Alcuni
dei siti di estrazione del
carbone meglio conservati del
Belgio sono recentemente stati
iscritti nella Lista
dell'UNESCO del Patrimonio
dell'Umanità; essi sono
dislocati su una striscia di
territorio lunga centosettanta
chilometri che attraversa il
paese da occidente verso
oriente.
Il
bacino minerario vallone si
sviluppò nell'Ottocento e
presto divenne un centro
industriale di prima
importanza nel contesto
europeo; non per la sua
funzione produttiva, ma per
l'esempio di architettura
cosiddetta “utopica”
inserita in un ambiente
integrato industriale ed
urbano, i siti di Grand-Hornu,
Blegny, Bois du Cazier e Bois
du Luc sono oggi luoghi
abbandonati (ma perfettamente
conservati) che ospitano città
dei lavoratori ed edifici
funzionali nonché
infrastrutture legate
all'attività di estrazione
vera e propria.
Quattro
grandi miniere della Vallonia
che rappresentano quella
grande pagina di storia
chiamata rivoluzione
industriale europea, che ha
concorso a dar vita a quel
grande flusso migratorio che
ha visto movimento di genti
provenienti da vari Paesi ed
il relativo ruolo nella storia
di nazioni, famiglie e
persone. Tra loro anche tanti
nostri connazionali giunti
qui, pronti a scendere nelle
viscere della terra, nella
speranza di creare un futuro
migliore. Storie a volte
dolorose, come quella mai
dimenticata di Marcinelle.
Al
Bois du Cazier l'emozione
cresce già ai cancelli
dell'entrata e poi alla Salle
des Pendus dove gli operai
appendevano alle lunghe catene
di ferro attaccate ai soffitti
della sala, le loro tute da
lavoro o gli abiti di cambio.
Lo Spazio 8 agosto 1956
ricorda invece, con tutte le
loro foto, le vittime del
tragico incidente di
Marcinelle.
La
tragedia della miniera di
Marcinelle ha impiegato poco a
diventare il simbolo di
un’epopea drammatica e
gloriosa, un luogo della
memoria fra i più simbolici
per l’emigrazione del
dopoguerra, la seconda più
grave sciagura nel suo genere
dei tempi moderni.
Il
carbone al Cazier non lo
estraggono dal 1967. Dalla
fine del conflitto sono stati
140 mila gli italiani venuti
in Belgio per scavare sino a
mille e passa metri nel
sottosuolo. I loro posti di
lavoro venivano scambiati per
carbone da importare, 200
chili al giorno per emigrato,
e col tempo s’è scoperto
che il prezzo imposto dalle
autorità di Bruxelles
(nazionali) non era poi così
conveniente. Era la ricchezza
del Paese eppure, una volta
chiusi gli impianti, c’era
chi era pronto a dimenticare.
Quelle
che un tempo furono luoghi di
lavoro, di dolore e di fatica,
oggi sono delle attrazioni
turistiche che offrono ai
visitatori un'esperienza ricca
di forti emozioni e
commozione. Una sorta di gioco
delle parti che fa
immedesimare il visitatore
nella realtà dei minatori dei
secoli scorsi. E' il caso di
Blégny dove si entra
realmente nei panni dei
minatori indossando tuta blu e
caschetto protettivo, per poi
scendere per 60 metro sotto
terra e da qui avviarsi lungo
un percorso in galleria
provando ad immaginare il duro
il lavoro dei minatori
impegnati a vivere lontano
dalla luce del sole, scavando
il carbone con pala e martello
in cunicoli alti appena 40
centimetri.
Il
sito minerario Bois-du-Luc
invita i visitatori a scoprire
il lavoro e la vita quotidiana
di un minatore e della sua
famiglia.
Oggi
sono importanti musei e
sentinelle di un’epoca
storica. Sono i luoghi meglio
conservati dell’estrazione
carbonifera in Belgio tra il
XIX e il XX secolo e le
testimonianze più
emblematiche della Rivoluzione
Industriale europea.
I
siti minerari maggiori della
Vallonia sono straordinari
esempi dei concetti di
architettura associata alle
miniere, di abitazioni degli
operai, di urbanismo delle
" città minerarie-città
operaie" ma anche e
soprattutto di valori sociali
e umani.
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