L’isola
del Madagascar fu avvistata alla fine del XV
secolo dai portoghesi che la chiamarono San
Lorenzo. Il nome attuale le fu erroneamente
attribuito dal cosmografo tedesco Martin Behaim
che nel suo globo del 1492 la scambiò, sulla
base di informazioni raccolte da Marco Polo, con
Madagosho o Madagascar, che si trovava più a
nord.
L'attuale
popolazione si deve a varie ondate migratorie di
gruppi australo-melanesiani e indonesiani. Al
primo gruppo appartengono i Bara e i Sakalava,
giunti forse nel II millennio a. C, seguiti dai
Betsileo e dai Tsimihety. Migrazioni più
recenti introdussero nell'isola i Merina,
originari forse dell'isola indonesiana di Giava:
essi formano il gruppo oggi dominante stanziato
nell'altopiano centrale, nella terra che da loro
prende il nome: l'Imerina.
La
nluova etnia introdusse la propria cultura, la
coltivazione del riso e l'impiego dello zebù
nel lavoro dei campi. Anche la struttura
organizzativa era quella dei popoli risicoltori
dell'Asia monsonica, con un sovrano e una classe
nobile di uomini liberi, gli hova, nome con cui
sono anche conosciuti i Merina.
A partire dal XVII secolo
il regno di Merina si sviluppò, su impulso del
re Adrianjaka, nel cuore dell'altopiano, là
dove sorgevano le sedi del potere, le
cittadelle: i rova. Dopo un periodo di lotte
intestine e di anarchia, l'isola ritrovò la
propria unità sotto il re Andrianampoinimerina
(1787-1810), acquisendo il controllo sulla
regione centrale con l'annessione del paese dei
Betsileo e Sihanaka. Ulteriori ampliamenti si
ebbero sotto suo figlio e successore Radama I
(1810-1828) che, ottenute le armi dagli inglesi,
conquistò i due terzi dell'isola.
Luogo
dunque di mescolanza delle culture asiatiche e
africane, il Madagascar è riuscito a riunire le
caratteristiche comuni delle sue popolazioni nel
simbolo culturale della Collina reale di
Ambohimanga. Nel documento redatto
alla fine dell'assemblea che vide il suo
inserimento nel Patrimonio dell'umanità dell'Unesco
nel 2001, si citano i criteri che hanno portato
a questa decisione: "la Collina reale di
Ambohimanga è il simbolo più significativo
dell'identità culturale della popolazione del
Madagascar; la struttura e i materiali
tradizionali della Collina reale sono
rappresentativi delle strutture sociali e
politiche della società malgascia dalla fine
del XVI secolo; la Collina reale è un
eccezionale esempio di luogo storico dove, da
secoli, la comune
umana esperienza si è focalizzata nella
memoria, nei rituali e nelle preghiere".
La
Collina reale di Ambohimanga, alta 1468 metri,
è situata nelle vicinanze della capitale,
Antananarivo. La città reale è circondata da
una cinta muraria aperta da quattordici portali
di pietra fortificati.
All'interno boschi sacri
e frutteti di fichi, il frutto riservato solo
alle classi di alto rango, circondano gli
appartamenti reali edificati in semplici case di
legno. Il sito religioso comprende una fonte
sacra che scaturisce dalla roccia naturale
formando lo stagno sacro di Amparihy: qui si
lavavano ritualmente le viscere dei re defunti
al fine di purificare la città prima di deporli
nelle tombe che formano le necropoli sui pendii
della collina.
Dopo
il trasferimento del palazzo reale ad
Antananarivo, la nuova capitale fondata nel 1700
da Andriatsimitoviamin-Andriandrazaka e proibita
agli stranieri fino al 1895, Ambohimanga continuò
a ospitare le spoglie degli antichi sovrani.
Essi riposavano in una casa mortuaria fatta di
legno, il Tranomanara, prima di essere
trasportati fino alla tomba dove il re, divenuto
antenato, continuava a esercitare un potere di
protezione e di giudizio sui viventi. Undici re
vi riposarono fino al marzo del 1897, quando le
autorità francesi che avevano colonizzato
l'isola ne decisero il trasferimento alla
capitale Antananarivo.
Sito
storico e sacro associato strettamente al culto
degli avi e della regalità, la collina è anche
testimonianza delle pratiche agricole
tradizionali, in particolare delle risaie
sistemate su terrazze irrigate. Ancora oggi è
oggetto di pellegrinaggi da parte delle
popolazioni locali e provenienti dal continente
africano.
I
CULTI AFRICANI
Ogni
popolazione che abita il continente africano
possiede una propria mitologia e un proprio
pantheon di divinità, ciascuna con il proprio
nome. Tuttavia caratteristica generale dei culti
africani è la credenza in una forza vitale
cosmica, emanata congiuntamente dagli spiriti
della natura e da antenati, capitribù e
sacerdoti: questa forza è assimilata
soprattutto alla fecondità, quindi all'atto
riproduttivo di uomini, animali e piante.
Secondo tale concezione il positivo, il bene, si
trova in tutto ciò che propizia la fecondità,
mentre è negativo e maligno tutto ciò che la
ostacola. I culti e i rituali sono al servizio
dello sviluppo della forza vitale e mirano a
contrastare il tentativo di indebolirla, ovvero
la morte.
Per dare energia alla vita è
indispensabile mantenere un continuo e stretto
rapporto con le origini mitiche della famiglia e
della tribù e rispettare le tradizioni
consolidate. I sacerdoti, i guerrieri e gli eroi
sono considerati messaggeri delle volontà degli
dei o degli antenati. Attraverso di essi gli
uomini hanno scoperto i segreti della
procreazione, l'uso del fuoco, la pratica
dell'agricoltura e dei diversi mestieri utili
alla sopravvivenza. La preghiera, il sacrificio
e la danza sono le principali forme rituali. La
danza, in particolar modo, è la
rappresentazione della lotta tra il principio
creatore e l'atto distruttore, e in quanto tale
deve essere mascherata.
|