La chiesa abbaziale di Sainte
Madeleine, nel villaggio
della Borgogna di Vezelay, costituisce una
preziosa testimonianza dell'architettura e
della scultura romanica borgognona nella
stagione del suo massimo splendore.
L'abbazia
benedettina di Vézelay venne fondata, al pari
di numerose altre abbazie, sulla superficie di
un'antica villa romana. Questa villa passò
infatti nelle mani dei Carolingi e da essi venne
donata a Girart, un conte di Rossiglione.
I due conventi da lui costruiti vennero
depredati e distrutti durante l'invasione dei
Mori nell'VIII secolo, mentre un altro convento
che si trovava sulla cima di una collina venne
dato alle fiamme dai pirati normanni.
Nel
IX secolo l'abbazia venne rifondata da Badilo,
un seguace dell'Ordine Benedettino riformato a
Cluny. Vézelay si trova all'inizio della Via
Lemovicense, una delle 4 strade francesi che
fanno parte del Cammino di Santiago di
Compostela, utilizzata dai pellegrini per
giungere a Santiago di Compostela, in Galizia,
nella Spagna nord-occidentale.
Intorno
al 1050 i monaci di Vézelay iniziarono a
sostenere di possedere le reliquie di Maria
Maddalena, portata nell'abbazia dalla Terra
Santa dal loro fondatore, San Badilo, o da
alcuni suoi inviati. Pochi anni dopo un monaco
di Vézelay dichiarò di aver trovato in una
cripta a St-Maximin, in Provenza, una
rappresentazione dell'Unzione di Betania, quando
la testa di Gesù venne consacrata da una donna
che nel Medioevo venne identificata con Maria
Maddalena. Questa rappresentazione si trovava
scolpita su di una tomba vuota e i monaci di Vézelay
sostennero che essa era la tomba della
Maddalena, i resti della quale erano stati
traslati presso la loro abbazia.

Da
quel momento i prigionieri che erano stati
liberati iniziarono a portare all'abbazia le
loro catene come offerta votiva; l'abate
Geoffroy, eletto nel 1037, fuse queste catene e
le riforgiò come cancellata in ferro battuto,
posta sull'altare della Maddalena. Il crescente
pellegrinaggio verso questo luogo, con le
numerose donazioni effettuate dai fedeli,
permise quindi la costruzione dell'edificio che
vediamo ancor oggi.
Il
21 aprile 1104 venne consacrata il nuovo
edificio, ma le spese furono talmente ingenti
che nelle terre controllate dall'abbazia le
tasse vennero alzate, provocando una rivolta che
culminò nell'uccisione dell'abate. Il flusso
dei pellegrini comunque continuò senza sosta,
divenendo tale che nel 1132 venne inaugurato da
Papa Innocenzo II un nuovo nartece, costruito
per cercare di contenere il crescente numero di
persone che raggiungevano Vézelay.
Nella
Pasqua del 1146 San Bernardo di Chiaravalle
iniziò qui la sua predica in favore della
seconda crociata, in presenza del re Luigi VII
di Francia. Nel 1166, durante il suo esilio,
Thomas Becket scelse l'abbazia di Vézelay per
pronunciare il famoso sermone con il quale
scomunicava il re Enrico II d'Inghilterra e i
suoi principali sostenitori. Nel 1190 qui si
incontrarono Riccardo I d'Inghilterra e Filippo
II di Francia, passando 3 mesi all'abbazia prima
di partire per la terza crociata.
Il
declino cominciò già nel corso del XIII secolo,
quando vennero sollevati dubbi sull'autenticità
delle reliquie e i pellegrinaggi si orientarono
verso l'abbazia provenzale di Saint-Maximin,
ritenuta ormai l'unica sede ove fossero
conservati i resti di Santa Maria
Maddalena.
Secolarizzata
nel 1537, l'abbazia di Vézelay divenne una
collegiata e mantenne questo status fino al
1790, quando le vicende della Rivoluzione
francese costrinsero i Canonici all'esodo e la
quasi totalità degli edifici pertinenti al
complesso venne distrutta. Di essi si conserva
solamente un corpo di fabbrica gotico, adiacente
al braccio meridionale del transetto della
chiesa, il cui piano terreno è occupato dalla
sala capitolare, pesantemente restaurata da Eugène
Viollet-le-Duc nel XIX secolo, mentre il primo
piano - ora adibito a museo lapidario - fungeva
probabilmente da dormitorio.
Nonostante
la carenza di fonti, la storia monumentale della
Madeleine di Vézelay è sufficientemente nota.
Nel clima creato dal supposto ritrovamento del
corpo di Santa Maria Maddalena e dalla fama come
centro di pellegrinaggio, la chiesa abbaziale
carolingia, consacrata dal papa Giovanni VIII
nell'878, fu sostituita da un edificio romanico
più adatto ad accogliere i fedeli.


La
sua costruzione, avviata dall'abate Artaud,
sembra abbia avuto inizio dal coro e dal
transetto, ai quali potrebbe riferirsi una
dedicazione del 21 aprile 1104. È ignoto,
tuttavia, se nella fase iniziale dei lavori il
capocroce sia stato prolungato con un corpo
longitudinale o se, in un primo tempo, sia stata
mantenuta la navata carolingia. In ogni caso, un
nuovo corpo longitudinale venne innalzato
procedendo da ovest verso est dopo l'incendio
del 21 luglio 1120.
Iniziata
dall'abate Renaud di Semur, questa parte della
costruzione venne sicuramente portata a temine
all'epoca dell'abate Aubri. I lavori di epoca
romanica si conclusero con la costruzione di una
galilea databile agli anni 1135-1155. Una
seconda grande fase costruttiva iniziò alla
fine del XII secolo con il rimaneggiamento della
cripta, l'edificazione di un capocroce e di un
transetto gotici, e la modifica delle campate
orientali del corpo longitudinale, opere
compiute all'epoca degli abati Girard d'Arcy e
Gauthier.
Più
tardi, rispettivamente intorno al 1230-1240 e al
1240-1250, si procedette alla sopraelevazione
della torre sudoccidentale della galilea e
all'abbellimento della parte superiore della
facciata occidentale. La primitiva facciata
occidentale, costruita dopo l'incendio del 1120,
doveva essere preceduta da un basso portico,
simile a quello della chiesa di
Perrecy-les-Forges (Borgogna), sormontato da una
tribuna aggettante, come attestato da alcune
tracce; ma questo progetto fu ostacolato nel
corso dei lavori dall'introduzione di un grande
timpano istoriato che impose la sopraelevazione
del portale centrale.

Il
corpo longitudinale, articolato in tre navate di
dieci campate con volte a crociera su archi
trasversi, si distingue per l'alzato a due
livelli, l'adozione di pilastri cruciformi
fiancheggiati da colonne incassate e per la
persistenza dell'arco a pieno centro, di sapore
arcaico, nel momento in cui l'esempio di Cluny
III ispirava ampiamente gli architetti
borgognoni.
Questo
partito architettonico, che aveva un antecedente
nella chiesa di Anzy-le-Duc, è tuttavia
rinnovato dalla grande luce della volta maestra
(larghezza m 10) e dall'ampiezza delle finestre
alte, realizzate grazie a ingegnosi procedimenti
tecnici: costruzione della volta principale in
materiali leggeri e riduzione della sua portata
attraverso l'uso di archi longitudinali;
rafforzamento dei muri di gronda attraverso due
incatenature di legno sovrapposte; collegamento
dei muri di gronda attraverso tiranti di ferro.
Tali espedienti ovviavano alla inefficacia dei
contrafforti delle navate laterali, troppo poco
sviluppati in altezza.
Dal
canto suo, la decorazione architettonica - con
fregi di palmette, rosoni e foglie cuoriformi
che si dispiegano sulle basi, sui pulvini, sui
diversi archi (longitudinali, trasversi, grandi
arcate) e sul cordone che delimita i due livelli
- si inscrive nella linea della chiesa di S. Ugo
a Cluny.
La
galilea, le cui tre navate articolate in tre
campate sono allineate con quelle del corpo
longitudinale della chiesa, offre una struttura
estremamente originale. La sua navata centrale,
affiancata dalle laterali sormontate da tribune,
si sviluppa pienamente solo nella prima e
seconda campata, mentre la terza è interrotta
dalla cappella di S. Michele. Tuttavia,
nonostante alcune varianti, in particolare nella
copertura (adozione della volta gotica nella
cappella e nell'ultima campata della tribuna
meridionale) e nel tracciato degli archi (arco
cuspidato nelle grandi arcate, nei longitudinali
e nei trasversi), il vocabolario architettonico
rimane simile a quello della navata.

Un vasto atrio porticato (nartece) fu
addossato alla
facciata dell'edificio intorno al 1140, un
periodo in cui Vézelay esercitava sulla
cristianità un'attrazione così grande da
accogliere, nel 1146, la predicazione di san
Bernardo di Chiaravalle in favore della seconda Crociata. Il nartece è, come la
chiesa, diviso in tre navate da pilastri che
sostengono volte a crociera costolonate; in
fondo a esso si aprono i tre splendidi portali
d'accesso, ornati da rilievi realizzati intono
al 1225. Se le figurazioni dei portali hanno
uno stile aulico che richiama la cultura
ottoniana e bizantina, nei capitelli delle
navate e del nartece il tono si fa più
realistico e narrativo. Quest'ultimo spazio,
purtroppo, fu quello più toccato dal restauro
ottocentesco condotto a Vézelay da
Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc.
I
capitelli della navata sono caratterizzati dalla
varietà dei soggetti. Tralasciando gli elementi
vegetali, dominano i temi biblici con oltre
venti scene dell'Antico Testamento, tratte
principalmente dai libri della Genesi,
dell'Esodo e di Samuele. Parimenti, in numero
ragguardevole (una decina) compaiono i temi
della vita dei santi, in particolare i patroni
della vita monastica. Sono rappresentati, in
parallelo, diavoli e demoni, episodi attinti alla
mitologia classica (il rapimento di Ganimede e
l'educazione di Achille) e figurazioni
allegoriche: i segni dello Zodiaco, le
stagioni, gli animali dei bestiari medievali
(il basilisco, la cavalletta, i pellicani), la
scena del Mulino mistico, interpretata come
allusione alle relazioni tra Antico e Nuovo
Testamento, o la rappresentazione abitualmente
interpretata come "la raccolta del
miele", in realtà allegoria dei Quattro
venti.

Per
quanto riguarda gli esecutori, Diemer (1975) ha
identificato quindici mani, relative a tre
gruppi principali. Il primo, che prevale nella
parte occidentale del corpo longitudinale, si
inserisce nella linea di continuità del portale
della Pentecoste e del cantiere di Cluny III. Il
secondo, localizzabile alla metà del corpo
longitudinale, è condotto dal Maestro di S.
Martino, dei leoni e di Lazzaro; il terzo, che
opera nelle campate orientali della navata,
deriva dal Maestro di S. Pietro.
A
sua volta, il programma iconografico dei
capitelli della galilea si limita essenzialmente
a temi veterotestamentari (Morte di Caino,
Giuseppe e la moglie di Putifarre, Benedizione
di Isacco a Giacobbe) o agiografici (Pasto di s.
Antonio e di s. Paolo eremita, Tentazione di s.
Benedetto) mentre si moltiplicano i motivi
vegetali (acanto, racemi).
Gli
elementi vegetali dei capitelli del piano
terreno, notevoli per omogeneità formale, si
riferiscono alla decorazione scultorea dell'odierna
facciata occidentale, mentre la maggior parte
delle rimanenti opere delle tribune si distingue
per caratteri innovativi. L'origine dello stile
di questi capitelli, le cui analogie con il
repertorio della prima arte gotica sono in
alcuni casi manifeste (capitelli a baldacchino),
andrebbe individuata in Linguadoca, più
precisamente a Tolosa.
I capitelli
della navata, più di cento, presentano con
efficace naturalismo e grande risalto plastico
scene tratte dall'Antico e Nuovo Testamento,
episodi delle vite dei santi (tra cui Benedetto,
Paolo e Antonio), ma anche

Nelle
sculture dei tre portali della facciata della
navata si sviluppa un programma iconografico di
grande coerenza: la Pentecoste del timpano del
portale centrale insiste sulla missione
evangelizzatrice degli apostoli, che qui
ricevono lo Spirito Santo sotto forma di raggi
emanati dalle dita di Cristo, maestosamente al
centro della composizione. I personaggi degli
scomparti e dell'architrave rappresentano non
soltanto i popoli della terra - mitici (Panotii,
Macrobii, Cinocefali) e reali (Armeni,
Bizantini, Pigmei) - ai quali si rivolgono gli
apostoli, ma anche la Chiesa universale di
Cristo. I segni zodiacali e i lavori dei Mesi,
alternativamente disposti nel primo archivolto,
affermano che l'apostolato e la Chiesa nata
dalla Pentecoste si iscrivono attraverso il
Tempo.
La
teofania del portale centrale è introdotta
dall'iconografia di quelli laterali. Il portale
di destra, che si riferisce all'Infanzia di
Cristo attraverso l'Annunciazione, la
Visitazione e la Natività, sull'architrave,
seguite dall'Adorazione dei Magi, sul timpano,
veicola il dogma dell'Incarnazione,
sottolineando nel contempo il ruolo essenziale
della Vergine nella redenzione dal peccato. A
sua volta, il portale di sinistra ripercorre in
tre sequenze l'episodio dei Discepoli di Emmaus,
sull'architrave, e l'Apparizione di Cristo agli
apostoli sulla via di Gerusalemme, sul timpano,
che appaiono quali immagini simboliche
dell'Eucaristia e della Risurrezione.
I
tre portali sono opera di una sola bottega, il
cui maestro realizzò la maggior parte del
portale centrale e di certo il portale di
sinistra. Un esame stilistico delle sculture
consente di stabilire precisi punti di raffronto
con le opere delle parti orientali della chiesa
abbaziale di Cluny.
L'eleganza
delle figure, la qualità del modellato dei
volti e il valore ornamentale dei drappeggi
suggeriscono la provenienza delle maestranze di
Vézelay dal cantiere cluniacense e l'identità
del capobottega nello stesso maestro che si
distinse nell'abside semicircolare della chiesa
di S. Ugo.


Divisa
in tre navate da due file di colonne e coperta
da volte a crociera, la cripta, posta al di
sotto dell'abside, delle campate rettilinee del
coro e della crociera del transetto, è
essenzialmente una costruzione degli ultimi anni
del XII secolo, nonostante alcuni reimpieghi di
epoca carolingia, come il muro occidentale e la
sua piccola confessione, o anche romanica, come
alcuni scalini contigui alla scala sud e quattro
grosse colonne che fiancheggiano la terza
campata centrale (Salet, Adhémar, 1948).
Il
capocroce e il transetto costituiscono una delle
prime testimonianze di opus francigenum al di
fuori del domaine royal. Poco sviluppato in
profondità, con deambulatorio e cappelle
radiali, il capocroce si inserisce tra le
realizzazioni della prima arte gotica, in
particolare con un alzato a tre livelli in cui
coabitano grandi arcate, aperture sottotetto e
finestre alte, come pure caratteristici
capitelli a motivi vegetali, e presenta punti di
contatto con il capocroce dell'abbaziale di
Saint-Denis e con quello della cattedrale di
Sens. Il transetto, leggermente aggettante
rispetto alla navata romanica, venne completato
con due torri che in parte invadono l'area delle
navate laterali.
Le
chiese dei pellegrinaggi in età romanica
Nel corso dell'XI secolo, la pratica dei pellegrinaggi
verso i santuari che custodivano preziose
reliquie fu talmente diffusa da trasformarsi in
un fenomeno sociale di vastissima portata. Tale
forma di devozione fu favorita dalla maggior
sicurezza delle strade e dallo sviluppo, dopo
l'anno Mille, dei centri urbani (cui a sua volta
diede impulso). Per gli uomini del Medioevo, il
pellegrinaggio rappresentava, oltre che un atto
penitenziale sovente legato allo scioglimento di
un voto, lo strumento più efficace, e spesso il
solo accessibile agli strati sociali più bassi,
per assicurarsi la benevolenza della divinità e
dei santi. Soprattutto nel caso di viaggi in
lontane regioni, esso assumeva il valore di
un'esperienza di rigenerazione, fondamentale nel
percorso di vita di chi la compiva. Già allora
erano molte le mete di pellegrinaggio: le più
prestigiose erano il sepolcro di Cristo a
Gerusalemme, le tombe degli apostoli Pietro e
Paolo a Roma e la sepoltura di san Giacomo,
l'apostolo pellegrino per eccellenza, a Santiago
di Compostela, in Galizia.
Il pellegrinaggio a Compostela, già praticato nel X secolo ma
riservato agli aristocratici e ai cavalieri, a
partire dall'XI secolo diventò un fenomeno di
dimensioni impressionanti. Interessando masse di
fedeli provenienti non solo dalla Francia, ma
anche dalle Fiandre, dall'Inghilterra, dalla
Germania e dall'Italia, diede origine a una vera
e propria rete di strade lungo le quali nacquero
luoghi di raccolta e ospizi per i pellegrini.
Tra queste vie avevano un'importanza
fondamentale i quattro "cammini"
francesi, disposti a ventaglio per raccogliere i
viaggiatori provenienti da ogni parte d'Europa
che si congiungevano in Navarra, a Puente la
Reina, da dove si dipartiva l'unica strada che
percorreva le regioni settentrionali della
Spagna e raggiungeva Santiago. Dal santuario di
Sainte Madeleine di Vézelay iniziava uno dei
quattro cammini francesi, quello che raggiungeva
la Navarra passando per il Limousin (con tappe
fondamentali a Limoges, con il santuario di
Saint-Martial, e a Périgueux): fu così che
quella chiesa, in virtù delle sue preziose
reliquie, diventò una delle tappe più
importanti del percorso. La stessa struttura del
tempio, con l'eccezionale ampiezza riservata al
transetto e al deambulatorio e con l'importanza
attribuita agli accessi indipendenti laterali,
era funzionale alle esigenze liturgiche e
all'afflusso delle grandi masse di pellegrini
che qui giungevano.
I
portali di Vézelay
Nella facciata principale della
chiesa di Sainte Madeleine, oltre il nartece
aggiunto intorno al 1140, si aprono tre portali
scolpiti che rappresentano uno dei capolavori
della scultura borgognona. I rilievi del portale
centrale, le cui figure costituiscono una
sintesi mirabile della concezione medievale
della storia e della religione, sul piano
stilistico dimostrano la singolare capacità dei
plasticatori borgognoni di età romanica di
variare i toni dal misticismo ieratico al
drammatico realismo.
Nella zona inferiore del
portale le figure di Giovanni Battista, scolpito
nel pilastro divisorio (trumeau) nell'atto di
reggere un medaglione (in cui originariamente
era scolpito l'Agnello di Dio), e degli
apostoli, ai lati del trumeau e nelle
strombature, preparano la teofania del timpano,
in cui compare Cristo nell'atto di affidare agli
apostoli il compito di evangelizzare la terra:
egli siede in trono al centro, circondato dalla
mandorla, e indossa una veste che avvolge il suo
corpo con pieghe e drappeggi, resi in modo
grafico e stilizzato ma drammaticamente mossi
dal vento.
Dalle braccia di Cristo, distese
verso l'esterno, si dipartono raggi luminosi che
raggiungono le teste degli apostoli ripartiti in
due gruppi di sei, ciascuno a un lato, in
un'immagine dominata dal violento gioco di
tensioni generato dalle serrate corrispondenze
ritmiche tra le figure. Nell'architrave e negli
scomparti radiali sono invece rappresentati con
vivace naturalismo i popoli destinati a ricevere
la buona novella prima della fine dei tempi.

Nell'archivolto, entro piccoli medaglioni, sono
raffigurati i segni dello Zodiaco e i lavori dei
mesi; la loro sequenza, tuttavia, si interrompe
al centro della lunetta in corrispondenza della
lastra che, inserendosi tra gli scomparti
radiali, inquadra la testa di Cristo. In questo
punto, tre medaglioni racchiudono le figure di
un uomo, di un animale e di una sirena,
ripiegate su se stesse a formare un anello,
simbolo della perfezione del tempo celeste,
immoto e imperturbabile.
Questa ricercata
immagine vuole dunque presentare Cristo come
"cronocratore", cioè dominatore del
tempo, inteso sia come tempo terreno dei cicli
naturali e delle opere dell'uomo, sia come tempo
"sacro" e circolare dell'eternità. I
temi dei portali laterali si riallacciano a
quelli del vano centrale, sviluppando a sud il
tema dell'infanzia di Gesù (con l'Adorazione
dei Magi nel timpano e l'Annunciazione, la
Visitazione, l'Annuncio ai pastori e la
Natività nell'architrave), a nord la sua
apparizione agli apostoli dopo la Resurrezione
(con la scena dell'Apparizione nel timpano e il
Viaggio a Emmaus, la Cena a Emmaus e il Ritorno
degli apostoli a Gerusalemme nell'architrave).
|