Collina reale di Ambohimanga
Madagascar

patrimonio dell'umanità dal 2001

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L’isola del Madagascar fu avvistata alla fine del XV secolo dai portoghesi che la chiamarono San Lorenzo. Il nome attuale le fu erroneamente attribuito dal cosmografo tedesco Martin Behaim che nel suo globo del 1492 la scambiò, sulla base di informazioni raccolte da Marco Polo, con Madagosho o Madagascar, che si trovava più a nord.

L'attuale popolazione si deve a varie ondate migratorie di gruppi australo-melanesiani e indonesiani. Al primo gruppo appartengono i Bara e i Sakalava, giunti forse nel II millennio a. C, seguiti dai Betsileo e dai Tsimihety. Migrazioni più recenti introdussero nell'isola i Merina, originari forse dell'isola indonesiana di Giava: essi formano il gruppo oggi dominante stanziato nell'altopiano centrale, nella terra che da loro prende il nome: l'Imerina. 

La nluova etnia introdusse la propria cultura, la coltivazione del riso e l'impiego dello zebù nel lavoro dei campi. Anche la struttura organizzativa era quella dei popoli risicoltori dell'Asia monsonica, con un sovrano e una classe nobile di uomini liberi, gli hova, nome con cui sono anche conosciuti i Merina.

A partire dal XVII secolo il regno di Merina si sviluppò, su impulso del re Adrianjaka, nel cuore dell'altopiano, là dove sorgevano le sedi del potere, le cittadelle: i rova. Dopo un periodo di lotte intestine e di anarchia, l'isola ritrovò la propria unità sotto il re Andrianampoinimerina (1787-1810), acquisendo il controllo sulla regione centrale con l'annessione del paese dei Betsileo e Sihanaka. Ulteriori ampliamenti si ebbero sotto suo figlio e successore Radama I (1810-1828) che, ottenute le armi dagli inglesi, conquistò i due terzi dell'isola.  

Luogo dunque di mescolanza delle culture asiatiche e africane, il Madagascar è riuscito a riunire le caratteristiche comuni delle sue popolazioni nel simbolo culturale della Collina reale di Ambohimanga. Nel documento redatto alla fine dell'assemblea che vide il suo inserimento nel Patrimonio dell'umanità dell'Unesco nel 2001, si citano i criteri che hanno portato a questa decisione: "la Collina reale di Ambohimanga è il simbolo più significativo dell'identità culturale della popolazione del Madagascar; la struttura e i materiali tradizionali della Collina reale sono rappresentativi delle strutture sociali e politiche della società malgascia dalla fine del XVI secolo; la Collina reale è un eccezionale esempio di luogo storico dove, da secoli, la comune umana esperienza si è focalizzata nella memoria, nei rituali e nelle preghiere".

La Collina reale di Ambohimanga, alta 1468 metri, è situata nelle vicinanze della capitale, Antananarivo. La città reale è circondata da una cinta muraria aperta da quattordici portali di pietra fortificati. 

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All'interno boschi sacri e frutteti di fichi, il frutto riservato solo alle classi di alto rango, circondano gli appartamenti reali edificati in semplici case di legno. Il sito religioso comprende una fonte sacra che scaturisce dalla roccia naturale formando lo stagno sacro di Amparihy: qui si lavavano ritualmente le viscere dei re defunti al fine di purificare la città prima di deporli nelle tombe che formano le necropoli sui pendii della collina.

Dopo il trasferimento del palazzo reale ad Antananarivo, la nuova capitale fondata nel 1700 da Andriatsimitoviamin-Andriandrazaka e proibita agli stranieri fino al 1895, Ambohimanga continuò a ospitare le spoglie degli antichi sovrani. Essi riposavano in una casa mortuaria fatta di legno, il Tranomanara, prima di essere trasportati fino alla tomba dove il re, divenuto antenato, continuava a esercitare un potere di protezione e di giudizio sui viventi. Undici re vi riposarono fino al marzo del 1897, quando le autorità francesi che avevano colonizzato l'isola ne decisero il trasferimento alla capitale Antananarivo.

Sito storico e sacro associato strettamente al culto degli avi e della regalità, la collina è anche testimonianza delle pratiche agricole tradizionali, in particolare delle risaie sistemate su terrazze irrigate. Ancora oggi è oggetto di pellegrinaggi da parte delle popolazioni locali e provenienti dal continente africano.  

I CULTI AFRICANI

Ogni popolazione che abita il continente africano possiede una propria mitologia e un proprio pantheon di divinità, ciascuna con il proprio nome. Tuttavia caratteristica generale dei culti africani è la credenza in una forza vitale cosmica, emanata congiuntamente dagli spiriti della natura e da antenati, capitribù e sacerdoti: questa forza è assimilata soprattutto alla fecondità, quindi all'atto riproduttivo di uomini, animali e piante. 

Secondo tale concezione il positivo, il bene, si trova in tutto ciò che propizia la fecondità, mentre è negativo e maligno tutto ciò che la ostacola. I culti e i rituali sono al servizio dello sviluppo della forza vitale e mirano a contrastare il tentativo di indebolirla, ovvero la morte. 

Per dare energia alla vita è indispensabile mantenere un continuo e stretto rapporto con le origini mitiche della famiglia e della tribù e rispettare le tradizioni consolidate. I sacerdoti, i guerrieri e gli eroi sono considerati messaggeri delle volontà degli dei o degli antenati. Attraverso di essi gli uomini hanno scoperto i segreti della procreazione, l'uso del fuoco, la pratica dell'agricoltura e dei diversi mestieri utili alla sopravvivenza. La preghiera, il sacrificio e la danza sono le principali forme rituali. La danza, in particolar modo, è la rappresentazione della lotta tra il principio creatore e l'atto distruttore, e in quanto tale deve essere mascherata.  

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