Templi nubiani da Abu Simbel a Philae
Egitto

patrimonio dell'umanità dal 1979

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Al limite meridionale dell'antico impero del Nilo sorge il complesso della Nubia, il terzo grande nucleo di resti monumentali dell’Egitto dei Faraoni dopo Menfi e Tebe. Al suo valore artistico e storico si aggiunge il fatto di essere stato, tra il 1960 e il 1970, il protagonista della prima e più importante campagna di salvaguardia intrapresa dall'Unesco per spostare i templi e le tombe più preziose della regione, oggi sommersa dal lago formato dalla Diga di Assuan.

L'area archeologica che comprende i monumenti da Abu Simbel a Philae costituisce un complesso di immenso valore storico e artistico. Il Tempio Grande di Abu Simbel è dedicato alle principali divinità egizie e al faraone Ramesse II, anch'egli divinizzato. Di grande importanza sono inoltre i templi greco-romani dell'isola di Philae, tra cui il santuario consacrato alla dea Iside, considerato la "perla dell'Egitto".

Un alveo lungo 6000 chilometri, da milioni di anni a questa parte, porta le acque provenienti dai grandi laghi dell'Africa orientale a perdersi nel Mar Mediterraneo, attraversando uno dei deserti più aridi della Terra. Questo fenomeno spettacolare ha un nome ben preciso, Nilo, e in passato ha permesso alla civiltà egizia di nascere e prosperare. Prima di essere regolato dalla Diga di Assuan, il fiume era soggetto ogni anno a forti piene e, quando le acque si ritira­vano, lasciavano dietro di sé uno strato fertile di limo grigio. Gli uomini del Neolitico impararono ben presto a sfruttare questo sedimento fangoso per le coltivazioni agricole, ottenendo fino a tre raccolti all'anno. Fu così che una terra dove le piogge sono quasi assenti divenne, 4000 anni prima di Cristo, la culla di una civiltà molto avanzata.

LA PORTA DELL'AFRICA NERA

Solo il corso inferiore del fiume, tuttavia, poteva trarre vantaggio dalle piene, grazie alla conformazione delle sue rive, adatte all'agricoltura. Più a monte, all'altezza dell'Isola Elefantina, il letto del Nilo, incassato fra aspri faraglioni di roccia, forma una serie di rapide, le cosiddette "cateratte", che impedivano la navigazione. Proprio lì cominciava la Nubia, la porta attraverso la quale l'Egitto mediterraneo si affacciava sull'Africa nera, una terra apparentemente ingrata, dove il deserto arrivava praticamente fino in riva al fiume, ma in realtà ricchissima. 

Fin dai tempi lontanissimi dei due regni (Alto e Basso Egitto), alla fine del IV millennio a.C, i signori dell'Alto Egitto organizzarono regolari spedizioni per saccheggiare quella zona, ritornando in patria carichi d'oro, di ebano e di schiavi. Quando l'unificazione dei due regni fece dell'Egitto un potente impero, l'espansione dei confini verso sud divenne l'obiettivo prioritario di tutti i faraoni, finché, durante il Nuovo Regno, tutta la Nubia (nel territorio dell'attuale Sudan) passò a far parte dell'Egitto. Tale espansione consentì alla cultura egizia di porre solide basi non solo nella regione di Uatuat, dove l'architettura monumentale dei faraoni ha lasciato molte tracce, ma anche nella più lontana Kush, destinata a dare al Paese una dinastia di sovrani i cui ritratti, benché eseguiti secondo la tradizione egizia, ne rivelano inequivocabilmente l'origine.

La suddivisione temporale della storia d'Egitto in dinastie viene specificata già dagli storici antichi in grandi periodi intervallati da epoche di passaggio causate da difficoltà politiche ed economiche. Con la XVIII dinastia (1550-1307 a.C.) ha inizio il Nuovo Regno, terzo periodo storico di grande espansione verso i territori della Palestina e del Sinai e di grande fioritura artistica. Tebe, Taipet, diventa la capitale con i maestosi templi nelle attuali Kàrnak e Lùxor, mentre nei suoi dintorni, sulla riva occidentale del Nilo, si moltiplicano le tombe reali nelle zone oggi conosciute con il nome di Valle dei Re e Valle delle Regine.

Alla XIX dinastia appartiene il faraone Ràmses II (che regnò tra il 1279 e il 1213 a.C), committente dei due spettacolari e grandiosi templi di Abu Simbel. Scavati nello stesso sperone roccioso e vicini fra loro, erano lambiti dalle acque della riva sinistra del Nilo nella Bassa Nubia, presso l'attuale confine sudanese. 

La riscoperta dei due templi di Abu Simbel si deve allo svizzero Johann Ludwig Burkhardt. Nel corso del suo soggiorno a Malta, dove si era recato per perfezionare la conoscenza della lingua araba, Burkhardt si convertì all'Islam e assunse il nome di Ibrahim ibn Abdallah. Divenuto musulmano a tutti gli effetti, viaggiò a lungo in Egitto e nel Vicino Oriente riuscendo a spingersi dove nessun altro occidentale era arrivato. 

Nel 1813 intraprese l'esplorazione della regione a sud di Qasr Ibrim, in Nubia. Sulla strada del ritorno decise di fare una sosta nella località  di Ebsambal (così lo svizzero trascrive il nome di Abu Simbel nelle sue note) dove secondo quanto gli avevano raccontato i locali, a non molta distanza dal Nilo, doveva trovarsi un tempio di straordinaria bellezza. Le informazioni si rivelarono esatte e così Burkhardt si trovò di fronte alla facciata di uno splendido santuario rupestre (quello dedicato alla regina Nefertari), decorata da sei statue colossali. Prima di lasciare la località, Burkhardt decise di esplorarne i paraggi. Si spinse verso il deserto e scoprì un secondo tempio (quello di Ramsete II), cha appariva allora quasi completamente sepolto dalla sabbia. Fuoriusciva soltanto la parte superiore del colosso meridionale di cui Burkhardt ha lasciato una descrizione meravigliata ed estatica nelle sue note.

Tornato al Cairo, Burkhardt raccontò quello che aveva visto a Giovanni Battista Belzoni, che quando ebbe occasione di visitare la Nubia non mancò di fermarsi ad Abu Simbel dove, dopo innumerevoli sforzi, riuscì a liberare dalla sabbia l'entrata del Tempio Maggiore e a penetrare al suo interno. Da quel momento in poi i santuari rupestri di Abu Simbel divennero una meta obbligata nei viaggi in Egitto. Gli abitanti del luogo venivano ingaggiati per rimuovere la sabbia che ostruiva l'accesso al Tempio Maggiore. Alla partenza dei turisti, che arrivavano in battello, erano proprio loro, i locali, che tornavano a ricoprire l'entrata per potere essere nuovamente ingaggiati all'arrivo di nuovi visitatori.

Sul finire dell'800 il Servizio delle antichità decise di porre termine, una volta per tutte, a questa situazione e liberò completamente la facciata del Tempio Maggiore.

Nei primi anni del '900 la costruzione d uno sbarramento del Nilo ad Assuan, condusse a un innalzamento delle acque del fiume e alla necessità di proteggere il sito di Abu Simbel dalla sommersione. La situazione si fece ancora più drammatica verso la fine degli anni Cinquanta, allorché fu decisa la costruzione della Grande Diga. L'8 marzo 1960 l'UNESCO chiedeva la collaborazione internazionale per il salvataggio dei santuari rupestri di Abu Simbel. 

Fra i progetti presentati fu scelto quello che prevedeva il taglio dei templi in blocchi e la loro successiva ricostruzione in un luogo più elevato. 

Le difficili e gigantesche operazioni si protrassero per anni. I due santuari furono prima accuratamente puntellati e ricoperti di sabbia, affinché non avessero a subire danni e poi sezionati in centinaia di blocchi. Infine si provvide a ricostruirli a centocinquanta metri di distanza dal sito di origine, sopraelevandoli così di circa sessanta metri. Le due colline all'interno della quali erano stati scavati furono sostituite da cupole in cemento armato ricoperte di sabbia. 

Nelle operazioni di ricostruzione si cercò di mantenere quanto più inalterati possibile l'ambientazione, l'orientamento e le distanze reciproche dei due monumenti. 

Il 22 settembre 1968 l'inaugurazione ufficiale segnava la conclusione delle operazioni di salvataggio. I due santuari rupestri voluti da Ramsete II dovevano originariamente trovarsi in prossimità di un insediamento coloniale egiziano, di cui non è rimasta più traccia alcuna e che aveva la duplice funzione di controllare le frontiere meridionali e di gestire il commercio con le popolazioni nubiane. 

IL TEMPIO GRANDE O TEMPIO MAGGIORE

Il Tempio Maggiore è preceduto da una terrazza davanti alla quale si apre una larga spianta. Sulla facciata, alta 33 metri e larga 38, si ergono quattro colossi, posti a coppie ai due lati dell'ingresso principale, che ritraggono Ramsete II seduto. La parte superiore della statua meridionale più interna, giace oggi a terra. A provocare un tale danno fu un terremoto, sopravvenuto a pochi anni di distanza dalla costruzione del tempio. Altri cedimenti furono causati dal medesimo evento sismico e condussero al restauro di alcune parti della facciata e di alcune strutture interne. 

Le statue colossali, alte quasi venti metri, sono state scolpite nella roccia della collina retrostante, in modo da risultare pesantemente assise sui loro troni. La loro maestosità è sottolineata anche dalla corona composita dell'Alto e Basso Egitto, il copricapo chiamato "Nemes" che gli scende sulle spalle ed ha il cobra sulla fronte. Alla loro imponenza si contrappongono la dolcezza e la tranquillità profuse dai loro visi, caratteristiche che rinviano all'immagine del sovrano giusto e magnanimo, in grado di ascoltare le suppliche dei propri sudditi.

Ai piedi delle maestose immagini sono ritratti i membri della numerosa famiglia del sovrano. Statue di principi, principesse e regine riempiono tutto lo spazio circostante dando vita a una composizione d'insieme ricca, variata e, se vogliamo, confusionaria, del tutto in linea con il gusto artistico più tipico dell'epoca ramesseide. Varie iscrizioni sono incise sulla roccia circostante. Tra queste è degna di nota quella che racconta il matrimonio di Ramsete II con una principessa ittita.

Sopra le statue, sul frontone del tempio ci sono 14 statue di babbuini che, guardando verso est, aspettano ogni giorno la nascita del sole per adorarlo, in origine c'erano 22 statue di babbuini, tante quante le province dell'Egitto, anche se secondo un'altra ipotesi le statue erano 24 una per ogni ora del giorno. 

Sopra l'ingresso principale al tempio si trova un'immagine di Ra-Harakhti, il dio falco unito al disco solare. Il dio è rappresentato incedente e in visione frontale, con le braccia che scendono lungo i fianchi. La mano destra poggia su uno scettro-user, la sinistra su un'immagine della dea della giustizia Maat. La presenza di questi due elementi induce a una interpretazione secondaria di tutta la composizione che può così essere "letta", utilizzando lo stesso sistema di decodifica dei rebus, come User-maat-ra (lo scettro + la dea della giustizia + Ra-Harakhti), che è uno dei nomi di Ramsete II, traducibile in "Possente di giustizia è Ra". Il fatto che la scultura possa essere interpretata sia come effigie di Ra, sia come il nome di Ramsete II, è estremamente significativo e fa parte di quel tentativo di autoglorificazione che è una costante di tutto il regno del sovrano e che trova completa manifestazione soltanto qui a Abu Simbel.

Ai due lati dell'immagine di Ra-Harakhti si trovano infatti due figure dello stesso Ramsete II in adorazione. L'intera composizione può perciò essere interpretata come una scena in cui il sovrano rende omaggio a Ra-Harakhti e, allo stesso tempo, al proprio nome.

Ai lati delle statue poste presso l'ingresso ci sono delle decorazioni, c'è il dio del Nilo, simbolo dell'abbondanza, che lega fiori di loto, simbolo dell'Alto Egitto, con i fiori di papiro, simbolo del Basso Egitto, per dimostrare l'unione del paese. Sotto queste scene, nel lato destro, quindi a nord, sono rappresentati dei prigionieri asiatici legati con corde che terminano con il fior dei papiro, simbolo del Nord, mentre nel lato sinistro, quindi a sud, sono rappresentati dei prigionieri africani legati con corde che terminano con fiori di loto, simboli del sud.

  

Pianta del Grande Tempio:
1,2,3,4: colossi di Ramses II; 5: sala a navata centrale; 6: sala ipostila; 7,8: cappelle; 9: naos

 

Monumenti dell'isola di File: 1, padiglione di Nectanebo I; 2, tempio di Arensnufi; 3,4, portici romani; 5, primo pilone di Tolomeo XIII; 6, "casa della nascita"; 7, tempio di Iside; 8, arco romano;   9, padiglione di Traiano. 

Il Tempio Maggiore è concepito in modo che tutte le maggiori partizioni del santuario egizio classico trovino attuazione in una struttura completamente scavata nella roccia. La prima sala richiama così  la decorazione del cortile di un tempio attraverso i pilastri contro cui poggiano imponenti figure del sovrano, rappresentato stante e con le braccia conserte. I colossi della fila di pilastri meridionali indossano la corona Bianca, emblema del dominio dell'Alto Egitto, quelli della fila settentrionale portano invece la Doppia Corona, simbolo della regalità sull'Egitto unito. Nei loro visi si ritrova la stessa espressione di sereno distacco già riscontrata nelle statue che ornano la facciata.

Le pareti della sala sono decorate con rilievi a incavo che ricordano le gesta belliche più significative compiute da Ramsete II. Sulla parete settentrionale è raffigurata la battaglia di Qadesh combattuta dal faraone egizio contro gli Ittiti. L'evento bellico è narrato su due registri senza un ordine preciso. In alto, Ràmses II ha appena scoccato una freccia contro i nemici che, morenti, finiscono sotto le ruote del suo carro; intorno soldati sui carri e a piedi pongono l'assedio alla città rappresentata da cinque torri racchiuse in un ovale lambito dalle acque del fiume Oronte. Sulla destra il re ittita Muwatalli ordina la ritirata. In basso a sinistra è rappresentato l'accampamento recintato con i soldati in fervente attività mentre si preparano alla guerra controllando i carri e i cavalli; più in là l'irruzione dei nemici innesca una battaglia di difesa. Sulla destra si trova il consiglio di guerra: il faraone assiso in trono e di proporzioni maggiori rispetto agli altri è circondato dai consiglieri e dalla guardia reale degli Shardana, caratterizzati dallo scudo circolare e dall'elmo con puntale rotondo e corna. Intorno alla scena, sistemati in colonne regolari, i geroglifici riportano la descrizione della battaglia.

Sulla sala ipostila si affacciano alcuni ambienti, soltanto parzialmente decorati, che dovevano servire un tempo per immagazzinare gli arredi e le forniture cultuali del tempio. Tra i rilievi che decorano queste sale, vi sono scene in cui Ramsete II compie offerte a varie divinità, tra le quali è incluso anche lo stesso sovrano.

Una seconda sala ipostila, successiva alla prima, conduce il visitatore in una dimensione più intima, giocata sulla riduzione progressiva dei volumi e della luce, fino alla parte più raccolta della struttura: il santuario. 

Sulla parete di fondo di quest'ultimo troneggiano le effigie delle divinità che compongono la cosiddetta "triade ramesside": Amon-Ra di Tebe, Ptah di Menfi e Ra di Eliopoli. Accanto a esse si trova la statua del sovrano. Per rendere più lontano e quindi più maestoso il sacello sacro, fu creato un impianto prospettico illusionistico rialzando gradualmente il pavimento e abbassando il soffitto. Due volte l'anno, il 20 febbraio e il 20 ottobre, i raggi solari penetravano dalla porta d'ingresso illuminando le prime tre statue, ma mai quella di Ptah, divinità non solare. A questa conclusione si è giunti con sapienti calcoli astronomici in relazione all'orientamento del tempio e alla vicinanza con il Tropico del Cancro. Il riposizionamento del tempio fu subordinato a questa particolarità, che è rimasta così preservata.  

IL TEMPIO PICCOLO O MINORE

Il Tempio Minore, dedicato alla sposa di Ramsete II, Nefertari, concorre a rendere palese il discorso relativo alla concezione divina della sovranità, espressa attraverso forme artistiche monumentali. Nel santuario è infatti celebrata Nefertari in assimilazione con la dea Hathor di Ibshek. La regina diviene così  la degna sposa del faraone-dio. Il suo tempio è una replica, in dimensioni ridotte, di quello Maggiore. 

La facciata, larga 28 metri ed alta 12 metri è ornata da sei statue alte 10 metri, tre ad ogni lato della porta di ingresso. Le statue raffigurano quattro volte Ramses e due Nefertari. Ai lati delle statue del faraone ci sono i figli in dimensioni minori, mentre ai lati di Nefertari sono raffigurate le figlie. La regina porta il tipico copricapo hathorico (un disco solare racchiuso da corna bovine) mentre variano le corone indossate dal sovrano. 

L'interno del santuario prevede una sala ipostila a sei pilastri, decorati con l'emblema di Hathor: il viso della dea riprodotto frontalmente. Si accede poi ad una sala a sviluppo trasversale, alle cui estremità si aprono due ambienti sussidiari, che immette nella cella. Nel muro di fondo di quest'ultima si apre una nicchia in cui si trova una statua di Hathor, ritratta come una giovenca che protegge il re. La decorazione parietale prevede esclusivamente scene in cui il sovrano e la regina sono ritratti in adorazione di varie divinità.

Anche qui le pareti interne delle sale sono decorate da magnifici rilievi dipinti con scene di presentazione di offerte e di processioni festive in onore del faraone e della moglie Nefertàri. La regina dalla figura slanciata e dal profilo fine è assimilata ora alla dea Hàthor, ora alla dea Sothi, che assicurava il rinnovarsi della piena del Nilo. Tutto ciò allude alla funzione della regina come simbolo del principio femminile, di garante accanto allo sposo del perpetuarsi dell'ordine cosmico. I testi la designano come "l'amata del re, dolce d'amore, splendida nel volto".

Sembra che Nefertàri sia morta poco tempo dopo la consacrazione dei due santuari. Visse, infatti, tra il 1270 e il 1225 a.C, precedendo il marito di almeno dodici anni. Le loro tombe sono state rinvenute nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine, le necropoli a ovest di Tebe.  

LA BATTAGLIA DI QADESH 

Le fonti relative a questo evento bellico sono i bollettini registrati sulle pareti di ben cinque templi del regno egizio - ad Abu Simbel, Lùxor, Kàrnak, nel Ramesseum e ad Abido - e il poema di Pentaur, un papiro oggi conservato al British Museum di Londra, redatto dallo scriba Pentaur a Menfi durante il regno del successore di Ràmses II, Merenptah (1224-1214 a.C). Al quinto anno di regno, nel 1275 a.C, Ràmses II dichiarò guerra al regno ittita di Muwatalli per recuperare il controllo della Siria perso durante il regno di Armenofi IV (1350-1333 a.C). 

Qadesh era uno dei più importanti regni della Siria centrale e il punto più avanzato per successive invasioni a nord. Il faraone si mise in marcia con quattro corpi militari, le armate Amon, Ra, Ptah e Seth, attraversando gli attuali territori israeliani e fermandosi a Megiddo, a sud del lago di Tiberiade. 

Da quel punto partì un corpo di spedizione, i Naharin, con il compito di arrivare a Qadesh passando lungo la costa attraverso i territori dello Stato ittita di Amurro. Il faraone percorse l'interno nella valle della Beqaa fino a guadare il fiume Oronte all'altezza dell'odierna Nahr el Asi. Fu proprio lì che gli Ittiti attaccarono di sorpresa la divisione Ra, dividendola dall'armata Amon già attestata sull'altra sponda del fiume e distruggendola. Fu un duro colpo, ma Ràmses II decise di attaccare la città con l'armata rimasta aspettando i rinforzi da nord. 

Così avvenne, e dopo una giornata di lotta entrambi gli eserciti avevano subito grosse perdite. Nonostante la vittoria schiacciante propagandata sui templi e acclamata dal popolo, il risultato dello scontro fu la stipulazione di una tregua. Molti anni dopo, di fronte al comune pericolo dell'espansione dell'impero assiro, i due popoli stilarono un accordo di pace, il primo trattato internazionale della storia, giunto fino a noi attraverso alcune versioni in ittita su tavolette di argilla e due stele dai templi di Kàrnak e dal Ramesseum.  

LE TOMBE DI RÀMSES II E NEFERTÀRI 

Se il faraone Ràmses II visse molto più a lungo della moglie Nefertàri, sessantasette anni contro quarantasei, la loro vita dopo la morte fu più fortunata per la regina che per il re. La tomba del grande sovrano, infatti, è in fase di scavo ancora oggi, mentre il sepolcro della regina è stato completamente ristrutturato e aperto al pubblico. La KV7 (King Valley), dove fu seppellito Ràmses II, si trova all'imbocco della valle, una posizione svantaggiosa poiché soggetta prima e più spesso alle piogge torrenziali con relative alluvioni tipiche di questa regione dell'Egitto. La tomba, scavata nella roccia, presenta una serie di corridoi suddivisi da scale, sui quali si aprono due vestiboli successivi. Il primo porta a due sale secondarie, il secondo anticipa una grande sala sorretta da otto pilastri. Dalla "sala del sarcofago" si accede a due piccole camere situate nelle due pareti laterali, mentre nella parete di fondo sono scavate due camere ipostile, una delle quali possiede ulteriori due annessi. Sulla parte inferiore dello stipite destro della porta che separa il terzo dal quarto corridoio compare la citazione di "Nefertàri, grande sposa reale" racchiusa dal cartiglio. La tomba fu profanata fin dall'antichità, lasciando pochi frustoli del magnifico corredo offerto al sovrano; per questo motivo i sacerdoti decisero di proteggere la mummia spostandola nel ripostiglio di Deir el-Bahari, dove fu ritrovata nel 1881.

La medesima sorte toccò alla tomba di Nefertàri, la cui mummia però non fu salvata. Ne rimangono due pezzi, oggi conservati al Museo Egizio di Torino, rinvenuti al momento della scoperta del monumento avvenuta nel 1904 da parte dall'egittologo italiano Ernesto Schiaparelli. La scala d'accesso a cielo aperto porta a un'anticamera collegata a un vestibolo e a un annesso nella parte orientale. Nella parete di fondo si apre una scala interna che giunge alla camera funeraria sostenuta da quattro pilastri. Ai lati e sul fondo furono scavati piccoli locali destinati a contenere il corredo.  

UN'ISOLA A FORMA DI UCCELLO

Molto più a nord, l'attuale città di Assuan era, ai tempi dell'antico Egitto, un attivo centro militare e commerciale da quale partivano le spedizioni dirette verso l'Alta Nubia. La sua importanza è testimoniata dalle ricche tombe di dignitari scavate nelle montagne di Kubet el-Haua e da diversi monumenti, come i templi di 'Amada, costruiti da Thutnosi III e Amenhotep II, quello di el-Derr, opera di Ramesse II, e quello di el-Sebu'a, costruito da Amenhotep III e ampliato da Ramesse II. A partire dall'epoca tolemaica la località divenne un importante centro di culto della dea Iside, che secondo la leggenda aveva dato alla luce il figlio Horo sull'isola di Philae, nei pressi di Assuan. In questo stesso periodo furono costruiti i templi di el-Dakka, ormai sotto la dominazione romana, e quello di Kalabsha, magnifico esempio dell'architettura egizia più tarda, con le sue colonne coronate da capitelli a motivi floreali. 

Philae è citata da numerosi autori dell'antichità, fra cui Strabone, Diodoro Siculo, Tolomeo, Seneca e Plinio il Vecchio e rappresentava, come lascia intuire il nome latino al plurale, la denominazione con cui si indicavano due piccole isole situate nei pressi della cataratta di Assuan. Di queste due isole la più piccola, oggi chiamata col nome di Philae che un tempo era il nome di entrambe, è la più interessante. Essa è lunga meno di 400 metri e larga poco più di 100, con rive scoscese e probabilmente rese così artificialmente dall'uomo; sulla sua cima era stato costruito un alto muro che la percorreva per tutta la sua lunghezza.

Poiché era ritenuta uno dei luoghi di sepoltura di Osiride, Philae era sacra sia per gli egiziani che per gli etiopi ed era ritenuto sacrilego avvicinarvisi per chiunque non fosse un sacerdote (per questa ragione era chiamata anche l'inavvicinabile). Col passare dei secoli la situazione cambiò, tanto che nel II secolo a.C. Philae era divenuta uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio dell'antico Egitto e i sacerdoti mandarono una petizione al sovrano Tolomeo VIII per chiedere che venisse posto un freno alla situazione. L'obelisco su cui questa petizione venne scolpita fu portato in Inghilterra e, insieme alla stele di Rosetta, servì per decifrare i geroglifici egiziani.

L'isola era importante anche come punto di traffico commerciale fra l'Egitto e l'Etiopia, poiché le cataratte erano spesso impraticabili e le merci erano costrette a viaggiare via terra: nel loro viaggio verso sud esse venivano sbarcate a Philae e reimbarcate ad Assuan, una volta superato il dislivello della cateratta, mentre l'opposto avveniva per il viaggio da sud a nord.Philae2.jpg (131606 byte)

La posizione di Philae è molto prossima al Tropico del Cancro, il che fa sì che le ombre proiettate dai suoi templi divenissero sempre più corte man mano che passavano i giorni fino a che il sole non raggiungeva il punto più alto in cielo (al solstizio d'estate): al mezzogiorno di questo giorno le ombre erano praticamente inesistenti.

Le isole sono famose per le architetture che ospitano, monumenti di epoche molto diverse fra loro che vanno dai faraoni ai Cesari e che occupano quasi tutta l'area disponibile. Le strutture principali si trovano nella parte meridionale dell'isola più piccola. Di queste, quella più antica è il tempio di Hathor, eretto durante il regno di Nectanebus.

Altre strutture risalgono ai regni dei tolemaici del III e II secolo a.C. (soprattutto Tolomeo II, Tolomeo V e Tolomeo VI), anche se riportano numerose tracce di influenze romane; esse erano dedicate ad Amon-Ra e vi si entrava tramite un doppio colonnato. Di fronte al tempio si trovavano due colossali statue di leoni in granito, dietro cui si elevavano due obelischi alti 16 metri. I propilei erano di forma piramidale e di dimesioni colossali. All'interno si trovano alcuni templi più piccoli, con mura ricoperte di iscrizioni e immagini delle divinità cui le strutture rano dedicate.

Molte delle rappresentazioni artistiche che si trovano a Philae risalgono ad un'epoca di molto posteriore alla fine del regno egiziano, fino al 30 a.C., il che testimonia della sopravvivenza dell'arte egizia secoli dopo che l'ultimo faraone aveva cessato di regnare. Molte di queste sculture sono state successivamente mutilate, probabilmente da parte dei primi cristiani e da parte degli Iconoclasti.

L'antico nome dell'isola minore era Philak, o "confine". Poiché rappresentava la frontiera meridionale del regno, i Faraoni tennero qui una forte guarnigione militare; per la stessa ragione, un analogo comportamento venne tenuto sia dai Macedoni che dai Romani.

Il complesso di templi dell'isola venne edificato nell'arco di circa tre secoli. Le principali divinità cui esso era dedicato sono Iside, Horus e Hathor. Il tempio venne ufficialmente chiuso nel VI secolo dall'imperatore bizantino Giustiniano, l'ultimo tempio pagano che ancora esisteva nel mondo mediterraneo. Alcune delle strutture vennero riconvertite per essere usate come luogho di culto cristiano, fino alla loro definitiva chiusura in seguito all'invasione araba del VII secolo.

Nel XIX secolo Philae beneficiò della riscoperta da parte degli studiosi britannici che studiavano l'antico Egitto, e ben presto vi si sviluppò il turismo.

Nel 1902 venne completata la diga di Assuan e molti monumenti antichi, fra cui Philae, rischiavano di essere sommersi dalle acque del Nilo. La diga venne alzata per due volte, fra il 1907 e il 1912 e fra il 1929 e il 1933, il che causò la quasi scomparsa dell'isola di Philae: i templi restavano fuori dall'acqua solo quando le chiuse erano aperte, fra luglio ed ottobre. Benché gli edifici fossero molto resistenti e non corressero alcun pericolo, la vegetazione dell'isola e i colori dei bassorilievi dei templi, conservatisi quasi integri per millenni, vennero spazzati via dalle acque del Nilo. Ben presto inoltre i mattoni dei templi si incrostarono del limo portato dal grande fiume.

Negli anni '60 l'UNESCO decise di spostare la maggior parte dei monumenti in pericolo in luoghi più sicuri. Il complesso di templi di Philae venne spostato, mattone per mattone, ad Agikai, a 550 metri di distanza, dove si trova ancora oggi. Il progetto richiese 3 anni di lavoro, fra il 1977 e il 1980.