Antica città di Djenné
Mali

patrimonio dell'umanità dal 1988 - sito patrimonio in pericolo

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DAL 2016 SITO PATRIMONIO IN PERICOLO - Mancanza di sicurezza nella regione. Stato di degrado del centro storico. Urbanizzazione ed erosione.

Djenné (anche Dienné o Jenne) è una piccola città di grande interesse storico e commerciale nel Delta del Niger del Mali. È situata ad ovest del Fiume Bani (il Fiume Niger scorre diversi chilometri a nord-ovest).

Djenné fu fondata fu fondata circa nel 300 dai Bozo in un sito chiamato Djenné-Jeno, 1.5 km a monte del fiume. Il suo sito venne spostato nel 1043 o nel XIII secolo, quando la città fu convertita all'Islam. Questo incrementò la sua importanza come mercato e base per i commerci transahariani, e rivaleggiò presto con Timbuktu.

Djenné, nonostante la sua vicinanza, non fu mai parte dell'Impero Mali. Fu una città-stato indipendente protetta dalle sue mura a dal Delta del Niger in Mali. Secondo le leggende, l'Impero Mali tentò di conquistare Djenné 99 volte prima di arrendersi. Djenné non fu quindi conquistata fino al 1453, quando l'Impero Songhai sotto Sonni Ali la prese. Si dice che l'assedio di Djenné fosse durato 7 mesi e 7 giorni culminando con la morte del re della città e della sua definitiva capitolazione. La vedova della città sposò Sonni Ali, e ricominciò la pace. Nel 1591, il Marocco conquistò la città dopo aver distrutto l'influenza Soghai nella regione. Nel XVII secolo, Djenné divenne un prospero centro di commerci e istruzione. La caravane da Djenné frequentarono città commerciali a sud come Begho, Bono Manso e Bonduku.

La città fece parti di parecchi altri stati. Djenné fu parte del Regno Segou dal 1670 al 1818 e dell'Impero Massina sotto il regnante Fulani Amaddou Lobbo dal 1818 al 1893. Alla fine, i Francesi conquistarono la città quell'anno. Durante questo periodo, declinarono i commerci e la città perse parte della sua importanza.

Le tradizionali abitazioni di Djenné, quasi 2000 delle quali sono sopravvissute, sono costruite su collinette e adattate a un ambiente caratterizzato da inondazioni stagionali.

Fin da epoche antichissime si raccontava dell'esistenza di una città che al pari di Timbuctù ed Agadez visse il suo periodo di massimo splendore, confluendo all'interno delle sue mura cultura, arte e sfarzo economico. Non a caso dalle parole di un grande viaggiatore e storico del passato Ibn Battuta (1304-1356), si legge dell'esistenza di Djenné.

Finalmente negli anni settanta, degli archeologi americani scoprono delle rovine dell'antica Djenné-Djeno del 250 a.C. Situata 3 km a monte dell'attuale città vi sono stati rinvenuti utensili e gioielli che rivelano come questa fosse una delle città più antiche dell'Africa Occidentale. I ritrovamenti più interessanti, come alcune statuette in argilla, ci indicano l'esistenza di una forma artistica, anche se primitiva, fiorita nel sud del Sahara.  

Djenne1.jpg (177578 byte)Col passare dei secoli poco o nulla è cambiato, come le case in argilla e fango, dall'architettura semplice ed armoniosa con l'ambiente. L'influenza marocchina si può ancora notare dalle imposte delle finestre finemente dipinte e decorate con oggetti di metallo. 

Ancora oggi quello che colpisce è la città nel suo insieme, il suo grande e colorato mercato famoso in tutto il Sahel, che si anima di gente, di mercanzie, di odori di quell'africanità che coinvolge ed appassiona. 

Tutto questo si svolge ai piedi dell'imponente moschea. Costruita ai primi del 900 sui resti di quella precedente (XI sec.)  con le sue eleganti torri è considerata il migliore esempio di architettura sudanese. In Africa Occidentale, sono scarse le pietre da costruzione e i grandi edifici venivano costruiti impastando il fango su dei tralicci di legno le cui estremità lasciate all'esterno, servono ogni anno per effettuare il restauro dopo le grandi piogge. All'interno più di cento colonne compongono questo mosaico non più visibile a chi non è musulmano.

Bisogna assolutamente andare lungo le rive del fiume Bani che la circonda in un morbido abbraccio. L'alba ed il tramonto sono i momenti migliori per cogliere l'atmosfera quasi irreale....le piroghe cariche di gente e di merci si spingono fino sotto le case durante le piene stagionali. Djenné è ancora viva grazie al sacrificio della giovane vergine Tapama, di etnia Bozo, sepolta viva per scongiurare le inondazioni del fiume che ogni anno ne causavano la distruzione.

DJENNE: LA CITTA' PIU' PITTORESCA E ANTICA DELL'AFRICA OCCIDENTALE

Lo spettacolo inizia prima dell’alba. Uomini e donne dalla faccia assonnata dirigono una lunga processione di carretti che ondeggiano e sbandano paurosamente ad ogni buca.  E’ lunedì, il giorno del grande mercato di Djennè. Un giorno di festa, confusione, fermento. Nessuno vuole mancare a questo speciale appuntamento settimanale. Ci sono i mercanti bambara coi loro asini svogliati, i contadini songhay e dogon nascosti sotto ampi cappelli di paglia, i pastori di etnia peul che sorvegliano qualche zebù, i pescatori bozo  carichi di pesce essiccato, i commercianti tuareg avvolti nei tradizionali turbanti inamidati. Alcuni arrivano su traballanti piroghe, stretti tra fascine di legno, caprette e polli legati con lo spago, sacchi di miglio e cesti di arachidi. Altri giungono con il traghetto arrugginito - anch’esso stipato all’inverosimile - che taglia le acque limacciose del fiume Bani, l’affluente del Niger che circonda Djenné.

Case di fango - Siamo ai margini del “Delta interno”, una vasta regione umida formata da canali, acquitrini e paludi impenetrabili. La posizione strategica di questa città-isola ha protetto per secoli i suoi abitanti e ha permesso di preservare le tradizioni più antiche e preziose. A cominciare dalla sorprendente architettura delle sue case di fango, alte fino a tre piani, che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità. 

Sono quasi duemila le abitazioni costruite con mattoni di bancò (una miscela di terra, paglia tritata e burro di karitè fatta essiccare al sole torrido dei tropici). Dimore fragili e segrete: le finestre sono piccole, rare, protette da persiane di legno. Bisogna sbirciare oltre i portoni d’ingresso per scoprire le dispense traforate nei muri, le stanze fresche avvolte nella penombra, le strette scale incise nella terra che permettono di raggiungere sorprendenti terrazze.

Chiedete al padrone di casa il permesso di salire e godrete di uno spettacolo grandioso: da quella posizione la città appare come un enorme tappeto d’argilla decorato dal sole con innumerevoli linee d’ombra.

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Lezioni di fede - Ma la magia di Djenné si respira perdendosi nell’intricato reticolo di stradine precluse alle auto: vicoli tortuosi e assonnati collegano tra loro le botteghe dei commercianti e le officine degli artigiani, specie quelle dei fabbri e delle tessitrici specializzate nel bogolan (complessa tecnica per dipingere i tessuti). Girovagando per il dedalo di viuzze è facile imbattersi in gruppi di ragazzini intenti a scrivere su tavolette di legno: sono gli studenti delle quarantatre madrasse che sorgono dentro le mura della città. Passano le mattinate a trascrivere i capitoli del Corano, parola per parola, fino ad impararli a memoria. Le scuole coraniche sono presiedute dai marabut, rispettati uomini di fede che hanno l’incarico di impartire ai giovani gli insegnamenti dell’Islam. Sono loro, i saggi maestri delle madrasse, a gestire l’amministrazione della città. Il Mali è una paese musulmano, il 90% dei suoi abitanti professano la religione di Maometto. 

Sono di tradizione sunnita con una componente che obbedisce al rigorismo wahhabita. Ma i precetti coranici non vengono imposti per legge: qui lo stato si mantiene laico. A dispetto della proibizione musulmana dell’alcool, nei villaggi si beve birra di miglio. Uomini e donne nudi si bagnano tranquillamente in vista, nel Niger. Le ragazze sono libere di studiare fino all’università e possono ricoprire posizioni importanti nella vita pubblica. L’Islam mostra un volto mite, tollerante, aperto. La gente aderisce ad una fede rigorosa, ma plasmata dalla tradizionale cultura tribale, che senza perdere la sua sostanza originaria né i suoi dogmi fondamentali, si è profondamente “africanizzata”.

La Grande Moschea - Emblema spettacolare di questo “Islam nero” è la Grande Moschea di Djenné,  cuore pulsante della città. Con le sue mura merlate, le sue torri audaci, i suoi scalini smussati dal tempo, rappresenta la più imponente costruzione in terra del mondo. Un grandioso monumento di architettura sahariana, eretto all’inizio del secolo scorso, che necessità di periodici lavori di manutenzione. Sono i pali sporgenti che punteggiano l’edificio sacro a costituire l’impalcatura usata dai fedeli per arrampicarsi lungo le pareti verticali della moschea. Solo grazie a questi piccoli appigli incollati ai muri è possibile riparare i buchi e le crepe causati dalle piogge. Il restauro avviene agli inizi di marzo (il giorno esatto è fissato dagli anziani, in base alla consistenza del fango depositato dalle piene del Niger) ed è l’occasione per una festa lunga due giorni che coinvolge l’intera popolazione: tutti gli abitanti di Djenné si mobilitano per recuperare la sabbia bagnata, trasportarla con carretti di legno, impastare coi piedi l’argilla, creare lunghe catene umane per portare i panieri colmi di fango fino alla cima della moschea. E’ un rituale affascinante che si rinnova ogni anno, uguale a se stesso, tra canti, preghiere e gioiosi inni ad Allah.