DAL 2015 SITO
PATRIMONIO IN PERICOLO - Danni
inflitti al sito da parte di gruppi armati
Benché
siano venute alla luce tracce di un insediamento più antico, i primi
resti effettivi risalgono al principio dell'èra cristiana. Hatra è
spesso descritta come una città carovaniera, ma in realtà la via
carovaniera più vicina passa a un giorno di marcia più ad Est e non vi
è alcun indizio che Hatra sia mai stata importante dal punto di vista
commerciale. Se mai, fu piuttosto un centro militare e religioso. Come
avamposto parthico e in seguito come, praticamente, cliente indipendente
del regno parthico, Hatra resistette due volte con successo all'assedio
degli eserciti romani comandati una volta da Traiano, un'altra da Settimio
Severo.
Nel III
sec. per un breve periodo passò nell'orbita romana ed ebbe la guarnigione
della coorte ix Gordiana Mauritanorum, ma
quando, ben presto, Roma si ritirò di fronte alla potenza sorgente della
nuova dinastia sassanide, Hatra fu lasciata al suo fato e quindi assediata
e distrutta da Shāpur I, circa il 250 d.C. Ammiano Marcellino, che visitò
i luoghi nel 363, ne parla come di una rovina abbandonata.
La città
fu riscoperta dal Ross nel 1836 e i resti visibili furono rilevati
dall'Andrae nel 1906-11. Dal 1951 è stato intrapreso lo scavo in larga
scala da parte del Dipartimento delle Antichità Iracheno.
La pianta
della città è un agglomeramento tipicamente orientale - di case rivolte
verso l'interno, con cortile, costruite in mattoni crudi; di strade
tortuose, che si svolgono senza seguire alcun piano - difeso da un
imponente giro di mura e di torri in apparato di pietra. Le mura, intorno
alle quali può esser riconosciuta una linea continua di tracce di opere
di assedio, racchiudono un'area di circa 320 ettari. Il monumento
principale è il tempio del dio del sole Shamash, un grande recinto
rettangolare (m 320 × 456) al centro della città.
Il
recinto interno è rivolto a Est e occupa il terzo occidentale dell'area.
La pianta consiste in due elementi quasi uguali, posti l'uno accanto
all'altro e separati da un muro divisorio. La caratteristica principale di
ciascuno è un grande iwān, con volta a botte, largo circa 16 m
e profondo 30, che si alza per più di 24 m sopra il livello del
pavimento.
Ai
lati di ogni iwān principale si alzavano due file sovrapposte di
vani minori, mentre tre ordini architettonici, paragonabili a quelli dei
palazzi parthici di Assur, ma più affini nei particolari agli esempî
classici da cui derivavano, decoravano la facciata, che era inoltre adorna
di statue poste su mensole e di teste e di busti in alto rilievo sui
piedritti degli archi.
Il
programma generale è del tutto orientale, ma i particolari architettonici
e il tipo di muratura (si tratta dell'unico edificio costruito con grosse
pietre nel periodo classico in Mesopotamia) sono ampiamente classici e
debbono essere l'opera di tagliapietre venuti dalla Siria.
Un'iscrizione
sulla facciata dell'iwān Sud dimostra che la costruzione era già
condotta molto innanzi nel 77 d. C. All'edificio principale è aggiunta
un'ala Nord, poco più tarda, contiene due iwān secondari; al di
là del grande iwān Sud era un tempio del fuoco con
caratteristica pianta quadrangolare, circondato da tutti i lati da un alto
corridoio con volta a botte. Entro il recinto principale vi erano diversi
altri templi minori, uno dei quali era dedicato a Allat-Atena.
Oltre al
tempio maggiore, gli scavatori hanno identificato e messo in luce i resti
di più d'una dozzina di altri santuari entro la città. Ad eccezione di
elementi quali le cornici delle porte e i gradini, essi sono interamente
costruiti con la tecnica locale di mattoni crudi, su un basso zoccolo di
pietra; tutti hanno più o meno la stessa pianta, consistente in una sala
trasversa rettangolare, con volta di mattoni, con una o tre porte in uno
dei lati lunghi e un santuario interno in forma di recesso o di piccola
camera opposta alla porta centrale; vi sono spesso cappelle secondarie, o
tesori, che si aprono alle estremità della sala principale. Questi
santuarî hanno dato un ricco raccolto di statuaria, offerte votive e
iscrizioni, offrendo così una viva testimonianza della vita religiosa,
artistica e sociale della città.
Gli
abitanti di Hatra erano Semiti con sostanziali affinità agli Arabi;
scrivevano e parlavano aramaico, ma avevano assorbito molti elementi dalle
altre culture mesopotamiche, dalla cultura iranica e dalla cultura
classica, con le quali erano in continuo e stretto rapporto. Di
conseguenza il pantheon hatreno è poliglotta per le sue affinità con
altre religioni. Al nucleo etnico locale appartiene la divinità
principale, il dio solare Shamash, che è forse identificabile con Maran
("nostro Signore"), il membro principale di una triade che
include Martan ("la nostra Signora") e il loro figlio
Barmarayan. Un'altra triade del deserto di antica tradizione fu quella
della preislamica Ka‛aba: Allat (identificata con Atena e raffigurata
come tale), al-Uzza e Manat. Altre divinità adorate erano Nergal, dio
mesopotamico raffigurato come Hades, con Cerbero; la dea assira Nanal, o
Ninanna; la divinità locale Samya, l'aquila, che appare anche come
simbolo della regalità; il dio siro Ba‛alshamīn e la sua consorte
Atargatis; un dio identificato con Hermes e infine (molto in voga e sempre
rappresentato al modo classico) Eracle.

Una delle
più belle sculture rinvenute, la statua di culto di Assur-Bēl, a
grandezza maggiore del vero dal Tempio V, è tipica per il facile
sincretismo del simbolismo religioso hatreno. Il dio, rivestito di una
completa armatura romana, è rappresentato con l'abbondante barba del suo
prototipo assiro; ai suoi piedi si inginocchia la Tyche della città,
personificata secondo il modo classico; la tradizione locale invece è
rappresentata dalle aquile protettrici di Samya, e dal busto radiato del
dio sole Shamash che figura sul pettorale della corazza, mentre nel centro
del dorso è raffigurata una classica testa di Medusa.
Un altro
importante gruppo di sculture rinvenute in quello stesso tempio comprende
statue di donatori, di membri della casa reale e di altri personaggi
importanti, in molti casi a grandezza naturale e anche maggiore del vero.
Alcuni
erano scolpiti nella stessa arenaria scura impiegata nel Grande Tempio;
altri, del II e del III sec., in una pietra scadente simile all'alabastro
scavata presso Mossul ("marmo di Mossul"). La scoperta nel
Tempio XI di due statue appena sbozzate dimostra che l'opera dello
scultore si svolgeva in gran parte, se non interamente, sul posto. Queste
statue rispecchiano fedelmente l'organizzazione sociale della città. Tra
di esse sono prominenti molte che ritraggono capi militari, in costume
parthico, con lunghi pantaloni, tuniche dalle ampie maniche e mantello,
con una grandissima spada pendente da un balteo elaborato.
L'esecuzione
è stereotipata, ma, come dimostra la testa di una di queste statue
rinvenuta in prossimità del Tempio IV, i migliori esempî di tale
scultura rivelano tanta sensibilità quanta raffinatezza tecnica.
Come è
naturale aspettarsi, i sacerdoti compongono un'altra categoria ampiamente
rappresentata. Sono raffigurati con in testa il copricapo conico e con
indosso un abito lungo e liscio a noi familiare dalle pitture di Dura; la
mano destra tocca un incensiere retto con la sinistra. Un terzo gruppo
iconografico, che il soggetto rende più variato del precedente, è
costituito dai ritratti di membri della casa reale e della nobiltà
indigena.
Una
figura marmorea di un re Uthal, leggermente maggiore del vero, proveniente
dal tempio di Ba‛alshamīn (IV), indossa un alto copricapo ricamato e
una lunga veste senza maniche ricamata e porta la spada inserita in una
guaina ornata di un intaglio elaborato. Si data forse alla metà del II
secolo. Una magnifica testa di re Sanatruq, proveniente dal Tempio X, è
incoronata con un diadema con ali d'aquila, forse simbolo di apoteosi.
Sanatruq, probabilmente il primo re indipendente della città, fu l'autore
della vittoriosa difesa contro Traiano, e la sua testa studiatamente
manierata, magra e quasi ascetica, ornata di pesanti ciocche di riccioli
accurati e di una barba rigonfia illustra il momento più sofisticato
della scultura hatrena. Un'altra bella opera datata (138 d.C.) è la
statua della figlia di Sanatruq, la principessa Shapry, posta accanto all'
ingresso del tempio di Assur-Beēl (V). Il suo costume e i suoi gioielli,
per i quali vi sono corrispondenze precise nella scultura di Palmira, sono
del tutto orientali; e benché questa raffigurazione scultorea possa
basarsi, in ultima analisi, su modelli classici, ha di fatto subìto una
profonda trasformazione, particolarmente evidente nel formalismo elaborato
del disegno delle pieghe.
È molto
improbabile che Hatra sia stato un centro creativo artistico autonomo. Gli
scultori lavoravano sulla base di termini convenzionali di importazione e
una gran parte del loro lavoro è produzione artigiana in serie.
Ciononostante le opere migliori sono di una qualità mai raggiunta dagli
scultori di Palmira e di Dura e sembra assai probabile che, malgrado i
contatti manifesti con il mondo classico, la loro effettiva fonte di
ispirazione sia piuttosto a Oriente, presumibilmente nella Parthia
metropolitana.
Oltre a
queste grandi statue, i templi ci hanno dato una grande quantità di
sculture votive. Pochi frammenti di bronzo, tra cui una bella testa di
Medusa e una statuetta di Hermes, sono le sole testimonianze della
bronzistica. Per il resto si tratta in prevalenza di opere in marmo di
Mossul, tra le quali sono alcune piccole statue di singole divinità (le
figure di Ercole risultano particolarmente favorite); ritratti di due, tre
anche quattro divinità associate, ricettacoli per offerte, e una gran
varietà di piccoli santuarî votivi, tra i quali prevale la forma delle
edicole a tetràpylon. Le immagini delle divinità minori che
accompagnano questi santuarî ritraggono figure alate, maschili o
femminili spesso con un copricapo simile a un kàlathos e dotate
di attributi diversi; lance, corone vegetali, rami di palma, torce e
cornucopie.
I
rilievi, di cui offre un esempio caratteristico un gruppo di quattro
figure dal Tempio IX, sono quasi senza eccezioni lavori semplici e vivaci,
molto rozzi in confronto alle opere più sofisticate offerte
dall'aristocrazia; ma proprio per queste loro caratteristiche possono
forse offrire una visione più rispondente al vero dei reali gusti e
talenti degli Hatreni. Da un esemplare all'altro si ripetono la posa
rigida e frontale, e il disegno stilizzato delle pieghe che chiaramente
riflettono gli schemi della statuaria monumentale; gli occhi sono
normalmente inseriti e vi è un uso regolare, benché limitato, della
policromia.
Finché
non sarà accessibile molto più materiale messo in luce dai recenti
scavi, è difficile poter trarre altre deduzioni sul carattere della
scultura hatrena. Sembra comunque chiaro che, malgrado la funzione
principale di H. sia stata quella di una fortezza contro l'espansione
romana, tuttavia la città sotto molti aspetti è non meno significativa
come punto di incontro tra Oriente e Occidente e come viva manifestazione
della cultura composita che fiorì dalle due parti della frontiera comune,
prescindendo dai limiti politici e militari.

Il piano
di azione proposto dallo Stato Islamico, il quale ha occupato l'area verso
la metà del 2010, è stato motivo di rischio per la città di Hatra.
All'inizio del 2015 hanno annunciato la loro intenzione di distruggere
molti reperti della città in quanto offenderebbero la loro fede. Dopo la
distruzione di Nimrud avvenuta il 5 marzo del 2015 tramite bulldozer, si
sono diffuse notizie che l'esercito islamico avrebbe iniziato la
distruzione della città. Il 4 aprile vengono distrutte diverse statue
appartenenti alla città.
Mazze,
picconi e perfino il tiro a segno con i kalashnikov: i jihadisti dell'Isis
hanno sfogato così la loro furia iconoclasta contro le statue e gli
ornamenti dell'antica Hatra, fiorente città dell'Impero dei Parti. Lo
sfregio, annunciato e compiuto dai terroristi lo scorso 7 marzo, è stato
ostentato al mondo con un video diffuso sui siti jihadisti intitolato
"La distruzione degli idoli", condito dall'onnipresente
"canto di battaglia" dell'Isis e commentato da un militante
barbuto che, con accento della Penisola araba, afferma che le immagini
umane, proibite dall'Islam, venivano "adorate al posto di Dio".

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