Tomba del primo Imperatore Qin a Xi’an (Shi Huangdi)
(armata di terracotta)
(Cina)

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1987

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Una settimana, viaggio compreso. Era questa la durata prevista dai funzionari di Pechino per la missione dell'archeologo Yuan Zhongyi nelle campagne di Lintong, a circa 30 chilometri dalla città di Xi'an. Al giovane studioso era stato affidato il compito di verificare la notizia del ritrovamento di una statua in terracotta, fatta da un contadino intento a scavare un canale d'irrigazione nella comune agricola di Yanzhai. Era il 1974 e nessuno si aspettava che quella statua, raffigurante un guerriero a dimensioni naturali, fosse appena una minuscola tessera di un incredibile mosaico. Quello che componeva la leggendaria sepoltura di Qin Shi Huangdi (259- 210 a .C), primo imperatore della Cina. Sono passati trent'anni e gli scavi di quello che è ormai noto in tutto il mondo come il mausoleo del primo imperatore Qin continuano tutt'ora. Yuan Zhongyi, ormai archeologo di fama internazionale, è direttore del museo annesso al sito. Il suo nome resterà nella storia della Repubblica Popolare Cinese, legato alla più importante scoperta archeologica del XX secolo nel continente asiatico.

La definizione di "mausoleo", tuttavia, appare riduttiva. Nel 2002 si è potuta tracciare una mappa, seppure approssimativa, della vera e propria città sotterranea che si svilupperebbe per un centinaio di chilometri quadrati nella piana a forma di drago delimitata a nord da una montagna, il Lishan, e a sud dal corso del fiume Wei. Per ora, i visitatori possono entrare in tre fosse contenenti le circa 8000 statue che compongono l'esercito di terracotta messo a guardia dell'imperatore per l'eternità. Ognuna delle statue, piena fino alla cintura e vuota nel tronco e nella testa, pesa circa 200 chilogrammi e ha un'altezza compresa tra i 175 e i 197 centimetri: fanti, corazzieri, arcieri, balestrieri, cavalieri, alti ufficiali della guardia imperiale, e poi cavalli e carri da guerra, tutti con una dotazione di armi in legno e metallo, e tutti raffigurati con eccezionale realismo e gusto per il dettaglio. Benché gran parte dei colori minerali con cui le statue furono dipinte sia svanita col tempo, restano evidenti i tratti somatici e le caratteristiche peculiari - persino le cicatrici o il labbro leporino, oppure l'orecchio mozzato - di ogni modello su cui furono forgiate.  

Hanno più di duemila anni, ma sembrano "vive", proprio come - nella follia dell'imperatore - avrebbe dovuto vivere la sua città dell'aldilà, replica dell'impero sul quale aveva governato. Il tumulo in cui venne sepolto Qin Shi Huangdi, posto in corrispondenza di una falda acquifera e interamente foderato in bronzo, si trova infatti nelle vicinanze di una copia in miniatura del suo palazzo, a sua volta incluso in una cinta muraria del perimetro di 12 chilometri . In una serie di edifici disposti intorno a cortili, gli archeologi hanno trovato una serie interminabile di camere in cui vennero depositati oro, pietre preziose, oggetti raffinati, cibo e uccelli esotici, e furono sepolti vivi stuoli di concubine, servitori, monaci e giardinieri che avrebbero dovuto allietare il percorso dell'imperatore oltre la morte. 

L'impero sotterraneo" includeva inoltre un vasto cimitero, un modello in scala della capitale della dinastia Qin (nei pressi dell'odierna Xi'an), un planetario in cui le costellazioni erano state riprodotte con preziosissime perle e fiumi di mercurio azionati meccanicamente, a rappresentare i principali corsi d'acqua della Cina. Per realizzare quest'opera grandiosa furono necessari 36 anni e il lavoro di 700.000 schiavi i quali, secondo la leggenda, vennero murati vivi per evitare che svelassero il segreto dei tesori nascosti sottoterra. A ordinarne la costruzione fu, nel 246 a.C., lo stesso Qin Shi Huangdi. Allora aveva 13 anni ed era appena salito al trono del suo clan, i Qin. E, nonostante la tenera età, era già ossessionato dalla paura della morte. Se non fosse stato tormentato da questo incubo - che si trasformò col tempo in una malattia e lo portò a circondarsi di maghi, indovini, mistici, alchimisti e ciarlatani d'ogni sorta - sarebbe stato ricordato soltanto per le sue indubbie capacità di guerriero, di politico e di amministratore.  

Qin Shi Huangdi fu l'uomo che, per così dire, inventò la Cina. Nel 221 a.C. il re Zheng dello stato di Qin assunse il nuovo titolo di Huangdi, generalmente tradotto come "Augusto imperatore", termine che era stato usato sino ad allora per indicare i sovrani della più remota antichità che per tradizione avevano dato origine alla civiltà cinese. 

In tal modo il re Zheng intendeva col suo regno dare inizio a una nuova era e per questo fece precedere al termine huangdi il carattere shi "primo". Egli sarebbe dovuto essere così il primo Huangdi di una dinastia destinata a durare diecimila generazioni. Così non accadde perché la dinastia fondata dal primo imperatore regnò pressappoco una ventina d'anni, per essere poi sostituita dalla grande dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), mentre le riforme che egli aveva adottato durante il suo regno lasciarono un'impronta indelebile sulla storia cinese per oltre due millenni. 

Obiettivi fondamentali del governo di Qin Shihuang erano l'unificazione politica e militare dell'intero territorio cinese e la centralizzazione del potere. Nella visione del primo imperatore, le basi dello stato unitario poggiavano sul fa, la legge, così come suggeriva la scuola che animava il pensiero politico dello stato di Qin e che prese appunto il nome di "scuola del fa" o legismo. 

Secondo tale pensiero, le basi dello stato unitario poggiavano sull'adozione di un codice di leggi molto rigoroso che, adottato in tutto il Paese, avrebbe dovuto guidare il governo del sovrano. Era questa una concezione oltremodo moderna per la Cina; mentre per i confuciani l'ideale del buon sovrano era rappresentato da un uomo dotato di tutte le virtù e per la scuola taoista il miglior governante avrebbe dovuto non governare, per i legisti il re, lungi dall'esercitare a piacimento il proprio arbitrio, aveva il compito preciso di controllare la corretta ed equa applicazione della legge. 

Il codice Qin, fondato sul principio della responsabilità collettiva, venne imposto in tutto l'impero. Lo scopo era quello di stabilire un principio al quale anche i governanti successivi cercarono di attenersi: la certezza della legge doveva garantire idealmente il suddito dagli eccessi e dagli arbitrii dei governanti. 

L'opera di unificazione da parte di Qin Shihuang continuò con l'adozione di misure di peso, di capacità e di lunghezza unificate in tutto l'impero e anche la moneta di forma circolare, in uso nel regno di Qin, divenne l'unica moneta corrente. 

Un altro provvedimento di importanza incalcolabile per l'evoluzione successiva della storia cinese riguardò l'unificazione della scrittura: i caratteri impiegati nel primo periodo Zhou (1066-221 a.C.) nello stile denominato del "Grande Sigillo", avevano subito col tempo profondi cambiamenti nelle differenti regioni determinando la nascita di forme di scrittura radicalmente diverse tra loro; con l'intervento del governo centrale i caratteri vennero semplificati e razionalizzati nello stile in uso a Qin, detto del "Piccolo  Sigillo", imponendo così un unico sistema di scrittura adottato in tutto l'impero. Tale provvedimento determinò quella uniformità della scrittura che ancora oggi costituisce un elemento determinante dell'unità culturale della Cina. 

Altra misura fondamentale per l'unificazione del territorio, fu l'adozione di un unico scartamento dei carri, omologato secondo le misure in vigore nello stato di Qin, tale uniformità consentì una più rapida comunicazione tra le diverse parti del Paese, oltreché un più efficace controllo da parte delle istituzioni statali. 

Invecchiando, si trasformò sempre più in un despota crudele e la sua ossessione maniacale per la ricerca di una formula magica che gli permettesse di vivere e governare in eterno lo assorbì completamente. Ormai affetto da una grave malattia, fisica oltre che mentale, nel 210 a.C. (di ritorno da un viaggio in Giappone dove, gli era stato detto, avrebbe trovato la pozione dell'immortalità), si spense appena sbarcato sulle coste della Cina meridionale. Il corteo funebre, che attraversò gran parte dell'impero, fu maestoso. Raggiunta la tomba, da poco ultimata, il primo imperatore fu tumulato con almeno un migliaio di persone, che dovettero sacrificarsi al suo volere. Poi, l'”impero sotterraneo" fu interamente ricoperto di terra. Da allora, quella piana venne coltivata a grano.  

Il grande mausoleo sotterraneo - Cheng voleva che la sua estrema dimora sorgesse ai piedi del Monte Li. I lavori per l'edificazione del mausoleo, iniziati dopo la sua nomina a re dei Qin, si intensificarono quando divenne imperatore e si ampliarono fino alla costruzione di una vera e propria città sotterranea, una sorta di rappresentazione in miniatura di tutto l'Impero. Il tumulo sepolcrale venne circondato da una cerchia muraria quadrangolare, con un lato di 500 metri e quattro porte orientate verso i punti cardinali. Attorno a questa prima cerchia ne venne innalzata una seconda con perimetro rettangolare e muri spessi otto metri, sormontati ai quattro angoli da torri di avvistamento. Nell'ultima fase il mausoleo venne sepolto sotto un'enorme quantità di terra. Ancora non si sa con certezza a quale profondità si trovi l'edificio funerario; si ipotizza comunque che sia a svariate decine di metri sotto il livello del terreno.

Il complesso copre una superficie di circa 56 chilometri quadrati e ha l'aspetto di una pianura su due livelli coronata da una collina. A rivelare molti particolari sul mausoleo sono stati gli scritti di Su Ma Chien, uno storico della dinastia Han. Sappiamo che il progetto era così ambizioso che per 36 anni richiese il lavoro incessante di 700.000 operai e che, mentre all'esterno dell'edificio tombale furono costruiti templi lussuosi e alti torrioni, all'interno vennero riprodotte dimore e palazzi sontuosamente arredati. Il soffitto fu decorato con le costellazioni celesti, mentre il pavimento era «a forma di una vasta terra intersecata dai fiumi e dai mari che contengono non acqua ma mercurio». Gli edifici ubicati all'esterno del mausoleo sono andati completamente distrutti, ma è possibile che le ricchezze ancora nascoste siano tali da superare quelle di qualsiasi altro famoso tesoro.  

La camera funeraria, non ancora portata totalmente alla luce, sarebbe così profonda da attraversare 3 livelli di falde acquifere, con pareti in bronzo e circondata da fiumi di cinabro, cioè solfato di mercurio che, per la filosofia taolista, sarebbe un attivatore energetico per l'immortalità. L'immortalità era una fissazione dell'Imperatore, che aveva organizzato numerose spedizioni per terra e mare, alla ricerca del famoso elisir. Ma Qin Shi Huangdi è famoso anche per la costruzione della Grande Muraglia, una fortificazione lunga migliaia di chilometri.

L'ESERCITO DI TERRACOTTA - L'intero complesso del mausoleo di Qin Shihuang si sviluppa su una superficie di circa 56 chilometri quadrati. Il nucleo centrale del complesso funerario è costituito dal tumulo sepolcrale, al di sotto del quale è stata individuata la tomba dell'imperatore; intorno a essa si snodano per un raggio di circa 15 chilometri le fosse sacrificali di accompagnamento. 

A ovest del tumulo, nel 1980 fu rinvenuta una fossa contenente due imponenti carri di bronzo di grandezza pari alla metà di quella naturale. Non distante furono scoperte altre 18 fosse contenenti uccelli e animali selvatici e 13 fosse con statuine di ancelle e servi che simboleggiano il terreno di caccia dell'imperatore. 

All'esterno del recinto della tomba, in direzione est, sono emerse altre 93 fosse fosse contenenti, oltre a utensili in ceramica e ferro e statuine di palafrenieri, una moltitudine di scheletri di cavalli erano queste le stalle imperiali. A poco meno di un chilometro e mezzo a est del tumulo, vennero scavate le quattro fosse contenente l'esercito di terracotta dell'imperatore. Separate tra loro da resti di strutture architettoniche, le fosse ricoprono complessivamente un'area di 20.780 metri quadrati; al loro interno trovano posto più di 130 carri da guerra in legno, oltre 600 cavalli di terracotta e oltre 80.000 statue, raffiguranti guerrieri di diverso tipo, insieme a un'innumerevole quantità di vere armi di bronzo. 

Le fosse hanno la seguente disposizione: a sud è situata la n. 1; le fosse 2 e 3 si trovano rispettivamente a est e a ovest della 1, a una distanza di oltre 20 metri dal suo lato settentrionale. Tutte e tre sono volte verso oriente. Tra le fosse 2 e 3 troviamo la 4, i cui lavori di scavo sono ancora in corso. All'interno della fossa 1 troviamo più di 6.000 statue tra guerrieri e cavalli, dispiegate in uno schema rettangolare, composto da formazioni di fanti e carri pesanti. 

Lo schieramento delle tre file anteriori comprende in tutto 210 soldati: rivolti verso oriente, indossano abiti ordinari, tengono in mano l'arco e la balestra e sulle spalle recano la faretra. Alle estremità e al centro emergono tre guerrieri con armatura che sembrerebbero i comandanti. Dietro a queste tre file sono allineate 38 colonne di soldati, distribuite in 11 corridoi, sei dei quali contengono ciascuno anche un carro da guerra, su cui stanno in piedi due soldati. 

Ogni carro è preceduto da tre file di uomini, ciascuna composta di quattro guerrieri armati di lance e bronzo. Su entrambe le ali delle 38 colonne si dispiega una fila di soldati rivolta verso l'esterno dello schieramento; molti di essi son muniti di archi e balestre. In coda alla formazione rettangolare sono schierate tre file di soldati; l'ultima è rivolta all'indietro, verso occidente, mentre, le altre due guardano in avanti, verso oriente.

Nella fossa 2 sono stati rinvenuti poco meno di un migliaio di statue di guerrieri, oltre 400 cavalli e 89 carri da combattimento, disposti secondo uno schema che schiera contemporaneamente la cavalleria, la fanteria e i carri, alla cui protezione è posta un'avanguardia armata. La fossa 3, che sembrerebbe essere il quartiere generale, il posto di comando dell'intera armata, comprende un solo carro da combattimento e 68 soldati scelti, armati di giavellotti in bronzo. 

Le figure sono di dimensioni variabili: l'altezza dei guerrieri, di poco superiore a quella reale, è compresa tra 1,75 e 1,79 metri, l'altezza dei cavalli è all'incirca di un metro e mezzo, la lunghezza di circa 2 metri. I soldati e i comandanti sono datati di un equipaggiamento militare completo che avrebbe potuto essere effettivamente usato; le armi, di materiale della migliore qualità, includono lance, giavellotti, alabarde, asce, uncini, spade e balestre. 

Anche i carri di legno e le bardature dei cavalli sono realmente utilizzabili. Una parte dei guerrieri e dei cavalli recano ancora sulla testa e sul corpo caratteri incisi o impressi con dei marchi, che rappresentano i nomi degli artigiani che li hanno realizzati, sono stati trovati i nomi di oltre 85 mastri di alto livello, alle cui dipendenze lavoravano numerosi operai e apprendisti; da calcoli effettuati risulta che ognuno di loro era affiancato da 18 aiutanti. 

Oltre a quello dei ceramisti, spesso si trova registrato anche il nome di funzionari di basso rango, oppure è indicato il numero di inventario dei guerrieri e dei cavalli. Oltre al numero e all'imponenza, ciò che colpisce in queste statue sono l'estremo realismo e l'accuratezza dei particolari con cui gli artigiani dell'impero di Qin hanno delineato i loro modelli. I finimenti e la forma dei carri riflettono le consuetudini del tempo, mentre i cavalli, bardati con cavezza, morso, briglie e sella, sono del tutto confrontabili con quelli veri. 

La stessa realistica precisione si trova nella statue, nel portamento, nelle vesti e nelle acconciature dei guerrieri, ma soprattutto nei tratti dei volti che spesso riportano le caratteristiche somatiche delle regioni da cui provenivano i componenti dell'esercito dell'imperatore. Così i visi di alcune statue presentano il profilo allungato, la bocca grande, le labbra carnose, la fronte alta e gli zigomi larghi, tipici delle popolazioni della media valle del fiume Wei, mentre altri recano la rotondità dell'ovale e la prominenza del mento propri degli abitanti dell'odierno Sichuan. Di ogni figura viene fissata la viva espressone dello sguardo, affinché ciascuno conservi la sua specifica individualità.

Mentre le linee e il modellato del corpo sono relativamente semplici, l'esecuzione della testa è per contrasto particolarmente accurata: le sopracciglia sono trattate in modo estremamente attento, tanto da apparire vivide e brillanti, i capelli, in genere raccolti a crocchia sotto un copricapo o una semplice cuffia, presentano la stessa realistica trama di intreccio che si ritrova nei baffi prominenti di molti dei guerrieri. Il corpo delle statue mostra una certa omogeneità d'esecuzione poiché esso era di norma fatto a mano sul momento, mentre della testa veniva prima realizzata una bozza, sulla quale erano poi definiti i particolari del volto e dell'espressione. Le statue rappresentano modelli di varie corporature, età, caratteri e disposizione d'animo. Quest'ultima è segnalata dall'aria dignitosa ed elegante di alcuni personaggi, dalla prudente sicurezza di altri, dalla risolutezza inflessibile di altri ancora. In questa ricercata diversificazione, ogni ritratto stupisce per la particolarità espressiva, sempre vivida di umana introspezione. Tracce di policromia su alcune statue rivelano che queste, cotte all'interno di fornaci a una temperatura di circa 1000 gradi, venivano poi decorate con pigmenti diversi; sebbene in maggior parte abbiano perduto i colori, alcune hanno conservato i pigmenti originari. 

Le statue dei guerrieri, oltre a testimoniare l'elevato livello artistico e la maturità raggiunti dalla scultura cinese in epoca Qin, stabiliscono un particolare stile statuario che trasformerà la scultura dell'epoca e si evolverà come elemento caratterizzante dell'arte plastica cinese anche nelle epoche successive. Guerrieri, cavalli, carri e armi all'interno delle fosse costituiscono un esercito completo, una vivida testimonianza della potenza e della consistenza dell'armata con la quale Qin Shihuang poté portare a compimento l'unificazione dell'impero.

L'identità degli artisti - In angoli riposti delle statue sono stati reperiti i nomi degli artigiani: ne abbiamo identificati sinora 87. È probabile che ciascuno avesse garzoni e apprendisti, formando una bottega di una decina di persone, il che lascerebbe ipotizzare che per creare l'esercito di terracotta sia stato approntato un cantiere di centinaia di artisti; i nomi identificati rimontano sia ad artigiani delle fornaci della capitale sia a laboratori di ceramica locali, di esito più disomogeneo.

Un arsenale da parata - Le fosse sono un deposito di armi da parata, corte, lunghe, da lancio, gè (accette), ji (alabarde), mao (picche), balestre e una miriade di punte di frecce bronzee. Gli archeologi hanno trovato due chicche: i ganci d'oro (sorta di falcetti lunghi 65 centimetri e spessi 3,5 centimetri), inventati dalla popolazione di Wu verso la fine del IV secolo a.C., e 16 esemplari di bo, una sorta di picca dal manico lungo, in tutto lunga 38 centimetri , citata dalle fonti storiche, ma la cui foggia finora rimaneva un mistero.

Tutte le armi sono bronzee, pochissimo ossidate e ancora affilate: una volta dissotterrate e lucidate, splendevano come se fossero state appena interrate. Un attento esame ha rivelato che furono sottoposte a un'applicazione di cromo, con funzione antisettica e antiossidante. A giudicare poi dalle vene di affilatura parallele, venne usata una macchina, una sorta di mola rudimentale. Sui bo sono impressi motivi simili a fiamme, che hanno fatto pensare di essere stati impressi tramite vulcanizzazione.