L'Isola
di Pasqua, Rapa Nui nella lingua indigena, è un sito archeologico di
eccezionale rilevanza, e che, a prima vista, sembra costituire un mondo a sé
stante, tanto è marcato il suo isolamento geografico. La più vicina isola
abitata, la minuscola Piticairn, si trova infatti oltre 1200 miglia (pari a più
di 2200 km) a ovest. Più di 2500 miglia (4500 km circa) separano Rapa Nui dalle
coste sudamericane e, nella direzione opposta, 2000 circa (3700 km) la dividono
da Tahiti. Non deve perciò sorprendere che molti dei tratti distintivi della
cultura che si sviluppò nell'isola abbiano caratteristiche di unicità, che
sono certamente il riflesso di una posizione decisamente eccentrica rispetto ai
principali fenomeni che segnarono la storia del continente oceanico d'un canto e
di quello americano dall'altro.
Al
contrario di quello che si può pensare sono stati i polinesiani a colonizzare
quest'isola, e non i sudamericani, anche se sono più vicini all'isola.
L'esploratore norvegese Thor
Heyerdahl, sosteneva che una popolazione bianca proveniente dal Sud
America avesse colonizzato la Polinesia e aveva anche dimostrato che si poteva
navigare dal Perù alle Isole Marchesi
con una semplice zattera, il famoso Kontiki. In ogni caso test genetici
sottoposti agli scheletri degli antichi abitanti dell'isola hanno dimostrato che
questi ultimi erano polinesiani. Infatti in tutte le ossa testate si sono
trovate delle caratteristiche genetiche che possiedono solo i polinesiani.
In
ogni caso il fatto che la patata dolce (kamara) caratteristica della dieta
polinesiana, sia tipica del Sud-america dimostra che possono esserci stati
contatti tra le due culture. Si suppone, ma senza prove definitive che più
facilmente i polinesiani raggiunsero il Sud America, che il contrario. Pertanto
il contributo di Heyerdahl risulta limitato all'aver per primo dimostrato la
possibilità di un interscambio tra Polinesia e Sud America.
La
storia dell'isola - La storia dell'Isola di Pasqua è difficile da
ricostruire in quanto mancano completamente fonti certe e i primi coloni non
hanno lasciato documenti scritti ai quali fare riferimento, dato che questi
popoli all'epoca della prima colonizzazione dell'isola non disponevano ancora di
una scrittura. Esistono pertanto varie tesi tra loro contrastanti di come sia
avvenuta la colonizzazione dell'isola. Esistono quindi sostenitori di una
possibile colonizzazione a più ondate avvenuta tra il 1100 d.C e il 1600 e
altri che ritengono che essa sia avvenuta in una unica fase tra il 900 d.C. e il
1100. Per quanto riguarda l'origine della popolazione anche qui sorgevano
diverse controversie. Secondo Thor Heyerdahl, un fautore della tesi della
colonizzazione a più ondate, la popolazione indigena doveva essere originaria
del Sud America. Tale ipotesi si rivelò tuttavia falsa in quanto studi
etimologici della lingua parlata dalla popolazione indigena, ritrovamenti
archeologici e infine test genetici condotti negli anni novanta hanno dimostrato
che la popolazione doveva essere di origine polinesiana. Ciò nonostante va
riconosciuto a Heyerdahl il merito di aver dimostrato che una colonizzazione
dell'Isola di Pasqua sarebbe potuta avvenire anche dal Sud America.
Allo
sbarco dei primi colonizzatori polinesiani che i più recenti studi fanno
risalire attorno al 800-900 d.C., l'isola si doveva presentare come una immensa
foresta di palme. Fino al 1200 d.C. la popolazione rimase numericamente modesta
e sostanzialmente in equilibrio con le risorse naturali presenti. In seguito,
però, nacque da parte degli abitanti la necessità di costruire i moai, il cui sistema di trasporto richiedeva notevoli quantità di
legname. Cominciò pertanto un importante lavoro di disboscamento dell’isola
che fu ulteriormente intensificato dopo il sensibile aumento della popolazione
dovuto a nuovi sbarchi. Verso il 1400 d.C. la popolazione raggiunse i
15.000-20.000 abitanti e l’attività di abbattimento degli alberi conobbe il
proprio massimo di intensità. La riduzione della risorsa forestale provocò un
inasprimento dei rapporti sociali interni che sfociarono talora in violente
guerre civili. Tra il 1600 e il 1700 d.C., in alternativa al legno divenuto
sempre più scarso, gli abitanti iniziano a utilizzare anche erbe e cespugli
come combustibile. Le condizioni
di vita sull'isola divennero pertanto proibitive per la poca popolazione
rimasta, in gran parte decimata dagli scontri interni e dai flussi emigratori.
A
spiegazione della precoce perdita di alberi dell’isola, oggi si sono portate
avanti anche ipotesi riguardanti la possibile responsabilità dei ratti del tipo polinesiano (rattus
exulans) che colonizzarono al seguito dei polinesiani attorno al 1500
oppure altri ratti che raggiunsero l’isola dopo il 1700 d.C., con gli sbarchi
dei primi europei. L'assenza di predatori naturali, permise a questi piccoli
mammiferi di moltiplicarsi a dismisura e, considerato che nella loro dieta
alimentare vi entrarono immediatamente anche i semi di palma, si ritiene che
abbiano potuto contribuire all’estinzione degli alberi dell’isola.
Il
primo ad avvistare l'Isola di Pasqua fu presumibilmente il pirata Edward Davis,
che avvistò l'isola a bordo del su battello Bachelors Delight nel 1687. Non
capendo tuttavia di aver avvistato un'isola ritenne di aver scoperto il
continente meridionale. Davis non attraccò però mai sull'isola.
Il
primo a sbarcare invece sull'isola fu l'olandese Jakob
Roggeveen, che sbarcò su di essa il lunedì di Pasqua 1722,
motivo per il quale l'isola fu battezzata Isola di Pasqua. Seguì quindi un
periodo durante il quale la corona spagnola cercò di espandere a discapito di
inglesi e olandesi il proprio dominio nei territori del sud Pacifico.
Fu quindi l'allora governatore spagnolo del Cile
e viceré del Perù, Manuel
Amat y Junient a ordinare a Don
Felipe Gonzales de Haedo di annettere l'Isola di Pasqua ai territori
spagnoli. Gonzales raggiunse l'isola nel novembre del 1770
a bordo della nave San Lorenzo scortata dalla fregata
Santa Rosalia. Gonzales cambiò il nome dell'isola in San Carlos e fece erigere
in segno della conquista varie croci su tutta l'isola. Negli anni a seguire però
la corona spagnola non inviò più altre spedizioni sull'isola perdendo di fatto
la sovranità su di essa.
Dopo
un periodo di assenza da parte di spedizioni europee fu James
Cook il primo a sbarcare nuovamente sull'Isola di Pasqua il 13
marzo 1774, rimanendo su di essa per soli 4 giorni prima di ripartire il
17 marzo. Cook, come molti altri
dopo di lui, ritenne di scarso interesse l'isola. Secondo quanto riportato dal
suo diario di bordo egli annotò che solo poche isole in tutto il Pacifico
erano più inospitali di questa. Ciò nonostante dobbiamo al capitano Cook e al
naturalista Johann Reinhold Forster
e a suo figlio Reinhold Forster,
che si trovavano al seguito della spedizione di Cook, la maggior parte delle
conoscenze che abbiamo sull'isola. Grazie al loro contributo fu elaborata una
prima carta geografica che riportava i siti archeologici maggiori. Inoltre in
soli quattro giorni furono fatti più schizzi di Moai
di quanti non siano stati fatti nei 50 anni seguenti, permettendo al pubblico
europeo di ammirare per la prima volta nella storia tali opere in mostre
appositamente predisposte in tutta Europa.
Nel 1786 fu quindi il momento del conte Jean-François
de La Pérouse che, incaricato da Luigi
XVI, doveva elaborare delle mappe dell'intera area del Pacifico.
Con la scoperta dell'Isola di Pasqua da parte degli europei iniziò
contemporaneamente anche uno dei capitoli più oscuri dell'intera storia
dell'isola. Spagnoli inglesi e francesi avevano importato sull'isola varie
malattie quali la sifilide e l'influenza
che mietevano numerose vittime tra la popolazione indigena.
Fu
quindi il momento di una serie di razzie da parte di mercanti di schiavi tra il 1859 e il 1861 che
deportarono parte della popolazione sull'isola di Chinches di fronte alle coste
del Perù. Le deportazioni, le
malattie e le faide interne tra gli abitanti dell'isola fece sì che la
popolazione continuò a ridursi fino al 1877, anno in cui si registrarono soli 111 abitanti su tutta
l'isola.
Nel 1866 un ufficiale francese di nome Dutroux-Bornier
reduce dalla guerra di Crimea
era giunto sull'Isola di Pasqua accompagnato dal suo socio in affari, l'inglese
Brander. In seguito a una serie di investimenti riusciti i due acquistarono
dalla popolazione indigena ampi appezzamenti di terreno. Bornier si trasferì
quindi sull'isola, dando luogo a un piccolo regno il cui sovrano era lui stesso.
Egli scacciò la popolazione indigena dai suoi villaggi costringendola a vivere
all'interno di un piccolo territorio nella zona occidentale dell'isola che non
gli era permesso lasciare e trasformando l'intera isola in un enorme pascolo per
pecore e mucche. Tuttavia in seguito alle condizioni disumane a cui sottostava
la popolazione indigena, nel 1876
ci fu una rivolta nella quale Bornier venne ucciso. La proprietà dell'isola
passò quindi al suo socio Brander che morì di una morte naturale l'anno
seguente e quindi agli eredi della famiglia Brander, mentre gli eredi di Bornier
nonostante il loro ricorso dinanzi a un tribunale francese ne uscirono a mani
vuote.
Il 9
settembre 1888 l'Isola di Pasqua
fu quindi annessa al Cile. Il
governo cileno su consiglio del capitano Policarpo
Toro, ritenne che l'isola fosse di importanza strategica per il Cile.
Toro ratificò quindi il documento di annessione in presenza di 20 capi tribù a
bordo delle nave da guerra Angmos. I giorni seguenti anche una nave da guerra
francese giunse nei pressi dell'Isola di Pasqua con l'intenzione di annettere
l'isola, ma riprese nuovamente il largo non appena appreso che l'isola era già
stata annessa dal Cile.
Dal 1895 in poi il governo cileno permise nuovamente l'allevamento di
animali sull'isola affittandola a un certo Enrique
Merlet, che negli anni successivi acquistò vari appezzamenti di terreno
dal governo cileno. Nel 1903 infine egli vendette tutto alla società inglese
Williamson-Balfour.
Nel 1911 fu quindi il momento del Dr.
Walter Knoche, un cittadino cileno di origini tedesche, che su incarico
del governo cileno stabilì sull'isola una stazione
meteorologica e una stazione
sismica. Dal 1900 in poi sull'Isola di Pasqua si registrarono una serie di
epidemie. Oltre all'influenza e
alla sifilide che erano già
arrivate sull'isola con lo sbarco degli europei si aggiunse anche la lebbra, che fu probabilmente importata dalla popolazione indigena
deportata nei decenni precedenti e che aveva fatto ritorno sull'isola dopo esser
stata rilasciata nuovamente in libertà. Su consiglio della società inglese
Williamson-Balfour fu quindi fatto costruire un lebbrosario
a Hangaroa, dove, secondo testimonianze della popolazione locale, furono
rilegati anche personaggi scomodi alla compagnia.
Durante
la prima guerra mondiale l'isola fu quindi teatro di alcuni scontri navali che
avvennero al largo di quest'ultima. Il 19 ottobre 1914 due incrociatori
corazzati tedeschi, SMS Scharnhorst e SMS Gneisenau, raggiunsero un convoglio
proveniente dall'Atlantico.
L'incrociatore ausiliario tedesco Prinz Eitel Friedrich, affondò nei giorni
seguenti dinanzi alle coste dell'Isola di Pasqua il mercantile francese Jean.
L'equipaggio del mercantile si mise quindi in salvo raggiungendo l'isola.
Sempre
nel 1914 l'isola fu luogo di violentissimi scontri tra la popolazione indigena e
la popolazione cilena[10]
dell'isola, che in seguito alla visione di una veggente, si era ribellata per
riprendere possesso dell'isola. La rivolta poté esser soppressa grazie
all'intervento di una nave da guerra cilena, il cui comandate però espresse
preoccupazione vedendo le condizioni in cui versava la popolazione indigena. Su
richiesta del Cile la società Williamson-Balfour ritirò il proprio governatore
dall'isola che fu sostituito da uno cileno, che avrebbe dovuto almeno
teoricamente rappresentare e preservare gli interessi di entrambe le fazioni.
L'Isola
di Pasqua rimarrà quindi dal 1914
fino al 1967 sotto controllo diretto da parte dell'esercito cileno, mentre
la formazione di prime strutture democratiche indipendenti non sarà permessa
prima della fine degli anni sessanta.
Nel 1935 giunse il frate
cappuccino Sebastian Englert
sull'Isola di Pasqua rimanendoci fino alla sua morte nel 1969. Per molti anni
Englert fu l'unico prete sull'isola e l'unico che aveva preso a cuore le sorti
della popolazione indigena. Englert fondò la prima scuola sull'isola. Sempre a
Englert dobbiamo i numerosi reperti archeologici e botanici, inoltre grazie ai
suoi numerosi ritrovamenti archeologici poté essere istituito il museo di Hanga
Roa ed è sempre grazie a lui che il mondo scientifico ha scoperto l'interesse
per quest'isola. Di seguito ci furono numerose spedizioni scientifiche
sull'Isola di Pasqua che videro a capo di esse nomi illustri come quello
dell'inglese Katherine Routledge,
del francese Alfred Métraux o
del tedesco Thomas Barthel. Dal
1955 al 1956 anche il norvegese Thor
Heyerdahl condusse degli scavi sull'isola.
L'isola
di Pasqua è un triangolo di roccia vulcanica, la cui esigua superficie si
aggira attorno ai 180 chilometri quadrati; gli indigeni, che a causa del loro
isolamento non conoscevano altre terre emerse, la chiamavano "Rapa
Nui", ossia "ombelico del mondo".
Alcuni
sostengono che i primi coloni giunsero dalle Isole Marchesi - distanti 4000
chilometri - attorno al 500 d.C. e che, una volta insediatisi, svilupparono
sulle proprie radici polinesiane una cultura autoctona. A suffragare tale
ipotesi vi sarebbe una leggenda locale che narra di un sovrano che in tempi
remotissimi abbandonò un'isola chiamata Hiva a bordo di due lunghe barche e
dopo un'estenuante navigazione giunse nella nuova patria, dove prese il nome di
Hotu Matua. Qui il suo popolo, a partire dal X secolo d.C., avrebbe iniziato a
erigere le grandi statue, i moai, allineate su piattaforme monumentali dette
ahu; questi santuari sarebbero stati dedicati agli dèi e agli antenati
divinizzati.
Purtroppo,
dopo una fase iniziale di splendore, si scatenò un lungo periodo di guerre
tribali, durate dal XVII secolo fino ai primi dell'Ottocento, che portò alla
distruzione dei moai e della società civile stessa.
La
tesi sarebbe dimostrata dal fatto che sulle Isole Marchesi il toponimo Hiva è
alquanto diffuso; per di più esistono affinità a livello linguistico tra la
lingua parlata a Rapa Nui e gli antichi idiomi polinesiani. Infine, l'esame del
Dna mitocondriale eseguito su un certo numero di ossa umane rinvenute sull'isola
ha evidenziato una stretta somiglianza con il Dna dei polinesiani.
Ciò
metterebbe la parola fine a ogni discussione e screditerebbe la teoria dei
colonizzatori arrivati dal Perù avanzata negli anni Quaranta da Thor
Heyerdahl, l'esploratore norvegese che riuscì a raggiungere le isole della
Polinesia dalle coste del Sudamerica a bordo della Kon Tiki, una fragile zattera
di balsa.
A
scompigliare le carte in tavola interviene però una seconda leggenda, secondo
la quale il sovrano Hotu Matua giunse, si, dalle Isole Marchesi assieme al suo
popolo, ma nel XII secolo e trovò l'isola già abitata da gente dalla pelle più
chiara. I due gruppi etnici vissero pacificamente e si fusero in un'unica razza,
finché un giorno subentrò una terza ondata migratoria, questa volta di uomini
provenienti da est e tanto robusti da essere subito chiamati Hanau Eepe, ossia
la "Razza forte". Costoro avevano tra l'altro orecchie dai lobi molto
svilupati, di modo che furono detti anche "Grandi Orecchie", in
contrapposizione agli abitanti più antichi, ovviamente autodefinitisi
"Piccole Orecchie". Anche questa ipotesi gode di qualche elemento
probante, come l'esistenza sull'isola di specie vegetali che vivono
esclusivamente in Sud America.
La
camote è una specie di patata dolce, mentre la totora è una
canna che gli indios del lago Titicaca, tra Perù e Bolivia, utilizzano da tempi
immemorabili per fabbricare resistentissime imbarcazioni. Neppure a farlo
apposta, gli indigeni di Rapa Nui usavano la totora che cresceva nei
laghi vulcanici dell'isola per costruire barche da pesca. Oltretutto, i nobili
inca, quale simbolo della propria schiatta, si deformavano i lobi delle
orecchie, al punto che i Conquistadores di Pizarro li avevano battezzati orejones.
Una
leggenda peruviana narra a sua volta che un principe inca, in un periodo di
lotte dinastiche abbandonò la sua terra con alcuni sudditi fedeli e navigò
verso est in cerca di fortuna: nessuno lo vide tornare. Per secoli, dunque, la
Razza forte convisse con i vecchi abitanti, gli Hanau Momoko, o "Razza
Debole".
Fu
intorno al 1000 d.C. che sulle piattaforme comparvero i primi moai, le enormi
statue in pietra vulcanica estratta dal Monte Rano Raraku, raffiguranti busti
umani con teste e lobi delle orecchie molto allungati, grandi orbite con occhi
di corallo bianco e iridi rosse e sculture sul corpo a imitazione di tatuaggi.
Sulle teste venivano posti copricapi cilindrici in tufo rosso, i pukao, ricavati
dalle rocce del cratere di Punapao. Tutte le statue erano rivolte verso i
villaggi dell'interno e davano le spalle al mare, a conferma che si trattava di
rappresentazioni di capi-eroi divenuti entità protettrici dei loro clan dopo la
morte.
Il
moltiplicarsi di queste statue viene messo in relazione da alcuni con il
probabile approdo sull'isola di nuove genti dalle "orecchie lunghe",
che in un primo tempo avrebbero convissuto pacificamente con gli autoctoni dalle
"orecchie corte". Ma se questa valutazione fosse vera, le
"orecchie lunghe" provenivano da est, dal Sudamerica, oppure da ovest,
dalla Polinesia? Un altro enigma è rappresentato dall'affermazione, verso il
1500, del culto del dio uccello, presente
nelle culture peruviane e precolombiane in genere.
I
moai continuarono a essere scolpiti e innalzati, raggiungendo l'altezza media di
una decina di metri, con esemplari di venti metri pesanti 80 tonnellate. Ma lo
sfruttamento intensivo del territorio, l'abbattimento di tutti gli alberi che
impedì di fabbricare nuove barche e capanne, portò alla carestia. I due gruppi
etnici che abitavano l'isola si diedero battaglia (si pensa verso il 1680) e
dopo la vittoria delle "orecchie corte" e il massacro degli sconfitti,
le statue furono abbattute, molte distrutte e altre buttate in mare. Quando il
capitano Cook visitò l'isola (1774), osservò che la popolazione era
stranamente formata da 600 uomini e solo 30 donne. Nel 1862 i trafficanti di
schiavi invasero l'isola e fecero prigionieri un migliaio di abitanti, avviati a
lavorare nelle miniere di rame peruviane. Se ne salvarono 15, ma quando
tornarono sull'isola diffusero il vaiolo, che ridusse la popolazione a soli 110
individui. Con la loro morte si è purtroppo perduta la maggior parte della
memoria storica di un intero popolo. Dopo il 1888, anno dell'annessione al Cile,
l'isola si riprese lentamente e oggi conta 2800 abitanti. Lo studio delle grandi
statue, con il restauro e il rialzo sulle piattaforme, fu iniziato da Thor
Heyerdhal nel 1955; altri interventi furono compiuti da archeologi americani nel
I960 e nel 1978, risollevando decine di statue e catalogandone oltre 600.
Moai - Rapa Nui è
famosa soprattutto per i moai, gigantesche teste scolpite nella roccia, almeno
288 dei quali erano un tempo eretti su basamenti chiamati ahu, che trovano
analoghi nella cultura polinesiana. Circa 250 moai delineano tutto il perimetro
dell'isola, mentre altri
600, in
diversi stadi di lavorazione, sono sparsi disordinatamente lungo la costa e nei
pressi del vulcano Rano Raraku, dove si trovano le cave in cui venivano
scolpiti.
Realizzati
in prevalenza tra l'anno 1000 e il 1650, raggiungono al massimo i 10 metri di
altezza e le 80 tonnellate di peso, ma uno di essi, parzialmente scolpito nel
suo letto roccioso, è grande il doppio e - se ultimato - sarebbe pesato circa
160 tonnellate. Secondo l'opinione più accreditata, dovevano avere un
significato religioso, poiché impersonavano i mana, gli spiriti degli antenati,
in accordo con la tradizione polinesiana. Per altri sarebbero simboli
dell'autorità, sia religiosa sia politica. La società di Rapa Nui prosperò
per secoli, ma con il crescere della popolazione arrivò, inesorabile, il
declino. Al suo apice, l'isola doveva avere ormai circa 10.000 abitanti. Troppi,
per quei 120 chilometri quadrati.
Già nel
XV secolo il fragile ecosistema era compromesso al punto che non c'erano più
alberi per costruire le canoe. Gli ultimi vennero tagliati per fare spazio alle
coltivazioni. Scoppiarono contrasti tra clan che portarono a una frattura nel
tessuto sociale, fino a vere e proprie battaglie e, da ultimo, al cannibalismo.
L'arrivo degli europei peggiorò la situazione. Portarono malattie e molti
abitanti di Rapa Nui furono deportati dagli equipaggi delle navi per essere
venduti come schiavi. Tanto che nel 1877 la popolazione - oggi ritornata a circa
2000 abitanti, tra i quali però anche molti cittadini di origine continentale -
era ridotta 111 unità. Ma il collasso interno era già avvenuto. Così violento
e irreversibile che oggi la storia di Rapa Nui è considerata il simbolo della
catastrofe ecologica.
La
lavorazione dei moai avveniva direttamente nella cava del Rano Raraku,
cominciando a scolpire la parte anteriore e i fianchi. Poi si staccava la
statua, facendola scivolare in una buca e la si completava sul retro,
collocandovi in cima il copricapo di tufo. Quindi la si legava a una slitta,
proteggendola con assi di legno, e la si trasportava presso la piattaforma
scelta, in media distante 6 chilometri.
La
statua veniva allora posta su un cumulo inclinato di pietre, gradatamente
accresciuto fino a sollevarla in posizione eretta con l'aiuto di leve di legno.
Fissata sulla piattaforma, si completavano gli occhi con il corallo. Secondo gli
studiosi, i lavori di sbozzamento e scultura nella cava di un moai impegnavano
30 persone per circa un anno, mentre il trasporto e il sollevamento un centinaio
di uomini per quattro mesi. Ma Thor Heyerdhal, con l'aiuto di 12 indigeni e
utilizzando soltanto pietre, corde e rulli di legno, in 18 giorni riuscì a fare
trasportare e innalzare un grande moai, dimostrando ancora una volta che spesso
la pratica supera la teoria.
Rongorongo
- L'Isola di Pasqua è l'unica nell'area del Sud Pacifico ad aver sviluppato
nella propria storia una scrittura propria, chiamata Rongorongo.
Tuttavia
non mancarono anche al riguardo della scrittura indigena forti controversie nel
mondo scientifico, e così l'archeologo
americano Kenneth P. Emory
sostenne che le poche tavole scritte scoperte tra il 1722
e il 1868, non fossero altro che imitazioni fatte dalla popolazione
indigena della scrittura usata dai primi scopritori dell'Isola di Pasqua.
Come
è facile presupporre, la scrittura Rongorongo
non fu mai decifrata completamente e per molti decenni rimase incompresa. Fu
quindi solo grazie agli studi condotti dal tedesco Thomas
Barthel e alla scoperta di una tavoletta che riportava un calendario
lunare (oggi conservata nell'archivio dei SS Cuori a Grottaferrata
nei pressi di Roma), la cosiddetta tavoletta Mamari,
che si poté parzialmente decifrare alcuni simboli. In tutto il mondo esistono
solamente 24 tavolette scritte in Rongorongo,
delle quali solo una minima parte poté essere tradotta.
Orongo e il
culto dell'uomo uccello - In seguito ai cambiamenti all'interno della società
e ai cambiamenti ambientali provocati dalla popolazione indigena, si verificò
anche uno stravolgimento delle tradizioni e credenza delle tribú indigene che
popolavano l'isola. Dal 1500 d.C. in poi non vengono più eretti nuovi moai, ma
quelli esistenti vengono bensì abbattuti. Cessa quindi anche la venerazione
degli avi che fino ad allora rappresentava la tradizione più importante della
popolazione indigena. Al posto degli avi si venera ora l'uomo uccello, un essere
per metà uomo e per metà uccello.
Ogni primavera
le singole tribù dell'isola sceglievano un guerriero
che doveva partecipare al rito dell'uomo
uccello, che consisteva nel raggiungere dal santuario di Orongo
sulla cima del Rano Kao l'Isola
di Motu Nui e riportare il primo uovo
deposto dalla Sterna fuscata.
Chi riusciva per primo a riportare un uovo indenne diveniva il nuovo uomo
uccello fino alla primavera prossima, quando il rituale veniva ripetuto.
Quali
siano le origini di questo rituale non sono note e ancor meno si sa se la
tradizione dell'uomo uccello
esistesse già prima del 1500 o sia stata frutto (come alcuni archeologi
speculano) di alcune caste di guerrieri, che vollero in tale modo garantirsi una
posizione di rilievo. Certo è che su molte isole popolate dai polinesiani si
venerava già in passato l'uomo uccello. Si può presupporre quindi che questo
tipo di culto abbia origini lontane e che fosse già praticato dalla popolazione
indigena prima del 1500 anche se probabilmente in forma minore.
Rei Miro - Il Rei
Miro è un pettorale di legno tipico della cultura dell'Isola di Pasqua.
In passato questo veniva fatto con il legno dell'albero di Toromiro,
ed era decorato alle due estremità da due teste di animali scolpite. Il Rei Miro puó sia rappresentare un uccello che un'imbarcazione.
Alcuni esemplari riportano anche delle incisioni in Rongorongo e due fori per far passare un piccolo spago, che
probabilmente serviva per fissarlo. Quale sia la funzione o il significato di
tale oggetto è tuttora sconosciuto.
Il Rei
Miro è anche divenuto il simbolo dell'Isola di Pasqua. Sulla bandiera
dell'isola infatti è rappresentato un Rei
Miro di colore rosso su sfondo bianco.
Le
grotte - Le origini
vulcaniche dell'isola hanno fatto si che questa disponga di un numero
considerevole di grotte. Quest'ultime, formatesi durante la fase finale delle
eruzioni, quando i fiumi di magma sotterranei iniziavano a raffreddarsi, furono
usate per molti secoli dalla popolazione indigena come luoghi di culto. A
testimonianza di tale attività in molte di esse si possono ancora trovare
dipinti rupestri e altorilievi, che rappresentano sia il uomo uccello, che il
dio Mache Mache.
L'esatta
collocazione delle singole grotte era un segreto ben protetto dai capi tribù
che tramandavano oralmente riti da compiersi e luoghi delle grotte a singoli
membri della comunità. Tali grotte venivano poi anche usate per seppellire in
alcuni casi i propri morti, come testimoniano ossa umane ritrovate in alcune di
queste grotte. Nel periodo delle deportazioni da parte dei mercanti di schiavi
tali grotte vennero poi anche usate come nascondigli dove rifugiarsi.
L'Isola
di Pasqua con le sue sole 30 specie vegetali indigene è una tra le isole più
povere di specie vegetali in tutta l'area del Sud Pacifico. L'isola infatti è
situata in una zona lontana dalla costa e in tutta la sua storia geologica non
ha mai goduto di un collegamento con la terra ferma, mentre la maggior parte
delle correnti oceaniche che interessano l'isola provengono da occidente e non
portano pertanto semi dalla terra ferma. Anche il contributo da parte delle
specie di uccelli migratori che popolano l'isola è stato modesto.
Si
ritiene pertanto che la maggior parte delle piante sull'Isola di Pasqua sia
stata importata dal uomo. Tale teoria trova inoltre conferma sia nella leggenda
locale di Hotu Matu, secondo la
quale furono gli uomini a portare le piante, che nei diari dei primi europei che
visitarono tale isola, secondo i quali la popolazione locale disponeva al
momento del loro arrivo già di proprie coltivazioni, che venivano usata sia per
il fabbisogno proprio, che come mangime animale.
Per
quanto riguarda invece la vegetazione attuale, essa dovrebbe differenziarsi
notevolmente da quella originaria. Questa è il risultato di una serie di
modifiche apportate dall'uomo nel giro dei secoli. Secondo alcune analisi
condotte negli anni passati, l'isola sarebbe stata coperta fino a qualche secolo
fa da una fitta vegetazione composta per la maggior parte da palme. Dal 1010 in poi però l'isola ha subito una deforestazione, durante la
quale secondo alcune stime fatte, oltre 10 milioni di palme della specie Jubaea
chilensis sarebbero state abbattute, favorendo di conseguenza sia l'erosione
dello strato fertile di terreno che ricopre l'isola, che la desertificazione
di ampie zone, esponendo il terreno al vento e alle intemperie. Tale evento
sarebbe quindi stato anche causa di una drastica riduzione della popolazione
sull'isola durante questo periodo.
A
testimonianza delle ampie foreste che una volta ricoprivano l'isola sarebbe
rimasto solo il Scirpus californicus,
una specie di canna, che cresce solamente all'interno del cratere
di Rano-Kao e che una volta
veniva usata dalla popolazione indigena per ricoprire le capanne. Per quanto
invece riguarda la specie d'albero, il Sophora
toromiro, che una volta ricopriva l'intera isola, questa può essere
ritenuta estinta, dal momento che esistono solo pochi esemplari al mondo
coltivati all'interno di giardini botanici.
Per
quanto riguarda le felci invece sull'isola esistono solo 15 specie di questa
pianta, delle quali 4 sono endemiche.
Tra
le piante indigene presenti sull'Isola di Pasqua fa anche parte la Triumfetta
semitriloba, un arbusto di piccole dimensioni che appartiene alla
famiglia delle Tiliaceae.
Questa è probabilmente secondo alcune ricerche fatte una delle prime piante che
circa 35.000 anni fa popoló quest'isola. In passato questa pianta veniva
utilizzata per tessere le reti dei pescatori.
Per
quanto invece riguarda il paesaggio odierno, questo è prevalentemente
caratterizzato da ampie praterie, popolate perlopiù da Poaceae,
Cyperaceae e da Asteraceae,
mentre nella zona meridionale dell'isola negli ultimi decenni si è tentato di
far crescere delle foreste di eucalipto.
Sull'isola e poi presente anche una specie di patata originaria dal centro
america, che nei secoli passati si è espansa in tutta l'area del sud
Pacifico.
Secondo
i diari di Jean-François de La Pérouse,
all'epoca della scoperta da parte degli europei, la popolazione indigena avrebbe
coltivato all'interno di alcune caldere
delle piante di banane, dimostrando una certa abilità nella coltivazione di
questultime. Infatti il forte vento che spira quasi tutto l'anno sull'isola
rende pressoché impossibile la coltivazione di piante sensibile, e ha reso
necessario attuare particolari accorgimenti affinché queste piante potessero
essere coltivate. Come all'epoca anche oggi alcune piante di banane vengono
tuttora coltivate all'interno delle caldere,
che sendo riparate dal vento dispongono di un microclima
che favorisce la crescita di questa pianta.
Come
la flora
anche la fauna
dell'isola ha risentito notevolmente della presenza degli esseri umani e della
posizione isolata dell'isola. Secondo delle ricerche condotte negli ultimi anni
l'Isola di Pasqua era abitata da 25 specie di uccelli migratori e da 6 specie di
uccelli marini, mentre al giorno d'oggi solamente 7 specie di volatili popolano
ancora l'isola.
I
mammiferi che vivono sull'isola quali cavalli,
pecore, mucche e maiali sono tutti stati importati dagli uomini, come del resto è
avvenuto anche per i ratti, che furono invece importati in varie fasi della
storia dell'isola su di essa. Si ritiene che i primi ratti importati sull'Isola
di Pasqua furono importati come animali da macello dai primi coloni (Rattus
exulans) e che solo successivamente con la scoperta da parte degli
europei fu importato il ratto norvegicus che entrò in competizione con il ratto exulanus
causando la sua estinzione sull'isola.
Per
quanto riguarda invece la famiglia dei rettili. l'isola è abitata dalla
lucertola Ablepharus boutonii,
che sull'isola viene anche chiamata moco. L'animale misura all'incirca una
lunghezza di 12 cm e ha un colore marrone chiaro.
Contrariamente
a quanto ci si potrebbe aspettare la fauna marina non è caratterizzata da una
fauna tropicale o sub tropicale come avviene per molte delle isole nel sud Pacifico
ed è pertanto relativamente povera di specie marine. Sull'isola non esiste
quindi una barriera corallina.
Inoltre le acque intorno all'isola dovrebbero essere popolate da circa 107
specie di pesci, mentre al largo vivono grandi branchi di capodogli. Una
possibile spiegazione per l'elevato numero di capodogli
che popolano queste acque potrebbe essere dato dalle molte sorgenti
sottomarine che sono tuttora attive nei fondali oceanici in quella zona e
che favoriscono con la loro immissione di acqua calda la prolificazione dei
calamari dei quali i capodogli si nutrono. Nel 2005
un gruppo di biologi marini ha scoperto una nuova specie di questi calamari che
è stata chiamata Kiwa hirsuta.
Di
particolare interesse è infine una curiosa specie di lumaca che esiste
solamente sull'Isola di Pasqua e sull'isola di Sala
y Gómez, la Cypraea englerti, che è stata nominata in onore di Sebastian
Englert.