Città storica di Bagerhat
(Bangladesh)

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1985

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La regione del Bengala, oggi divisa fra gli Stati dell'India e del Bangladesh, è caratterizzata da un clima molto caldo e umido e da un'alta densità di popolazione. Il fiume Gange, che poco prima di arrivare in queste zone si è ingrossato per l'apporto del Brahmaputra, mescola qui le sue acque con l'Oceano Indiano, formando il delta più grande del mondo.

L’Islam nel cuore della foresta - Condizionata dai fattori ambientali, la storia della regione ha percorso spesso un cammino proprio, condividendo solo per qualche periodo avvenimenti che hanno segnato il divenire del resto dell'India. Perfino l'avvento dell'Islam ebbe qui modalità diverse. Conquistato dai Musulmani nel XIII secolo, cento anni dopo il Bengala si rese indipendente dal sultanato di Delhi e fu retto da sovrani turchi e afgani fino a quando, nel 1576, venne sottomesso dal sultano Akbar, detto il Gran Mogol. Rimase parte dell'Impero Moghul fino al 1765, quando fu ceduto alla Compagnia Inglese delle Indie Orientali.

La lunga autonomia del Bengala, pur non determinando l'abbandono dell'Islamismo, ebbe tuttavia forti ripercussioni sull'arte, che poté sviluppare forme proprie di espressione, lontana com'era dalle correnti che condizionarono l'arte indo-musulmana occidentale. E lo fece alimentandosi con le tradizioni locali indù, che si sovrapposero alla cultura arabo-persiana dei conquistatori musulmani. Era ovvio che l'introduzione dell'arte islamica nella selva bengalese richiedesse l'adozione di regole nuove. I mattoni - che potevano essere facilmente prodotti grazie all'abbondanza di fango nel delta e di legname per alimentare le fornaci - divennero il materiale da costruzione per eccellenza. I mausolei e le moschee ricordano più la struttura dei templi brahmani che non quella degli edifici sacri del Vicino Oriente.

Fra i governanti musulmani che ressero il Bengala durante il lungo periodo della sua indipendenza, spicca, nella prima metà del XV secolo, il generale turco Ulugh Khan lahan. Erede di una dinastia di guerrieri animati da un'ardente passione religiosa, che risaliva ai tempi delle conquiste islamiche, Khan Jahan condusse anch'egli la sua fede e la sua spada fino agli ultimi confini dello spazio geografico che la storia gli aveva riservato. Dietro di sé lasciò un'opera che gli sarebbe sopravvissuta: la città di Khalifatabad.

Situata alla periferia dell'attuale Bagerhat, Khalifatabad è oggi un complesso di rovine danneggiate dalla fitta vegetazione, ma ancora abbastanza solide da costituire una testimonianza dell'architettura indo-musulmana in mattoni tipica del Delta del Gange.

Lo stile dei suoi edifici rivela una mescolanza di influenze dove l'arte del sultanato di Delhi si fonde con stilemi indù. La caratteristica peculiare del complesso, tuttavia, è la sua struttura urbana. La città manca di fortificazioni, rese inutili dalla protezione naturale offerta dalla rete di acquitrini dei Sundarbans, ma possiede ottime infrastrutture: strade, vicoli ben pavimentati, ponti e un efficace sistema di raccolta e drenaggio dell'acqua. 

Notevole, infine, è la densità degli edifici religiosi in rapporto all'ampiezza del tessuto urbano, fatto che giustifica in pieno l'appellativo di "città-moschea" dato a Khalifatabad. In totale sono stati catalogati più di cinquanta monumenti, raggruppati in due zone. La prima si sviluppa intorno alla Moschea di Shait Gumbad, famosa per le 77 cupole e per il grande spazio destinato alla preghiera, suddiviso in sette navate longitudinali. Comprende inoltre le moschee Singar, Bibi Begni e Chunakkola. Nella seconda zona spiccano il mausoleo di Khan Jahan e le moschee Reza Khoda, Zindavir e Ranvijoypur.

Palazzi residenziali e altri edifici pubblici completano il tessuto urbano di questa straordinaria città-moschea nata all'estremità orientale del subcontinente indiano.