
dinamiche di trasformazione verso le tappe cruciali che hanno segnato il
cammino delle società umane ha avuto l’Anatolia orientale, dove ha
avuto luogo anche la prima grande rivoluzione verso la nascita
dell’agricoltura e l’insediarsi delle comunità in villaggi
sedentari. Le scoperte di Arslantepe mostrano la successiva e
fondamentale tappa verso la formazione di società complesse e
stratificate con organismi di governo centrale, ossia verso lo Stato.

Il sito
fu uno dei primi centri proto-urbani, il più importante e significativo
dell’Anatolia orientale e l’unico al mondo a presentare ancora in
piedi gli edifici in cui presero forma le prime organizzazioni statali,
nonché uno dei più antichi sistemi politici ed economici
centralizzati. Il complesso palaziale, distrutto da un violento
incendio, conservava sotto le macerie dei crolli dei possenti muri di
terra cruda, tutti gli oggetti e i resti materiali delle attività che
all’interno di questi edifici si svolgevano al momento della loro
distruzione. Uno scavo accurato e attentissimo di questi edifici e del
loro contenuto ha permesso di ricomporre i “frammenti di quel
passato” e di costruire ipotesi sul modo di funzionare di quel sistema
e sulle dinamiche della sua formazione.
I muri,
rimasti in piedi per un’altezza di 2/2,50 m, conservano gli intonaci
originali bianchi e straordinarie pitture in rosso e nero con scene
figurate, portate in luce, restaurate e conservate in loco. Le pitture
costituiscono reperti unici per lo stile, per ciò che raccontano e per
lo stato di conservazione. Le indagini attraverso 30 m di strati di
rovine che si sono accumulati nel corso di circa 7 millenni, durante i
quali villaggi e città sono stati edificati, distrutti e poi nuovamente
edificati formando la “collina”, hanno permesso agli archeologi da
un lato di ricostruire la storia di questa cruciale regione dell’Alto
Eufrate, punto di incontro e di scontro delle più grandi civiltà del
Vicino Oriente, dall’altro di comprendere i processi che hanno
determinato la nascita delle gerarchie sociali e del potere, originando
lo Stato e la società urbana.
Gli
scavi hanno portato in luce, su un’area di più di 2000 mq., vari
edifici imponenti dagli spessi muri in mattoni crudi, diversi per forma
e per funzione, ma uniti da un unico progetto, in cui si può
riconoscere un vero e proprio insieme armonico: il “palazzo” .
Questo era stata la sede di varie attività pubbliche, religiose,
economiche, politiche e amministrative, gestite dalle istituzioni
centrali nascenti.
Al
complesso palaziale si accedeva da sud attraverso una porta monumentale
a camera rettangolare e un lungo corridoio, che, seguendo in salita il
pendio della collina antica, dava accesso ai vari settori, dislocati su
più terrazzi: sulle parti alte si trovavano gli edifici di culto e di
rappresentanza, mentre nelle zone basse erano situate le aree per le
funzioni economicoamministrative.

LA
PORTA - La Porta costituiva un vano monumentale con le
caratteristiche di struttura difensiva e forse anche luogo di sosta. Sul
lato sinistro del vano, due piattaforme, una all’esterno
dell’ingresso e una all’interno, potevano esser servite da posti di
guardia. Quattro grossi buchi di palo sulle due pareti indicano
l’esistenza di una possente intelaiatura lignea collegata alla porta.
Il Complesso Palatino Proseguendo lungo il corridoio, si accedeva ad un
complesso di stanze adibite all’immagazzinamento e alla distribuzione
di derrate alimentari.
Nel
palazzo di Arslantepe la gestione centralizzata dell’economia si
basava sullo sfruttamento della forza lavoro più che
sull’accumulazione di prodotti: i magazzini del palazzo erano
piuttosto piccoli, e vi era stato un intenso movimento quotidiano di
derrate alimentari.
Cosa
conservavano e distribuivano i magazzini? All’interno dei magazzini
non sono state trovate granaglie, ma solo pochi semi frammentari di
grano e orzo, forse residui della acinatura. I numerosi contenitori di
varie forme e dimensioni ci dicono però che i beni immagazzinati erano
prodotti alimentari, evidentemente già trasformati in cibo elaborato o
farina, o in liquidi. Un gruppetto di vinaccioli d’uva conservati in
una ciotola costituisce una delle più antiche testimonianze della
domesticazione della vite e potrebbe indicare l’inizio della
vinificazione.
Anche
la carne doveva essere distribuita, come suggerisce la grande abbondanza
di ossa animali trovate nel magazzino piccolo.
Le due
stanze-magazzino avevano funzioni diverse:
Il
magazzino più grande, dotato di un solo accesso dalla stanza centrale e
di due finestrelle per la presa d’aria e di luce, era, un vero e
proprio deposito di derrate: conteneva, infatti, quasi esclusivamente
vasi da conservazione (giare, grandi olle e bottiglie) e serviva forse a
rifornire il magazzino più piccolo, man mano che questo si svuotava.
Il
magazzino più piccolo, che al contrario comunicava anche con il cortile
interno del palazzo, aveva un contenuto più vario: insieme a pochi
grandi contenitori, vi si trovavano pentole, tre macine per il grano e
soprattutto centinaia di ciotole e centinaia di cretule (sigillature dei
vasi). Le ciotole erano state quasi certamente usate per la
distribuzione di pasti a lavoratori che prestavano la loro opera per il
palazzo. Le cretule indicano l’uso di sigillare i contenitori ad ogni
prelievo e dimostrano che questa redistribuzione avveniva sotto un
rigoroso controllo amministrativo.

Nella
stanza centrale che dava acceso ai due veri e propri magazzini, due
figure umane o antropomorfe stilizzate erano dipinte ai due lati di una
porta che originariamente comunicava con il cortile interno del palazzo,
e che era stata poi bloccata e trasformata in una nicchia. Queste
pitture riproducevano una figura forse femminile a sinistra ed una
sicuramente maschile a destra, in piedi con le mani alzate forse in
atteggiamento da orante, dietro a un tavolo o altare, e sovrastate da un
baldacchino o tetto riccamente ornato. I grandi occhi e i capelli o
“fiamme” rosse e nere che si dipartono dalla testa danno a questi
personaggi un aspetto inquietante, lasciando degli interrogativi sulla
loro interpretazione: divinità, sacerdoti-sciamani, figure mitiche?
Un
altro esteso complesso pittorico decorava il tratto più interno del
corridoio del palazzo. Qui sono rappresentati in modo molto schematico
due tori forse legati al giogo, che trainano un carro guidato da un
cocchiere. Il carro sembra uscire da un edificio molto stilizzato (forse
il palazzo). Alcuni elementi caratteristici della scena (i bovini da
trasporto, l’impugnatura ad anello delle redini, il cocchiere)
ricorrono, in stile diverso, sull’impressione di uno dei sigilli di
Arslantepe, come pure su un sigillo dalla grande città mesopotamica di
Uruk, entrambi interpretati come scene di trebbiatura rituale. Ciò
sottolineerebbe, da un lato, il legame simbolico tra la figura del capo
e le pratiche agricole, dall’altro, il richiamo alle ideologie del
potere della civiltà mesopotamica. Sulle pareti del corridoio e in
altri punti del palazzo, i muri erano stati decorati anche imprimendo
uno stampo romboidale sull’intonaco ancora fresco. Ne risultava una
bella decorazione plastica a file di rombi concentrici.
La
cretula era un grumo di argilla usato per sigillare le chiusure dei
contenitori e sul quale veniva poi apposto un sigillo da parte del
funzionario o della persona responsabile. La sua duplice funzione di
garanzia della sicurezza dei beni (l’integrità della cretula
garantiva che il contenitore non era stato aperto) e di documento delle
transazioni avvenute (il sigillo impresso era la “firma” di chi
aveva prelevato il bene) la resero un elemento indispensabile nella
gestione dell’economia di palazzo. La cretula, in assenza di
scrittura, serviva a mantenere la memoria delle operazioni compiute e
pertanto, dopo la sua rimozione, veniva conservata per la contabilità.
2.200
di queste cretule recavano ancora l’impronta riconoscibile di
bellissimi sigilli. Esse, oltre che nel magazzino, sono state trovate in
grandi e piccoli accumuli all’interno degli edifici, gettate tutte
insieme nei riempimenti di stanzette o spazi non più in. In
particolare, circa 2000 cretule sono state trovate gettate in una
successione ordinata di straterelli di rifiuti, all’interno di uno
stretto vano ricavato nel muro del corridoio del palazzo, di fronte ai
magazzini. Questo accumulo rappresentava lo scarto finale di cretule
precedentemente raccolte, ordinate e contabilizzate alla fine di uno o
più periodi amministrativi. Queste cretule avevano sigillato anche le
porte dei magazzini, indicando la presenza di funzionari con diverso
grado di responsabilità. Solo 28 funzionari su 127 avevano, infatti,
apposto il loro sigillo sulle porte e, tra questi, solo 5 avevano avuto
la responsabilità della sigillatura di più di una porta. Esisteva
dunque ad Arslantepe una gerarchia di funzionari con diverso rango
nell’amministrazione.

Il
ruolo dell’ideologia religiosa nella vita pubblica era forte, anche se
il palazzo nel suo complesso testimonia una tendenza a “laicizzare”
il potere. I due templi erano piuttosto piccoli e chiusi verso
l’esterno. Alla sala di culto si accedeva solo attraverso una stanza
laterale ed essa comunicava direttamente con l’esterno solo attraverso
due finestre. La sala principale aveva attrezzature per il culto: un
altare sulla parete di fondo, due podi per offerte al centro, adiacenti
ad un ampio focolare, e, nel tempio B, anche una bassa piattaforma sul
lato lungo, di fronte alle due finestre. Piccoli tavolini d’argilla,
miracolosamente conservati, dovevano anch’essi essere stati adibiti a
pratiche cultuali. E’ possibile che solo i sacerdoti o personale
autorizzato entrassero nella cella , mentre il resto della popolazione
doveva fermarsi all’esterno o nella stanza di entrata, dove solo si
trovavano decorazioni delle pareti.
Dodici
lance e nove spade di rame arsenicato sono state trovate in una delle
stanze del palazzo insieme ad una placca a quadrupla spirale, forse da
cinturone. Le armi originariamente erano appese alla parete di fondo
della stanza, a simboleggiare il nuovo tipo nascente di potere militare.
Le spade sono il primo esempio in assoluto dell’uso di quest’arma,
che non ha riscontro in altri siti fino a quasi mille anni dopo. Delle
nove spade di Arslantepe, tre avevano l’elsa decorata da agemina
d’argento, in un caso associata ad una decorazione incisa. La presenza
combinata di spade e lance indica lo sviluppo embrionale di un sistema
organizzato di combattimento. L’uso sapiente del metallo mostrato
dalle armi indica un notevole sviluppo della tecnologia metallurgica e
la sperimentazione di tecniche raffinate per la produzione di differenti
metalli (rame, piombo, argento, oro) e leghe. Il prodotto più diffuso
fu una combinazione di rame e arsenico, che produceva un metallo
somigliante al bronzo. Grande perizia mostra anche la raffinata agemina
d’argento usata per decorare l’elsa di alcune spade.
In
questo periodo, Arslantepe divenne uno dei poli di un’ampia rete di
relazioni che legava le montagne dell’Anatolia orientale, ricche di
materie prime, tra cui metalli, alla Mesopotamia, che invece ne era
priva. Il sito mantenne tuttavia il carattere locale della propria
cultura. La ceramica adottò in parte stili e tecniche di tipo
meridionale, ma il repertorio vascolare mantenne caratteristiche
originali. Rari sono i vasi importati o imitati in modo fedele.
Arslantepe ampliò le sue relazioni anche verso le regioni anatoliche
del nord e del nord-est, come indicato da una nuova bellissima ceramica
fatta a mano di colore nero lucido tipica di quelle regioni.

SCAMBI,
CONFLITTI E CRISI - Attorno al 3000 a.C., il palazzo fu distrutto da
un incendio e non verrà mai più ricostruito. Ma Arslantepe non perde
la sua centralità simbolica e politica nella regione, ed i continui
cambiamenti di uso e destinazione dell’insediamento sottolineano come
il sito sia diventato, all’inizio del Bronzo Antico, un luogo di
contesa/competizione e confronto tra nuove entità politiche e tra mondi
culturali differenti.
Le
temporanee occupazioni di capanne in legno e fango, costruite sopra le
rovine del palazzo, testimoniano passaggi di gruppi pastorali di cultura
e tradizioni diverse dalle precedenti e fortemente collegate alla
cultura Kura-Araks del Caucaso meridionale. Subito dopo queste
occupazioni, la costruzione di una tomba di un capo-guerriero, evidenzia
nuovamente, sia nel rituale che nel ricco corredo, la forte influenza
che le culture caucasiche esercitano sulla regione.
L’abbandonza
di armi in metallo del corredo, sottolinea inoltre radicali cambiamenti
nella natura dei poteri e che in questo momento la forza politica è
inscindibilmente legata alle attività della guerra. Infine, la
successiva costruzione di un imponente muro in mattoni crudi sulla parte
più alta della collina crea una cittadella fortificata attorno alla
quale si organizzerà un piccolo villaggio di agricoltori.
Ma in
questo caso, ceramica e metallurgia mostrano invece forti affinità con
le culture dell’ Anatolia sud-orientale e della Siria. Attorno al 2800
a.C. un incendio distruggerà il grande muro ed il villaggio, segnando
la definitiva interruzione dei rapporti tra Arslantepe e le regioni a
sud delle montagne del Tauro.
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