Principali siti minerari della Vallonia
Belgio

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2012

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Alcuni dei siti di estrazione del carbone meglio conservati del Belgio sono recentemente stati iscritti nella Lista dell'UNESCO del Patrimonio dell'Umanità; essi sono dislocati su una striscia di territorio lunga centosettanta chilometri che attraversa il paese da occidente verso oriente.

Il bacino minerario vallone si sviluppò nell'Ottocento e presto divenne un centro industriale di prima importanza nel contesto europeo; non per la sua funzione produttiva, ma per l'esempio di architettura cosiddetta “utopica” inserita in un ambiente integrato industriale ed urbano, i siti di Grand-Hornu, Blegny, Bois du Cazier e Bois du Luc sono oggi luoghi abbandonati (ma perfettamente conservati) che ospitano città dei lavoratori ed edifici funzionali nonché infrastrutture legate all'attività di estrazione vera e propria.

Quattro grandi miniere della Vallonia che rappresentano quella grande pagina di storia chiamata rivoluzione industriale europea, che ha concorso a dar vita a quel grande flusso migratorio che ha visto movimento di genti provenienti da vari Paesi ed il relativo ruolo nella storia di nazioni, famiglie e persone. Tra loro anche tanti nostri connazionali giunti qui, pronti a scendere nelle viscere della terra, nella speranza di creare un futuro migliore. Storie a volte dolorose, come quella mai dimenticata di Marcinelle.

Al Bois du Cazier l'emozione cresce già ai cancelli dell'entrata e poi alla Salle des Pendus dove gli operai appendevano alle lunghe catene di ferro attaccate ai soffitti della sala, le loro tute da lavoro o gli abiti di cambio. Lo Spazio 8 agosto 1956 ricorda invece, con tutte le loro foto, le vittime del tragico incidente di Marcinelle. 

La tragedia della miniera di Marcinelle ha impiegato poco a diventare il simbolo di un’epopea drammatica e gloriosa, un luogo della memoria fra i più simbolici per l’emigrazione del dopoguerra, la seconda più grave sciagura nel suo genere dei tempi moderni. 

Il carbone al Cazier non lo estraggono dal 1967. Dalla fine del conflitto sono stati 140 mila gli italiani venuti in Belgio per scavare sino a mille e passa metri nel sottosuolo. I loro posti di lavoro venivano scambiati per carbone da importare, 200 chili al giorno per emigrato, e col tempo s’è scoperto che il prezzo imposto dalle autorità di Bruxelles (nazionali) non era poi così conveniente. Era la ricchezza del Paese eppure, una volta chiusi gli impianti, c’era chi era pronto a dimenticare.

Quelle che un tempo furono luoghi di lavoro, di dolore e di fatica, oggi sono delle attrazioni turistiche che offrono ai visitatori un'esperienza ricca di forti emozioni e commozione. Una sorta di gioco delle parti che fa immedesimare il visitatore nella realtà dei minatori dei secoli scorsi. E' il caso di Blégny dove si entra realmente nei panni dei minatori indossando tuta blu e caschetto protettivo, per poi scendere per 60 metro sotto terra e da qui avviarsi lungo un percorso in galleria provando ad immaginare il duro il lavoro dei minatori impegnati a vivere lontano dalla luce del sole, scavando il carbone con pala e martello in cunicoli alti appena 40 centimetri.

Il sito minerario Bois-du-Luc invita i visitatori a scoprire il lavoro e la vita quotidiana di un minatore e della sua famiglia.

Oggi sono importanti musei e sentinelle di un’epoca storica. Sono i luoghi meglio conservati dell’estrazione carbonifera in Belgio tra il XIX e il XX secolo e le testimonianze più emblematiche della Rivoluzione Industriale europea.

I siti minerari maggiori della Vallonia sono straordinari esempi dei concetti di architettura associata alle miniere, di abitazioni degli operai, di urbanismo delle " città minerarie-città operaie" ma anche e soprattutto di valori sociali e umani.