DAL 2016 SITO PATRIMONIO
IN
PERICOLO
-
Mancanza
di
sicurezza
nella
regione.
Stato
di
degrado
del
centro
storico.
Urbanizzazione
ed
erosione.
Djenné (anche Dienné
o
Jenne)
è
una
piccola
città
di
grande
interesse
storico
e
commerciale
nel
Delta
del
Niger
del
Mali.
È
situata
ad
ovest
del
Fiume
Bani
(il
Fiume
Niger
scorre
diversi
chilometri
a
nord-ovest).
Djenné fu fondata fu fondata circa nel 300 dai
Bozo
in
un
sito
chiamato
Djenné-Jeno,
1.5
km
a
monte
del
fiume.
Il
suo
sito
venne
spostato
nel
1043
o
nel
XIII
secolo,
quando
la
città
fu
convertita
all'Islam.
Questo
incrementò
la
sua
importanza
come
mercato
e
base
per
i
commerci
transahariani,
e
rivaleggiò
presto
con
Timbuktu.
Djenné, nonostante la sua vicinanza, non fu mai parte dell'Impero
Mali.
Fu
una
città-stato
indipendente
protetta
dalle
sue
mura
a
dal
Delta
del
Niger
in
Mali.
Secondo
le
leggende,
l'Impero
Mali
tentò
di
conquistare
Djenné
99
volte
prima
di
arrendersi.
Djenné
non
fu
quindi
conquistata
fino
al
1453,
quando
l'Impero
Songhai
sotto
Sonni
Ali
la
prese.
Si
dice
che
l'assedio
di
Djenné
fosse
durato
7
mesi
e
7
giorni
culminando
con
la
morte
del
re
della
città
e
della
sua
definitiva
capitolazione.
La
vedova
della
città
sposò
Sonni
Ali,
e
ricominciò
la
pace.
Nel
1591,
il
Marocco
conquistò
la
città
dopo
aver
distrutto
l'influenza
Soghai
nella
regione.
Nel
XVII
secolo,
Djenné
divenne
un
prospero
centro
di
commerci
e
istruzione.
La
caravane
da
Djenné
frequentarono
città
commerciali
a
sud
come
Begho,
Bono
Manso
e
Bonduku.
La città fece parti di parecchi altri stati. Djenné fu parte del
Regno
Segou
dal
1670
al
1818
e
dell'Impero
Massina
sotto
il
regnante
Fulani
Amaddou
Lobbo
dal
1818
al
1893.
Alla
fine,
i
Francesi
conquistarono
la
città
quell'anno.
Durante
questo
periodo,
declinarono
i
commerci
e
la
città
perse
parte
della
sua
importanza.
Le
tradizionali
abitazioni
di
Djenné,
quasi
2000
delle
quali
sono
sopravvissute,
sono
costruite
su
collinette
e
adattate
a
un
ambiente
caratterizzato
da
inondazioni
stagionali.
Fin
da
epoche
antichissime
si
raccontava
dell'esistenza
di
una
città
che
al
pari
di
Timbuctù
ed
Agadez
visse
il
suo
periodo
di
massimo
splendore,
confluendo
all'interno
delle
sue
mura
cultura,
arte
e
sfarzo
economico.
Non
a
caso
dalle
parole
di
un
grande
viaggiatore
e
storico
del
passato
Ibn
Battuta
(1304-1356),
si
legge
dell'esistenza
di
Djenné.
Finalmente
negli
anni
settanta,
degli
archeologi
americani
scoprono
delle
rovine
dell'antica
Djenné-Djeno
del
250
a.C.
Situata
3
km
a
monte
dell'attuale
città
vi
sono
stati
rinvenuti
utensili
e
gioielli
che
rivelano
come
questa
fosse
una
delle
città
più
antiche
dell'Africa
Occidentale.
I
ritrovamenti
più
interessanti,
come
alcune
statuette
in
argilla,
ci
indicano
l'esistenza
di
una
forma
artistica,
anche
se
primitiva,
fiorita
nel
sud
del
Sahara.
Col
passare
dei
secoli
poco
o
nulla
è
cambiato,
come
le
case
in
argilla
e
fango,
dall'architettura
semplice
ed
armoniosa
con
l'ambiente.
L'influenza
marocchina
si
può
ancora
notare
dalle
imposte
delle
finestre
finemente
dipinte
e
decorate
con
oggetti
di
metallo.
Ancora
oggi
quello
che
colpisce
è
la
città
nel
suo
insieme,
il
suo
grande
e
colorato
mercato
famoso
in
tutto
il
Sahel,
che
si
anima
di
gente,
di
mercanzie,
di
odori
di
quell'africanità
che
coinvolge
ed
appassiona.
Tutto
questo
si
svolge
ai
piedi
dell'imponente
moschea.
Costruita
ai
primi
del
900
sui
resti
di
quella
precedente
(XI
sec.)
con
le
sue
eleganti
torri
è
considerata
il
migliore
esempio
di
architettura
sudanese.
In
Africa
Occidentale,
sono
scarse
le
pietre
da
costruzione
e
i
grandi
edifici
venivano
costruiti
impastando
il
fango
su
dei
tralicci
di
legno
le
cui
estremità
lasciate
all'esterno,
servono
ogni
anno
per
effettuare
il
restauro
dopo
le
grandi
piogge.
All'interno
più
di
cento
colonne
compongono
questo
mosaico
non
più
visibile
a
chi
non
è
musulmano.
Bisogna
assolutamente
andare
lungo
le
rive
del
fiume
Bani
che
la
circonda
in
un
morbido
abbraccio.
L'alba
ed
il
tramonto
sono
i
momenti
migliori
per
cogliere
l'atmosfera
quasi
irreale....le
piroghe
cariche
di
gente
e
di
merci
si
spingono
fino
sotto
le
case
durante
le
piene
stagionali.
Djenné
è
ancora
viva
grazie
al
sacrificio
della
giovane
vergine
Tapama,
di
etnia
Bozo,
sepolta
viva
per
scongiurare
le
inondazioni
del
fiume
che
ogni
anno
ne
causavano
la
distruzione.
DJENNE:
LA
CITTA'
PIU'
PITTORESCA
E
ANTICA
DELL'AFRICA
OCCIDENTALE
Lo spettacolo inizia prima dell’alba. Uomini e
donne
dalla
faccia
assonnata
dirigono
una
lunga
processione
di
carretti
che
ondeggiano
e
sbandano
paurosamente
ad
ogni
buca.
E’
lunedì,
il
giorno
del
grande
mercato
di
Djennè.
Un
giorno
di
festa,
confusione,
fermento.
Nessuno
vuole
mancare
a
questo
speciale
appuntamento
settimanale.
Ci
sono
i
mercanti
bambara
coi
loro
asini
svogliati,
i
contadini
songhay
e
dogon
nascosti
sotto
ampi
cappelli
di
paglia,
i
pastori
di
etnia
peul
che
sorvegliano
qualche
zebù,
i
pescatori
bozo
carichi
di
pesce
essiccato,
i
commercianti
tuareg
avvolti
nei
tradizionali
turbanti
inamidati.
Alcuni
arrivano
su
traballanti
piroghe,
stretti
tra
fascine
di
legno,
caprette
e
polli
legati
con
lo
spago,
sacchi
di
miglio
e
cesti
di
arachidi.
Altri
giungono
con
il
traghetto
arrugginito
-
anch’esso
stipato
all’inverosimile
-
che
taglia
le
acque
limacciose
del
fiume
Bani,
l’affluente
del
Niger
che
circonda
Djenné.
Case di fango
-
Siamo
ai
margini
del
“Delta
interno”,
una
vasta
regione
umida
formata
da
canali,
acquitrini
e
paludi
impenetrabili.
La
posizione
strategica
di
questa
città-isola
ha
protetto
per
secoli
i
suoi
abitanti
e
ha
permesso
di
preservare
le
tradizioni
più
antiche
e
preziose.
A
cominciare
dalla
sorprendente
architettura
delle
sue
case
di
fango,
alte
fino
a
tre
piani,
che
l’Unesco
ha
dichiarato
Patrimonio
dell’Umanità.
Sono
quasi
duemila
le
abitazioni
costruite
con
mattoni
di
bancò
(una
miscela
di
terra,
paglia
tritata
e
burro
di
karitè
fatta
essiccare
al
sole
torrido
dei
tropici).
Dimore
fragili
e
segrete:
le
finestre
sono
piccole,
rare,
protette
da
persiane
di
legno.
Bisogna
sbirciare
oltre
i
portoni
d’ingresso
per
scoprire
le
dispense
traforate
nei
muri,
le
stanze
fresche
avvolte
nella
penombra,
le
strette
scale
incise
nella
terra
che
permettono
di
raggiungere
sorprendenti
terrazze.
Chiedete
al
padrone
di
casa
il
permesso
di
salire
e
godrete
di
uno
spettacolo
grandioso:
da
quella
posizione
la
città
appare
come
un
enorme
tappeto
d’argilla
decorato
dal
sole
con
innumerevoli
linee
d’ombra.
Lezioni di fede
-
Ma
la
magia
di
Djenné
si
respira
perdendosi
nell’intricato
reticolo
di
stradine
precluse
alle
auto:
vicoli
tortuosi
e
assonnati
collegano
tra
loro
le
botteghe
dei
commercianti
e
le
officine
degli
artigiani,
specie
quelle
dei
fabbri
e
delle
tessitrici
specializzate
nel
bogolan
(complessa
tecnica
per
dipingere
i
tessuti).
Girovagando
per
il
dedalo
di
viuzze
è
facile
imbattersi
in
gruppi
di
ragazzini
intenti
a
scrivere
su
tavolette
di
legno:
sono
gli
studenti
delle
quarantatre
madrasse
che
sorgono
dentro
le
mura
della
città.
Passano
le
mattinate
a
trascrivere
i
capitoli
del
Corano,
parola
per
parola,
fino
ad
impararli
a
memoria.
Le
scuole
coraniche
sono
presiedute
dai
marabut,
rispettati
uomini
di
fede
che
hanno
l’incarico
di
impartire
ai
giovani
gli
insegnamenti
dell’Islam.
Sono
loro,
i
saggi
maestri
delle
madrasse,
a
gestire
l’amministrazione
della
città.
Il
Mali
è
una
paese
musulmano,
il
90%
dei
suoi
abitanti
professano
la
religione
di
Maometto.
Sono
di
tradizione
sunnita
con
una
componente
che
obbedisce
al
rigorismo
wahhabita.
Ma
i
precetti
coranici
non
vengono
imposti
per
legge:
qui
lo
stato
si
mantiene
laico.
A
dispetto
della
proibizione
musulmana
dell’alcool,
nei
villaggi
si
beve
birra
di
miglio.
Uomini
e
donne
nudi
si
bagnano
tranquillamente
in
vista,
nel
Niger.
Le
ragazze
sono
libere
di
studiare
fino
all’università
e
possono
ricoprire
posizioni
importanti
nella
vita
pubblica.
L’Islam
mostra
un
volto
mite,
tollerante,
aperto.
La
gente
aderisce
ad
una
fede
rigorosa,
ma
plasmata
dalla
tradizionale
cultura
tribale,
che
senza
perdere
la
sua
sostanza
originaria
né
i
suoi
dogmi
fondamentali,
si
è
profondamente
“africanizzata”.
La Grande Moschea
-
Emblema
spettacolare
di
questo
“Islam
nero”
è
la
Grande
Moschea
di
Djenné,
cuore
pulsante
della
città.
Con
le
sue
mura
merlate,
le
sue
torri
audaci,
i
suoi
scalini
smussati
dal
tempo,
rappresenta
la
più
imponente
costruzione
in
terra
del
mondo.
Un
grandioso
monumento
di
architettura
sahariana,
eretto
all’inizio
del
secolo
scorso,
che
necessità
di
periodici
lavori
di
manutenzione.
Sono
i
pali
sporgenti
che
punteggiano
l’edificio
sacro
a
costituire
l’impalcatura
usata
dai
fedeli
per
arrampicarsi
lungo
le
pareti
verticali
della
moschea.
Solo
grazie
a
questi
piccoli
appigli
incollati
ai
muri
è
possibile
riparare
i
buchi
e
le
crepe
causati
dalle
piogge.
Il
restauro
avviene
agli
inizi
di
marzo
(il
giorno
esatto
è
fissato
dagli
anziani,
in
base
alla
consistenza
del
fango
depositato
dalle
piene
del
Niger)
ed
è
l’occasione
per
una
festa
lunga
due
giorni
che
coinvolge
l’intera
popolazione:
tutti
gli
abitanti
di
Djenné
si
mobilitano
per
recuperare
la
sabbia
bagnata,
trasportarla
con
carretti
di
legno,
impastare
coi
piedi
l’argilla,
creare
lunghe
catene
umane
per
portare
i
panieri
colmi
di
fango
fino
alla
cima
della
moschea.
E’
un
rituale
affascinante
che
si
rinnova
ogni
anno,
uguale
a
se
stesso,
tra
canti,
preghiere
e
gioiosi
inni
ad
Allah.
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