Alla
periferia di Dunhuang, nella provincia del Gansu, nel nord-ovest della
Cina, si trova un colle chiamato “Mingsha”, ossia “della sabbia
che risuona”. Sul lato est del colle si estende una serie di grotte su
cinque livelli, le grotte di Magao. I lavori di costruzione delle grotte
durarono per più di mille anni, dal IV al XIV secolo.
Nel
366 d.C. un monaco di nome Yue Zun, di passaggio vicino a Dunhuang,
lungo una delle più importanti strade carovaniere della Via della Seta,
scorse un improvviso lampo di
luce dorata in cui gli parve di vedere i volti di migliaia di Buddha.
Credette così che quel luogo - un'oasi al confine tra i deserti del
Gobi e del Taklamakan, nella parte più occidentale della Cina, a quasi
2000 chilometri
di distanza da Pechino - dovesse diventare un luogo sacro del buddhismo.
Raccolse offerte presso gli
abitanti della zona e cominciò a scavare la prima nicchia nella soffice
parete di arenaria di una rupe di Mogao,
25 chilometri
a sud della città. La notizia fece in fretta il giro della regione e da
allora, per dieci secoli, i viandanti - come auspicio per il lungo
viaggio che li attendeva - contribuirono a dare vita a quello
straordinario "inventario" dell'arte buddhista che sono le
grotte di Mogao. Se poi Yue Zun sia davvero esistito è un segreto
inestricabile, ma resta il fatto che tra il IV e il XIV secolo, in una
delle regioni più inospitali dell'Asia, l'arte del Regno di Mezzo
produsse 492 grotte che ospitano oltre 2.000 sculture e
45.000 metri quadrati
di affreschi.
Forse
l'opera più impressionante di Mogao è l'enorme statua del Buddha di
34,5 metri
di altezza protetta da una grande pagoda a sette piani. Eretta nel 695,
durante la dinastia Tang, ha il volto ammantato da un'espressione di
grande serenità.
Ma il
patrimonio più prezioso di Mogao non sta nell'eccezionalità delle
singole opere, bensì nella capacità di testimoniare con continuità i
mutamenti stilistici intervenuti nell'arte cinese classica.
Nelle
grotte si trovano affreschi e sculture di almeno cinque dinastie: i Wei
del Nord e i Wei Occidentali, i Zhou del Nord, i Sui - una dinastia di
transizione che ebbe breve durata - e i Tang, durante il cui dominio
la Cina
raggiunse una perfezione artistica eguagliata probabilmente soltanto
durante l'epoca Ming.
Lo stile dell'arte murale, così
come quello delle sculture - i cui vividi colori sono miracolosamente
arrivati indenni fino a noi - rivela l'incontro e la fusione tra la
cultura occidentale e la tradizione cinese, nonché l'evoluzione dei
costumi e della religiosità nella pratica del buddhismo. Nelle opere
dei primi secoli, le figure e gli abiti presentano inconfondibili le
tracce di un'influenza dalla Persia e soprattutto dall'India, Paese di
origine del buddhismo.
Con i
Wei Occidentali si assiste a una sinizzazione dello stile. I volti si
fanno più arrotondati, i nasi più affilati, gli occhi si allungano,
gli abiti stessi prendono fogge orientali.
Infine,
con l'integrazione e l'armonizzazione tra gli Han e i gruppi etnici
dell'Asia centrale che abitavano la regione di Dunhuang, durante la
dinastia dei Zhou del Nord, i due stili si fondono, si contaminano, fino
ad arrivare alla perfezione delle sculture Tang.
Ma i
veri capolavori di Mogao sono lontani dalla Cina ormai da cent'anni.
Abbandonate nel XV secolo, le grotte furono riscoperte attorno alla fine
dell'Ottocento dal monaco taoista Wang Yuan, che si imbatté in un
incavo dove erano custoditi antichi documenti manoscritti. Saggiamente,
questi decise di murare l'accesso alla grotta per preservare quelle
opere dai saccheggiatori e dall'aria secca del deserto, che ne avrebbe
rapidamente compromesso l'integrità.
La voce della scoperta giunse
però all'orecchio di Sir Aurei Stein, un collezionista inglese, che
organizzò una spedizione per poter ammirare il contenuto di quella che
oggi è conosciuta come la grotta 17. Stein convinse Wang a cedere quel
patrimonio in cambio di una modestissima donazione per il restauro delle
grotte e se ne partì da Mogao con 24 enormi casse che contenevano
manoscritti, dipinti su tela e lino. Infine, si appropriò del Sutra del
Diamante, una xilografia dell'868 (ora alla British Library) che secondo
la tradizione sarebbe il più antico libro a stampa conosciuto. Oggi il
bottino di quella spedizione può essere ammirato al British Museum di
Londra.