Mohenjo-daro
è un'antichissima città risalente all'Età del bronzo, situata sulla
riva destra del fiume Indo, nell'attuale regione pakistana del Sindh, a
300 km a nord-nord-est di Karachi. Insieme ad Harappa, è una delle più
grandi città della civiltà della valle dell'Indo (3300–1300 a.C.). Mohenjo-daro
significa letteralmente il monte dei morti, nome che condivide
con Lothal.
Si
estende per circa 100 ettari. È divisa in due settori: una cittadella e
una città bassa. Sulla cittadella si trova un struttura in mattoni
cotti a forma di vasca, soprannominata il Grande Bagno, un enorme
granaio e uno stupa, nonché un tempio buddista più tardo.
Avendo
sofferto poche degradazioni nell'età moderna, il suo stato di
conservazione è migliore di quello di Harappa, ed è, di conseguenza,
una importante fonte di informazioni sulla civiltà cui apparteneva.
La città
è stata costruita nel corso del III millennio a.C. ed è stata
abbandonata alla fine del XVIII secolo a.C., verosimilmente a causa
della variazione del corso di un fiume.
Il sito
è stato riscoperto nel corso degli anni venti. Tra il 1922 e il 1927,
degli scavi in grande scala vi sono stati avviati da Rakhal Dâs Banerjî
e sono stati portati avanti da Madho Sarup Vats e Kashinath Narayan
Dikshit sotto la direzione di John Marshall. Ernest MacKay ha effettuato
altri scavi dal 1927 al 1931. Mortimer Wheeler portò a termine questi
lavori nel 1950 con scavi di minore portata.
I
lavori condotti sul sito hanno consentito di liberare un centinaio di
ettari di rovine della città, dieci volte di più di ciò che era stato
scoperto negli anni venti, ma probabilmente solo un terzo della
superficie totale da studiare. Con Mohenjo-daro per la prima volta sono
state portate alla luce vestigia della civiltà della valle dell'Indo di
cui fino ad allora si ignorava l'esistenza.
Mohenjo-daro
non è stata costruita per giustapposizione di edifici innalzati nel
corso del tempo ma, come le altre città della civiltà dell'Indo,
Harappa, Kâlîbangan o Lothal, rivela una urbanizzazione studiata e
pianificata nel tracciato delle strade, che formano una griglia in cui
almeno un viale largo 10 metri divideva la città bassa in due zone. In
effetti esiste, come negli altri siti dell'Indo, una divisione della
città in due parti denominate tradizionalmente la cittadella o città
alta e la città bassa. Le costruzioni sono fatte di legno
indurito col fuoco, di mattoni seccati al sole, comuni in Mesopotamia o
cotti al forno, una caratteristica dell'Indo che assicurava una maggiore
longevità agli edifici. Questi ultimi seguivano le regole dimensionali
standardizzate nella civiltà dell'Indo, con la larghezza doppia
dell'altezza, la lunghezza doppia della larghezza.
La
costruzione di Mohenjo-Daro risale a un periodo compreso fra il 2500 e
il 2100 a.C. Situata su un colle affacciato sul fiume, era circondata da
mura alte 6 metri, munite di torri quadrate lungo un perimetro di oltre
5 chilometri. Fu progettata suddividendo il territorio con una regolare
griglia a scacchiera che comprendeva, nella parte inferiore, undici
isolati di 360 metri per 240 di lato, delimitati da 12 strade larghe fra
9 e 14 metri. Tali isolati erano attraversati da un fitto reticolo di
vicoli larghi due metri con quartieri residenziali, botteghe e officine;
una Cittadella sopraelevata su una piattaforma rettangolare alta 15
metri era riservata agli edifici pubblici. È probabile che la
Cittadella fosse circondata da una seconda cinta muraria.
Separata
dai quartieri residenziali da un'area larga 200 metri, probabilmente
destinata a mercato, la Cittadella dominava la città con alcuni grandi
edifici pubblici. Il Grande Bagno era una piscina di 12 metri per 7 e
profonda 2,4 metri, rivestita di catrame che la rendeva impermeabile,
munita di piccoli ambienti ai lati e di scale che raggiungevano un
probabile piano in legno.
La sua
funzione poteva essere quella di una piscina pubblica, oppure era
destinata a immersioni rituali, pratica tuttora in uso presso gli Indù.
Il vicino Granaio, complesso rettangolare vasto 46 metri per 23, era
quasi certamente la sede del Tesoro pubblico nel quale i cittadini
versavano i loro tributi in natura (grano e orzo).
La sua funzione poteva essere quella di una piscina pubblica, oppure era
destinata a immersioni rituali, pratica tuttora in uso presso gli Indù.
Il vicino Granaio, complesso rettangolare vasto 46 metri per 23, era
quasi certamente la sede del Tesoro pubblico nel quale i cittadini
versavano i loro tributi in natura (grano e orzo).
Alcune piattaforme rialzate
facilitavano la consegna dei carichi, che venivano sottoposti a molitura
su apposite piattaforme. Le riserve erano conservate in depositi
sotterranei perfettamente aerati. Nel settore meridionale della
Cittadella un grande ambiente (il cui lato maggiore misura 30 metri) era
forse destinato alle assemblee, mentre un imponente edificio attiguo (70
x 24 metri) poteva essere la residenza di chi governava la città.
L'assenza di qualsiasi tempio o altra struttura religiosa ha suscitato
interessanti interrogativi in attesa di risposta.

Le case
più grandi, a due piani e coperte da una terrazza, avevano le stanze
pavimentate con piastrelle, aperte su un cortile centrale in cui vi era
sempre un pozzo circolare rivestito di mattoni e dotato di un alto
parapetto. Una scala conduceva al piano superiore, dotato, come quello
sottostante, di acqua corrente. Queste grandi case indipendenti erano
abitate da ricchi commercianti; le altre abitazioni erano più piccole,
fino a una sola stanza, e si doveva attingere l'acqua dalle fontane
pubbliche. I rifiuti venivano depositati in appositi punti di raccolta
lungo le strade. I campi attorno a Mohenjo-Daro erano irrigati da un
capillare sistema di distribuzione delle acque dell'Indo; vi si
coltivavano cereali, piselli, meloni, datteri e cotone. L'allevamento
riguardava ovini, suini e bovini; questi ultimi venivano utilizzati nei
lavori agricoli insieme agli elefanti.
Ad est
della città alta, si trova la città bassa, molto estesa, in cui si
trova lo schema a griglia delle strade. Queste sono dritte, affiancate
dai sistemi di scolo. Le strade formano dei blocchi di edifici di 390 x
260 m. Le costruzioni hanno un tetto a terrazza, presente anche nel
mondo indiano contemporaneo, sostenuto da travi ed al quale si accede
solitamente con una scala. Alcune erano probabilmente di due piani e la
maggior parte usufruivano di una piccola sala da bagno. Le case sono di
dimensioni diverse, alcune piccole, altre più ampie che presentano un
cortile interno, senza aperture sulla strada e che si aprono su un
vicolo, per meglio isolarsi dalla agitazione presente nelle strade
principali.
Sono
stati scoperti forni di vasai, vasche per tintura, officine per lavorare
i metalli, per la produzione di perle e lavori di ceramica. Gli abitanti
della città sapevano padroneggiare l'irrigazione e controllavano le
piene del fiume. Nel corso degli scavi sono stati ritrovati numerosi
sigilli con iscrizioni, così come anche opere più rare, in pietra come
la statuetta di steatite (alta 17,7 cm) detta, in modo sicuramente
inappropriato, il Re-sacerdote o quella in bronzo nota col nome di
Ballerina.
Gli
scavi archeologici hanno restituito importanti reperti, attraverso i
quali si è tentato di ricostruire la vita di Mohenjo-Daro. Fra una
decina di statuine in steatite ve n'è una che raffigura un personaggio
severo, con la barba curata, i capelli raccolti dietro la testa da fasce
e l'abito ornato da motivi a trifoglio. È stata attribuita al
re-sacerdote della città, anche se nulla si può affermare con certezza
sul tipo di governo praticato. Alcune figurine femminili in terracotta e
numerosi gioielli farebbero pensare a un ruolo importante delle donne,
mentre statuine di animali in argilla dovrebbero essere giocattoli.
L'assenza di armi conferma che la popolazione era pacifica.
L'abbondanza di ceramiche decorate indica la loro fabbricazione locale, che
alimentava il commercio d'esportazione insieme a olio e tessuti di
cotone; dal porto di Dilmun (nell'attuale Bahrein) venivano importati
prodotti dalla Mesopotamia (oro, pietre dure, avorio, spezie). Ma gli
oggetti più importanti venuti alla luce sono circa duemila sigilli in
pietra, metà scolpiti a rilievo e metà incavati, nei quali le
prevalenti raffigurazioni di tori e altri animali sono accompagnate da
pittogrammi. Sono stati catalogati 396 caratteri, ma non si è riusciti
a decifrare il loro significato.
Pare che i sigilli servissero a contrassegnare gli scambi commerciali, ma se
ne avrà la certezza solo quando sarà possibile leggere questa
primitiva forma di scrittura. Intorno al 1900 a.C. ebbe inizio il lento
declino di Mohenjo-Daro. Le cause vanno ricercate nelle ripetute
alluvioni dell'Indo - che resero vana la sopraelevazione della città -
e l'esaurimento dei boschi, il cui legname alimentava le numerose
fornaci di mattoni e ceramiche. Il testo sanscrito Rigveda descrive
l'invasione degli Arii nel 1500 a.C. circa: gli abitanti furono
crudelmente trucidati e la città divenne, come dice il suo nome, la
"collina dei morti".
La fama
di Mohenjo-Daro di città antica organizzata ed efficiente è dimostrata
anche dalla sua evoluta rete idrica. Ogni casa era dotata di un pozzo
autonomo, mentre tubature in argilla assicuravano il rifornimento di
acqua corrente su due piani, in cucina, nel bagno e nel gabinetto
(quest'ultimo era provvisto di sedili). Gli scarichi confluivano in
canali a cielo aperto lungo i vicoli, dotati di pozzetti per la pulizia
periodica, e venivano convogliati in collettori maggiori coperti che
seguivano il tracciato delle strade principali. Da queste, con adeguata
pendenza, uscivano dalla città. Nelle abitazioni più povere i rifiuti
erano raccolti in giare, che venivano svuotate periodicamente in
appositi collettori. Un sistema di sorprendente modernità, adottato nel
Palazzo di Cnosso (1700 a.C), ma che in molte parti del mondo odierno
non è ancora conosciuto.

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