Complesso monumentale di Khajurãho
India

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1986
  

 

Una leggenda, raccontata ancora oggi nel Madhya Pradesh, vuole che il capostipite della dinastia Chandella sia il frutto dell'amplesso tra una giovane e bellissima donna di casta brahminica e il dio della Luna. Si narra che un indovino avesse intimato alla donna di andare a partorire nei boschi di Khajuraho, predicendole che il figlio sarebbe diventato re sconfiggendo una tigre a mani nude. E avrebbe scolpito per sé un regno immenso e meraviglioso. Del resto, leggende simili sono piuttosto comuni.

Alimentarle è servito ai sovrani dell'antichità come legittimazione della loro origine divina. E le dinastie che si succedettero nel Nord dell'India si spartirono equamente in Chandra vamsha e Surya vamsha, ovvero in clan generati rispettivamente dalla Luna e dal Sole. Antiche iscrizioni rinvenute a Khajuraho rivelano che i Chandella derivano da Chandatreya, figlio del saggio - e "lunare" - Atri. Sebbene questo nome sia associato a una serie di capi clan sotto l'influenza dell'impero gupta già dal VI secolo, soltanto nel IX secolo i Chandella fondarono un regno indipendente che viss il suo periodo di massimo splendore tra il 950 e il 1050 e riuscì a mantenere la sua supremazia fino al XIII secolo, quando fu sconfitto dalle truppe del sultano di Delhi. 

Nel secolo del loro apogeo, i Chandella eressero a Khajuraho 85 templi scolpiti nell'arenaria - dei quali 20 giunti fino a no: - che costituiscono uno degli esiti più alti dell'arte indiana di tutti i tempi. Il primo a descriverne la straordinaria bellezza fu, intorno al 1335, il viaggiatore arabo Ibn Battuta, che giunse in un luogo detto Kajarra e lì intrattenne una conversazione filosofica con saggi indù dai lunghissimi capelli. Poi su Khajuraho non fu scritta più una riga fino a 500 anni più tardi, quando il capitano T. S. Burt, geniere dell'esercito britannico di stanza nel Bengala, li riscoprì. Ma il primo occidentale a fornirne mappe e descrizioni dettagliate fu un altro ufficiale inglese, Sir Alexander Cunningham, nella seconda metà dell'Ottocento. Ed è di Cunningham la suddivisione dei templi nel cosiddetto "gruppo occidentale" - nel migliore stato di conservazione - e in altri due "orientali", a loro volta divisi in induisti e giainisti a seconda delle religioni che vi si praticavano. 

Seppure diversi per dimensioni, i templi hanno tutti il medesimo impianto architettonico, che si rifà alla concezione induista dell'Universo, poi mutuata anche dai giainisti. Costruiti su una piattaforma (simbolo del mare e della terra abitata dagli uomini), rappresentano le dimore degli dèi e si innalzano, anche fino a 35 metri , in pinnacoli conici finemente scolpiti, detti shikhara. Sulle pareti esterne e sullo shikhara dei templi Kandariya Mahadev e Lakshman - i più spettacolari di Khajuraho -, per esempio, si contano circa 900 sculture di divinità alte almeno un metro. Da un portale, anch'esso ricco di sculture, si accede al sacrario del dio che invece è disadorno e sempre in penombra, a simboleggiare la calma del nucleo dell'universo. 

Ognuno dei templi è dedicato a una specifica divinità ma, a parte il Varaha mandapa e il Nandi mandapa che recano rispettivamente maestose sculture di Varaha, il verro che è l'incarnazione di Vishnu, e di Nandi, il vitello veicolo di Shiva, le attribuzioni non sono immediatamente evidenti per chi non ha grande dimestichezza con lo sterminato pantheon induista. 

All'epoca della riscoperta di Khajuraho, sull'impero britannico governava la morigerata regina Vittoria. E quei templi - sebbene venisse riconosciuta la perizia con cui erano stati scolpiti - avevano suscitato un forte imbarazzo. Se ne parlava come di opere immorali, indecenti, altamente offensive, addirittura disgustose. La severità dei giudizi era dovuta alla presenza di raffigurazioni erotiche - in cui nulla è lasciato all'immaginazione -scolpite in posizione molto evidente sulle facciate laterali e posteriori dei templi. Gli accademici vittoriani dibattevano con veemenza circa il loro significato. 

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Secondo i più intransigenti, Khajuraho era il simbolo di una fase decadente della storia indiana, nella quale i valori morali erano caduti così in basso che nei luoghi religiosi venivano celebrati gli istinti più turpi. Altri, invece, reputavano che i templi fossero stati eretti da una setta tantrica che praticava riti esoterici. Altri ancora, infine, erano più propensi a credere che fossero una sorta di "guida visuale" al Kamasutra, l'antico testo di arte amatoria indiana. Tutti avevano torto. Le sculture - per così dire - osé di Khajuraho non erano state realizzate con intento pornografico, bensì filosofico. Uno dei miti induisti più diffusi riguarda infatti il matrimonio tra Shiva, il dio multiforme e spietato che crea e distrugge, e Parvati, la dea della passione e della sensualità. 

Si dice che sia stato Brahma a volere l'unione tra i due. Per favorirla, inviò Kamadev, il cupido induista, da Shiva - che a quel tempo viveva, ascetico, sulla montagna - perché lo colpisse con i suoi strali. Ma questi non gradì l'intrusione e aprì il suo terzo occhio riducendo Kamadev in cenere. In quel mentre, dalla montagna emerse il lingam - sorta di obelisco dall'evidente simbologia fallica - a rappresentare che soltanto tramite la rinuncia ai desideri terreni si può guadagnare la vita eterna. Il mito ha però un lieto fine: Shiva si innamorò comunque di Parvati e decise di sposarla. E la loro unione fu l'evento cosmico che, secondo gli induisti, permette il perpetuarsi del ciclo della vita e della morte di ogni essere umano.

I Chandella eressero i templi di Khajuraho per rappresentare sulla terra la cerimonia - detta Maha Shivatri - del matrimonio tra Shiva e Parvati. Al di là delle figure erotiche, i meravigliosi edifici recano scolpiti personaggi e momenti della processione nuziale, con file di elefanti bardati a festa, musicanti e carri adorni di ghirlande di fiori, sensuali figure femminili dal seno florido e ornato di gioielli, ritratte come se l'evento le avesse coke di sorpresa, nello svolgimento delle loro attività quotidiane. Donne che, con sguardo civettuolo, si rimirano allo specchio, o si lavano i capelli, o si truccano gli occhi con il kajal. O ancora, si massaggiano l'una con l'altra con l'unguento, o si dipingono le piante dei piedi con l'henne. Un inno alla bellezza femminile, immutata nel tempo; la si ritrova nei volti emozionati delle donne di Khajuraho che ogni anno, per una notte intera, si recano ai templi per rievocare - in un tripudio di inni, musica e danze -il matrimonio sacro tra Shiva e Parvati.  

I templi di Khajuraho, per la maggior parte in arenaria, disseminati in uno spazio aperto privo di cinte, sorgono su ampie piattaforme spesso con quattro tempietti angolari e sono caratterizzati da un alto basamento a elaborate modanature che ne sottolineano lo slancio verticale. Seguendo la collocazione geografica, il complesso di Khajuraho si divide in due settori, il più importante dei quali è quello occidentale che include i templi Varaha, Lakshmana, Kandariya Mahadeva, Mahadeva, Devi Jagadamba, delle Chaunsath Jogini, Chitragupta, Parvati e Vishvanatha. Il più splendido ed imponente, nonchè paradigmatico dello stile,  è il Kandariya Mahadeva, nella foto di apertura, con il suo Shikhara, la torre, di 31 m., dedicato a Shiva; su pianta cruciforme, aveva originariamente altri quattro sacrari agli angoli della piattaforma ed è così articolato: 

Ardhamandapa, portico d'ingresso

Mahamandapa, sala centrale a 4 colonne

Antarala, vestibulo che precede la cella

Garbhagriha, la cella che ospita la divinità

Pradakshinapatha, il deambulatorio

Il Torana, portale trionfale, d'ingresso all'Ardhamandapa, i soffitti del Mandapa, le colonne e la cornice della porta del Garbhagriha, che ospita un Linga di marmo, simbolo di Shiva, presentano un intaglio raffinatissimo. Ornato da 650 statue è considerato il capolavoro degli artisti Chandella. Sulle pareti esterne, nelle nicchie delimitate da elementi architettonici e separate orizzontalemnte da teorie di fregi, spiccano le deliziose Surasundari, bellissime ninfe celesti, esperte nei giochi amorosi. Sulla stessa piattaforma troverete i resti dei templi di Mahadeva e di Devi Jagadamba, che anticamente non era come adesso dedicato a Kalì. Dea signora del mondo, uno degli aspetti della consorte di Shiva, ma a Vishnu, come indica l'immagine intagliata sull'ingresso.

Il sacello di Mahadeva ospita un pregevole gruppo statuario costituito da un Shardula, sorta di grifone, con davanti un personaggio inginocchiato.

A poca distanza sorge il tempio Chitragupta, dedicato a Surya, dio del sole, la cui figura è ancora nel tabernacolo, Garbhagriha. Notevoli processioni di elefanti e cavalieri, scene di battaglia, caccia e amori ornano il basamento.

Con la stessa struttura a doppio transetto del Kandaryia Mahadeva, il tempio Vishvanatha è dedicato ugualmente a Shiva. Tra le più famose figure femminili che lo ornano vi sono la ninfa che suona il flauto rivolgendo il dorso allo spettatore, quella che coccola un bimbo e quella col pappagallo sul dorso.  

Davanti all'ingresso principale, il padiglione del toro Nandi ospita una delle più belle e colossali figure del veicolo-cavalcatura di Shiva. A sud-ovest di questo si trova il piccolo tempio di Parvati, dedicato alla più nota forma della sposa di Shiva.  

Il tempio di Lakshmana fu iniziato da Lakshmanavaram e terminato dal figlio Dhanga nel 954 d.C.: sulla sua piattaforma, decorata da una parata di guerrieri e da scene erotiche tra le più celebri, chiamate Mithuna, quattro sacrari angolari inquadrano la costruzione centrale edificata per ospitare l'immagine di Vishnu-Vaikuntha, ovvero con tre teste: la frontale umana e le altre due di leone e di cinghiale, entrambi avatar del dio. I fregi, le coppie di amanti, i gruppi statuari e gli altri elementi decorativi sono di pregevole fattura. Una ripida scala conduce all'ingresso, ornato da un Torana costituito da un festone di  Makara, i mitici mostri acquatici, e schermato da un ampio spiovente.

Nelle vicinanze il tempio  Varaha ospita una colossale rappresentazione del varaha, il cinghiale, sotto le cui spoglie si incarnò Vishnu per recuperare la dea terra tenuta prigionera nel fondo melmoso dell'oceano. Edificato in granito e unico per stile austero il tempio delle Chaunsath Yogini, 64 divine ascete dotate di poteri esoterici che assistono Devi, un altro tra gli aspetti della consorte di Shiva. 64 celle austere e disadorne fanno ala al piccolo sacrario della dea.

Al gruppo orientale appartengono vari templi, Vamana, Javari, Duladeo e il Chaturbhuja - Vishnu a 4 braccia - più a sud: con notevoli gruppi statuari, il Chaturbhuja è privo del Mahamandapa ed esibisce un accentuato verticalismo. Il Duladeo è caratterizzato da un armonioso Shikhara arrotondato agli angoli da shikhara minori. Le pareti sottostanti sono animate da eccellenti gruppi plastici e da statue singole. A sud di Khajuraho potrete in oltre visitare un complesso di templi jain il più importante dei quali è il Parshvanatha, racchiuso in una cinta e sormontato da un Shikhara di proporzioni perfette.

Khajurãho

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Tempio di Khajurãho Khajuraho26.jpg (201209 byte) Khajuraho27.jpg (112599 byte) Khajuraho28.jpg (197635 byte) Khajuraho25.jpg (122810 byte)

Tempio di Mithuria 

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Tempio di Chitragupta 

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Tempio di Lakshmana Lakshmana.jpg (148536 byte) Lakshmana2.jpg (278537 byte) Lakshmana3.jpg (564214 byte) Lakshmana4.jpg (366391 byte)

Tempio di Devi Jagadambi DeviJagadambi3.jpg (166199 byte) DeviJagadambi2.jpg (410717 byte) DeviJagadambi.jpg (165710 byte)

Tempio di Kandariya Mahadeva KandariyaMahadeva.jpg (337732 byte) KandariyaMahadeva2.jpg (375757 byte) Tempio di Varaha Varaha.jpg (398570 byte) Varaha2.jpg (401605 byte)