Esfahān (Città
dei giardini) è una città sul fiume Zayandeh,
400 chilometri dal Golfo Persico a
un'altezza di 1590 metri sopra il livello del mare, nelle montagne dello Zagros.
È la capitale della provincia di
Esfahan con 4.600.000 abitanti (stima 2006) e con una
superficie di 107.027 km².
L'hinterland economico
di Esfahān è la zona circostante in cui sono prodotti cotone, grano e tabacco.
Le industrie tradizionali della città includono quella tessile - cotone, seta e lane,
broccato e moquette - ma anche quella alimentare e metallurgica. Le
industrie moderne, a parte la siderurgia,
sono quelle legate alla raffinazione del
petrolio.
Esfahān
è ben nota per le bellezze architettoniche e per i suoi giardini
pubblici. Secondo un adagio persiano "Esfahān è metà del
mondo" (Esfahān nesf-e jahān). La città ha subito danni durante
la guerra scatenata contro
l'Iran dall'Iraq di Saddam
Hussein, ma in seguito è tornata all'antico splendore anche
grazie ad opere di restauro e di conservazione, tra cui quella italiana
dell'Istituto italiano per l'Africa e
l'Oriente (IsIAO), guidata dall'architetto Eugenio
Galdieri.
Esfahān
è una città molto antica, importante anche nell'Impero sasanide, fu
conquistata dagli Arabi nel 642. Fece parte del Califfato abbaside finché Toghrul
Beg, sovrano dei Grandi Selgiuchidi, la conquistò nel 1055 e
la scelse come capitale del suo Sultanato. Perse la sua importanza
con la fine del dominio selgiuchide in Persia.
Occupata
da Mongoli, che in seguito ad una rivolta degli abitanti saccheggiarono
la città e sterminarono la popolazione, e dagli Afghani. Nel
1930 lo scià Reza Pahlavi ordinò un ampio progetto di
ricostruzione delle rovine.
La
ragione per cui Isfahan è oggi tanto apprezzata è perché rappresenta
una fonte fondamentale per lo studio dell'urbanistica islamica, in
quanto la disposizione dei suoi palazzi è tra le meglio preservate del
mondo musulmano. Senza contare che l'architettura di Isfahan fu
abbastanza conservativa, dato che rimase sostanzialmente impermeabile
alle influenze extra-persiane sino al XVII-XIX secolo.
La piazza
Naqsh-e jahān (Meidān Naqsh-e jahān, ossia
"L'immagine del mondo") - chiamata anche Meidān-e Shāh o,
più di recente, Meidān-e Emām (Piazza dello Scià e
Piazza dell'Imam) - è un luogo di notevole importanza storica e
culturale che si trova nella città di Isfahan.
Venne costruita tra il 1598 e
il 1629.
La
Piazza misura 560 x 160 metri ed è circondata da loggiati a due piani
la cui parte inferiore è in realtà un bazar coperto. Quando, nel 1598,
lo scià Abbas I il Grande (1587-1629), della dinastia dei Safavidi,
trasferì la capitale da Qazvin a Isfahan, la città venne abbellita al
punto di assumere il nome di Nesfe Jahan ("metà del
mondo"). La sua piazza centrale ospitava il mercato, le adunate
dell'esercito, i grandi concerti musicali e le esecuzioni pubbliche.
Isfahan era inoltre un passaggio obbligato per le carovane provenienti
dal Golfo Persico e dal Mar Arabico ma, nonostante il gran numero di
persone che vi affluivano, la piazZa, per via delle sue dimensioni, non
dava mai l'impressione di essere affollata.
Abbas I,
alleato dell'Inghilterra contro l'Impero Ottomano e signore assoluto
delle tribù che vivevano nei suoi domini, riuscì a riconquistare i
territori perduti dai suoi predecessori in Afghanistan, Mesopotamia e a
Baghdad grazie al suo efficiente esercito, dotato, tra l'altro, di
un'artiglieria tecnologicamente all'avanguardia. Il sovrano portò a
Isfahan immense ricchezze e si avvalse dell'opera di grandi architetti.
La cultura safavide raggiunse livelli d'eccellenza anche nella poesia,
nella filosofia e nella teologia coranica.
L'asse centrale della piazza,
quello nord-sud, conduce al "viale del giardino in quattro
appezzamenti" (Cahàr Bagh), la passeggiata principale, che taglia
la città in direzione del fiume dove un ponte - costruito da un
generale prediletto dall'imperatore nel 1600 - la collega al Hadari rub,
il "giardino delle dodici terrazze", ampio ben un miglio
quadrato. Dato che la residenza regale si trovava da una parte del fiume
e i giardini si dispiegavano sull'altra, sullo Zayanda venne gettato il
Poli Khadjou (1641-1666), un ponte particolarmente elaborato, con un
passaggio centrale carrabile e due logge pedonali ai fianchi.
L'importanza
che Abbas I attribuiva all'intenso programma di nuove edificazioni è
testimoniata dalla deduzione coatta degli abitanti di Gilfa. Da questo
villaggio in Armenia i Safavidi dedussero forzosamente 50.000 manovali.
In quanto ottimi costruttori, i Safavidi intendevano tesaurizzarne le
competenze, onde evitare che Gilfa potesse cadere in mano turca. Tra le
file degli armeni spiccavano anche ricchi mercanti cui era stato
concesso il privilegio di mantenere la fede cristiana: viaggiando per le
vie commerciali verso l'Europa e l'India, si trovarono ad agire da
agenti commerciali dello shah. Per professare il cristianesimo, gli
armeni poterono persino permettersi di edificare diverse chiese, di cui
si conserva la cattedrale del Santo Salvatore, splendido avamposto di
arte bizantina in cui motivi iranici ed europei hanno l'occasione di
fondersi. Ancora oggi il ghetto cristiano, dall'altra parte del fiume
rispetto alla piazza principale, conserva il nome del villaggio da cui
gli armeni provenivano.
Nelle opere
da loro commissionate, i Safavidi puntano alla semplicità, anche per
distinguersi dall'esplosione cromatica dei loro predecessori, i
Timuridi. L'arte safavide non è contraddistinta da grandi innovazioni:
riprende le forme della dinastia precedente innervandole però di nuove
forme decorative, con rivestimenti continui ceramici. Già i Timuridi
usavano mattonelle in maiolica, in ceramica smaltata, ma esse, benché
venissero realizzate in diversi colori, recavano una singola tinta per
mattonella.
Nei primi
decenni del XVII secolo, invece, vennero approntate le hast rang, i
"sette colori": ogni tessera smaltata presenta sette tinte, il
che aumenta la rapidità di decorazione. Questa nuovo sistema portò però
al conseguente crollo nella precisione della distribuzione dei colori.
Ma la decorazione a maiolica dei Safavidi risponde a un criterio
architettonico facilmente comprensibile all'occhio occidentale, vale a
dire la ripetizione arguta del medesimo pattern.
Se la città
meritò l'appellativo di "l'altra metà del mondo" da parte
dei mercanti occidentali, fu proprio grazie alla rapidità con cui
costoro vedevano crescere la città a vista d'occhio ogni volta che vi
tornavano: nuove madrasa, moschee, ponti venivano innalzati e ricoperti
con tessere "sette colori", forse di minore precisione, ma di
indubbio impatto decorativo. I decoratori Safavidi giocavano con due
colori chiave: l'ocra della terra e l'azzurro del cielo.
Intorno
alla piazza sorgono numerosi edifici risalenti all'epoca safavide:
nel lato sud la Moschea
dello Scià; nel
lato ovest il palazzo
Ali Qapu; nel lato
est la Moschea
Sheikh Lotfallah;
nel lato nord la piazza si apre nell'antico Bazar
di Esfahan.
E'
il luogo di ritrovo degli abitanti di giorno e soprattutto di sera
quando l'aria si fa fresca e uscire significa incontrarsi e socializzare
in maniera pura e aperta. Al di là della sua spettacolare visione, la
Piazza dell'Imam, è un mirabile esempio di urbanistica intorno alla
quale si concentrano i più importanti e spettacolari monumenti della
città ed è un punto obbligato di visita per capire la storia e la
bellezza di Isfahan.
Una
miriade di negozietti ricoprono in ogni angolo i portici che circondano
la piazza; artigiani di ogni livello si esibiscono sui marciapiedi
mostrando un'abilità ereditata dai padri dei padri ed esibita sempre
con naturalezza, mai come richiamo ossessivo. La gentilezza di questo
popolo permette di avvicinarsi ai venditori senza la paura di essere
oppressi dalle richieste esasperate di vendita. Soprattutto l'ospite
straniero è per gli iraniani il benvenuto e un sorriso aiuterà sempre
a superare le barriere linguistiche e culturali.
Nel 1598,
quando lo Shah
Abbas decise di spostare la capitale del suo impero dalla
città nord-occidentale di Qazvin alla città centrale di Esfahan, iniziò
quello che sarebbe diventato uno dei più grandi programmi della storia
persiana: il rifacimento completo della città. Scegliendo la città
centrale di Esfahan, fertilizzata dal fiume Zāyande ("Il
fiume che dà la vita"), sdraiato come un'oasi di intensa
coltivazione nel bel mezzo di una vasta area di paesaggio arido,
allontanò la capitale da eventuali attacchi futuri degli ottomani,
i grandi rivali dei safavidi, e
degli uzbeki,
e allo stesso tempo guadagnò un maggiore controllo sul Golfo
Persico, che era da poco diventato un'importante via commerciale
degli olandesi e della Compagnia
britannica delle Indie orientali.
L'architetto
capo di questo compito colossale di pianificazione urbana fu Shaykh
Bahai, che concentrò il programma su due caratteristiche
principali del piano di Shah
Abbas: il viale Chahar Bagh, affiancato da tutte le
istituzioni di spicco della città, come le residenze di tutti i
dignitari stranieri, e la piazza Naqsh-e Jahan ("Esemplare del
mondo"). Prima della salita dello Shah al potere, la Persia aveva
una struttura di potere decentralizzata, in cui le diverse istituzioni
davano battaglia per il potere, che era costituito sia dai militari (i Kizilbash)
che dai governatori delle varie province che componevano l'impero. Shah
Abbas volle minare questa struttura politica, e la rinascita di Esfahan,
come grande capitale della Persia, fu un passo importante per la
centralizzazione del potere. L'ingegnosità della piazza, o Maidan,
era che, con la costruzione di essa, Shah Abbas avrebbe riunito i tre
componenti principali del potere della Persia nella sua piazza; il
potere del clero, rappresentato dal Masjed-e
Shah, il potere dei mercanti, rappresentati dal Bazar
Imperiale, e, naturalmente, il potere dello Scià se stesso,
residente nel palazzo
Ali Qapu.
Maidan era
il luogo dove lo Scià e
il popolo si incontravano. Costruita con una fila di edifici a due piani
di negozi, affiancata da un'architettura imponente, e giungendo fino al
lato nord, dove era situato il Bazar imperiale, la piazza era un'arena
di intrattenimenti e di commerci, scambiati tra persone provenienti da
tutti gli angoli del mondo. Esfahan era una tappa fondamentale lungo la Via
della Seta, dove le merci provenienti da tutti i paesi civili del
mondo, dal Portogallo in
Occidente, al Regno
Medio in Oriente, trovavano il loro corso nelle mani di
mercanti di talento che sapevano trarne i migliori profitti.
La
piazza reale fu ammirata anche dagli europei che visitarono Esfahan
durante il regno di Shah Abbas'. Pietro
Della Valle ammise che la Maidan di Esfahan, per bellezza,
aveva persino eclissato Piazza
Navona a Roma,
sua città natale.
Durante
il giorno, gran parte della piazza era occupata dalle tende e dai banchi
di commercianti, che pagavano un affitto settimanale al governo. C'erano
anche animatori e attori. Per placare la fame, erano disponibili
alimenti o fette di melone cotto, mentre tazze di acqua erano
distribuite gratuitamente dai portatori d'acqua pagati dai negozianti.
All'ingresso del Bazar imperiale, c'erano dei locali, dove le persone
potevano rilassarsi davanti a una tazza di caffè.
Questi
negozi si possono trovare ancora oggi, anche se la bevanda di moda del
secolo passato è stata il tè, piuttosto che il caffè. Al crepuscolo,
i bottegai smontavano i loro banchi, e il rumore dei commercianti e
degli acquirenti veniva sostituito da Dervisci,
mimi, giocolieri, burattinai, acrobati e prostitute.
Ogni
tanto la piazza veniva spazzata in occasione di cerimonie pubbliche e
feste. Una di queste occasioni era l'evento annuale del Nowruz,
il capodanno persiano. Inoltre, anche lo sport nazionale persiano del polo poteva
essere giocato nella Maidan, fornendo allo Shah, residente nel palazzo
Ali Qapu, e agli acquirenti dei bazar qualche intrattenimento. Il
marmo, eretto da Shah Abbas è ancora in piedi alle due estremità della
piazza.
Sotto
Abbas, Esfahan divenne una città molto cosmopolita, con una popolazione
residente di turchi, georgiani, armeni, indiani, cinesi e un numero
crescente di europei. Shah Abbas portò circa 300 artigiani cinesi nei
laboratori reali per insegnare l'arte della porcellana. Gli indiani
erano presenti in numero elevato, ospitati nei numerosi caravanserragli
a loro dedicati, ed erano principalmente mercanti e cambiavalute.
Gli europei erano mercanti, missionari cattolici, artisti e artigiani.
Anche i soldati, di solito con esperienza in artiglieria, desideravano
effettuare il viaggio dall'Europa in Persia.
Molti
storici si sono interrogati rispetto al peculiare orientamento della
Maidan. A differenza di molti edifici importanti, questa piazza non
tradisce gli allineamenti con La
Mecca, in modo che quando si entra all'ingresso del portale della Moschea
dello Scià, si fa, quasi senza rendersene conto, la svolta a
destra che consente di guardare verso La Mecca. Donald Wilber dà una
spiegazione più plausibile a questo; la visione di Shaykh Bahai è
stata quella di rendere la moschea visibile da qualsiasi punto del
Maydan. L'asse del Maydan coincideva con l'asse della Mecca, la cupola
della moschea sarebbe stata nascosta alla vista dal torreggiante
ingresso-portale che conduce ad essa. Con la creazione di uno
sfalsamento tra i due elementi architettonici, le due parti
dell'edificio, l'ingresso-portale e la cupola, sono in vista perfetta
per essere ammirati da tutti all'interno della piazza.
La moschea
dello Shah è una delle più spettacolari moschee del mondo islamico
e rappresenta il culmine di un processo evolutivo architettonico ed
artistico sviluppatosi nel paese per oltre 1000 anni
La
moschea si erge sul lato meridionale del
Maidàn con un'entrata monumentale terminata nel 1616, come ci rivela
l'iscrizione sul portale. Fu
voluta dallo 'Abbas
I il Grande e l'edificazione del complesso
cominciò nella primavera del 1611, sotto la direzione di Ustad
(maestro) Abu'l-Qasim. Il capomastro fermò poi la costruzione per un
paio d'anni per lasciar assestare le fondamenta nel terreno; sappiamo
che l'opera nel 1638 era ancora in costruzione.
A
quel tempo lo Scià aveva già compiuto 52 anni; per permettergli di
vedere compiuta la sua opera si introdusse per la prima volta in Iran la
tecnica delle piastrelle già dipinte da assemblare poi secondo il
modello prestabilito. Tale scelta fu determinante, infatti le tecniche
tradizionali disponibili erano complessi mosaici realizzati con milioni
di singole piastrelle, o dipingendo direttamente le decorazioni sulle
pareti (proprio il palazzo di Ali
Qapu, sul lato ovest della piazza, possiede decorazioni di questo
tipo). Tramite questa innovazione già nel 1629 (18
anni dopo dall'inizio dei lavori) la moschea fu praticamente terminata,
benché i lavori si protraessero fino al 1638.
I
costruttori dell’edificio erano stati scelti tra i migliori
architetti, ingegneri, progettisti e artisti dell’epoca come Reza Abbāsi,
un noto maestro della calligrafia e della miniatura e sapienti come
Sheikh Bahāi, giurisperito e noto matematico del periodo safavide.
Con
la caduta dello Scià di Persia nel 1979 e l'istituzione della
Repubblica islamica dell'Iran, la moschea dello Scià è stata
ribattezzata moschea dell'Imam, con riferimento all'imam leader della
rivoluzione Ruhollah
Khomeyni.
Sia
gli esterni che gli interni sono interamente ricoperti di piastrelle di
color azzurro, diventate uno dei simboli della città.
Il cortile
della moschea dello shah si presenta come una fuga di tessere
"sette colori", che permisero ai Selgiuchidi di coniugare
rapidità di costruzione ed eleganza di decorazione.
La
porta è alta più di 30 metri e rappresenta un superbo esempio di
architettura safaride, dove la ricchezza di motivi geometrici e
calligrafici su piastrella, si intreccia con le complesse modanature e
con le decorazioni a stalattite. Il tutto è armonizzato dal sapiente
uso delle proporzioni. Il portale
aveva anche il ruolo di invitare all'entrata, di creare uno spazio
ovattato, di decompressione, rispetto al putiferio dell'area mercantile
della piazza. Isfahan era una piazza rinomata per le stoffe, le
calzature, il rame, l'argento, le armi e i tappeti pregiati.
La
porta di accesso, in legno ricoperto da strati di oro e argento, è
decorato con alcuni poemi scritti in caratteri calligrafici nasta'liq.
La moschea è dotata di 4 iwān,
dei quali il più grande è quello che indica la direzione della Mecca.
Dietro di esso si apre uno spazio ricoperto dalla più grande cupola, a
doppia calotta, della città.
I due
pannelli sulle pareti ai lati dell'ingresso sono la versione ceramica di
due arazzi. L'occhio può restare abbagliato dalla decorazione dei
muqarnas all'ingresso: si tratta di quelle nicchie che assomigliano a
grappoli di stucco o ad alveari, insomma a una decorazione frattalica,
simbolo della vacua molteplicità del reale, in cui lo sguardo potrebbe
appunto perdersi. I muqarnas si innestano negli spigoli delle pareti
degli archi.
Anche se la
facciata della moschea, per gran parte della giornata, si trova
all'ombra, cattura la luce grazie al rivestimento in ceramica. Anzi,
l'uso delle coperture in maiolica, per una decorazione a mosaico e
piastrelle, fa sì che la facciata della moschea restituisca una soffusa
luce turchese. La mole dell'edificio tenta un'impressionante
verticalizzazione, contropartita materica dell'afflato del fedele verso
il divino: come degli inni levati sempre più alti, si succedono il
portale esterno, che si eleva a 27,4 metri; il pitaq, che ne misura 30;
i due minareti anteriori, che arrivano a 45; e la coppia di minareti del
santuario, ancora più alti e ulteriormente slanciati dal motivo
spiraliforme che li percorre e che sfocia sui balconcini lignei che li
sormontano.
Nella
moschea odierna spiccano la cupola dell'XI secolo e la Torre Funeraria
risalente al 1088. Una cupola protegge la sala dove, secondo la
tradizione, avrebbe insegnato il grande saggio Ibn Sina, conosciuto in
Occidente come Avicenna.
A coronare
questa sequenza di pinnacoli che assomigliano a canne d'organo, si
staglia la cupola, a 55 metri dal suolo. La Masjid-i shah supera così
in altezza, il suo modello immediato, la moschea di Gawhar Chad a
Mashhad. Dappertutto campeggiano le calligrafie di versetti del Corano:
affascinanti per il rapporto fra possanza ed eleganza le iscrizioni
lungo il tamburo della cupola.
La moschea si colloca alla foce
dell'evoluzione millenaria della moschea a quattro iwan, dove tutti gli
elementi si trovano in perfetto equilibrio. All'interno, il santuario
riceve la luce del sole a ogni ora grazie a due finestrone, a ovest e a
est. La sala centrale, attraverso ampie aperture, comunica con due
stanze rettangolari. Tali aperture assumono la forma di volte a vela che
poggiano su archi, a loro volta innestati su pilastri di pietra. I vani
laterali servivano da moschee d'inverno; sopra uno di questi santuari
secondari si innalza il godalsteb, il piccolo edificio a punta da cui
sono lanciati gli appelli alla preghiera. I fedeli, d'estate, si
riunivano invece nel sahn, il cortile della moschea, che presenta stanze
dotate di copertura, sostenute da singoli archi molto alti che
interrompono il ritmo dei riwaq a due piani. La direzione verso la
Mecca, necessaria per orientare la preghiera, è segnalata dal mihrab,
in porcellana e marmo.
Ogni
architettura promana, al suo interno, una sorta di ritmo, di musica,
attraverso l'accordo e la reciproca disposizione dei suoi vari elementi.
Moschea e chiesa hanno musiche molto diverse, che perseguono obiettivi
opposti: la basilica cristiana ha una direttrice che fa avanzare il
fedele verso l'altare; la moschea mira invece a far sostare il fedele,
perché possa contemplare la rivelazione.
Sia sul
lato sinistro che sul lato destro la moschea è contornata da cortili
per l'istruzione religiosa, con portici a due piani per gli alloggi
degli studenti con ancora qualche porta originale. In un altopiano arido
come quello iraniano, ogni giardino vuoi essere un paradiso in terra;
per una sorta di contrappasso con il paesaggio che i mercanti
incontravano sulla via per Isfahan, il giardino doveva essere
un'ispirazione all'abbondanza. È una costante dell'architettura
iranica: del resto non è un caso che paràdeisos, in greco, volesse
proprio indicare il giardino dell'imperatore persiano. Il giardino della
moschea non si sottrae a questa tradizione: in un cortile a quattro iwan
domina il colore turchese, presente anche nella copertura della nicchia
delle volte; nella vasca per le abluzioni si specchiano il cielo e la
moschea, in un ideale ricongiungimento tra fedele e Divino.
Tra
gli aspetti interessanti di Moschea dello Shah c’è l’effetto
dell’eco, riprodotto dal grande volume. Le tonalità di eco prodotte,
secondo gli scienziati sono 49, anche se l'orecchio umano nel percepisce
solo 12. Non è raro infatti trovare gruppi di turisti che prova
l'effetto eco al centro della sala.
Il Palazzo
Ali Qapu è l'antico palazzo degli Scià di Persia e
segna l'ingresso al quartiere residenziale dei sovrani Safavidi che
si sviluppa oltre la piazza.
La
parola Qapu deriva infatti dalla lingua
turca e significa "Soglia Reale". Esso venne
eretto agli inizi del XVII
secolo su ordine dello scià 'Abbas
I il Grande, che lo utilizzò per gli incontri con i visitatori
importanti e con gli ambasciatori.
L'edificio, a pianta rettangolare, si sviluppa su sei piani (per circa
38 metri di altezza) ed ha una vasta terrazza nella sua parte
frontale, coperta con soffitto intarsiato sostenuto da colonne altissime
lignee.
All'interno
del palazzo vi sono ricchi affreschi di Reza
Abbasi (il pittore di corte di 'Abbas
I) e della sua scuola, con numerosissimi motivi a soggetto
naturalistico. Le porte e le finestre del palazzo erano in origine
estremamente decorate, ma esse vennero quasi tutte saccheggiate o
distrutte durante i periodi di anarchia sociale
che si sono succeduti nei secoli, con l'eccezione di un'unica finestra
al terzo piano. L'edificio venne restaurato durante
il regno dello Scià Sultan
Husain, ma cadde nuovamente in stato di abbandono durante il breve regno
degli invasori afghani.
Durante
il regno dello scià Nasser
al-Din, della dinastia
Qajar (XIX
secolo), le piastrelle e cornici che sormontavano il portale
(risalenti all'epoca safavide) vennero sostituite da piastrelle con
iscrizioni.
Lo
Scià 'Abbas
II era entusiasta della perfezione di ʿAli Qapu e volle
lasciare un segno con la costruzione della grande sala che si trova al
terzo piano. Sorretta da 18 colonne ricoperte da specchi, la sala
presenta un mirabile soffitto decorato da grandi affreschi.
Al
sesto piano del palazzo si tenevano i ricevimenti reali e i banchetti.
Qui si trovano le stanze più grandi di tutto il palazzo, con quella
dedicata ai banchetti che abbondava in stucchi rappresentanti
vasi e coppe di tutte le forme. Queste forme ritagliate non sono state
messe lì a fare da armadi; gli stucchi sono così delicati che cadono
al minimo tocco. Quindi possiamo concludere che è stato messo in
posizione in queste camere per ornamento e decorazione. Le camere sono
state utilizzate per feste private e per i musicisti del re, e questi
luoghi vuoti nelle pareti mantengono gli echi prodotti dai suoni del
canto e dagli strumenti musicali in tutte le parti.Dalla galleria
superiore i Safavidi assistevano
alle partite di polo ed
alle corse di cavalli che si tenevano nella sottostante piazza
Naqsh-e jahān.
La
costruzione di Ali Qapu è avvenuta in più fasi, a partire da un
edificio con una sola porta, con ingresso al complesso del palazzo del
governo, gradualmente si è sviluppato con la forma esistente. Il
periodo di sviluppo, con intervalli, è durato circa 70 anni.
Prima
fase: L'edificio diviene ingresso iniziale al complesso in forma
cubica e in due storie, con dimensioni di 20 x 19 metri e alta 13 metri.
Seconda
Fase: Fondazione della sala superiore, costruita sul vestibolo di
ingresso, di forma cubica, sopra la struttura iniziale di forma cubica
con la stessa altezza in due storie visibili.
Terza
tappa: Fondazione del quinto piano, l'Anfiteatro Musicale o Sala
della Musica, costruita sulla sala inferiore, utilizzando la sala
centrale per la luce del cielo e quindi l'estensione verticale per
essere enfatizzato.
Quarta
tappa: Fondazione della veranda orientale o padiglione che avanza verso
la piazza, sostenuto dall'edificio a forma di torre. Con la base di
questa veranda, il vestibolo d'ingresso è stato esteso lungo il
cancello principale e il passaggio al mercato, perpendicolare al fianco
orientale del palazzo.
Quinta
tappa: Fondazione del soffitto in legno del balcone, sostenuta da
18 colonne di legno, e contemporanea con l'erezione del soffitto, una
scala supplementare nel fianco meridionale è stata creata e chiamata scala
Reale.
Sesta
tappa: Durante questa fase, una torre d'acqua è stata costruita
sul fianco nord per la fornitura di acqua della piscina del balcone con
colonne di rame. Inoltre le decorazioni in gesso e la sala musica.
Questo
palazzo costituiva la porta d’accesso centrale a tutti i palazzi che
in epoca safavide furono costruiti nella zona di piazza
Naghs-e Jahan. Inizialmente aveva un aspetto semplice e nel corso
del tempo, durante il regno di Shah
Abbas, furono aggiunti diversi piani. All’epoca di Shah Abbas
II, fu aggiunta la grande loggia colonnata.
Il
re safavide riceveva in questo palazzo gli ambasciatori e le personalità
di alto rango. All’epoca di Shah Abbas II, dalla veranda che fu
aggiunta all’edificio principale, il sovrano e i suoi ospiti
ammiravano il paesaggio, gli incontri di polo, le luminarie, gli
spettacoli di fuochi di artificio e le altre rappresentazioni che si
svolgevano nella piazza.
Il
nome del palazzo si compone delle due parole ali e qapu che
nell’insieme significano “alto portale”. Altri nomi con cui è
stato conosciuto sono “doulatkhane-ye mobarake-ye naghsh-e jahan” e
“palazzo doulatkhane”.
Il
palazzo è alto 36 metri e si estende per 5 piani, ciascuno dei quali ha
una decorazione particolare. Pitture murali di Reza Abbasi, celebre
pittore dell’epoca di Shah Abbas, dipinti di fiori, pianticelle, rami,
foglie, figure selvatiche, uccelli e belle stuccature in forma di varie
specie di coppe e caraffe decorano le volte e le pareti.
Al
piano-terra vi sono due sale che a quel tempo erano destinate agli
affari amministrativi e governativi. Al terzo piano vi è la grande
loggia con 18 alte colonne; nel mezzo di questa particolare loggia vi è
una decorazione di marmo e rame la cui simmetria si riflette nella
decorazione del soffitto.
Ogni
cosa di Ali Qapu è magnifica e preziosa. Oltre alle pitture murali,
opera del celebre artista dell’epoca safavide Reza Abbasi, vi sono le
stuccature dell’ ultimo piano, conosciuto anche come “sala della
musica” o “sala del suono”. In questa parte del palazzo, sui muri
sono state utilizzate forme di diversi tipi di coppe e caraffe: la
creazione e la rifinitura di queste forme, oltre che essere una
rappresentazione ornamentale e un segno della creatività e
dell’intraprendenza degli artisti stuccatori, erano realizzate in modo
tale che queste stesse forme incavate assorbissero l’eco prodotto
dalle melodie dei suonatori e dei musicisti e le voci arrivassero in
modo naturale e senza rimbombo alle orecchie degli ascoltatori.
Il parco
sfoggia vasche con getti d'acqua che allora zampillavano grazie a una
macchina idraulica azionata da una coppia di buoi. Gli affreschi della
sala del trono e delle camere adiacenti presentano figure femminili di
chiara derivazione cinese, a ricordare agli spettatori odierni
l'importanza di Isfahan come perno delle vie di comunicazione lungo la
Via della Seta. Al piano superiore, l'occhio curioso può scovare
nicchie affrescate con scene marcatamente erotiche: qui era collocata la
sala per i banchetti, e in quelle rientranze delle pareti trovavano
posto i vasi in argento, con incastonature di perle.
Oltre
al passare del tempo che purtroppo ha inferto numerose lesioni ad Ali
Qapu, altri avvenimenti distruttivi, come l’assalto e il dominio degli
Afghani, diverse guerre e lo spostamento della capitale e
l’indifferenza dei governanti dopo l’epoca safavide hanno arrecato
danni irreparabili all’edificio.
In
epoca qajar Ali Qapu fu per qualche anno luogo di residenza e di lavoro
di Zell-os-Soltan (NdT: principe, figlio di Nasseroddin Shah e
governatore di Esfahan) che apportò delle modifiche nelle iscrizioni
del palazzo. Le iscrizioni del fronte orientale dell’edificio e le
tavolette calligrafate sopra la porta di ingresso che fanno accenno ai
restauri dell’anno 1895, sono esplicative di questo argomento.
Negli
ultimi quaranta anni, poiché il rischio di rovina minacciava il palazzo
Ali Qapu, e anche grazie all’attenzione della gente e degli organi
statali per il patrimonio culturale, sono stati effettuati dei restauri
ad opera di commissioni di esperti locali e internazionali.
La
moschea Sheykh Lotfollah è situata sul lato orientale di piazza
dell'Imam, di fronte al palazzo Ali Qapu. La costruzione di questa
moschea iniziò nel 1602 sulle rovine di una più antica moschea e fu
completata nel 1619. Essa fu progettata e costruita da Mohamad Reza
Esfahani rinomato architetto dell’epoca safavide e le calligrafie che
la decorano furono eseguite da Ali Reza Abbasi celebre calligrafo
dell’epoca.
Sheykh
Lotfollah, l’imam principale di questa moschea, che da lui prese il
nome, era uno dei più grandi teologi sciiti nonché suocero di
Shah Abbas.
Dei
quattro monumenti che hanno dominato il perimetro della Piazza Naqsh-e
jahān, questo è stato il primo ad essere costruito.
Lo
scopo di questa moschea era d'essere una moschea privata della corte
reale, a differenza della Moschea
dello Scià,
che era stata pensata per il pubblico. Per questo motivo, la
moschea non ha minareti ed è di dimensione più piccola. In effetti,
pochi occidentali al tempo dei Safavidi hanno prestato attenzione a
questa moschea, e certamente non vi hanno avuto accesso. Non è stata
fino ai secoli più tardi, quando le porte sono state aperte al
pubblico, e la gente comune ha potuto ammirare lo sforzo che Shah
Abbas
aveva messo nel rendere questo un luogo sacro per le donne del suo
harem, e lo squisito stile, che è di gran lunga superiore a quello che
copre la Moschea dello Scià.
Per
evitare di dover attraversare la maydān quando è in
funzione la moschea, Shah
Abbas chiese
all'architetto di costruire un tunnel che attraversa tutta la piazza,
dal Palazzo
di Ali Qapu,
alla moschea. Quando si raggiunge l'ingresso della moschea, si dovrebbe
camminare attraverso un passaggio che si snoda in tondo, fino a quando
si raggiunge l'edificio principale. Lungo questo passaggio vi erano in
piedi delle guardie, e lo scopo evidente di questo progetto è stato
eseguito per le donne dell'harem affinché fossero schermate, da parte
di chiunque entrasse nell'edificio. All'ingresso principale della
moschea c'erano anche delle guardie in piedi, e le porte del palazzo
erano tenuti chiuse tutto il tempo. Oggi, queste porte sono aperte ai
visitatori, e il tunnel sotto la piazza non è più in uso.
Questa
moschea, con una cupola non molto alta, priva – a
differenza della maggior parte delle moschee del mondo islamico – di
minareti e di sahn
(corte tipica dell’architettura delle moschee) e con una
rotazione di 45 gradi dall’asse nord-sud rispetto all’asse in
direzione della Mecca (verso cui si rivolge la preghiera), dal punto di
vista urbanistico si armonizza bene con gli edifici circostanti.
Il
vestibolo della moschea si trova in una rientranza nell’angolo
orientale della piazza. Il vestibolo è collegato da quattro scalini
alla porta di ingresso principale, la quale fu completata nel 1603.
L’iscrizione all’ingresso composta in scrittura sols per
mezzo di piastrelle di maiolica bianca su sfondo azzurro mostra la firma
di Ali Reza Abbasi e la data del 1603.
La
parte inferiore dei muri della facciata e dei grandi piedistalli
laterali sono rivestiti di marmo giallo. La porta di ingresso è
composta da due battenti di legno massiccio di platano ancora ben
conservati dopo 400 anni. Di fronte alla moschea esisteva anche una
vasca ottagonale che fu eliminata tra il 1937 e il 1939.
Il
corridoio di accesso alla moschea con una svolta a sinistra e una a
destra corregge il disallineamento della facciata orientale rispetto
alla direzione della Mecca. Pure la ridotta altezza della cupola
circolare fa sì che questo disallineamento angolare, anche guardando la
moschea dall’esterno, non dia troppo nell’occhio.
Questa
cupola è decorata con disegni e figure di un celeste carico su sfondo
crema. La curvatura della cupola da un punto di grande sporgenza
improvvisamente tende verso l’interno e dà forma al vertice della
cupola. Lo spessore dei muri è di circa 180 cm che sostengono bene la
spinta della cupola.
Il
"pavone" al centro del lato interno della cupola è una delle
caratteristiche uniche della moschea. Se ti trovi al cancello d'ingresso
della sala interna e guardi al centro della cupola, un pavone, la cui
coda è composta dai raggi del sole provenienti dal foro nel soffitto,
può essere vista. Sul lato interno della cupola, lo scopo estetico del
lungo, basso e cupo passaggio che porta alla camera della cupola diviene
evidente, perché è con un senso di attesa che si entra nel Santuario.
La bassezza lascia il posto ad un'impennata di altezza e oscurità e
viene dissipata dall'illuminazione costante di circa una ventina di
finestre.
Il
design delle piastrelle di questa moschea, così come quella della
moschea dello scià e altre moschee persiane, anche prima del periodo
safavide, sembrano essere non completamente simmetriche - in
particolare, i colori dei modelli. Sono stati descritti come
intenzionali, asimmetrie "simmetriche".
La
decorazione interna delle pareti ha forma ottagonale ed è delimitata da
piastrelle turchine. Tutt’intorno alle pareti risaltano le opere
calligrafiche di Ali Reza Abbasi, ad esempio in alcune cornici fatte di
piastrelle bianche nel mezzo di piastrelle celeste scuro. Nel mehrab (nicchia
che nei luoghi di preghiera indica la direzione della Mecca) è stata
adoperata una decorazione a piastrelle molto raffinata per formare
mosaici e moqarnas.
Su due placche all’interno della nicchia del mehrab è
scritto il nome dell’architetto della moschea. Intorno al mehrab vi
sono alcune iscrizioni opera di Ali Reza Abbasi e di Baqer Banna. Il mehrab con
i suoi colori nitidi e netti, con le sue composizioni e le opere
calligrafiche armoniose è costituito da una volta frastagliata, al di
sopra della quale vi è una decorazione fatta di raffinati arabeschi. La
decorazione in maiolica di quest’arco dentellato ha un interno fatto
di moqarnas simile
a madreperla e uno sfondo con belle rappresentazioni vegetali.
Gli
architetti del complesso erano Sheikh
Bahāi (capo
architetto) e Ustād Mohammad-Reżā Isfahānī.
L'edificio
è stato completato nel 1618.
Arte
- Il progetto dei tappeti Ardabil (come il famoso tappeto
Ardabil)
riproduceva lo stesso concetto del lato interno della cupola. Anche
il progetto del "tappeto di Wonders", che sarà il più grande
tappeto del mondo, si basa sul disegno interno della cupola.
È
stato suggerito che i concetti del filosofo mistico Sohravardi circa
l'unità
dell'esistenza siano
correlati a questo modello sul lato interno della cupola. Ali Reza
Abbasi,
il calligrafo alla corte di Shāh Abbās', ha decorato l'ingresso, sopra
la porta, con iscrizioni maestose e con i nomi e titoli di Shāh Abbas',
Husaynī e Musavi, cioè i discendenti dell'Imām al-Husayn e Mūsā.
Le
iscrizioni della Moschea riflettono le questioni che hanno preoccupato
lo scià tutto il tempo è stata costruita; vale a dire la necessità di
definire sciismo duodecimano in
contrasto con l'Islam sunnita,
e la resistenza persiana all'invasione ottomana. L'iscrizione eseguita
in piastrelle bianche su fondo blu sul tamburo esterno della cupola,
visibile al pubblico, si compone di tre sure (capitoli)
del Corano; al-Shams (91,
Il sole), al-Insan (76,
Uomo) e al-Kawthar (108,
Abbondanza). Le sure sottolineano la giustezza di un'anima pura e il
destino in un inferno di chi rifiuta la via di Dio, molto probabilmente
riferendosi ai turchi ottomani.
Entrando
nella camera della preghiera, ci si confronta con le pareti ricoperte di
blu, giallo, turchese e le piastrelle bianche con motivi arabeschi
intricati. I versetti coranici appaiono in ogni angolo mentre le pareti
est e ovest contengono poesie di Shaykh Bahai. Intorno al mihrab vi sono
i nomi dei dodici Imam sciiti, e l'iscrizione contiene i nomi di Shaykh
Lutfallah, Ostad Mohammad Reza Isfahani (l'ingegnere), e Baqir al-Bahai
(il calligrafo che l'ha scritto).
Girando
a destra verso l'ingresso alla camera di preghiera a cupola, vi è il
testo completo della Sura 98, al-Bayyina, la prova evidente. Il
messaggio di questo capitolo è che la prova evidente della vera
Scrittura non era disponibile per il Popolo del Libro (cioè i cristiani e
gli ebrei)
fino a che Dio ha mandato il suo messaggero Muhammad.
La banda orizzontale della scrittura in fondo all'arco non è coranica,
ma afferma che le benedizioni di Dio vengono dai martiri (sciiti). Così,
è sciita l'invocazione che risuona nei versetti coranici col suo
accento sulla veridicità del messaggio di Dio.
Il
poema di Shaykh Bahai sulla parete destra è una preghiera di aiuto dai
"Quattordici Immacolati" (Maometto, Fātima e
i dodici Imām),
mentre le iscrizioni sull'interno della cupola sottolineano le virtù
della carità, la preghiera e l'onestà, così come la correttezza di
seguire l'Islam e i suoi profeti contro l'errore di altre religioni.
I
passaggi in particolare sciiti e la loro collocazione al primo piano nel
mihrab, delle due pareti laterali e nelle bande orizzontali di ogni
angolo, sottolineano la preminenza di questo credo durante l'Iran safavide.
Il
fatto che due poesie di Shaykh Bahai, un sufi devoto, adornino le pareti
della moschea privata di Shah Abbas ', dimostra che, anche se alcuni
elementi sufi dell'impero furono soppressi, il Sufismo come
fenomeno generale, ha continuato a svolgere un ruolo importante nella
società safavide.
Sempre
sulla piazza si affaccia il celebre bazar, uno dei più grandi ed
affascinanti di tutto l'Iran. Isfahan è siramente il centro
dell'artigianato e dell'arte iraniana e quindi non può stupire che la
visita a questo immenso mercato rappresenti un'occasione unica per
immergersi nella cultura e nelle usanze di un popolo antichissimo.
Un
dedalo di stradine interrotte da giardini e piazzette si snoda per quasi
5 chilometri e costituisce una vera piccola città nella città, dove si
potrà trovare di tutto, stoffe, tappeti e oggetti prezioni e
d'antiquariato, moschee, bagni pubblici, sale da te. Una visita da non
mancare per conoscere il vero animo degli abitanti della città.
La Moschea
del Venerdì, Masjid-i Giomeh è probabilmente l'espressione architettonica più importante della dominazione
seigiuchide in Persia (1038-1118) e delle successive aggiunte nei secoli successivi. Dal 2012 è
divenuta anche un Bene protetto dall'UNESCO.
Nel
1051 Isfahan divenne la capitale dei selgiuchidi, giunti nel Khwarezm e nella Transoxiana dall'Asia
centrale nell'XI secolo. Di fede sunnita, essi miravano alla
restaurazione del califfato
abbaside. La
conquista di Isfahan da parte di Toghrul
Beg elevò il
prestigio della città, il cui nuovo status venne espresso attraverso un
elaborato piano architettonico. La potenza dell'Impero selgiuchide trovò
concreta manifestazione in una serie di edifici, dei quali il più
importante era la moschea.
I
Selgiuchidi progettarono il centro della città e la piazza in prossimità
della preesistente moschea del Venerdì, il cui lato nord confinava con
questi spazi. In età successive, il sovrano safavide Shah Abbas avrebbe rimpiazzato il centro originario con la sua nuova maydan
(piazza), completata nel 1602, spostando il nucleo della città più a
sud. Secondo
gli studi il luogo era dapprima occupato dai seguaci Sasanidi di
Zoroastro (ciò significa che probabilmente vi era un tempio di
fuoco).
Le
testimonianze storiche danno informazioni contrastanti circa le
condizioni della moschea durante il periodo selgiuchide. Il rinomato
geografo e storico Yaqut
al-Hamawi afferma che la popolazione di Isfahan fu costretta a demolire il
tempio "per mancanza di legno" nel 1051, quando la città fu
conquistata da Toghrul
Beg. Il resoconto di Naser-e
Khosrow scrive
invece che la moschea era "grande e magnificente" intorno al 1052. Quel che è certo, al di là delle discordanti versioni, è che prima
della conquista selgiuchide di Isfahan esisteva già una moschea del
Venerdì a pianta ipostila risalente al X secolo, edificata nel periodo
Buyide. La cattura
della città e i successivi tumulti, le dispute religiose (tra le
correnti Hanafite e Shafi'ite)
sotto Malik
Shah, e incendi
provocarono diversi danni alla moschea. Tale situazione comportò la
necessità di ricostruire parzialmente il tempio, introducendovi nuovi
elementi architettonici.
Del
primo nucleo architettonico della moschea sono sopravvissute le due
grandi cupole a nord e sud, mentre le restanti parti sono andate
distrutte in un incendio nel XII
secolo. Nel 1121 venne ricostruita e nel corso del tempo ogni sovrano diede il proprio
contributo attraverso degli ampliamenti.
La
pianta della moschea si evolse da quella originaria ipostila, che prevedeva un cortile interno di forma regolare (65 per 55 metri)
circondato da sale di preghiera provviste di colonne a sezione circolare
che sostenevano il soffitto in legno (avente 7 campate nell'ala di
sud-ovest, 3 a sud-est e a nord-ovest, 5 a nord-est). Il nuovo progetto
prevedeva una pianta con quattro iwan, attuata nel XII secolo con
l'edificazione/aggiunta degli iwan, della sala con cupola sud-occidentale affiancata da due minareti, della
sala settentrionale con cupola. Tra tutte le aggiunte e ricostruzioni
successive vi è la serie di archi su due livelli intorno alla corte
(datati 1447), che hanno rimpiazzato la precedente serie unificando gli
elementi del cortile in un unico spazio. Al centro del cortile
principale si trova una fontana per le abluzioni che ricalca il modello
della Caaba al La Mecca. Anche per questa ragione i fedeli che intendevano compiere il
pellegrinaggio imparavano nel cortile il complesso rituale.
Ciò
che distingue in maniera immediata la moschea è la sua integrazione con
il tessuto urbano attraverso i numerosi accessi che la collegano con le
attività della città, sfumando i confini tra spazi cittadini e spazi
religiosi. Questo risultato è anche l'esito finale del processo
costruttivo e ricostruttivo verificatosi nel tempo.
La struttura si estende per oltre 20.000 m² di superficie.
La
moschea è, come si è già detto in precedenza, strettamente collegata
con il tessuto urbano, con due minareti fiancheggianti l'iwan
meridionale e le grandi cupole (meridionale e settentrionale) che si
stagliano nettamente sul profilo cittadino, costituendo un elemento
panoramico inconfondibile. L'integrazione della moschea nella città è
data dai numerosi accessi che si aprono lungo le mura che la delimitano,
comuni peraltro a molti edifici estranei ad essa. Il cancello di ingresso
alla moschea (la cui data di costruzione è incerta) è collocato
sul lato sud-orientale. Esso venne restaurato nel 1804.
Un'iscrizione
posta negli spazi che conducono alla madrasa, nella parte sud-orientale
del complesso menziona il sultano Muzaffaride Mahmud (che regnò ad Isfahan tra il 1358 e il 1374). Molti storici
sostengono che questa era la porta principale durante il XIV secolo, in
sostituzione di un ingresso non più esistente. La porta introduce alla
parte superiore del muro orientale, nei pressi dell'angolo di sud-est.
Dalla
parte opposta, a sud-ovest, un'altra porta, ancora utilizzata, datata
1590-1, risalente al periodo dello Shah
Abbas's. Essa
collega l'angolo sud-occidentale e i muri dell'arcata di nord-ovest con
le adiacenti aree cittadine, facilitando i trasporti tra zone della città
altrimenti non collegate a causa della presenza della moschea. Una
grande porta monumentale, non più utilizzata al giorno d'oggi, è
situata a nord, aprendosi nel muro nord-orientale della cupola
settentrionale.
Essa
risale al 1366 e reca iscrizioni dalla Sūra 76 del Corano,
descrivente la vita eterna. È allineata con l'asse est-ovest, a
differenza di altri elementi architettonici della moschea. La quarta
porta, nel segmento nord-orientale, anch'essa non più in uso, è
decorata con mattoncini invece che con piastrelle, come lo sono le altre
tre porte. Un'iscrizione coranica sulla porta, descrivente le modalità
di sconsacrazione di una moschea, reca anche l'informazione che
l'edificio fu restaurato dopo un incendio nel 1121-2.
Il
bazar coperto con la sua intensa attività commerciale collega il nuovo
centro safavide rappresentato dalla maydan alla moschea del Venerdì. Il
traffico pedonale scorre attraverso il portale settentrionale.
Tutt'intorno
vi sono 4 iwan contrapposti, mentre i portici del piano superiore che
circondano il cortile sono del XV
secolo. Come si è
detto in precedenza il cortile è racchiuso da un'arcata su due livelli,
sorta di fondale bidimensionale, decorata con piastrelle smaltate che
formano disegni floreali e geometrici in diverse tonalità di blu, in
bianco e in giallo.
Gli
archi sono disposti simmetricamente attorno ai quattro iwan posti al
centro di ciascuno dei muri e si uniformano alla loro altezze, con
l'eccezione delle campate che fiancheggiano l'iwan orientale, più alte.
Un'ulteriore differenza è data dalla presenza di un ingresso
monumentale, alto quanto due piani, che si apre nella sezione
settentrionale dell'arcata occidentale, delimitando l'area della moschea
invernale. Nonostante le ingenti modifiche apportate alla struttura nel
corso dei secoli, essa conserva un'unità strutturale, decorativa,
cromatica e di materiali. I quattro rialzi del cortile non sono
solamente degli schermi, ma comprendono anche vie di transito tra le
diverse aree sacre dell'edificio e degli spazi cittadini.
Le
due cupole hanno diverse tipologie di decorazioni. In quella
meridionale sono rintracciabili ancora tracce di ornamenti in stucco,
mentre la cupola settentrionale è prevalentemente decorata da disegni
integrati nella struttura, costituiti da mattoncini. I loro diversi
gradi di rilievo e le disposizioni creano una vasta gamma di disegni.
Questo linguaggio decorativo manca nella cupola meridionale, costruita
su una struttura preesistente, rendendo impossibile l'unificazione dei
principi decorativi. L'incongruenza tra vecchio e nuovo è evidente
anche a livello strutturale, confrontando la massiccia struttura
originaria, con pilastri doppi e archi a curvature diverse con la nuova
concezione costruttiva, decisamente più leggera.
Come
parte del processo di ricostruzione della moschea danneggiata, Nizam
al-Mulk, visir di Abu
al-Fath Malik Shah ordinò
nel 1086 la costruzione di una sala con cupola (avente lati di 15 metri
e un'elevazione di 30 metri) nell'ala di sud-ovest. Tale ambiente fu
progettato dall'architetto Abul Fath, a cui alcuni storici attribuiscono
entrambe le cupole presenti nella moschea. Due iscrizioni, poste sul
tamburo della cupola, menzionano Abu Malik Shah e Nizam al-Mulk.
La
cupola, rinforzata da nervature, poggia su delle muqarnas, a loro volta sostenute da un muro portante e da otto pilastri,
appartenenti alla vecchia moschea. Gli storici hanno dibattuto, a
proposito di questa sala, circa la possibilità che essa fosse stata
eretta su una preesistente area ipostila (basando queste affermazioni su
ricerche archeologiche condotte in loco). Questa maqsura divenne il
prototipo di diverse moschee successive, come quelle di Ardestan, Qazvin e Zavareh
Commissionata
da Taj al-Mulk (successore di Nizam e principale consigliere della madre di Malik
Shah), la cupola di nord-est (settentronale) fu costruita nel
1088-9 per conto di Terken
Khatun (moglie di Malik Shah e figlia del sultano Tamghach
Khan). A causa della
posizione distaccata della struttura dal resto del complesso è stato
ipotizzato che l'area venisse utilizzata come spazio privato di
preghiera, zona riservata alle donne o anche come biblioteca. Di
dimensioni più contenute e collocata sullo stesso asse longitudinale
della cupola meridionale, la cupola settentrionale poggia su piloni
disposti a formare uno spazio quadrato, con una zona ottagonale di
transizione sormontata da quattro volte.
Al
di sopra delle volte troviamo sedici archi (quattro per lato) che
sostengono il tamburo della cupola. Quest'ultimo presenta alla base
iscrizioni religiose. Dieci doppie nervature ascendono dal tamburo della
cupola inscrivendo un pentagono. Questa componente architettonica è
considerata dagli storici dell'architettura un tentativo di Taj al-Mulk
di costruire una cupola più alta di quella del suo rivale Nizam
al-Mulk, quella meridionale. La cupola presenta ingressi sul lato sud e
ovest. Nell'interno vi sono versetti coranici, composti disponendo
piastrelle colorate.
Gli
storici dell'architettura hanno tratteggiato paragoni, relativamente
alla struttura e alla decorazione, tra la cupola meridionale opera di
Nizam al-Mulk, e la successiva cupola settentrionale, chiamata anche Gunbad-e
Khaki, costruita da Taj al-Mulk. La cupola settentrionale è
un'epitome di perfezione matematica, resa evidente dall'armonia delle
sue suddivisioni orizzontali e verticali e raggiunta attraverso una
precisa gerarchia nella disposizione delle sue componenti, basata sulla sezione
aurea. La sua
perfezione architettonica l'ha portata a resistere ai molteplici
terremoti succedutisi nel corso di oltre 900 anni.
I
quattro iwan non sono tutti di uguale importanza e tale fatto è reso evidente
dalle loro diverse dimensioni, strutture e decorazioni. Gli iwan
orientale e occidentale sono costruiti con tecniche analoghe e nello
stesso periodo, presentano elementi architettonici tardo-safavidi. Essi
hanno nomi che testimoniano la loro funzione. L'iwan occidentale è
chiamato "seggio del maestro" (ustadh), quello
orientale "seggio dell'allievo" (shagird) essendo stati
costruiti da maestro e allievo.
L'iwan
meridionale precede la sala con cupola con un mihrāb,
è indubbiamente il più importante dei quattro. È fiancheggiato da due
torri e viene utilizzato visivamente per enfatizzare la vastità degli
spazi vuoti del santuario, contrapponendosi alla maqsura.
Colloquialmente viene chiamato sofe-e saheb ovvero
"il luogo superiore del signore".
Le
iscrizioni poste sul mihrāb risalgono principalmente al periodo dello Shah
Tahmasp I e dello Shah
Abbas II. Vi è anche una menzione a Uzun
Hassan, capo della dinastia Ak
Koyunlu, risalente al 1475-76. Le iscrizioni sono accomunate da
concetti ricorrenti: ta'mir (restaurare) e taz'yin
(decorare) e mostrano come l'edificio sia stato oggetto di numerose
trasformazioni nel tempo.
Altre
scritte, del XVII e XVIII secolo, sono estratti dal Corano. Il soffitto dell'iwan risale al XV secolo, mentre le sue mura sono state
restaurate in età safavide. Al di sotto dell'iwan sono state trovate
colonne e basamenti della moschea originaria. Le muqarnas sono di epoca
mongola mentre i mosaici sulle pareti e sui minareti sono del XV secolo.
L'iwan
di orientale presenta motivi geometrici realizzati con piastrelle di
epoca safavide. Ciascuna faccia delle unità del muqarnas è decorata
con pezzi molto piccoli di piastrelle smaltate con punti e linee in blu
scuro, che formano un arabesco geometrico di maggiori dimensioni che inscrive un elemento epigrafico di colore blu più
tenue.
L'iwan
occidentale venne costruito dai selgiuchidi e decorato dai safavidi.
Venne poi completamente restaurato tra il 1940 e il 1950. Esso comprende
una serie di muqarnas fatte di mattoncini, orlate da linee smaltate blu scuro. Ciascun
blocco di muqarnas elevandosi termina con un elemento in forma di
stella, che inscrive al suo interno arabeschi geometrici in blu scuro.
Orizzontalmente ai tre muri dell'iwan corre una banda di mattonelle smaltate
di colore giallo e bianco con fondali in blu scuro che reca iscrizioni.
L'iwan
settentrionale è caratterizzato da iscrizioni cufiche del
periodo selgiuchide e all'interno da colonne di mattoni. Dietro vi è
una sala di preghiera.
Sala
di preghiera - Le aree
coperte che si estendono tra i quattro iwan sono sale ipostile comprendenti una serie di piccole cupole, costruite
verso il XII secolo. I piloni di sostegno di queste sale differiscono
tra di loro in forma e grandezza, dal momento che furono aggiunti in
periodi diversi. Troviamo anche una serie di volte aperte e chiuse di
varie forme e disposizioni.
Le volte aperte determinano spazi illuminati, in contrasto con quelli bui.
Le volte chiuse in laterizi presentano una sostanziale innovazione
strutturale e in molti casi includono volte a vela simili a quelle della Grande
Moschea di Cordova. La diversa disposizione dei motivi geometrici dei
laterizi, alcuni esagonali, alcuni ottagonali o decagonali non è solo
frutto di una scelta derivante da motivazioni meramente strutturali, ma
presenta un significato religioso, correlato al misticismo Sufi, come suggerito da alcuni storici (es. Sayed Husein Nasr). Ci
sono tre aggiunte al perimetro originale rettangolare della moschea che
sono incorporate al suo interno: la madrasa muzaffaride a sud-est (22 m per 26 m), la sala
di preghiera timuride (masjid) a sud-ovest (32 m per 32 m),
l'ampia sala safavide ad ovest (32 m per 48 m),
caratterizzate da un sistema di volte a botte che si eleva dal livello
del suolo con una base avente forma simile ad un piedistallo.
Presso
la sala del Sultano Uljeitu, accanto all'iwan occidentale,
si trova il mihrāb di Uljetu, che fu edificata
nel 1310 dal sovrano Ilkhanide Oljaytu. Esso si trova nella parte nord-occidentale della moschea, lungo il muro
esterno dell'iwan.
La costruzione presenta una complessa composizione in stucco costituita da
iscrizioni tridimensionali che si fondono con intagli floreali e
geometrici. L'intero mihrāb si configura come un elemento estruso dal
muro originale della moschea.
Il mihrāb è costituito da un arco esterno all'interno del quale è
inscritto un arco più piccolo, la cui altezza e profondità sono pari
alla metà del primo. Questi archi, incluse le loro intelaiature e
colonne, prive di funzioni strutturali, sono decorate con intagli e
disegni geometrici. L'intelaiatura più esterna presenta le decorazioni
più raffinate.
La fascia delle iscrizioni, incassandosi nel muro, si incurva nello spazio
come se fossero tracciate su una superficie convessa; il fondale
decorato con motivi floreali e sottilmente traforato dà l'impressione
che esse galleggino nell'aria.
La madrasa
muzaffaride, conosciuta localmente come "iwan di Umar" (Suffeh-i
Umar), fu eretta nel lato di sud-est della moschea nel XIV secolo ed
è particolarmente interessante sotto il profilo artistico per i suoi
superbi mosaici di maiolica con disegni geometrici e floreali,
paragonati dagli storici ai lavori analoghi eseguiti presso la corte
timuride.
Un'iscrizione
sull'intradosso dell'iwan della madrasa reca il nome del sultano muzaffaride Mahmud
(reg. 1358-1374), probabile patrocinatore della costruzione di questa
parte della moschea. La campata centrale della qibla è
sovrastata da un tiburio e comprende un mihrāb ricoperto di
mosaici con muqarnas. Mentre le piastrelle dell'hazarbaf, che
presentano disegni geometrici ravvivano il tiburio dell'iwan, le
muqarnas al di sopra del mihrāb sono rivestite con maioliche in blu
chiaro e scuro, bianco e nero, così come da piastrelle non smaltate.
Stanza
della cupola di Nezam al Molk - Questa stanza si trova a
meridione rispetto all'iwan meridionale. Venne costruita sotto lo Scià
Malek su ordine del ministro Nezam al Molk. Le dimensioni della stanza
sono 14,30 x 14,60 m e alta approssimativamente 26,97 m. Venne costruita
tra il 1086 e il 1088. Nella parte superiode sono visibili delle scritte
cufiche che contengono i nomi dello scià selgiuchide Malek e
di Khajeh Nezam al-Molk.
La sala
d'inverno è un ambiente adiacente alla sala del Sultano
Uljeitu ed è chiamato (Beit al-Shata). Proprio come
esprime il nome è utilizzata nel periodo invernale, essendo
particolarmente protetta ed è illuminata da marmi di alabatro che
lasciano passare una tenue luce dal soffitto al centro delle volte, per
l'intera stanza. La sala venne costruita dai timuridi nel 1448.
Il Sio-o-se
Pol, che significa "ponte dei 33 archi", detto anche
"ponte Allahverdi-Khan" è uno degli undici ponti di Esfahan.
È considerato uno dei più famosi esempi dei ponti costruiti dalla
dinastia dei Safavidi.
Commissionato
nel 1602 dallo scià 'Abbas I il Grande al suo
cancelliere Allahverdi Khan Undiladze, è composto da due file di
33 archi. C'è una passerella più grande all'inizio del ponte dove
scorre il fiume Zaiandè, che supporta una sala da tè. Esso
fungeva da ponte e da diga, ed ancora oggi assolve questa funzione.
La
costruzione dei Minareti oscillanti (Monar Jonban o Menar-e-jomban)
iniziò nel XIV secolo per coprire la tomba di Amu Abdollah Soqla.
La loro caratteristica notevole è che se uno dei minareti è scosso,
l'altro minareto oscilla
pure.
L'iwan (eyvān)
e la veranda sono stati probabilmente costruiti poco dopo il 1316 come
un santuario per Amu Abdollah Soqla, un eremita sepolto qui. I
minareti sono stati costruiti in mattoni più tardi, e sono
probabilmente originari della dinastia safavide (secoli XV al XVII).
L'iwan
è di 10 metri di altezza e 10 metri di larghezza, i minareti sono 7
metri più alti e hanno una circonferenza alla base di 4 metri. Il
tetto sopra il santuario contiene alcuni mattoni apprezzabili.
I
minareti sono i responsabili della fama del santuario altrimenti
architettonicamente insignificante. A causa del rapporto tra l'altezza e
la larghezza dei minareti e la larghezza dell'iwan, se uno dei minareti
oscilla, l'altro trema all'unisono. Questo esempio di oscillazione
accoppiato può essere osservato da terra.
Le
travi di legno sulla parte superiore dei minareti sono state messe lì
per facilitare l'oscillazione dei minareti, ma la presenza del legno
nella muratura provoca altre complicazioni. L'oscillazione ripetuta è
stata responsabile di notevoli danni strutturali.
Le
oscillazioni da parte dei visitatori sono, in teoria, limitate a una
volta ogni venti minuti. Tuttavia, in particolare durante le vacanze, c'è
un flusso costante di persone che sperimentano con il fenomeno. Il danno
è localmente ritenuto da alcuni essere stato causato durante i periodi
di occupazione da parte dei soldati britannici.
Vi
è un altro paio di minareti oscillanti anche nella provincia di
Isfahan, a Iranshahr,
del precedente periodo della dinastia
ilkhanide. Sono stati costruiti durante il tempo di Öljaitü (1280-1316).
Questi hanno perso i due terzi delle parti superiori. Ad Ahmedabad,
in India c'è anche un minareto oscillante.
La Madrasa
Madar-i Shah o madrasa Chahar Bāgh (Scuola dei Quattro
Giardini), è un complesso culturale del XVII-XVIII secolo a Isfahan,
situato sul viale Chahar Bagh.
Il
complesso fu costruito all'epoca di Sultan Husayn, un re safavide,
come scuola teologica e clericale per formare coloro che erano
interessati a tali scienze. Per finanziare la scuola, la madre di Sultan
Husayn fece costruire nelle vicinanze un grande caravanserraglio, le cui
entrate andavano alla fondazione.
Il
portale monumentale dal viale principale conduce direttamente in un vestibolo
ottagonale a cupola. Questa e la maggior parte delle pareti sono
ricoperte da mattoni di colore giallo brillante che danno una sensazione di
leggerezza.
Il portale d'ingresso
decorato con facciata in oro e argento e le
piastrelle all'interno dell'edificio sono capolavori dell'arte iranica. La
corte centrale, con la sua piscina e il suo giardino, è circondata da portici
su due livelli, ognuno dei quali dà accesso ad una stanza per gli studenti.
Il ponte
Khaju è un ponte sul fiume Zaiandè a Isfahan. È
stato descritto come il più bello della città.
È
stato costruito dal re persiano safavide, Shah Abbas II intorno
al 1650, sulle fondamenta di un ponte vecchio preesistente già
all'epoca di Tamerlano. Serve sia come ponte che come diga e
collega il quartiere Khaju sulla riva nord con il quartiere zoroastriano
oltre il fiume Zaiandè. Oltre alla sua funzione architettonica di
ponte e diga, veniva in passato usato anche come edificio e come luogo
per incontri pubblici. Questa struttura era originariamente
decorata con piastrelle artistiche e dipinti, ed era utilizzato come
sala da tè. Al centro della struttura c'è un padiglione all'interno
del quale lo Shah Abbas II si sarebbe seduto per ammirare il
panorama. Oggi, i resti di un sedile di pietra è tutto ciò che
rimane della sedia del re.
Questo
ponte è uno dei migliori esempi di architettura persiana e
dell'influenza culturale safavide in Iran. Usando le parole di Arthur
Pope e Jean Chardin, il ponte Khaju è "il monumento
principe dell'architettura persiana dei ponti ed è uno dei più
interessanti esistenti... dove tutto è ritmo e dignità e combina nel
più riuscito insieme l'utilità, la bellezza, e la ricreazione."
Il
ponte Khaju ha 24 arcate ed è lungo 110 metri e largo 12 metri. Le
arcate del ponte sono larghe 7,5 metri, in mattoni e pietre con 21 più
grandi e 26 più piccoli di ingresso e uscita del canale. I pezzi di
pietra utilizzati in questo ponte sono lunghi oltre 2 metri e la
distanza tra ogni canale e la base del soffitto è di 21 metri. Le
iscrizioni esistenti suggeriscono che il ponte è stato riparato nel 1873.
Khaju
è uno dei ponti che regola il flusso di acqua nel fiume perché ci sono paratoie sotto
gli archi del fiume. Quando le paratoie sono chiuse, il livello
dell'acqua dietro il ponte si alza in modo da facilitare l'irrigazione
dei tanti giardini lungo il fiume.
Al
livello superiore del ponte, il corridoio centrale era utilizzato da
cavalli e carri mentre i pedoni usavano i marciapiedi sotto le arcate da
entrambi i lati. I padiglioni ottagonali nel centro del ponte sia sul
basso che ai lati sono punti da cui si gode di un notevole panorama. Il
livello più basso del ponte è accessibile ai pedoni e continua ad
essere un luogo frequentato, per passare momenti di riposo all'ombra.
Il
mausoleo di Arthur Pope e della moglie Phyllis Ackerman si
trova nelle vicinanze.
Hasht
Behesht, letteralmente "Gli otto cieli" in persiano,
è un padiglione del XVII secolo a Esfahan in Iran.
Venne costruito per ordine di Solimano, l'ottavo scià dell'Impero
safavide, per essere adibito a padiglione privato. Si trova a
Esfahan nella famosa Charbagh Street.
Come
indicato nel nome, il padiglione su due piani Hasht Behesht venne
costruito nello stile hasht-behesht, con una planimetria costituita
da una sala centrale circondata da otto stanze. L'edificio ha forma
ottagonale, e due ingressi principali. I quattro lati più grandi
sono dotati di ampi iwan, sotto i quali si alzano alcune alte e
sottili colonne di legno.
Il
padiglione è decorato con pitture murali, pannelli in legno traforato,
vetri prismatici, piastrelle di maiolica e intonaci
affrescati.
Chehel
Sotoun (oppure Chihil Sutun o Chehel Sotoon
"Quaranta Colonne") è un padiglione persiano nel
mezzo di un parco, in fondo a una lunga piscina. Il palazzo Chehel
Sotoun è tra i 9 Giardini iraniani che sono registrati come uno dei 17
siti UNESCO patrimonio
dell'Iran sotto il nome di giardino
persiano.
Il
nome, che significa "Quaranta Colonne" in persiano, è stato
ispirato dalle colonne di legno sottili che sostengono il padiglione
d'ingresso e, quando si riflette nelle acque della fontana, si dice che
sembrino essere quaranta.
L'esistenza
dell'edificio è documentata sin dal 1614,
tuttavia un'iscrizione parla della fine dei lavori di costruzione nel 1647,
sotto lo Shāh
Abbas' II, che lo utilizzava per il suo divertimento e i
ricevimenti. In questo palazzo, Shāh ʿAbbās II e i suoi successori
avrebbero ricevuto dignitari e ambasciatori, sia sulla terrazza che in
uno dei saloni signorili. L'edificio venne poi ricostruito a causa di un
incendio scoppiato nel 1706.
Durante
l'invasione afgana nel XVIII
secolo gli affreschi dell'edificio vengono ricoperti di
calce come segno di disapprovazione per lo sfarzo della corte, essi
tuttavia si sono ben preservati.
Il
padiglione è costruito secondo lo stile talar (il
portico colonnato) di epoca achemenide. Esso è composto da un
ingresso coperto da colonne scanalate e un soffitto a cassettoni con
decori e intarsi.
Il
Grande Salone o Sala del Trono è una sala decorata da affreschi e
dipinti su ceramica. La parte superiore è decorata da affreschi di
soggetto storico di grandi dimensioni e raffigurano la vita di corte in
epoca Safavide nonché alcune grandi battaglie. I due affreschi centrali
sono del periodo qagiaro, mentre gli altri quattro sono originali.
Sopra
la porta di ingresso sono raffigurati gli eserciti dello Shāh
Ismāil I nella battaglia
di Taher-Abad del 1510 venne
sconfitto e ucciso il re uzbeko. Una pittura più recente descrive la
vittoria di Nadir
Shah contro l'esercito indiano del sultano Mohmud (in groppa
ad un elefante) a Karnal nel 1739. Abbas
II riceve Nadir Khan, sovrano dei Turkestan,
in compagnia di musici e danzatrici.
Nella
parete di fronte all'ingresso troviamo lo Shāh
Abbas' I presiede un banchetto reale. La famigerata battaglia
di Cialdiran dello scià Ismail
I contro i giannizzeri del
sultano ottomano Selim
I, l'accoglienza dello Shāh
Tahmasp all'imperatore Moghul Humayun rifugiatosi
in Iran nel 1543.
Ci
sono anche meno raffigurazioni storiche ma ancora più estetiche in
stile tradizionale, miniature che celebrano la gioia della vita e
dell'amore. Molti dei pannelli di ceramica sono stati dispersi e sono
ora in possesso di importanti musei in Occidente.
I
termini dell'arte islamica
Iwàn:
loggiato, ambiente a volte, aperto su un cortile; quando assume forma
monumentale prevede un portale, che prende il nome di pitaq.
Madrasa:
era la scuola pubblica, per varie materie, non necessariamente e non
solo quelle religiose; divenne poi il centro per l'insegnamento
superiore musulmano, specializzandosi come scuola coranica.
Muqarnas:
arco con nicchie simili a stalattiti, o a un alveare, comunque con un
chiaro gusto frattalico, con funzione decorativa. Vi sono varie tesi
sull'origine di questo tipo di decorazione. Un antecedente plausibile
potrebbe essere il sepolcro di Arab Ata a Tim in Transoxiana, risalente
al 977-978; ancora precedenti (VIII-IX secolo) risultano alcuni elementi
concavi in stucco, a base piatta, reperiti durante gli scavi del Museo
Metropolitano a Mashapur: potevano far parte di un muqarnas.
Mihrab:
nicchia che indica la direzione della Mecca nella moschea.
Sahn: è il
cortile della moschea.
Ulama: termine corradicale di
mullah e plurale di alim, "sapiente" (in teologia e
giurisprudenza). Tra gli ulama vengono scelti sheiykh, imam, kadi e
docenti delle scuole coraniche .
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