Xanthos - Letoon
Turchia

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1988

    

Xanthos fu una città dell'antica Licia, luogo dell'attuale Kınık, nella provincia turca di Antalya, e del fiume sul quale la città è stata costruita. Nelle antiche fonti il termine "Xanthos" viene usato come sinonimo di "Licia".  

Xanthos viene citata da numerosi scrittori greci e romani. Strabone afferma che sia la più grande città Licia. Sia Erodoto che Appiano ne descrivono la conquista fatta da Harpagus per conto dei persiani approssimativamente nel 540 a.C. Secondo gli scritti di Erodoto, i persiani sconfissero un esiguo esercito licio nelle pianure a nord della città. Dopo lo scontro, i liciani si ritirarono all'interno della città che venne assediata. I liciani distrussero la propria acropoli, uccisero le proprie mogli, i figli, e gli schiavi, dopodiché iniziarono un attacco suicida contro le truppe persiane. Morì l'intera popolazione ad eccezione di 80 famiglie che non si trovavano in città durante la battaglia.

Durante l'occupazione persiana, venne insediato un capo locale a Xanthos, e nel 520 a.C. era già in uso il conio delle monete. Dopo il 516 a.C. Xanthos venne inclusa tra i primi nomos nella lista tributaria di Dario I di Persia. Le fortune di Xanthos furono legate a quelle della Licia, anche quando questa cambiò alleanza durante la guerra greco-persiana. Gli scavi archeologici ne dimostrano la distruzione attorno al 475 a.C. - 470 a.C., o per mano dell'ateniese Cimone o dei persiani, questo punto è ancora dibattuto. Dal momento che non esistono racconti della sua distruzione, né negli scritti greci né in quelli persiani, alcune correnti di pensiero ne legano la fine a cause naturali o accidentali.

Nella seconda metà del quinto secolo a.C., Xanthos conquistò la vicina Telmessos incorporandola nella Licia. I resoconti sulla resa della città ad Alessandro Magno sono discordi: quelli di Arriano parlando di una cosa pacifica, ma subito dopo accenna ad un saccheggio. Dopo la morte di Alessandro la città passò sotto il controllo degli eredi; Diodoro Siculo ne narra la cattura da parte di Tolomeo I di Antigone. Appiano, Cassio Dione e Plutarco dicono che venne distrutta durante le guerre civili romane attorno al 42 a.C., da Bruto, ma Appiano parla anche di una ricostruzione effettuata da Marco Antonio. I resti di un anfiteatro romano sono ancora visibili. I racconti di Marino dicono che Xanthos ospitava anche una scuola di grammatica.

Il sito di Xanthos fu riscoperto il 20 aprile 1838 dall'inglese Ch. Fellows che vi ritornò tre volte (aprile 1840; dicembre 1841 - febbraio 1842; ottobre 1843-marzo 1844). I due ultimi viaggi furono vere spedizioni che fruttarono al British Museum una collezione di documenti di incomparabile ricchezza.

Le spedizioni austriache dirette da O. Benndorf raccolsero le iscrizioni, permettendo così, lo studio dei monumenti di Xanthos e in particolare del Monumento delle Nereidi.

Una missione archeologica francese diretta da P. Demargne, P. Devambez e H. Metzger ha eseguito scavi a Xanthos dal 1950 al 1962. Essa si è dedicata all'acropoli bassa, detta licia, ai monumenti funerarî, compreso il Monumento delle Nereidi, così come al teatro romano e alle basiliche bizantine comprese nei limiti di questi scavi. I principali ritrovamenti sono stati trasportati ai musei di Antalya e di Istanbul; altro materiale è riunito in un magazzino a Xanthos stessa.

L'acropoli licia in forma di pianoro (altezza massima m 85), è difesa da una cinta di mura del V sec. a.C. e domina direttamente il fiume; immediatamente a Nord, dal basso in alto, una piccola spianata ha accolto i monumenti funerarî di epoca arcaica e classica. Altri sono stati disposti sul pendio di una collina più elevata che diventerà l'acropoli ellenistica e romana. Il Monumento delle Nereidi occupa una terrazza vicina all'acropoli licia, dalla quale un precipizio la separa.

La città si estese in maniera eccezionale probabilmente nel III sec. a.C.; la nuova cinta di mura inglobò un'acropoli alta (altezza m 148) e una serie di terrazze inclinate ai piedi di questa, da nord a sud. Questa cinta di cui alcune sezioni appartengono ancora alla costruzione ellenistica, non cessò di essere rimaneggiata fino alla piena epoca bizantina. Sembra che infine (forse dopo l'attacco arabo), la città bizantina si sia raccolta sull'acropoli primitiva, il cui muro nord a speroni, senza dubbio non è anteriore all'XI sec. della nostra era.

Necropoli di età diverse, principalmente romane, si distribuiscono a nord della località in una specie di "valle delle tombe" e sulle colline circostanti.

Il problema più importante che i monumenti di Xanthos propongono è quello della influenza ellenica che agisce e si innesta su di una tradizione indigena imparentata alle civiltà orientali.

Arcaismo - Nessun documento dell'Età del Bronzo né della prima Età del Ferro è stato messo in luce. Il livello più antico dell'acropoli licia, nella sua parte sud-est, è rappresentato da un primo palazzo che dimostra una parentela forse con gli edifici neohittiti della Siria del nord (Zincirli); questo livello ha dato ceramiche locali a motivi geometrici semplici "nero su rosso" e materiale di importazione greca, risalente alla fine dell'VIII sec. I ritrovamenti più antichi si collegano a quelli di al Mina, Tarso, Lindos e suggeriscono l'ipotesi che queste prime influenze greche siano giunte attraverso i Rodî. Oltre il palazzo dovette esistere un luogo di culto in questo periodo nella parte centrale dell'acropoli.

La conquista persiana e l'incendio della città verso il 545-540, apre una nuova epoca che si conclude con un altro incendio verso il 470, in relazione, forse, con la spedizione ateniese di Cimone.

Sull'acropoli, forse proprio da allora circondata da una fortificazione, si trovano un secondo palazzo ed un tempio a tre celle (paragonabile ad alcuni esempî ciprioti e palestinesi). La ceramica attica a figure nere vi abbonda; vi si trovano insieme ceramica di Fikellura e numerose figurine ioniche; è stata rinvenuta anche una testa di koùros di tipo milesio. È proprio in questo periodo che, a una certa distanza, viene innalzato il primo pilastro funerario, quello detto "del leone" (verso il 540), tipo "barbarico" di cui noi ignoriamo ancora l'origine; l'influenza greca è evidente nella decorazione delle lastre di pietra che chiudono la camera funeraria sopra il pilastro monolitico, nonostante i temi iconografici siano dinastici e orientali: leone che atterra un toro; leonessa e i figli; combattimento di un uomo col leone; personaggio seduto (il dinasta?) in una scena scomparsa; scena guerresca parzialmente conservata.

Ai piedi dell'acropoli altri pilastri si eleveranno in seguito: di uno (verso il 525) non rimane che una lastra isolata, reimpiegata in una sepoltura posteriore, con lottatori, suonatore di lyra finemente cesellato, suonatore di flauto. Questa rappresentazione è analoga a quella che decora una delle facce del pilastro di Isinda-Belenkli: essa è dovuta senza dubbio a Greci di Rodi; le forme sono abilmente alternate, a volte di una eleganza raffinata, a volte di una solidità massiccia, secondo la tradizione orientale.

Una generazione più tardi (tra il 500 e il 470) il Monumento detto delle Arpie è uno dei pilastri funerari più caratteristici, ma anche il più tozzo: su di una base massiccia il pilastro monolitico è alto m 5,43; la camera funeraria è chiusa da lastre di marmo (alte m 1,02); la lastra-coperchio è di m 0,44, un blocco di coronamento di m 0,53. La decorazione delle lastre di marmo deve essere attribuita a dei Milesî che la trattano con una pesantezza ereditata dal VI sec. e dai Branchidi, ma addolcendo le forme con i piacevoli e sovrabbondanti particolari delle vesti: si ha in questo monumento senza dubbio una testimonianza dello stile milesio del primo venticinquennio del V secolo. I membri della famiglia dinastica siedono sulle quattro facce. Vengono fatte diverse offerte; su due facce alcune Sirene (e non Arpie) guidano le anime. L'iconografia dinastica si arricchisce della iconografia greca relativa all'Aldilà.

L'epoca classica - Quella tra il 470 e il 330 circa è una grande epoca per l'arte di Xanthos. Vi si pone il problema dell'accoglienza fatta alle forme successive dell'arte classica greca. Sull'acropoli, la cui cinta risale in parte al V sec. a.C., furono fatti grandi lavori che le diedero l'aspetto che essa conservò senza dubbio fino alla fine dell'antichità; un secondo tempio viene costruito sulla sommità dell'acropoli, più in alto del tempio a tre celle. Il palazzo di questa epoca è scomparso ma si sono potuti ricostruire tre monumenti funerarî o Heròa concepiti nella pura tradizione licia della costruzione in legno trasferita in pietra. P. Coupel e H. Metzger hanno restaurato due edifici col tetto a doppio spiovente e un terzo col tetto a terrazza. Vi sono stati ricollocati gli elementi dei frontoni e dei fregi portati a Londra da Fellows: sono documenti che appartengono tutti senza dubbio all'epoca dello stile severo (470-450). Ma vi si uniscono tendenze diverse le quali, altrove che non in queste zone periferiche, implicherebbero uno scaglionamento cronologico ben più prolungato. Così alcuni rilievi secondarî, forse appartenenti alla base di questo monumento (fregi di galli e uccelli, di satiri, centauri, ecc.) hanno ancora molto della tradizione arcaica del VI sec.: uno dei frontoni evoca lo stile milesio delle Arpie, l'altro con le sue sfingi eleganti appartiene ad uno stile subarcaico che sembra essere stato molto apprezzato in Licia ed essere durato fino alla metà del secolo: si constaterà un fenomeno analogo nell'ellenizzazione occidentale. È a questo stesso stile che si potrà riportare un rilievo con due personaggi, appartenente ad una scena di banchetto funerario, come anche la processione del dinasta in carro. I temi più particolarmente dinastici trovano in questo caso il mezzo espressivo che gli è familiare. Di questa processione fanno parte tuttavia personaggi drappeggiati che portano la lancia, che imitano molto maldestramente lo stile proprio della Grecia; ancora più chiaramente le peplophòroi che apparterrebbero anch'esse ad uno di questi Heròa, sono trasposizioni ioniche di modelli peloponnesiaci o attici. Con lo stesso spirito è trattato un bellissimo rilievo inedito, reimpiegato nel teatro, con una rappresentazione di Nike.

Due monumenti funerarî importanti vanno inquadrati in questo periodo. Il primo databile probabilmente tra il 450 e il 400 è il più antico dei sarcofagi lici a decorazione figurata. Si è per lungo tempo fatto risalire all'arcaismo il motivo tradizionale dei leoni che assalgono un toro, che decora il basamento. Ma i resti molto poveri che permettono ora di ricostruire il coperchio, ci obbligano a modificare questo punto di vista: sulle ogive dei lati brevi le sfingi guardiane sono proprio nella tradizione subarcaica di quelle dell'acropoli; sui lati lunghi una caccia al cinghiale (molto parzialmente conservata), un banchetto funerario, accolgono le influenze del nuovo classicismo attico. I personaggi che stanno a capo del letto o sfilano dinnanzi ad esso potrebbero derivare il loro archetipo da vasi o stele. Il dinasta seduto sul letto è trattato in scala più grande e quasi di faccia. Questi sono i procedimenti escogitati dall'arte greca per esprimere la maestà del personaggio orientale.

Il pilastro iscritto, uno dei monumenti più considerevoli di Xanthos ci è particolarmente prezioso perché ben datato (430-410). Il tipo tradizionale del pilastro rimane, ma più slanciato nelle sue proporzioni (altezza del pilastro e del fregio m 5,58 con una larghezza, alla base, di m 1,71 per 1,50). Il fregio che illustra queste vittorie si trova agli angoli su degli avancorpi di tori inginocchiati, alla maniera dei capitelli achemènidi: il dinasta, forse il Kherei delle monete, percorre da vincitore il campo di battaglia, abbattendo i suoi nemici, uno dopo l'altro. Gli scudi che egli ha loro preso, formano un fregio al di sopra della scena, mentre alla sommità del pilastro egli era seduto su un trono con leoni, secondo l'iconografia della maestà (la statua è scomparsa, le tracce dei piedi restano sullo zoccolo). Si ritrova qui l'iconografia indigena e orientale della vittoria, che ricorre a certi procedimenti arcaici (la sfilata di guerrieri uno dietro l'altro) ma conosce anche la distribuzione dei combattimenti secondo lo schema delle gigantomachie e amazzonomachie dell' epoca di Fidia.

Il Monumento delle Nereidi non è di molto posteriore (verso il 410-400): gli scavi fatti dopo il 1950, permettono di ricostruirne esattamente l'architettura: esso è un vero documento della completa ellenizzazione. Sullo zoccolo tradizionale dei pilastri (tre assise di marmo al di sopra di una base in calcare) sorge per la prima volta una architettura ionica, quella di un piccolo tempio periptero con quattro colonne per sei, coronato da un frontone. I muri della cella hanno potuto essere ricostruiti, così come le ante. Della porta E sono stati trovati tutti gli elementi: soglia, piedritti, fregio a tre serie di ovoli, cornice; le proporzioni di questa porta, la pesantezza del suo coronamento, sono in una tradizione ionico-arcaica. La cella accoglieva quattro letti funebri in calcare di cui si sono trovati resti: ne appare ancora la traccia sugli ortostati dei muri. Nelle colonne del peristilio, ioniche a base asiatica, si aggiunge ai capitelli un toro decorato con una treccia, ad imitazione dell'Eretteo: semplice particolare attico in un monumento di carattere asiatico. È stato ritrovato anche un capitello d'angolo, il primo che noi conosciamo a quattro volute.

Se l'architettura greca fa la sua apparizione a Xanthos nel Monumento delle Nereidi, la decorazione era da molto tempo ellenizzata. Tuttavia essa si dispiega qui con una ricchezza sovrabbondante. Fra l'assise di marmo semplice della base e la cornice a due serie di ovoli, si trovano due fregi dello zoccolo sovrapposti, tutti e due illustranti le vittorie del dinasta: l'uno, il più alto (m 1,1) è posto sul secondo (m 0,63). Il primo trasforma le battaglie in combattimenti mitologici alla maniera greca delle amazzonomachie (anche se qui i combattenti dei due campi sono uomini); vi si distinguerebbe volentieri la mano di uno scultore greco della Ionia che conosceva i modelli attici ma gli dava proporzioni più pesanti, e quella di un imitatore indigeno. Il secondo fregio celebra gli stessi vincitori, con la stessa arte ma con tutt'altro spirito, quello del realismo indigeno e dinastico: il dinasta seduto sotto il suo parasole accoglie gli inviati nemici. Lo scultore ricorre a procedimenti artistici tutti diversi: sfilate di persone una dietro l'altra, rappresentazione dei muri della città assediata con i suoi difensori sugli spalti, rappresentazione che sarebbe straordinaria nella Grecia propriamente detta, ma che è familiare ai Lici e sembra risalire, attraverso tappe che noi ignoriamo, all'eredità della tradizione narrativa orientale, quella assira per esempio.

Gli altri due fregi, l'uno sull'architrave, l'altro sul muro della cella, hanno rilievi assai schematici. Sono consacrati a temi indigeni e orientali e usano volentieri l'artificio della ripetizione, per esempio per la sfilata dei servitori. Il fregio dell'architrave ha per tema principale la caccia e la consegna di offerte; l'altro il sacrificio e i banchetti funerarî.

I frontoni, come ci si poteva aspettare, sono riservati ancora a due scene di glorificazione del sovrano: una scena di battaglia, in cui egli doveva figurare a cavallo, e un'altra in cui egli siede al fianco della moglie, fra i dignitari della corte: quest'ultima scena è trattata con una pesantezza ed una mancanza di eleganza che stupisce in questa età; vi si sente l'influenza delle statue in maestà che coronavano i pilastri; notiamo una volta di più che le rappresentazioni più legate alle tradizioni indigene ritrovano naturalmente i procedimenti dell'arcaismo.

Al simbolismo greco dell'Oltretomba appartengono al contrario le famose Nereidi degli intercolumnî e le figure degli acroterî principali (due scene di rapimento). Le Nereidi sono tra le più belle figure che ci siano pervenute di un'arte classica ionica ispirata all'arte attica.

Il passaggio dal V al IV sec. a.C. ha una grande importanza, come in ogni altra zona periferica. Il fenomeno di ellenizzazione prosegue e si accentua ed anche si stabilizza. Certe incoerenze scompaiono e nasce un nuovo stile che sembra essere stato particolarmente brillante a Xanthos nella prima metà del IV secolo. Una necropoli di quest'epoca, sul pendio sud-est dell'acropoli alta, riunisce un certo numero di innovazioni originali. Un pilastro funerario, l'ultimo (con un altro che si rizza sopra il teatro), ha singolarmente ellenizzato la sua forma e le sue proporzioni; non si erige più su di uno zoccolo massiccio, ma su tre gradini alla moda greca. La lastra coperchio è divenuta molto più modesta, il fregio è di marmo, ma non decorato. Nelle vicinanze si allineano alcune facciate di tombe rupestri trattate secondo la moda tradizionale, mentre proprio accanto, una di esse è trattata per la prima volta alla greca, con un piccolo portico e due colonne tra le ante, con una porta centrale circondata di modanature.

Non lontano il sarcofago di Payava è un chiaro documento dell'arte nuova: fedele alla tradizione licia del sarcofago di pietra imitante quello in legno, si sviluppa in altezza con una eleganza maestosa (una tomba inferiore, uno zoccolo massiccio, il sarcofago propriamente detto col suo coperchio); le zone decorate, come nel Monumento delle Nereidi, manifestano una esuberante ricchezza, i temi dinastici tradizionali sono conservati, ma trattati con gusto straordinario dell'effetto: si paragoni alle scene schematiche del pilastro iscritto e anche alle scene tradizionali del Monumento delle Nereidi, la vivace battaglia raffigurata sullo zoccolo intermedio: si tratta di Payava senza dubbio, che sta a cavallo trionfando dei suoi nemici nascosti tra le rocce; il suo corpo di guardia di cavalieri lo segue, giungendo dal fondo, con un senso molto nuovo della profondità; l'altra grande scena dello zoccolo è una udienza del satrapo che accoglie personaggi vestiti alla greca, mentre lui stesso e i suoi due ufficiali sono vestiti alla persiana, rappresentati con una straordinaria fedeltà nel costume e negli atteggiamenti.

Le monete dello stesso periodo, il secondo venticinquennio del IV sec. circa, in particolare i magnifici esemplari col nome di Mithrapata e di Pericle, ci offrono effetti analoghi; è nato uno stile greco d'Asia che usa tutte le risorse della seconda età classica per illustrare la vita di queste corti dinastiche. Sul coperchio del sarcofago di Payava appaiono delle immagini simboliche (la quadriga che porta il dinasta nell'Aldilà), ma anche scene di vita reale. Gli antichi animali guardiani perdono la loro importanza: le sfingi non occupano più che una piccola parte dell'ogiva; i leoni si riducono alle protomi sporgenti del coperchio. Insieme a quello di Merehi, trattato con lo stesso spirito, il sarcofago di Payava è il solo a rappresentare a Xanthos questa grandissima epoca della scultura licia testimoniata dai monumenti funerarî di altre città.

È molto sorprendente che questo impulso creativo duri poco; l'ultimo sarcofago di epoca classica di Xanthos, quello detto delle danzatrici, databile all'epoca di Alessandro con ogni probabilità, ritorna a scene molto più schematiche e alla tradizionale iconografia indigena; quella della caccia e della guerra (si ritrova nella scena di guerra, il vincitore fuori dell'azione, che tocca, secondo il vecchio gesto magico, lo scudo preso al vinto, mentre i suoi nemici fuggono sui loro cavalli). Il simbolismo alla greca e la testimonianza di un'arte più colta non appaiono che nelle figure delicate delle danzatrici col kàlathos, raffigurate nelle ogive, al posto delle sfingi guardiane.

L'età ellenistico-romana; la prima età bizantina - Si sa che la città di Xanthos si ingrandì singolarmente nel III sec. a.C., all'epoca dei Lagidi, che fu per Xanthos un'epoca di prosperità. Alcuni settori delle mura della città si sono conservati nel loro aspetto ellenistico, in particolare in vicinanza della porta sud (la quale presenta una iscrizione di Antioco il Grande con la dedica della città alla triade apollinea). La città ellenistica non è stata ancora sistematicamente esplorata: vi si indovina una urbanistica nuova nella zona delle terrazze sovrapposte, dietro il Monumento delle Nereidi. Solo alcune zone sono conosciute: un cimitero ellenistico fu accertato ai piedi del Monumento delle Arpie ed ha fornito qualche oggetto di arte alessandrina: una tazza di vetro, una oinochòe di faïence col ritratto della regina Berenice. L'epoca romana che si prolunga senza interruzione nella prima età bizantina, ha lasciato tracce profonde a Xanthos la cui importanza continuò, senza però riuscire ad eclissare quella delle città della costa come Platea e Myra. I soli monumenti scavati finora sono il teatro romano, posto sul pendio nord dell'antica acropoli; una grande agorà è stata riconosciuta nelle vicinanze del teatro e fu senza dubbio uno dei centri della vita pubblica in età romana: una iscrizione datata all'età di Domiziano, ricorda nelle vicinanze un bouleutèrion. L'acropoli nuova doveva essere coronata da un grande tempio di cui molti blocchi sono ancora visibili.

Nel III e IV sec. della nostra èra devono essere sorte ancora grandi costruzioni nella città, a giudicare dal numero dei resti architettonici di questa epoca; si aggiunga che le monete di questi stessi secoli sono molto numerose. L'acropoli antica, di nuovo fortificata nella tarda antichità, accolse numerosi monumenti nella prima età bizantina, principalmente una residenza dell'epoca costantiniana, i cui mosaici pavimentali sono tuttavia trattati in uno stile particolarmente barbaro (Meleagro e Atalanta; Teti e Achille allo Stige; medaglioni di Eirene ed Eupripeia).

Le basiliche cristiane si moltiplicarono a Xanthos. Una è stata esplorata sull'acropoli antica, un'altra nella parte sud-ovest della grande agorà romana; una terza di grandi dimensioni è stata solo riconosciuta nella parte E della città. Un grande monastero sostituì il tempio romano sull'acropoli alta, in data senza dubbio assai tarda. Nelle mura della città sono inglobati numerosi blocchi appartenenti a monumenti romani; le mura dovettero essere difese fino agli attacchi arabi, dopo i quali l'acropoli antica dovette ancora servire da recinto. Il suo muro N a speroni non deve essere anteriore alla seconda età bizantina.

Dobbiamo ricordare infine, fuori della cinta, numerosi complessi funerarî di epoca romana: un mausoleo, già scavato da Ch. Fellows, nella pianura a S della città; una serie di tombe a nord, facenti capo ad un heròon su di una collina ad est Mausoleo ed heròon hanno fornito sarcofagi attici e altri del II e III sec. della nostra era.

Santuario di Latona

Il santuario di Latona, chiamato Letoon, a volte latinizzato in Letoum, si trova presso Xanthos, e fu uno dei principali centri religiosi della Licia, regione dell'Anatolia. Il sito si trova tra le città di Kaş e Fethiye nella provincia turca di Antalya, affacciato sul fiume Xanthos a circa quattro chilometri a sud dell'omonima città.

Il sito non fu mai completamente abitato, ma restò prevalentemente un centro religioso, ed ha permesso agli archeologi di ritrovare materiale risalente al sesto secolo a.C., prima dell'egemonia culturale greca che iniziò all'inizio del IV secolo. All'inizio il sito fu probabilmente consacrato al culto di una divinità materna che in Licia veniva chiamata Eni Mahanahi, e che fu soppiantata da Latona e dai suoi figli gemelli.

Il mito della fondazione del Latona, ci è stato trasmesso da Menecrate di Xanthos e Nicandro di Colofone, attraverso Antonino Liberale che nelle Metamorfosi racconta di Latona la quale, dopo aver partorito a Delo Apollo e Artemide, arrivò alla foce dello Xanthos. Qui, volendo bagnare i due gemelli nelle acque di una sorgente, ne fu impedita dai guardiani di buoi del posto, che ella punì trasformandoli in rane. Una narrazione identica ricorre in Ovidio. Si tratta evidentemente di un racconto ellenizzante destinato a conciliare la tradizione delia con l'esistenza di un culto di Latona nei pressi di una sorgente sacra. Le testimonianze archeologiche più antiche risalgono al VII sec. a.C. In origine la divinità adorata doveva essere la dea madre anatolica assieme al suo seguito, poi assimilati rispettivamente a Latona e alle Ninfe. 

Il complesso venne scoperto nel 1841 dall'ufficiale inglese Hoskyn, accompagnatore di Ch. Fellows. Fu successivamente visitato da Benndorf nel 1881, e quindi nuovamente nel 1892 da questi e da Kalinka e Hula che provvidero al rilevamento di una pianta e ricopiarono le iscrizioni visibili in superficie. Dal 1962 è oggetto di scavi da parte di una missione archeologica francese, prima sotto la direzione di H. Metzger e quindi di Ch. Le Roy. I ritrovamenti sono distribuiti tra il museo di Antalya, il museo di Fethiye e un deposito sul posto.

Il santuario vero e proprio aveva una pianta di forma approssimativamente rettangolare misurante all'incirca m 150 da nord a sud e m 100 da est a ovest. A nord era completato da un teatro costruito in età ellenistica. L'esistenza di uno stadio è indirettamente rivelata da alcune iscrizioni che menzionano concorsi atletici, ma non se ne è ancora individuata l'ubicazione.

Lo hieròn era disposto su due livelli: a E est terrazza, sulla quale sorgevano i templi, era stata scavata nella roccia; a ovest, a sud e a nord, 3 m più in basso, era un vasto piazzale contornato da porticati, ancora non completamente scavato, sul quale si trovavano, ai piedi dei templi, la sorgente rituale che alimentava un bacino e gli edifici consacrati al culto delle Ninfe.

Nel VI sec. a.C. venne effettuata la sistemazione della sorgente sacra, presso la quale sono state ritrovate alcune figurine in terracotta offerte come ex voto. Nello stesso periodo fu edificato, a nord del santuario, un piccolo edificio, di cui resta soltanto un angolo, costruito sulla fronte con blocchi accuratamente squadrati e dotati di un canale di scolo per le acque.

Nel V sec., il declivio della piccola collina sovrastante il santuario venne tagliato per formare una parete rocciosa con orientamento nord-sud, orientamento che condizionò in seguito quello di tutte le costruzioni del santuario. Tre edifici cultuali si impiantano su questa terrazza: a est una sostruzione in calcare dotata di profondi incavi era probabilmente sormontata da una struttura in legno di tipo licio. Al centro venne mantenuto un enorme blocco roccioso, tagliato su tre lati e appiattito superiormente, che con ogni probabilità serviva da sostegno per un elemento cultuale di cui non resta alcuna traccia.

A ovest una cella lunga m 8 e larga m 6,73, eretta alla fine del V o agli inizî del IV sec., potrebbe costituire il primo tempio di Latona. La data della sua costruzione corrisponde al regno del monarca Arbinas, attestato anche da iscrizioni bilingui greco-licie. Sempre nel V sec. venne eretto nella parte settentrionale del santuario un grande edificio a cinque ambienti, con soffitti sostenuti da pilastri, che risente dell'influenza della Persia achemenide.

Nella seconda metà del IV sec., infine, fu realizzata la stele trilingue scoperta nel 1973. Il testo, una legge sacra che menziona un altare e sacrifici per due divinità, il "re di Kaunos" e Arkesimas, venne inciso nel corso del regno di un Artaserse, nel 358 oppure nel 338 a.C. La stele però rimase a vista per un periodo molto breve e venne messa da parte al più tardi al termine dell'impero achemenide. Il testo della legge, scritto in licio e in greco con un riassunto in aramaico, lingua ufficiale della cancelleria persiana, ha consentito di compiere importanti progressi nella decifrazione della lingua licia.

Divenuto nel III sec. il santuario federale della lega licia, il Latona venne completamente rinnovato. Gli edifici a nord furono abbattuti per far posto a un porticato ad angolo retto, che circonda il complesso del tèmenos. Intorno alla metà del II sec. i tre edifici della terrazza centrale vennero sostituiti da altrettanti templi. Quello maggiore, a ovest, è il Tempio di Latona. Si tratta di un edificio di ordine ionico, di sei colonne per undici, senza opistodomo, con un ordine interno di semicolonne addossate, di ordine corinzio. Il tempio centrale è costituito da una semplice cella priva di peristilio, di ordine ionico, forse dedicata ad Artemide. Il tempio orientale è di ordine dorico. Nella sua cella vennero riutilizzate parzialmente le fondazioni della struttura licia per inserirvi un mosaico sul quale sono raffigurati, ai due lati di un rosone, una lira e un arco con la faretra, da cui si può dedurre che si trattava del Tempio di Apollo.

A S del santuario, sulle sponde del bacino d'acqua, venne costruito un ninfeo: una grotta artificiale con copertura a volta ospita una base a forma di ferro di cavallo sulla quale dovevano essere esposte piccole immagini cultuali.

Sono state parzialmente ricomposte sei statue colossali, originariamente collocate accanto al porticato settentrionale. Esse si dispongono cronologicamente tra il 160 e il 120 a.C. e sono stilisticamente ricollegabili ad ateliers di Coo. Una testa femminile scoperta vicino al ninfeo rivela invece l'influenza di Pergamo.

Poco dopo la visita di Adriano in Licia del 129 d.C. si intraprese la costruzione di un grande ninfeo a sigma, che sorgeva lungo la sponda occidentale del bacino, immorsandosi al porticato, specularmente al ninfeo ellenistico. A partire dal III sec. però il santuario si impoverì e si trovò a dover contrastare l'innalzamento della falda freatica, le alluvioni invernali e i depositi alluvionali. Nel IV sec. la parte bassa venne abbandonata, il Tempio di Latona cadde in disuso e gli altri due vennero distrutti. Una chiesa paleocristiana venne eretta nel V sec., utilizzando numerosi blocchi di reimpiego.

Un'iscrizione in mosaico ci conserva il nome di un diacono, Eutyches. Il Tempio di Latona venne definitivamente distrutto e il sito fu completamente abbandonato nel corso del VII sec. d.C.