Area archeologica di Cartagine
Tunisia

patrimonio dell'umanità dal 1979

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Cartagine fu una una colonia fondata dai Fenici di Tiro, nei pressi dell'attuale città di Tunisi, che costituì un impero marittimo nel Mediterraneo occidentale, prima di essere distrutta dai Romani.

La fondazione di Cartagine (Qart Hadesht, la città nuova) sembra essere stata una conseguenza del sovrappopolamento e dell'insicurezza del paese di Canaan e di una discordia in seno all'aristocrazia della potente città fenicia di Tiro. Secondo la tradizione, un gruppo di cittadini di Tiro avrebbe abbandonato la metropoli al comando di Didone, figlia di Belo, regina di Tiro, riparata in Africa per sfuggire al fratello, Pigmalione, che le aveva ucciso il marito Sicheo. Il gruppo si installò in prossimità di Utica, uno dei numerosi scali dei marinai fenici che praticavano i commerci nel Mediterraneo occidentale e qui, nell’825- 819 a .C., fondarono  il nuovo insediamento.

Cartagine fondava le sue credenze religiose sul culto fenicio del dio del sole Baal-Ammone, mentre Melkart, il cui culto era presente anche a Gades, divenne per i Romani e per i Greci il semidio Ercole (Eracle). Tra il V e il IV secolo a.C. la mitologia cartaginese subì influssi provenienti dalla Grecia: la dea della fecondità Astarte, l'antica Ishtar dei Babilonesi, divenne la dea Tanit, che occasionalmente arrivò addirittura a rivaleggiare con Baal nel fervore popolare. In una terza fase i dogmi e gli dei punici furono nuovamente interpretati in chiave ellenistica: è il caso, ad esempio, dei riti agrari, molto simili a quelli celebrati in onore di Demetra. 

Gli scavi hanno riportato alla luce solo alcuni resti, per la maggior parte di importanza secondaria, dell'immenso patrimonio artistico di Cartagine. L'analisi archeologica di un tophet ("santuario") ha rivelato il maggior numero di informazioni sulla cultura di questa città. Le sue stele votive, arricchite di iscrizioni e sculture, hanno rivelato l'usanza invalsa nella religione cartaginese di praticare sacrifici propiziatori di bambini (detti sacrifici molk, o molkomor, termini da cui deriva moloch). 

Il santuario esaminato, dedicato a Baal e quindi a Tanit, era un vasto cimitero di 100 x 200 metri e venne chiamato tophet a causa della sua somiglianza con il santuario di Ben Hinnon a Gerusalemme, dove pure venivano praticati sacrifici di bambini. Inizialmente in questo luogo esisteva soltanto un'area sacra che racchiudeva grandi pietre rituali destinate a placare le forze soprannaturali o ad attirarne la benevolenza. Successivamente venne utilizzato per seppellire sotto le stele le urne contenenti le ceneri dei bambini di famiglie nobili sacrificati; l'area veniva poi ricoperta da un nuovo strato di terra. Tuttora sono riscontrabili strati di sepolture per uno spessore totale di 3 metri e mezzo. 

La religione cartaginese era imperniata sul timore e sul terrore: timore reverenziale degli dei esigenti e crudeli, di cui si temeva la collera piuttosto che attendersi le benedizioni. Religione, inoltre, impregnata di superstizione: ne fanno testimonianza le maschere di terracotta dalle fisionomie contratte in smorfie grottesche, destinate a mettere in fuga i demoni. In seguito, al tempo delle corse con i carri romani, gli stessi geni malefici verranno evocati con incantesimi incisi su rotoli di piombo, nell'intento di far cadere i concorrenti della fazione avversaria. 

La quasi totalità delle stele ritrovate era dedicata a Baal Hammon, il cui nome significa «signore degli altari profumati» e corrisponde al dio El dei Fenici, oltre che a Tanit, dea lunare, identificata in seguito con Juno caelestis (Lucina) che, a partire dal V secolo, divenne la divinità più importante. Eshmun, più tardi assimilato a Esculapio, era venerato in un tempio che dominava la città. Le altre divinità fenicie, incluso Melqart, protettore di Tiro, ricoprivano una funzione accessoria. La religione, già modificata rispetto alle origini da influenze egiziane, accolse poi anche le divinità greche: nel 396 venne introdotto il culto di Demetra che liberò dai riti più barbari.

Nei pressi del santuario, sulla collina di Bordj Djedid, si innalza il Tempio di Demetra. Sulla collina del teatro sorge invece il Tempio di Esmun, la cui costruzione è attribuita a Esculapio.  

La necropoli, le cui tombe raccolgono tutta la storia della città dal VII al II secolo a.C, sorge sulle colline di San Luigi; vi sono stati rinvenuti splendidi sarcofagi di sacerdoti e sacerdotesse, alcune sculture funerarie, nonché stele e vasi in ceramica e in bronzo. Sulle stesse colline e nella pianura di Dermech si conservano vestigia di residenze risalenti agli ultimi tempi dell'Impero. Il porto di Cartagine aveva due darsene: una rettangolare per il commercio marittimo e un'altra circolare per le navi da guerra.  

LA STORIA E IL PREDOMINIO DEL MARE

Secondo lo storico greco Timeo, la fondazione di Cartagine risalirebbe all'814 a.C., mentre per Giuseppe Flavio la data di fondazione sarebbe l'826 a.C. Cartagine venne fondata da coloni fenici provenienti dalla città di Tiro che portarono con loro il dio della città Melqart. Secondo la leggenda mitologica a capo dei coloni (o forse profughi politici) era Didone (conosciuta anche come Elissa). Numerosi sono i miti relativi alla fondazione, che sono sopravvissuti attraverso le letterature greca e latina. Uno di questi narra che il fratello di Elissa, Pigmalione di Tiro, capo dell'omonima città, fece uccidere il marito della sorella per carpirne le ricchezze. Elissa lasciò quindi la città e, dopo lunghe peregrinazioni, approdò sulle coste tunisine, dove fondò Cartagine.

La potenza marittima e commerciale di Cartagine fu davvero enorme: le sue navi si spingevano oltre le Colonne d'Ercole (Gibilterra), porta d'accesso verso le coste atlantiche, raggiungendo anche il Camerun e l'Islanda. Coltivavano la terra con tecniche raffinate e commerciavano con tutti i popoli del bacino del Mediterraneo. Sulle loro navi viaggiavano il ferro della Sardegna, l'argento della Betica, lo stagno della Cornovaglia, l'oro del Sudan, l'avorio e gli schiavi dell'Africa.

Le esplorazioni dei Cartaginesi - famosa quella compiuta da Annone nel VI secolo a.C. verso la Guinea e il Camerun - raggiunsero il Niger e il Sahara. Dal punto di vista politico Cartagine era una repubblica aristocratica governata da un senato dominato da potenti famiglie di mercanti, alcune delle quali cercavano l'appoggio della plebe per ottenere il potere, stabilire la propria supremazia e poi inviare nelle colonie lontane uomini di fiducia che garantissero l'ordine. 

Grandi famiglie si succedettero al potere di Cartagine. Dalla metà del VI secolo alla metà del V, quella dei Magoni favorì l'espansione commerciale, poi, a partire dal III secolo, i Barca (Amilcare, Asdrubale e il grande generale Annibale), appoggiando il loro potere sull'esercito e sulle conquiste in Spagna, condussero una politica estera antiromana e si distaccarono da obiettivi puramente mercantili. Tuttavia, Cartagine rimase soprattutto una città di commerci e i primi cittadini, sia proprietari terrieri che membri del clero, erano in particolare finanziatori di traffici marittimi.

Tra il 235 e il 220, col pretesto di assicurarsi lo sfruttamento dell'argento in Betica per pagare le indennità di guerra, i Cartaginesi conquistarono gran parte della Penisola Iberica fino al fiume Ebro e fondarono Cartagena (Cartago Nova).  

L'impero commerciale cartaginese, alle origini, dipendeva strettamente dalle relazioni economiche con Tartesso e altre città della Penisola Iberica. Da qui Cartagine otteneva grandi quantità di argento e, cosa molto più importante, di stagno, determinante per la fabbricazione di oggetti di bronzo in tutte le civiltà antiche. Cartagine seguiva le rotte commerciali della città-madre, Tiro. Alla caduta di Tartesso le navi cartaginesi risalirono direttamente alla sorgente primaria dello stagno nella regione nord occidentale della Penisola Iberica e in seguito fino alla Cornovaglia. Altre navi cartaginesi si inoltrarono nella costa atlantica dell'Africa tornando con l'oro fin dall'odierno Senegal.

Se la poesia epica greca e gli storici contemporanei a Roma imperiale ricordano l'opposizione militare di Cartagine alle forze delle città-stato greche e della Repubblica Romana, è vero che il teatro greco e le sue commedie ci hanno tramandato l'immagine del commerciante cartaginese, con le sue vesti, anfore e gioielli. Generalmente veniva dipinto come un tipo divertente, un venditore relativamente pacifico e colorato, attento a trarre profitto scucendo al nobile e innocente Greco ogni suo singolo centesimo. Evidente simbolo di ogni tipo di scambio, dalle grandi quantità di stagno necessarie a una civiltà basata sul bronzo a tutti i manufatti tessili, di ceramica e di oreficeria. Prima e durante le guerre si vedevano mercanti cartaginesi attraccare in ogni porto del Mediterraneo, comprando e vendendo, stabilendo magazzini dove potevano, oppure dandosi al commercio spicciolo nei mercatini all'aperto appena scesi dalle loro navi. O anche entrambe le cose.

La lingua etrusca non è ancora stata del tutto decifrata ma scavi archeologici nelle loro città mostrano che gli Etruschi furono per parecchi secoli clienti e fornitori di Cartagine, molto prima della espansione di Roma. Le città-stato etrusche furono partner commerciali di Cartagine oltre che, a volte, alleate in operazioni militari.

Il governo di Cartagine era un'oligarchia, non diversa da quella di Roma repubblicana, di cui conosciamo però pochi dettagli. I Capi dello Stato erano chiamati "suffeti" che verosimilmente era il titolo del governatore della città-madre Tiro. "Suffeti" letteralmente si traduce con "giudici", carica che ricorda i "Giudici" citati nella Bibbia. Gli scrittori romani invece, utilizzavano il termine "reges" (Re); ma non dimentichiamo il forte senso spregiativo che la parola "re" aveva per i romani, accesi repubblicani.

Più tardi uno o due suffeti, che si suppone esercitassero il potere giudiziario ed esecutivo, ma non quello militare (quest'ultimo affidato a dei generali di nomina pluriennale chiamati "strategoi"), cominciarono ad essere annualmente eletti fra le famiglie più potenti e influenti. Queste famiglie aristocratiche erano rappresentate in un consiglio supremo, comparabile al Senato di Roma, che aveva un ampio spettro di poteri. Oltre al senato con 300 membri, vi era un'altra assemblea aristocratica: il Consiglio dei Cento. Non si sa, però, se i suffeti venissero eletti dal consiglio o direttamente dal popolo in assemblea. Anche se il popolo poteva avere qualche influenza sulla legislazione, gli elementi democratici erano piuttosto deboli a Cartagine e l'amministrazione della città era sotto il fermo controllo degli oligarchi. Nonostante l'iniziale debolezza di questi elementi democratici, pare che a partire dal IV sec a.C. l'assemblea democratica si fosse rafforzata.

La Cartagine fenicia aveva una fama sinistra per i sacrifici dei bambini. Plutarco (46 - 120) parla di questa pratica, come fanno Tertulliano, Paolo Orosio e Diodoro Siculo. Per contro Tito Livio e Polibio non ne parlano. Scavi archeologici moderni tendono a confermare la versione di Plutarco. In un solo cimitero per bambini chiamato "Tophet" ("area sacra") è stata deposta fra il 400 a.C. e il 200 a.C. una quantità - stimata - di 20.000 urne. Queste urne contenevano le ossa calcinate di neonati e in qualche caso di feti o di bimbi attorno ai due anni. Questo indica che se i bambini erano piccoli, quelli più giovani venivano sacrificati dai genitori. D'altra parte, in uno studio del 2010 è stata mostrata l'evidenza che quelle trovate sono probabilmente le ossa cremate di bambini morti naturalmente. Questa tesi è discordante, d'altra parte, con ritrovamenti precedenti cananei. Inoltre, i pochi testi cartaginesi che ci sono rimasti non fanno mai menzione a sacrifici di bambini. Il dibattito fra gli storici e gli archeologi rimane aperto.

Cartagine venerava molti dei. La suprema coppia divina era formata da Tanit e Baal. Diversamente dalla maggioranza della popolazione i sacerdoti si radevano il viso. Nei primi secoli i rituali della città includevano danze ritmiche tratte dalla tradizione fenicia e sembra che la dea Astarte fosse molto popolare. Nel periodo di massimo splendore Cartagine ospitava un grande numero di divinità provenienti dalle civiltà greca, egizia ed etrusca.

Il successo di Cartagine portò alla creazione di una potente flotta atta a scoraggiare sia i pirati che le nazioni rivali. Questa potente flotta, insieme al successo e alla crescente egemonia portò Cartagine verso un sempre crescente conflitto con la Grecia, l'altro maggior concorrente per il controllo del Mediterraneo Centrale.

L'isola di Sicilia, posta alle porte di Cartagine, divenne il teatro dove sarebbe scoppiato questo conflitto. Fin dai primi giorni sia Greci che Fenici furono attratti dalla grande isola, lungo le coste della quale stabilirono un grande numero di colonie e stazioni di posta. Nel corso dei secoli furono combattute piccole battaglie fra questi insediamenti ma nel 480 a.C. la Sicilia divenne il terreno principale per la prima grande campagna militare cartaginese.

Gerone, tiranno di Siracusa, in parte aiutato e supportato dai Greci, tentava di unire l'isola sotto il suo governo. Questo imminente pericolo non poteva venire ignorato da Cartagine che, forse come parte di un'alleanza con la Persia al momento in guerra con la Grecia, mise in campo il più grande esercito che avesse mai formato, al comando del generale Amilcare. Anche se le cifre tradizionali indicano un numero di 300.000 uomini, quasi sicuramente esagerato, certo Cartagine mostrò una forza formidabile.

Nella navigazione verso la Sicilia, comunque, Amilcare subì delle perdite (probabilmente severe) a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Perciò, sbarcato a Panormum, il generale fu pesantemente sconfitto nella battaglia di Imera dove trovò la morte o per le ferite o per suicidio suggerito dalla vergogna. Cartagine fu severamente indebolita dalla sconfitta e il vecchio governo, allora nelle mani della nobiltà, fu sostituito dalla Repubblica Cartaginese.

Nel 410 a.C., nondimeno, Cartagine aveva recuperato la sua potenza sotto una serie di governanti di successo. La città aveva conquistato la maggior parte della moderna Tunisia, aveva rafforzato alcune colonie e ne aveva fondato di nuove nel Nordafrica. Erano stati sponsorizzati i viaggi di Magone Barca [da non confondere con Magone Barca figlio di Amilcare e fratello di Annibale vissuto secoli dopo] attraverso il deserto del Sahara e di Annone il navigatore lungo le coste atlantiche dell'Africa. D'altra parte, in quell'anno si verificò la secessione delle colonie iberiche e questo diminuì drasticamente la fornitura di argento e rame. Annibale Magone il nipote di Amilcare cominciò la preparazione per reclamare il possesso della Sicilia mentre altre spedizioni furono inviate verso il Marocco e il Senegal e perfino nell'Atlantico.

Nel 409 a.C. Annibale Magone guidò la nuova spedizione in Sicilia riuscendo a conquistare le piccole città di Selinunte (antica Selinus) e Imera prima di rientrare trionfalmente a Cartagine con le loro spoglie. Siracusa, la principale nemica, rimase però intoccata e nel 405 a.C. Annibale Magone guidò una seconda spedizione per conquistare l'intera isola. Questa spedizione incontrò una feroce resistenza armata e fu colpita dalla pestilenza. Durante l'assedio di Akragas, Annibale Magone morì per la peste che decimò le forze cartaginesi.

Il successore di Annibale Magone, Imilcone riuscì a riportare la campagna su migliori binari rompendo l'assedio dei Greci, conquistando Gela e sconfiggendo ripetutamente le forze di Dionisio il nuovo Tiranno di Siracusa. Ciononostante, con l'esercito indebolito dalla peste, fu costretto a chiedere la pace prima di ritornare a Cartagine.

Nel 398 a.C. Dionisio, riacquistata la sua potenza, ruppe il trattato di pace colpendo la fortezza cartaginese di Motya. Imlico rispose con decisione guidando una spedizione che non solo riprese Motya ma conquistò Messina e, infine, pose l'assedio a Siracusa stessa. L'assedio terminò con successo nel 397 a.C. ma l'anno successivo la peste colpì ancora l'esercito di Imlico che collassò.

D'altra parte, la conquista della Sicilia era diventata un'ossessione per Cartagine. Nel corso dei successivi 60 anni Greci e Cartaginesi si scontrarono in un'incessante serie di scaramucce. Nel 340 a.C. Cartagine era attestata nell'intero sudovest della Sicilia e una fragile pace regnava sull'isola.

Nel 315 a.C. Agatocle tiranno di Siracusa, assediò Messana (oggi Messina). Nel 311 a.C. invase gli ultimi possedimenti cartaginesi in Sicilia rompendo i correnti accordi di pace e mise Akragas sotto assedio.

Amilcare, nipote di Annone il Navigatore, guidò la risposta cartaginese riscuotendo un enorme successo. Nel 310 a.C. controllava pressoché l'intera Sicilia e pose ancora sotto assedio Siracusa. Con una mossa disperata Agatocle, nel tentativo di salvare il suo potere, guidò una contro-spedizione di 14.000 uomini contro la stessa Cartagine. Fu un successo. Per fronteggiare questo inaspettato attacco Cartagine dovette richiamare Amilcare e la maggior parte del suo esercito di stanza in Sicilia. La guerra terminò con la sconfitta di Agatocle nel 307 a.C. Le forze siracusane dovettero ritornare in Sicilia permettendo però ad Agatocle di negoziare una pace che manteneva a Siracusa il controllo del potere greco in Sicilia.

Fra il 280 a.C. e il 275 a.C., Pirro dell'Epiro mosse due grandi campagne nel tentativo di proteggere ed estendere l'influenza greca nel Mediterraneo Occidentale. Una campagna venne scatenata contro Roma con il proposito di difendere le colonie greche del sud Italia. La seconda campagna venne mossa contro Cartagine nell'ennesimo tentativo di riportare la Sicilia interamente sotto controllo greco.

Pirro, pur vincendo alcune battaglie sia in Italia che in Sicilia (i cartaginesi si arroccarono a Lilibeo dove respinsero l'assedio), non riuscì a portare a termine gli obiettivi che si era prefisso. Dove per Cartagine questo significò il mero ritorno allo status quo, per Roma significò la conquista di Taranto e una robusta ipoteca sull'intera Italia meridionale. Il risultato finale mostrò quindi un nuovo bilanciamento del potere nel Mediterraneo Occidentale: i Greci videro ridotto il loro controllo sul sud Italia mentre Roma crebbe come potenza e le ambizioni territoriali la portarono per la prima volta direttamente allo scontro frontale con Cartagine.

Una nutrita compagnia di mercenari era stata assunta al servizio di Agatocle. Alla morte del Tiranno nel 288 a.C., questi si trovarono improvvisamente senza lavoro. Anziché lasciare la Sicilia si posero all'assedio di Messina, conquistandola. Con il nome di "Mamertini" (figli di Marte), si posero al comando della città terrorizzando i territori circostanti.

Dopo anni di scaramucce, nel 265 a.C. Gerone II, nuovo Tiranno di Siracusa, entrò in azione. Trovandosi di fronte a forze preponderanti i Mamertini si divisero in due fazioni. Una pensava di arrendersi ai cartaginesi, la seconda preferiva chiedere aiuto a Roma. Così due ambasciate furono inviate alle due città.

Mentre il Senato di Roma dibatteva sul comportamento da tenere, i cartaginesi decisero rapidamente di inviare una guarnigione a Messina. La guarnigione fu ammessa in città e una flotta cartaginese entrò nel porto di Messina. Poco dopo, però i cartaginesi cominciarono a negoziare con Gerone mettendo in allarme i Mamertini che inviarono un'altra ambasciata a Roma chiedendo l'espulsione dei cartaginesi da Messina.

L'arrivo dei cartaginesi aveva posto notevoli forze militari proprio attraverso lo Stretto di Messina. Per di più la flotta cartaginese deteneva l'effettivo controllo dello Stretto stesso. Era chiaro ed evidente il pericolo per i vicini di Roma e per i suoi interessi. Come risultato il Senato di Roma, anche se riluttante ad aiutare una banda di mercenari, inviò una spedizione per restituire il controllo di Messina ai Mamertini.

Le due maggiori potenze del Mediterraneo Occidentale si fronteggiavano. Era l'inizio delle Guerre Puniche.

Durati complessivamente circa un secolo, questi tre grandi conflitti fra Roma e Cartagine hanno avuto un'importanza cruciale per l'intera civiltà occidentale.

- Prima guerra punica (dal 264 a.C. al 241 a.C.)

- Seconda guerra punica (dal 218 a.C. al 202 a.C.)

- Terza guerra punica (dal 149 a.C. al 146 a.C.)

Con le Guerre Puniche Roma annientò Cartagine. La fine della Seconda Guerra Punica segnò la fine della potenza cartaginese mentre con la Terza Guerra Punica ci fu la completa distruzione della città-Stato da parte di Publio Cornelio Scipione Emiliano, su ordine del senato. I soldati romani andarono casa per casa uccidendo i cartaginesi e rendendo schiavi i sopravvissuti. Il porto di Cartagine fu bruciato e la città rasa al suolo. Varie fonti moderne riportano che furono tracciati solchi con l'aratro e sparso sale a terra, dichiarando il luogo maledetto. Lo stesso Scipione sarebbe stato riluttante ad eseguire tali ordini. È da rimarcare però che nessuna fonte dell'antichità menziona questo rituale e i primi riferimenti allo spargimento di sale risalgono solo al XIX secolo.

Cartagine non sarebbe mai più stata rivale di Roma.

Meno di una generazione più tardi Caio Gracco tentò tuttavia di fondarvi una colonia. Verso il 44 a.C. Cesare ne assicurò la realizzazione sui luoghi degli antichi sobborghi. Nel 33 a.C. Augusto la completò con la fondazione della colonia julia, che si estendeva sul centro della città vecchia. Il terreno porta ancora molto nette le tracce delle sovrapposizioni successive e soprattutto delle vestigia delle costruzioni massicce dell'epoca imperiale romana. Risalgono a questo periodo le rovine in cui nel XIX secolo alcuni hanno creduto di identificare la casa di Annibale, il tempio di Eshmun o altri monumenti cartaginesi. 

Cartagine tornò quindi ad essere una città importante, perché esportava il grano africano, che costituiva una quota notevole degli approvvigionamenti di Roma, e là dove si trovava il tophet, immense costruzioni servivano forse da depositi e magazzini. I porti antichi tornarono in attività. Vicino al mare si apriva una vasta spianata, che avrebbe potuto essere il foro. Sulla costa vennero costruite anche le terme di Antonino, alimentate, come tutta la città, dall'acquedotto di Zarhuan e da grandi cisterne. Rimangono ancor oggi visibili i resti del teatro, dell'odeon, del circo, dell'anfiteatro e di numerosi edifici o abitazioni private, ricche di mosaici (casa dei Cavalli), e tutto ciò attesta un cambiamento radicale del genere di vita rispetto all'epoca punica. Sopravvivevano tuttavia testimonianze del passato: la lingua semitica dell'antica Cartagine era ancora usata ai tempi di Apuleio e anche più tardi.

Cartagine non riuscì per questo a beneficiare; ai tempi della pace romana, di un periodo di tranquillità. Subì invece le sanguinose conseguenze dei sommovimenti politici che la agitavano, così come accadde nelle altre grandi città del mondo romano, che essa eguagliava per importanza: Antiochia e Alessandria. Nel 238, venne saccheggiata dai soldati e i porti furono demoliti sistematicamente verso il 300, forse da un usurpatore africano che la voleva sottrarre a Roma. Nel 311 venne punita per le sue velleità autonomiste con un saccheggio.

Dopo queste devastazioni e dopo un grande incendio sotto Antonino Pio, la città risorse e si abbellì. Nel IV secolo divenne un centro cristiano, sede del primate d'Africa. La sede episcopale era già stata resa illustre da san Cipriano, ai tempi delle persecuzioni, e vi si tennero dal 200 numerosi concili. 

Le chiese e le basiliche, fra cui la più importante era la Domus Caritatis (Damous el-Kari), erano localizzate soprattutto a nord, cosa che ha permesso di supporre che i quartieri popolari fossero stati convcrtiti al cristianesimo molto prima del centro. È certo che la città rimaneva impregnata di una mentalità pagana ai tempi in cui sant'Agostino vi sentiva ribollire il «calderone (sartago) degli amori peccaminosi». Si continuavano a costruire edifici lussuosi.

Nel 439 giunse il re vandalo Genserico, che conquistò Cartagine e ne fece la propria capitale. Ma ciò non aveva impedito al suo popolo di radere al suolo tutti gli edifici, forse con qualche scopo strategico: nelle terme di Antonino le volte erano state sfondate per provocarne il crollo. La storia dei Vandali a Cartagine coincide con quella della spietata persecuzione dei cattolici da parte dell'arianesimo, di cui il re Unerico fu il più sanguinario difensore. 

Nel 533-34, Belisario sbarcò alla testa delle truppe bizantine. Cartagine doveva conoscere sotto questa dominazione una nuova epoca di prosperità, terminata con l'arrivo degli Arabi verso il 695. Una buona parte della popolazione si era allora data alla fuga. 

Il luogo sembra essere stato abbandonato definitivamente all'epoca in cui san Luigi, durante la crociata, morì di peste nel campo insediato sui fianchi della collina di Birsa

ARTE E ARCHEOLOGIA 

Nel corso della storia, Cartagine non apparve mai come la culla di un'arte originale, in grado di imporsi alle rivali egiziana, greca ed etrusca. La documentazione è abbondante, ma limitata agli arredi funerari, a ex-voto provenienti da santuari e a muri delle abitazioni saccheggiate. Si devono distinguere tre periodi: arcaico, classico ed ellenistico.

Il primo va dalla fondazione della città fino al 480 a.C, data della sconfitta di Imera. È un'era coloniale durante la quale Cartagine svolge la funzione di conservatrice del passato. Le più antiche vestigia puniche conosciute sono monumenti votivi eretti nel santuario di Salambò, situato a sud dei porti, dove i neonati delle famiglie nobili venivano gettati nel fuoco, secondo il rituale dei sacrifici molek (moloch, nella Bibbia).

Durante l'epoca persiana (seconda metà del VI secolo a.C), i punici producono maschere di terracotta: facce di demoni grinzose e contratte in smorfie, coperte di verruche, oppure ritratti idealizzati di uomini e donne sorridenti. L'oro massiccio è lavorato secondo una tecnica venuta da Cipro, che unisce lo sbalzo alla perlinatura. Orecchini in stile egiziano, anelli con un sigillo che reca incastonato uno scarabeo, medaglioni decorati con simboli religiosi adornano i morti. L'avorio è di solito inciso.

Dopo il 480 a.C. gli artisti cartaginesi, interrotti i contatti con la Gre cia, abbandonano le arti figurative. Nel tophet, a sud della città, le figure umane scolpite sui cippi diventano sempre più schematiche e si trasformano in «segni» geometrici agli inizi del IV secolo a.C: le «bottiglie» hanno il collo e la pancia rettilinee; Tanit, divenuta protettrice della città, è invocata da un triangolo sormontato da una retta e un cerchio. La falce lunare con i corni abbassati domina questi emblemi, che decorano ormai le stele a frontone triangolare di stile greco, sostituite ai naos e ai troni. La concezione sobria ed equilibrata di tali composizioni corrisponde all'estetica classica, ma la loro trasposizione lineare, originale, è l'espressione del genio mistico, imbevuto di trascendenza divina, dei Punici.

A a partire dalla fine del V secolo a.C, Cartagine è tornata in Sicilia e, dopo ogni vittoria, artisti e opere d'arte insulari giungono in città. Un tempio in stile greco viene costruito verso il 396 a .C. in onore di Demetra; l'ellenismo torna a dominare le arti, ma ha tratti provinciali e desueti. L'industria del bronzo produce ora oggetti di lusso. Vasi, maschere e amuleti di vetro rimangono fedeli alla tradizione siro-fenicia.

Cartagine, alleata con l'Etruria agli inizi dell'età ellenistica, e poi all'Egitto è molto potente e si sforza di integrarsi con il mondo contemporaneo. Artigiani greci aprono in città botteghe che fanno scuola e, sotto il loro impulso, il marmo, l'avorio, il bronzo e il vetro vengono lavorati con talento e secondo nuove tecniche. I porti si arricchiscono di porticati ionici. Le tendenze mistiche e simboliche dell'arte ellenistica ne favoriscono l'espansione, ma questa conversione è più apparente che reale e i Punici restano legati alla cultura semitica. Si assiste allora alla nascita di un'arte «periferica», composita, esotica, arte illusionistica in cui l'astratto si mescola al concreto per evocare il soprannaturale. 

Stele votive, lame di rasoi, ornamenti di cofanetti in avorio, appliques su mobili si coprono di decorazioni ellenizzanti, ma queste immagini si sovrappongono a miti fenici. Tanit assume indifferentemente i tratti della Iside alessandrina e della Demetra siciliana; Nike affianca Baal Hammon; Shadrapa, identificato con Dioniso, ne prende a prestito gli emblemi, il cratere e l'edera, così come i suoi compagni, i satiri e le baccanti. I sarcofagi dei notabili, in marmo, riproducono una cella greca; alcuni portano sulla copertura l'effigie del defunto coricato in posizione ieratica di orante orientale, con la mano destra levata. Sugli ex-voto del tophet, composizioni architettoniche fantastiche, ispirate dalle pitture vascolari italiane, oppure capitelli eolici recanti a volte una nota punica, incorniciano gli emblemi sacri. Nel corso del II secolo a.C. si viene a formare un'arte africana, popolare ed esuberante, che sopravviverà per qualche tempo alla caduta di Cartagine (146 a.C).  

Si trattò di una fine prematura: gli artisti punici, infatti, non avevano ancora trovato una via propria. Il ruolo di Cartagine nella storia dell'arte universale rimane nondimeno essenziale: senza la sua azione educatrice, l'arte romana d'Africa non avrebbe mai conosciuto una simile fioritura.

Della Cartagine punica, distrutta prima dai romani e poi definitivamente dagli arabi intorno al 700 d.C, non restano che poche rovine. Le più interessanti si trovano sulla collina di Birsa, dove sorgeva l'acropoli, all'epoca circondata da una cinta di mura. Vi sono state trovate alcune sepolture, ma nessuno degli edifici pubblici e delle abitazioni è sopravvissuto alle conquiste. Poche tracce indicano il santuario di Tophet, il luogo destinato alle sepolture sacrificali, nei cui pressi sorgeva un tempio dedicato agli dèi fenici Tanit e Baal, per i quali venivano immolati i figli dei nobili cartaginesi. Individuato nel 1921, ha permesso di portare alla luce numerose stele che sono servite a ricostruire almeno in parte i costumi dell'epoca. Uno stagno in riva al mare, poco più a nord, è quel che resta dei due grandi porti, quello mercantile e quello militare, che avevano fatto la grandezza di Cartagine.

Qualcosa di più è rimasto, invece, a ricordare l'epoca romana; come le vestigia delle imponenti terme di Antonino, costruite tra il 146 e il 162 d.C. Oggi è visibile soltanto il basamento, dove sorgevano le stanze degli inservienti e i forni in cui si scaldava l'acqua (poi inviata alle sale termali, situate al piano superiore), sorretto da colonne che dovevano avere un diametro di 2 metri e un peso di 70 tonnellate. In anni recenti ne è stata ricostruita una colonna, che raggiunge un'altezza di 15 metri, mentre la volta del frigidarium, in fase di ristrutturazione, dovrebbe superare i 20 metri. 

Poco distante si trova la basilica di Damus el Karita, il cui nome è probabilmente una storpiatura del latino "Domus Charitatis", dove Sant'Agostino predicò tra il 399 e il 413. L'anfiteatro, dove si svolgevano spettacoli di gladiatori e combattimenti di belve famosi in tutto il mondo romano, è stato celebrato come uno dei più grandi dell'impero, ma oggi è appena visibile nel verde dei pini, poiché la maggior parte delle pietre è stata asportata nei secoli per essere destinata ad altre costruzioni. A nord-est dell'anfiteatro si trova una serie di gigantesche cisterne che costituivano la principale fonte idrica della città in epoca romana. 

Scarsi sono i resti del teatro fatto costruire da Adriano, come pure dei templi e delle abitazioni di quell'antica potenza del Mediterraneo. A ricordare la grandezza di Cartagine rimangono piuttosto le collezioni conservate nel Museo Nazionale, che occupa i locali del Seminario dei Padri Bianchi accanto alla cattedrale di San Luigi, costruita dai francesi nel 1890. Qui si trovano vasi, sculture, iscrizioni e ceramiche scoperti durante gli scavi, ultime testimonianze della Cartagine punica, romana e araba: vestigia di un impero scomparso.  

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