Abbazia e collina di Vézelay
Francia 

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1979

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La chiesa abbaziale di Sainte Madeleine, nel villaggio della Borgogna di Vezelay, costituisce una preziosa testimonianza dell'architettura e della scultura romanica borgognona nella stagione del suo massimo splendore. 

L'abbazia benedettina di Vézelay venne fondata, al pari di numerose altre abbazie, sulla superficie di un'antica villa romana. Questa villa passò infatti nelle mani dei Carolingi e da essi venne donata a Girart, un conte di Rossiglione. I due conventi da lui costruiti vennero depredati e distrutti durante l'invasione dei Mori nell'VIII secolo, mentre un altro convento che si trovava sulla cima di una collina venne dato alle fiamme dai pirati normanni.

Nel IX secolo l'abbazia venne rifondata da Badilo, un seguace dell'Ordine Benedettino riformato a Cluny. Vézelay si trova all'inizio della Via Lemovicense, una delle 4 strade francesi che fanno parte del Cammino di Santiago di Compostela, utilizzata dai pellegrini per giungere a Santiago di Compostela, in Galizia, nella Spagna nord-occidentale.

Intorno al 1050 i monaci di Vézelay iniziarono a sostenere di possedere le reliquie di Maria Maddalena, portata nell'abbazia dalla Terra Santa dal loro fondatore, San Badilo, o da alcuni suoi inviati. Pochi anni dopo un monaco di Vézelay dichiarò di aver trovato in una cripta a St-Maximin, in Provenza, una rappresentazione dell'Unzione di Betania, quando la testa di Gesù venne consacrata da una donna che nel Medioevo venne identificata con Maria Maddalena. Questa rappresentazione si trovava scolpita su di una tomba vuota e i monaci di Vézelay sostennero che essa era la tomba della Maddalena, i resti della quale erano stati traslati presso la loro abbazia.

Da quel momento i prigionieri che erano stati liberati iniziarono a portare all'abbazia le loro catene come offerta votiva; l'abate Geoffroy, eletto nel 1037, fuse queste catene e le riforgiò come cancellata in ferro battuto, posta sull'altare della Maddalena. Il crescente pellegrinaggio verso questo luogo, con le numerose donazioni effettuate dai fedeli, permise quindi la costruzione dell'edificio che vediamo ancor oggi.

Il 21 aprile 1104 venne consacrata il nuovo edificio, ma le spese furono talmente ingenti che nelle terre controllate dall'abbazia le tasse vennero alzate, provocando una rivolta che culminò nell'uccisione dell'abate. Il flusso dei pellegrini comunque continuò senza sosta, divenendo tale che nel 1132 venne inaugurato da Papa Innocenzo II un nuovo nartece, costruito per cercare di contenere il crescente numero di persone che raggiungevano Vézelay.

Nella Pasqua del 1146 San Bernardo di Chiaravalle iniziò qui la sua predica in favore della seconda crociata, in presenza del re Luigi VII di Francia. Nel 1166, durante il suo esilio, Thomas Becket scelse l'abbazia di Vézelay per pronunciare il famoso sermone con il quale scomunicava il re Enrico II d'Inghilterra e i suoi principali sostenitori. Nel 1190 qui si incontrarono Riccardo I d'Inghilterra e Filippo II di Francia, passando 3 mesi all'abbazia prima di partire per la terza crociata.

Il declino cominciò già nel corso del XIII secolo, quando vennero sollevati dubbi sull'autenticità delle reliquie e i pellegrinaggi si orientarono verso l'abbazia provenzale di Saint-Maximin, ritenuta ormai l'unica sede ove fossero conservati i resti di Santa Maria Maddalena. 

Secolarizzata nel 1537, l'abbazia di Vézelay divenne una collegiata e mantenne questo status fino al 1790, quando le vicende della Rivoluzione francese costrinsero i Canonici all'esodo e la quasi totalità degli edifici pertinenti al complesso venne distrutta. Di essi si conserva solamente un corpo di fabbrica gotico, adiacente al braccio meridionale del transetto della chiesa, il cui piano terreno è occupato dalla sala capitolare, pesantemente restaurata da Eugène Viollet-le-Duc nel XIX secolo, mentre il primo piano - ora adibito a museo lapidario - fungeva probabilmente da dormitorio.

Nonostante la carenza di fonti, la storia monumentale della Madeleine di Vézelay è sufficientemente nota. Nel clima creato dal supposto ritrovamento del corpo di Santa Maria Maddalena e dalla fama come centro di pellegrinaggio, la chiesa abbaziale carolingia, consacrata dal papa Giovanni VIII nell'878, fu sostituita da un edificio romanico più adatto ad accogliere i fedeli. 

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La sua costruzione, avviata dall'abate Artaud, sembra abbia avuto inizio dal coro e dal transetto, ai quali potrebbe riferirsi una dedicazione del 21 aprile 1104. È ignoto, tuttavia, se nella fase iniziale dei lavori il capocroce sia stato prolungato con un corpo longitudinale o se, in un primo tempo, sia stata mantenuta la navata carolingia. In ogni caso, un nuovo corpo longitudinale venne innalzato procedendo da ovest verso est dopo l'incendio del 21 luglio 1120. 

Iniziata dall'abate Renaud di Semur, questa parte della costruzione venne sicuramente portata a temine all'epoca dell'abate Aubri. I lavori di epoca romanica si conclusero con la costruzione di una galilea databile agli anni 1135-1155. Una seconda grande fase costruttiva iniziò alla fine del XII secolo con il rimaneggiamento della cripta, l'edificazione di un capocroce e di un transetto gotici, e la modifica delle campate orientali del corpo longitudinale, opere compiute all'epoca degli abati Girard d'Arcy e Gauthier. 

Più tardi, rispettivamente intorno al 1230-1240 e al 1240-1250, si procedette alla sopraelevazione della torre sudoccidentale della galilea e all'abbellimento della parte superiore della facciata occidentale. La primitiva facciata occidentale, costruita dopo l'incendio del 1120, doveva essere preceduta da un basso portico, simile a quello della chiesa di Perrecy-les-Forges (Borgogna), sormontato da una tribuna aggettante, come attestato da alcune tracce; ma questo progetto fu ostacolato nel corso dei lavori dall'introduzione di un grande timpano istoriato che impose la sopraelevazione del portale centrale. 

Il corpo longitudinale, articolato in tre navate di dieci campate con volte a crociera su archi trasversi, si distingue per l'alzato a due livelli, l'adozione di pilastri cruciformi fiancheggiati da colonne incassate e per la persistenza dell'arco a pieno centro, di sapore arcaico, nel momento in cui l'esempio di Cluny III ispirava ampiamente gli architetti borgognoni.

Questo partito architettonico, che aveva un antecedente nella chiesa di Anzy-le-Duc, è tuttavia rinnovato dalla grande luce della volta maestra (larghezza m 10) e dall'ampiezza delle finestre alte, realizzate grazie a ingegnosi procedimenti tecnici: costruzione della volta principale in materiali leggeri e riduzione della sua portata attraverso l'uso di archi longitudinali; rafforzamento dei muri di gronda attraverso due incatenature di legno sovrapposte; collegamento dei muri di gronda attraverso tiranti di ferro. Tali espedienti ovviavano alla inefficacia dei contrafforti delle navate laterali, troppo poco sviluppati in altezza. 

Dal canto suo, la decorazione architettonica - con fregi di palmette, rosoni e foglie cuoriformi che si dispiegano sulle basi, sui pulvini, sui diversi archi (longitudinali, trasversi, grandi arcate) e sul cordone che delimita i due livelli - si inscrive nella linea della chiesa di S. Ugo a Cluny. 

La galilea, le cui tre navate articolate in tre campate sono allineate con quelle del corpo longitudinale della chiesa, offre una struttura estremamente originale. La sua navata centrale, affiancata dalle laterali sormontate da tribune, si sviluppa pienamente solo nella prima e seconda campata, mentre la terza è interrotta dalla cappella di S. Michele. Tuttavia, nonostante alcune varianti, in particolare nella copertura (adozione della volta gotica nella cappella e nell'ultima campata della tribuna meridionale) e nel tracciato degli archi (arco cuspidato nelle grandi arcate, nei longitudinali e nei trasversi), il vocabolario architettonico rimane simile a quello della navata.

Un vasto atrio porticato (nartece) fu addossato alla facciata dell'edificio intorno al 1140, un periodo in cui Vézelay esercitava sulla cristianità un'attrazione così grande da accogliere, nel 1146, la predicazione di san Bernardo di Chiaravalle in favore della seconda Crociata. Il nartece è, come la chiesa, diviso in tre navate da pilastri che sostengono volte a crociera costolonate; in fondo a esso si aprono i tre splendidi portali d'accesso, ornati da rilievi realizzati intono al 1225. Se le figurazioni dei portali hanno uno stile aulico che richiama la cultura ottoniana e bizantina, nei capitelli delle navate e del nartece il tono si fa più realistico e narrativo. Quest'ultimo spazio, purtroppo, fu quello più toccato dal restauro ottocentesco condotto a Vézelay da Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc. 

I capitelli della navata sono caratterizzati dalla varietà dei soggetti. Tralasciando gli elementi vegetali, dominano i temi biblici con oltre venti scene dell'Antico Testamento, tratte principalmente dai libri della Genesi, dell'Esodo e di Samuele. Parimenti, in numero ragguardevole (una decina) compaiono i temi della vita dei santi, in particolare i patroni della vita monastica. Sono rappresentati, in parallelo, diavoli e demoni, episodi attinti alla mitologia classica (il rapimento di Ganimede e l'educazione di Achille) e figurazioni allegoriche: i segni dello Zodiaco, le stagioni, gli animali dei bestiari medievali (il basilisco, la cavalletta, i pellicani), la scena del Mulino mistico, interpretata come allusione alle relazioni tra Antico e Nuovo Testamento, o la rappresentazione abitualmente interpretata come "la raccolta del miele", in realtà allegoria dei Quattro venti.  

Per quanto riguarda gli esecutori, Diemer (1975) ha identificato quindici mani, relative a tre gruppi principali. Il primo, che prevale nella parte occidentale del corpo longitudinale, si inserisce nella linea di continuità del portale della Pentecoste e del cantiere di Cluny III. Il secondo, localizzabile alla metà del corpo longitudinale, è condotto dal Maestro di S. Martino, dei leoni e di Lazzaro; il terzo, che opera nelle campate orientali della navata, deriva dal Maestro di S. Pietro.

A sua volta, il programma iconografico dei capitelli della galilea si limita essenzialmente a temi veterotestamentari (Morte di Caino, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Benedizione di Isacco a Giacobbe) o agiografici (Pasto di s. Antonio e di s. Paolo eremita, Tentazione di s. Benedetto) mentre si moltiplicano i motivi vegetali (acanto, racemi). 

Gli elementi vegetali dei capitelli del piano terreno, notevoli per omogeneità formale, si riferiscono alla decorazione scultorea dell'odierna facciata occidentale, mentre la maggior parte delle rimanenti opere delle tribune si distingue per caratteri innovativi. L'origine dello stile di questi capitelli, le cui analogie con il repertorio della prima arte gotica sono in alcuni casi manifeste (capitelli a baldacchino), andrebbe individuata in Linguadoca, più precisamente a Tolosa.

I capitelli della navata, più di cento, presentano con efficace naturalismo e grande risalto plastico scene tratte dall'Antico e Nuovo Testamento, episodi delle vite dei santi (tra cui Benedetto, Paolo e Antonio), ma anche 

Nelle sculture dei tre portali della facciata della navata si sviluppa un programma iconografico di grande coerenza: la Pentecoste del timpano del portale centrale insiste sulla missione evangelizzatrice degli apostoli, che qui ricevono lo Spirito Santo sotto forma di raggi emanati dalle dita di Cristo, maestosamente al centro della composizione. I personaggi degli scomparti e dell'architrave rappresentano non soltanto i popoli della terra - mitici (Panotii, Macrobii, Cinocefali) e reali (Armeni, Bizantini, Pigmei) - ai quali si rivolgono gli apostoli, ma anche la Chiesa universale di Cristo. I segni zodiacali e i lavori dei Mesi, alternativamente disposti nel primo archivolto, affermano che l'apostolato e la Chiesa nata dalla Pentecoste si iscrivono attraverso il Tempo.

La teofania del portale centrale è introdotta dall'iconografia di quelli laterali. Il portale di destra, che si riferisce all'Infanzia di Cristo attraverso l'Annunciazione, la Visitazione e la Natività, sull'architrave, seguite dall'Adorazione dei Magi, sul timpano, veicola il dogma dell'Incarnazione, sottolineando nel contempo il ruolo essenziale della Vergine nella redenzione dal peccato. A sua volta, il portale di sinistra ripercorre in tre sequenze l'episodio dei Discepoli di Emmaus, sull'architrave, e l'Apparizione di Cristo agli apostoli sulla via di Gerusalemme, sul timpano, che appaiono quali immagini simboliche dell'Eucaristia e della Risurrezione.

I tre portali sono opera di una sola bottega, il cui maestro realizzò la maggior parte del portale centrale e di certo il portale di sinistra. Un esame stilistico delle sculture consente di stabilire precisi punti di raffronto con le opere delle parti orientali della chiesa abbaziale di Cluny. 

L'eleganza delle figure, la qualità del modellato dei volti e il valore ornamentale dei drappeggi suggeriscono la provenienza delle maestranze di Vézelay dal cantiere cluniacense e l'identità del capobottega nello stesso maestro che si distinse nell'abside semicircolare della chiesa di S. Ugo.

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Divisa in tre navate da due file di colonne e coperta da volte a crociera, la cripta, posta al di sotto dell'abside, delle campate rettilinee del coro e della crociera del transetto, è essenzialmente una costruzione degli ultimi anni del XII secolo, nonostante alcuni reimpieghi di epoca carolingia, come il muro occidentale e la sua piccola confessione, o anche romanica, come alcuni scalini contigui alla scala sud e quattro grosse colonne che fiancheggiano la terza campata centrale (Salet, Adhémar, 1948).

Il capocroce e il transetto costituiscono una delle prime testimonianze di opus francigenum al di fuori del domaine royal. Poco sviluppato in profondità, con deambulatorio e cappelle radiali, il capocroce si inserisce tra le realizzazioni della prima arte gotica, in particolare con un alzato a tre livelli in cui coabitano grandi arcate, aperture sottotetto e finestre alte, come pure caratteristici capitelli a motivi vegetali, e presenta punti di contatto con il capocroce dell'abbaziale di Saint-Denis e con quello della cattedrale di Sens. Il transetto, leggermente aggettante rispetto alla navata romanica, venne completato con due torri che in parte invadono l'area delle navate laterali.

Le chiese dei pellegrinaggi in età romanica 

Nel corso dell'XI secolo, la pratica dei pellegrinaggi verso i santuari che custodivano preziose reliquie fu talmente diffusa da trasformarsi in un fenomeno sociale di vastissima portata. Tale forma di devozione fu favorita dalla maggior sicurezza delle strade e dallo sviluppo, dopo l'anno Mille, dei centri urbani (cui a sua volta diede impulso). Per gli uomini del Medioevo, il pellegrinaggio rappresentava, oltre che un atto penitenziale sovente legato allo scioglimento di un voto, lo strumento più efficace, e spesso il solo accessibile agli strati sociali più bassi, per assicurarsi la benevolenza della divinità e dei santi. Soprattutto nel caso di viaggi in lontane regioni, esso assumeva il valore di un'esperienza di rigenerazione, fondamentale nel percorso di vita di chi la compiva. Già allora erano molte le mete di pellegrinaggio: le più prestigiose erano il sepolcro di Cristo a Gerusalemme, le tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma e la sepoltura di san Giacomo, l'apostolo pellegrino per eccellenza, a Santiago di Compostela, in Galizia. 

Il pellegrinaggio a Compostela, già praticato nel X secolo ma riservato agli aristocratici e ai cavalieri, a partire dall'XI secolo diventò un fenomeno di dimensioni impressionanti. Interessando masse di fedeli provenienti non solo dalla Francia, ma anche dalle Fiandre, dall'Inghilterra, dalla Germania e dall'Italia, diede origine a una vera e propria rete di strade lungo le quali nacquero luoghi di raccolta e ospizi per i pellegrini. 

Tra queste vie avevano un'importanza fondamentale i quattro "cammini" francesi, disposti a ventaglio per raccogliere i viaggiatori provenienti da ogni parte d'Europa che si congiungevano in Navarra, a Puente la Reina, da dove si dipartiva l'unica strada che percorreva le regioni settentrionali della Spagna e raggiungeva Santiago. Dal santuario di Sainte Madeleine di Vézelay iniziava uno dei quattro cammini francesi, quello che raggiungeva la Navarra passando per il Limousin (con tappe fondamentali a Limoges, con il santuario di Saint-Martial, e a Périgueux): fu così che quella chiesa, in virtù delle sue preziose reliquie, diventò una delle tappe più importanti del percorso. La stessa struttura del tempio, con l'eccezionale ampiezza riservata al transetto e al deambulatorio e con l'importanza attribuita agli accessi indipendenti laterali, era funzionale alle esigenze liturgiche e all'afflusso delle grandi masse di pellegrini che qui giungevano.  

I portali di Vézelay 

Nella facciata principale della chiesa di Sainte Madeleine, oltre il nartece aggiunto intorno al 1140, si aprono tre portali scolpiti che rappresentano uno dei capolavori della scultura borgognona. I rilievi del portale centrale, le cui figure costituiscono una sintesi mirabile della concezione medievale della storia e della religione, sul piano stilistico dimostrano la singolare capacità dei plasticatori borgognoni di età romanica di variare i toni dal misticismo ieratico al drammatico realismo. 

Nella zona inferiore del portale le figure di Giovanni Battista, scolpito nel pilastro divisorio (trumeau) nell'atto di reggere un medaglione (in cui originariamente era scolpito l'Agnello di Dio), e degli apostoli, ai lati del trumeau e nelle strombature, preparano la teofania del timpano, in cui compare Cristo nell'atto di affidare agli apostoli il compito di evangelizzare la terra: egli siede in trono al centro, circondato dalla mandorla, e indossa una veste che avvolge il suo corpo con pieghe e drappeggi, resi in modo grafico e stilizzato ma drammaticamente mossi dal vento. 

Dalle braccia di Cristo, distese verso l'esterno, si dipartono raggi luminosi che raggiungono le teste degli apostoli ripartiti in due gruppi di sei, ciascuno a un lato, in un'immagine dominata dal violento gioco di tensioni generato dalle serrate corrispondenze ritmiche tra le figure. Nell'architrave e negli scomparti radiali sono invece rappresentati con vivace naturalismo i popoli destinati a ricevere la buona novella prima della fine dei tempi. 

Nell'archivolto, entro piccoli medaglioni, sono raffigurati i segni dello Zodiaco e i lavori dei mesi; la loro sequenza, tuttavia, si interrompe al centro della lunetta in corrispondenza della lastra che, inserendosi tra gli scomparti radiali, inquadra la testa di Cristo. In questo punto, tre medaglioni racchiudono le figure di un uomo, di un animale e di una sirena, ripiegate su se stesse a formare un anello, simbolo della perfezione del tempo celeste, immoto e imperturbabile. 

Questa ricercata immagine vuole dunque presentare Cristo come "cronocratore", cioè dominatore del tempo, inteso sia come tempo terreno dei cicli naturali e delle opere dell'uomo, sia come tempo "sacro" e circolare dell'eternità. I temi dei portali laterali si riallacciano a quelli del vano centrale, sviluppando a sud il tema dell'infanzia di Gesù (con l'Adorazione dei Magi nel timpano e l'Annunciazione, la Visitazione, l'Annuncio ai pastori e la Natività nell'architrave), a nord la sua apparizione agli apostoli dopo la Resurrezione (con la scena dell'Apparizione nel timpano e il Viaggio a Emmaus, la Cena a Emmaus e il Ritorno degli apostoli a Gerusalemme nell'architrave).