LA
CITTA' DEI NOMADI - Le
prime testimonianze storiche
sui Nabatei risalgono alla
fine del IV secolo a.C.
nella lotta per la
successione al trono di
Alessandro Magno. La
Siria-Palestina era una zona
strategica molto ambita sia
dai re tolemaici egiziani
sia dai Seleucidi dell'Asia.
Fu per questo che nel 312
a.C. Antigono I Monoftalmo,
sovrano dell'Anatolia
centrale, organizzò una
spedizione contro i Nabatei
per il controllo di questo
territorio. Ma sia Ateneo,
suo luogotenente, sia suo
figlio Demetrio Poliorcete
fallirono. Diodoro Siculo
narra che i Nabatei si
rifugiarono nella
"rocca" priva di
mura difensive, ma con una
sola via di accesso. Questa
descrizione coincide con
la morfologia di Petra e con
il suo stretto passaggio di
entrata, il Siq. Antigono
dovette firmare la pace.
Diodoro Siculo ci offre in
questa descrizione storica
la prima testimonianza sui
Nabatei. Privi di un chiaro
disegno politico e
territoriale, erano
rigorosamente nomadi, al
punto di condannare a morte
chi si opponeva a questo
stile di vita. Si nutrivano
di verdure, della carne e
del latte delle loro pecore.
Raccoglievano l'acqua in
cisterne scavate nella
sabbia, impermeabilizzate
con stucco e accuratamente
nascoste per non essere
individuate. La profonda
conoscenza del territorio
permise loro di
sopravvivere.
Grazie
al controllo che
esercitarono sul commercio
con l'Oriente divennero
ricchi: commerciavano in
prodotti di lusso come
l'incenso, la mirra e le
spezie che importavano
dall'Arabia Felix (l'attuale
Yemen) fino al Mediterraneo.
In queste rotte commerciali
carovaniere, Petra, che
Antigono tentò di
conquistare alla fine del IV
secolo a.C, costituiva lo
snodo principale di
comunicazione e la tappa di
tutte le vie carovaniere; al
passaggio i Nabatei facevano
pagare ingenti somme di
denaro sotto forma di tasse
doganali.
Un'altra
dimostrazione del buon
livello di vita di questo
popolo è data dal fatto che
già nel 312 a.C. essi erano
a conoscenza della
scrittura: Diodoro afferma
che i Nabatei, dopo la
campagna di Ateneo,
presentarono le loro
richieste ad Antigono con
una lettera scritta in
"caratteri
siriaci", cioè in
aramaico, la lingua franca
del Vicino Oriente del
tempo. I Nabatei si
servivano infatti di un tipo
di aramaico che aveva forme
grammaticali e lessico
simili all'arabo moderno.
che lo studioso tedesco
Eduard Beer riuscì a
decifrare nel 1840. Scarse e
piuttosto povere restano però
le testimonianze scritte: in
esse si parla solo di
aspetti molto concreti della
religione (come i nomi degli
dei), dell'organizzazione
sociale e dell'onomastica
nabataea. Non vi è nulla
riguardo, per esempio, a
narrazioni mitologiche o
decreti.
L'importanza
che i Nabatei attribuivano
alla scrittura è avvalorata
dall'esistenza del culto ad
al-Kutbà, dio della
scrittura e dell'arte
divinatoria. Un altro dio
del pantheon nabateo era
Duchara, "signore di
al-Sharah" (un monte a
est di Petra), che divenne
il dio protettore della
dinastia reale. A lui era
dedicato, come confermano
numerosi studi, il
principale tempio della città,
detto dagli arabi Qasr
al-Bint Faroun (il palazzo
della figlia del faraone).
Un'altra dea popolare era
Al-Uzza,
identificata con l'Afrodite
greca e la Iside egizia. Il
tempio a lei dedicato, detto
dai Romani Afrodiseion,
corrisponde con molta
probabilità al tempio dei
Leoni Alati, oggetto di
studio negli anni 70. Al-Uzza
formava una triade con
Allath,
dea della guerra, e Manat,
dea del destino.
L'ASCESA
DEL REGNO NABATEO - Durante
il periodo ellenico, i Nabatei
mantennero una certa indipendenza
dagli Stati vicini. Una dura lotta
fu quella intrapresa contro i
Tolomei d'Egitto per il controllo
delle rotte del Mediterraneo e del
Mar Rosso. I pirati nabatei
attaccavano le navi egizie
provocando la risposta del sovrano
di Alessandria. Per appianare le
controversie i due Stati richiesero
probabilmente l'intervento di una
mediazione straniera: questo
spiegherebbe la presenza a Petra e
ad Alessandria nel 129 a.C.
dell'ambasciatore della città
ionica di Priene, Mosquion. Il
costante contatto con il regno
tolemaico portò nel frattempo i
Nabatei di Petra a imitare
l'architettura ellenica e a
introdurre il culto di Iside.
Neanche
i Seleucidi riuscirono ad
arrestare l'ascesa del regno
nabateo. La campagna intrapresa
contro di loro da Antioco
XII nell'88-87 a.C. fu una
totale disfatta e lo stesso
Antioco morì nella
battaglia di Caria. Il
vincitore Obodas I, che morì
poco dopo, fu sepolto nella
nuova città nabatea di Obod
(Avdat), venerato come il
vero fondatore della
dinastia del regno di Petra.
Aretas III, il suo
successore, espanse ulteriormente
il territorio a danno dei
Seleucidi.
Quando nell'84
a.C. gli abitanti di Damasco
minacciati dagli Iturei,
tribù annessa alla vicina
Giudea, chiesero aiuto a
Aretas III, questi accorse
prontamente e occupò la
città. La moneta coniata
per l'occasione raffigura la
sua immagine con la dicitura
greca di Filoheleno (Filoellenico),
a imitazione della
numismatica seleucida.
Man
mano che il regno seleucida
si indeboliva, si andava
rinforzando sia il potere
del regno nabateo sia
l'indipendenza dei loro
vicini, gli Ebrei. Durante
la rivolta dei Maccabei
(noti anche con il nome di
Asmonei) contro i Seleucidi
(168-167 a.C.) i Nabatei,
sotto la guida di Aretas I,
appoggiarono gli Ebrei.
Tuttavia di lì a poco i due
popoli finirono con lo
scontrarsi per il controllo
dei territori limitrofi e i
Nabatei furono coinvolti nei
conflitti degli Asmonei, la
dinastia che regnò in
Giudea fino al 37 a.C.
I
Nabatei non poterono invece
resistere allo stesso modo
all'espansione del potere di
Roma. Con l'annessione del
regno di Pergamo (Asia
Minore) nel
133 a.C, i Romani estesero
le loro mire espansionistiche
al Vicino Oriente e nel 64
a.C. Pompeo Magno si recò
in Siria per spodestare
Antioco XIII ed eliminare il
regno seleucida. Pompeo,
risoluto a porre fine ai
continui conflitti tra
Asmonei e Nabatei, dopo aver
conquistato Gerusalemme
intraprese una campagna
contro il regno arabo. Mise
a capo dell'operazione il
suo luogotenente Marco
Emilio Scauro, che nel 58
a.C. tornò a Roma dove fece
coniare una moneta con
l'immagine del re Aretas III
genuflesso. In realtà
Scauro, come era già
successo ad Antigono I
Monoftalmo, non riuscì a
sconfiggere i Nabatei, che
si erano trincerati nell'inespugnabile
Petra, e trattò dunque la
pace accettando dal re
Aretas un versamento di 300
talenti per togliere
l'assedio a Petra, che da
quel momento divenne un
regno vassallo di Roma.
CAPITALE
DEL LUSSO E DELLA RICCHEZZA
- Con
Aretas IV (9 a.C.- 40 d.C.)
il regno nabateo conobbe il suo
periodo di massimo splendore.
L'immagine della vita a
Petra che ci offre Strabone
nella sua Geografia (I
secolo d.C; risale
esattamente a questo
periodo. In essa abbondano
particolari sulla ricchezza
della regione, la
magnificenza degli edifici,
l'abbondante presenza di
oro e denaro, la grande
quantità di greggi di
mucche e pecore e persino di
fertili campi coltivati, un
particolare che potrebbe
risultare curioso per il
visitatore moderno, ma che
le recenti scoperte
archeologiche hanno
confermato.
È stato in effetti
rinvenuto un complesso
sistema
di canalizzazione che
serviva non solo a fornire
acqua agli abitanti, ma
anche a mantenere cisterne
e giardini in una città che
aveva scoperto i vantaggi
derivanti dalla pax romana
di Augusto.
L'influsso
della cultura ellenica si
manifestò inoltre nel
cerimoniale cortigiano di
Petra. Sulla scia di
Aretas III, il Filoellenico,
i re adottarono titoli che
ricordavano quelli di altri
sovrani greci come
"Colui che ama il suo
popolo" o
"Salvatore del
popolo". Dal re
dipendevano sua moglie
(detta "sorella")
e il primo ministro
(chiamato
"fratello"), che
era la più alta carica dopo
il sovrano; da lui
dipendevano poi altre
cariche, anch'esse con nomi
greci come "lo
Stratega", "l'lpparco"
(il capo della cavalleria) o
"lo Stratopedarca"
(il
generale imperiale). Pian
piano anche nei documenti il
greco cominciò a
sostituirsi all'aramaico,
gli dei del tempio nabateo
si assimilarono a quelli
greci (Dushara si confuse
con Zeus e con Dionisio; al-Uzza con Afrodite) e
l'elite nabatea cominciò ad
adottare nomi greci a fianco
di quelli tradizionali.
Sembra strano che da un
popolo un tempo
caratterizzato
dal sobrio stile di vita dei
nomadi, garanzia di
indipendenza, sarebbe nata
una élite che lottava per
accumulare ricchezza. Come
testimonia Strabone, a Petra
venivano multati coloro che
perdevano denaro mentre
quelli che aumentavano il
loro patrimonio venivano
ricoperti di onori e
incarichi politici.
Si
introdusse anche la
tradizione greca dei
banchetti o simposi, come
tipo di riunione della
classe alta nabatea. Ai
banchetti poi non poteva
mancare il vino di Rodi,
importato in grandi
quantità, come testimoniano
le numerose anfore
provenienti da quest'isola,
a partire dal III secolo
a.C. rinvenute a Petra.
I
banchetti venivano celebrati
con lusso estremo, ma
secondo un rigido
protocollo: erano ammessi
non più di 13 commensali
per ogni simposio, era
permesso bere un massimo di
11 bicchieri di vino in
coppe d'oro che venivano
cambiate
ogni volta e non vi erano
schiavi poiché era il
sovrano, garante di queste
regole, a servire i suoi
invitati.
Questo
dimostrerebbe che, sebbene a
Petra vi fosse la monarchia,
vigevano anche alcune regole
"democratiche"
forse retaggio del tempo in cui i Nabatei erano un
popolo nomade il cui capo
non era altro che il primo
tra simili (primus inter
pares), ma potrebbe anche
trattarsi di una parodia
della vita della polis, la
Città-Stato greca. Il re
doveva render conto del suo
operato ai suoi sudditi in
assemblee che probabilmente
si celebravano in posti come
l'odeon del cosiddetto
Gran Tempio di Petra.
Strabone parla
dell'importanza e
dell'autorevolezza dei
tribunali di Petra nel
Mediterraneo: a conferma vi
sarebbe una serie di papiri
rinvenuti nel sud del Mar
Morto e appartenenti a
Babatha,
una ebrea di Maoza
(popolazione vicino al Mar
Morto nell'attuale
Giordania). Tra i documenti
che Babatha decise di
nascondere vi erano copie di
contratti, sentenze e atti
di tribunale inviati a
Petra, le cui copie
originali erano conservate
nell'Afrodiseion di questa
città.
TEMPLI,
TEATRI E VILLE - L'influenza
della cultura greco-romana
è evidente anche nei
monumenti di Petra. Il primo
edificio che si scorge
quando si attraversa il Siq
è quello che i beduini
chiamarono Khazneh al-Faroun,
"il Tesoro del
Faraone", e che in
realtà era la tomba di
Aretas IV. La sua
monumentalità barocca,
propria dell'arte ellenico-romana, è un buon
esempio dì come Aretas
desiderasse creare
un'importante capitale
nabatea che fosse
all'altezza di un grande
regno ellenizzato sotto la
protezione di Roma. E in
effetti i principali
monumenti che si possono
ammirare oggi visitando
Petra sono stati costruiti o
ingranditi durante il suo
regno, come il teatro e i
due templi di Qasr al-Bint
Faroun e dei Leoni Alati.
Le
abitazioni private di Petra
confermano la trasformazione
dei Nabatei da nomadi in
stanziali. Strabone
documenta il lusso di queste
residenze in epoca romana.
La maggior parte delle case
non era costruita su una
rete di strade, ma su
terrazze naturali lungo la
valle, scavate nella roccia.
Ad Az-Zantur, un'area al di
sopra della strada romana,
si trovano i resti delle
ville del I secolo d.C. che
colpiscono non solo per
l'ampiezza e per il numero
di stanze (con terme, atri e
bagni), ma anche per i resti
di statue, marmi importati,
mosaici e dipinti in stile
pompeiano
che
ci lasciano immaginare il
tenore di vita degli
abitanti di Petra.
I
successori di Aretas IV,
Malco II e Rabel II,
estesero
questa politica di
costruzioni monumentali ad
altre regioni del regno. La
capitale si trasferì più a
nord, a Bosra, e altre città
nabatee cominciarono a
beneficiare di un periodo di
prosperità. Nel frattempo
la rivolta giudea del 66-70
d.C. e la crescente minaccia
dell'estensione del vicino
impero dei Parti spinsero
Roma a rafforzare la sua
presenza militare nel Vicino
Oriente. La presenza
sempre più consolidata dei
Romani nella zona culminò
infine nel 106 d.C., alla
morte di Rabel II, quando il
regno nabateo
fu annesso alla provincia
romana d'Arabia Petrea
dall'imperatore Traiano.
PETRA
CITTA' ROMANA - Pochi
anni dopo l'annessione,
Traiano fece costruire la
Grande Via Nova Traiana che
attraversava la cosiddetta
provincia d'Arabia passando
da Petra.
L'intenzione
dell'imperatore era quella
di ridisegnare i confini
dell'impero durante la sua
campagna contro i Parti.
Quando Traiano fece visita a
Petra nel 114, il corteo
imperiale percorse una
strada porticata costruita
in suo onore. La parata
sboccò in un arco trionfale
eretto per l'occasione, in
cui lo si lodava come
"il sovrano Cesare,
figlio del dio Nerva, il
divino Nerva Traiano
Germanico Dacico Parrico
Massimo".
L'antico
regno nabateo costituì il
nucleo di una nuova
provincia romana: l'Arabia
Petrea. Fu Bosra a essere
eletta al rango di capitale
della nuova provincia, ma
Petra ricevette il titolo
onorifico di "metropoli
di Arabia" e il suo
ruolo amministrativo fu
tutt'altro che secondario,
come dimostra
un'iscrizione rinvenuta a
Petra nella Tomba di Sesto
Fiorentino, legatus augustus
pro praetore
nella provincia d'Arabia
all'inizio
del II secolo. Durante la
sua brillante carriera
questo funzionario prestò
servizio in varie province
dell'impero, ma morì a
Petra mentre portava a
compimento un censimento
nella provincia d'Arabia. La
città era anche sede di
un conventus o distretto
giudiziario. Nel 130 fu
l'imperatore Adriano a
visitare la città: in suo
onore furono organizzate
varie celebrazioni e in
segno di riconoscimento il
sovrano concesse l'onore di
far chiamare la città Petra
Hadriana. Alcuni decenni
dopo vi si insediò la
dinastia dei Severi che
rafforzò i legami del
potere
imperiale con il Vicino
Oriente: Settimio Severo,
fondatore della discendenza,
era sposato con Giulia Domna, figlia del sommo
sacerdote di Baal della
città siriana di Emesa. Non
è da escludere dunque che
all'inizio del III secolo
l'imperatore Eliogabalo (la
cui nonna era sorella di
Giulia Domna) abbia concesso
a Petra lo status di colonia
romana.
La fine
dell'antichità a Petra fu
segnata da un evento
drammatico: un terremoto che
nel 363 distrusse la via
porticata e causò danni a
numerosi edifici. Intanto
in città era già giunto il
cristianesimo e numerose
sono le testimonianze che se
ne hanno nell'architettura.
Alcuni edifici (come il
Monastero e la cosiddetta
Tomba dell'Urna) furono
consacrati a luoghi di culto cristiano e fu
edificata anche una nuova
chiesa dedicata a Santa
Maria. Petra, orgogliosa del
suo prestigioso titolo di
metropoli, attrasse l'interesse
della famiglia
dell'arcivescovo Teodoro,
figlio di Obodanos, i cui
possedimenti si estendevano
in tutta l'Arabia e la
Siria-Palestina.
La
conquista musulmana della
zona nel VII secolo vide
il definitivo declino
dell'antica capitale
nabatea che, ormai ridotta a
semplice villaggio, fu ben
presto abbandonata. In
seguito il luogo divenne
solo un riparo per i beduini
che sostavano tra le sue
rovine durante le loro
traversate. Fino a che non
giunse sul posto Burckhardt
e Petra rinacque a nuova
vita nell'immaginazione
degli appassionati di
civiltà
antiche.
L'accesso
a Petra, ieri come oggi,
avviene soltanto a piedi (o
a dorso di cammello) tramite
la spettacolare, profonda e
stretta gola del Siq, lunga
1600 metri, larga in certi
punti meno di due metri e
racchiusa fra pareti alte da
80 a 90 metri. Questo
suggestivo percorso
obbligato è reso ancor più
emozionante dai colori che
assume l'arenaria a seconda
dei raggi del sole che vi
penetrano durante il giorno,
con tonalità che vanno dal
rosa all'arancio e al rosso,
dall'ocra al marrone. Il
fascino del Siq colpì
certamente anche i
visitatori del passato: non
a caso in una novella delle
Mille e una notte questo è
il punto che Ali Babà riuscì
a superare pronunciando la
formula magica "Apriti
Sesamo", che gli
consentì di impadronirsi
del tesoro dei 40 ladroni.
Ma di un altro leggendario
tesoro si è favoleggiato a
Petra.
La
gola sbocca all'improvviso
in uno spiazzo, di fronte a
una parete rocciosa occupata
dall'imponente e
scenografica facciata del
Khazneh el-Faroun (il Tesoro
del Faraone), un tempio
funerario intagliato nella montagna
che non ha eguali al mondo. Il
contrasto tra il tenebroso Siq e la
facciata delicatamente rosa del
monumento è impressionante, la
simmetria della facciata assoluta,
le proporzioni di gusto squisito.
La
facciata, alta quaranta metri e
larga venticinque, è divisa in due
piani, di cui quello inferiore è
costituito da un portico a frontone,
con sei colonne corinzie alte dodici
metri e mezzo. Tra le due coppie di
colonne esterne vi sono due
colossali gruppi equestri realizzati
ad altorilievo, ormai molto
consunti. Il disegno del fregio
consiste in una serie di grifoni
affrontati, mentre il timpano, al
cui centro stava un'aquila ad ali
spiegate, è completato da una
decorazione a volute, negli angoli
dell'architrave due leoni hanno
funzione di acroteri.
Il
secondo piano, di aerea eleganza, è
diviso in tre elementi: al centro
sta una tholos, quasi un
tempietto rotondo in scala ridotta,
tipico dell'architettura locale, con
un tetto conico sormontato da
un'urna. E' proprio da quest'ultima
che l'edificio ha preso il suo nome
arabo, cioè "Tesoro": i beduini
pensavano infatti che all'interno vi
fossero celate immense ricchezze e
nel tentativo di impadronirsene
indirizzarono più volte il fuoco
dei loro fucili contro di essa, con
l'intenzione di spezzarla. La tholos
è affiancata da due semifrontoni,
ciascuno sorretto da quattro colonne
angolari..Nelle nicchie vi sono
rilievi rappresentanti figure
femminili, oggi purtroppo assai
erose; quattro gigantesche aquile,
infine, fungevano da acroteri.
L'interno
dell'edificio è costituito dal
grande vestibolo, dal quale per
mezzo di otto scalini si entra nella
stanza centrale; questa sala è un
grande vano cubico, di dodici metri
di lato, affiancato su tre lati da
stanze di minori dimensioni. Proprio
la disposizione dei locali interni e
la mancanza di un altare, oltre alla
posizione del monumento nella
stretta forra che certo non avrebbe
reso agevoli le funzioni religiose,
fanno supporre che il
Khazneh el-Faroun fosse
una tomba monumentale piuttosto che
un tempio, come si era creduto in
passato.
A
proposito dell'annosa questione su
quale fosse stata la reale funzione
delle strutture allineante lungo la
valle, occorre dire che approfondite
campagne di scavo e studi accurati
hanno permesso di appurare che gli
usi a cui erano adibiti gli edifici
rupestri erano molteplici e che
alcuni di essi erano vere e proprie
abitazioni, spesso costituite da una
grande stanza con colonne e nicchie
sui lati e una sorta di triclinio
rialzato nel centro, alcune di
queste case sono ornate con
affreschi a tralci di vite e a
motivi floreali. Pertanto, le
tipologie costruttive presenti a
Petra sono alquanto eterogenee e
ciascuna di esse testimonia di un
diverso periodo storico, nonché di
un differente influsso
culturale.
I
primi monumenti rupestri della
città nabatea presentavano una
facciata liscia, molto semplice,
sormontata da una o due file di
"merli" a scalini, nella
quale si apriva inferiormente una
porta, talvolta inquadrata da
semicolonne; questo tipo di
sepolcro, i cui esemplari più
antichi si possono far risalire al
III secolo a.C., costituiva un
adattamento tipicamente nabateo di
modelli diffusi nella vicina
Siria.
Durante
i due secoli successivi si
svilupparono modelli più complessi:
all'origine di una simile novità
stava l'adozione su larga scala di
motivi architettonici ellenistici,
quali il fregio, l'architrave e la
lesena. Nel frattempo, era stato elaborato
un particolare tipo di capitello,
detto appunto "nabateo", e
si andava manifestando un sempre
più largo impiego di elementi strutturali
a scopo puramente ornamentale. Il
carattere estremamente provinciale
dell'arte locale, sviluppatosi in
una regione assai remota rispetto al
bacino mediterraneo, in pieno
deserto, giustificava tuttavia la
persistenza di elementi autoctoni e
ormai obsoleti nella decorazione,
come le rosette e gli animali
affrontati araldicamente.
Nella
seconda metà del I secolo d.C.
comparve infine un nuovo tipo di
facciata, che conobbe il suo massimo
sviluppo nei decenni successivi. Al
notevole arricchimento del
repertorio figurativo a base
architettonica si accompagnò allora
quella ricerca di grandiosità
scenografica che caratterizza la
produzione di influenza romana: le
facciate rupestri raggiunsero
proporzioni colossali, con ordini di
colonne sovrapposti a imitare
prospetti di templi e quinte
teatrali. A questo periodo di grande
fioritura appartengono la Tomba del
Palazzo e la contigua Tomba
Corinzia, simile al
Khazneh el-Faroun,
ma con un piano intermedio più
basso interposto tra il frontone e
la tholos.
Poco prima di addentrarsi nel
tessuto urbano si impongono
all'attenzione le facciate
monumentali di altre tombe
rupestri come la tomba
Corinzia, in cui gli
elementi stilistici
dell'ordine inferiore, più
tipicamente nabatei, si
oppongono a quelli
ellenistici dell'ordine
superiore che riprendono
motivi del Khazneh, o la
grandiosa e solenne tomba
Palazzo, o ancora la più
semplice tomba della seta,
così chiamata per lo
straordinario effetto
cromatico delle venature
della roccia in cui è stata
scolpita.
Quest'ultima
appartiene al tipo più
diffuso a Petra, tombe a
forma di torre con la fronte
decorata da un fregio a
gradini (raffigurante due
piccole scale opposte) o a
merli disposti su una o due
file, elementi di chiara
derivazione orientale,
assira o persiana; le
partiture architettoniche,
invece, sono costituite da
semicolonne o pilastri
sormontati dai
caratteristici capitelli
nabatei a corni. I due tipi
di facciate rupestri, quello
più complesso e quello più
semplice, sono
contemporanei: le
trentaquattro tombe a
frontone o a tempio sono da
attribuire alla casa reale e
alla corte, che si
ispiravano ai modelli
occidentali,
ellenistico-alessandrini e
romani, ampiamente diffusi
nel I secolo a.C. in tutto
il Vicino Oriente
ellenizzato, invece le oltre
seicento tombe del tipo più
sobrio sono riferibili alla
classe media che, più
conservatrice nei gusti,
privilegiava nelle sue
scelte forme orientali.
Se l'architettura funeraria
rupestre, con le tombe dalle
facciate riccamente
intonacate o dipinte, come
dimostrano alcune tracce
ancora visibili di colore
giallo, rosso e blu,
rappresenta l'espressione
più caratteristica della
civiltà nabatea, non
eguagliata per originalità,
sfarzo e monumentalità da
manifestazioni analoghe di
altre civiltà del
Mediterraneo quali gli
etruschi, i liei e i frigi,
ricerche archeologiche più
recenti hanno portato alla
luce anche interi quartieri
di abitazioni, sia costruite
che scavate nella roccia, ma
che non presentavano alcuna
decorazione architettonica
in facciata.
Notevoli sono anche le
testimonianze di età
romana: ai margini
meridionali della valle
sorge il teatro del I secolo
d.C, quasi interamente
scavato nella roccia, che
poteva contenere più di
ottomila spettatori, mentre
alla fine del Siq si aprono
i resti della via colonnata,
una strada circondata da
alte colonne su entrambi i
lati, cui si accedeva
tramite un arco: essa
fungeva da ingresso
monumentale per i mercanti e
le carovane che giungevano
in città, secondo un
modello urbanistico assai
diffuso nell'Oriente romano.
Su un promontorio che domina a
ovest la valle di Petra,
raggiungibile grazie a una
sorta di via Sacra a gradini
tagliata nella roccia, si
trova un altro edificio
dall'imponente facciata
scavata nella roccia: è El-Deir,
o convento.
Lo schema
architettonico ripete quello
del Khazneh, ma in modo meno
articolato e meno ricco, così
come gli ornamenti
decorativi, capitelli a
corni e fregio dorico
continuo in cui le metope
sono state sostituite da
dischi, sono tipicamente
nabatei: l'austerità e la
semplicità del
complesso concorrono a
dimostrare l'originale
rielaborazione locale di
elementi della tradizione
ellenistica.
Per i caratteri
della struttura
architettonica l'edificio è
stato avvicinato alla
Biblioteca di Celso a Efeso,
datata all'età adrianea
(117-138 d.C). La struttura
dell'interno è priva di
qualunque installazione
funeraria, ma presenta una
piattaforma inserita in una
nicchia aperta nella parete
di fondo e limitata da
pilastri e da un arco con
cornice a stucco; inoltre
lungo le pareti laterali
sono stati rinvenuti i resti
di due banchine,
assimilabili a triclini
cultuali.
Considerando tutto
questo e in più la
posizione elevata del
monumento, fin da epoca
molto antica la collocazione
più caratteristica in tutto
il Vicino Oriente per i
luoghi destinati
all'epifania della divinità,
gli archeologi sono giunti
alla conclusione che
l'edificio costituiva un
luogo d'incontro per le
cerimonie e i pasti sacri
legati alla venerazione di
un dio o di un dinasta
divinizzata.