Anfiteatro romano di El Jem
Tunisia

patrimonio dell'umanità dal 1979

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El Jem (Thysdrus) è una città del governatorato di Mahdia in Tunisia e ospita alcune delle migliori rovine romane dell'Africa.

L'anfiteatro romano, risalente al III secolo, che si staglia, austero e maestoso, nella pianura semi-arida dell'entroterra tunisino, appare oggi come una cattedrale nel deserto o un monumento alla vanità e all'ambizione. 

A fargli da corona c'è il disordinato agglomerato delle case che compongono l'abitato di El Jem. Eppure quel villaggio berbero di 7000 abitanti ha un passato glorioso, come testimoniano i resti di numerose dimore patrizie romane, ricche di raffinati mosaici, che riportano ai tempi in cui quel luogo si chiamava Tysdrus.

Fondata su un preesistente insediamento punico ai tempi di Giulio Cesare, a partire dal 117 d.C. la città - nodo di una rete di strade che si diramavano a stella verso i principali porti della Provincia d'Africa - divenne il centro del commercio di olio d'oliva.  

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E i suoi abitanti, uomini d'affari e latifondisti di origine romana e africana, accumularono favolose ricchezze. Tanto che, nel 238 d.C, quando Roma venne travolta da una crisi finanziaria, per farvi fronte l'allora imperatore Massimino di Tracia decise di imporre pesanti tasse alla Provincia d'Africa. 

Il provvedimento colpì nel vivo Tysdrus, che si ribellò. Il proconsole della città, l'ottantenne Gordiano, assunse il titolo di imperatore in contrapposizione a Massimino, ma la sua carica fu di breve durata: la rivolta venne soffocata nel sangue e lui stesso, per evitare di essere condotto a Roma in catene, si suicidò. 

L'effimero impero africano si sarebbe perso nelle pieghe della storia se il vecchio Gordiano non avesse iniziato, all'indomani della sua proclamazione, a costruire un anfiteatro che, per magnificenza e dimensioni, rivaleggia con il Colosseo. 

L'edificio, che ha un tracciato ellittico del perimetro di 427 metri (misura 149 m di lunghezza, 124 m di larghezza e 36 m di altezza), si sviluppa su tre livelli composti da arcate a tutto sesto e poteva contenere fino a 35.000 spettatori, una capienza anche allora molto superiore all'intera popolazione di Tysdrus. 

I suoi sotterranei sono suddivisi in numerosi ambienti destinati ai gladiatori, a magazzini per gli attrezzi scenici e alle gabbie per gli animali, che potevano essere sollevate fino all'arena al momento dell'inizio dello spettacolo circense mediante un elaborato sistema di ascensori a funi. Ad accrescere la grandiosità dell'anfiteatro, nonché a comprendere l'immane sforzo economico e di braccia che fu necessario per la sua costruzione, vi è il fatto che la pietra utilizzata proviene da una cava situata a 30 chilometri dalla città. 

La volontà di erigere un monumento di questo genere in una situazione di forte instabilità politica potrebbe essere giudicata avventata, se non addirittura assurda. Eppure trova una sua coerente spiegazione nella sconfinata passione che univa tutti i sudditi dell'impero per i combattimenti tra gladiatori e animali feroci. E l'organizzazione di giochi circensi sempre più cruenti permetteva ai governanti di instaurare una relazione paternalistica con il popolo che, in questo modo, si sarebbe mantenuto fedele. Vittima di eventi più grandi di lui, Gordiano non riuscì ad assistere, dal palco imperiale, a più di una decina di spettacoli. E la costruzione stessa dell'anfiteatro non fu mai portata a termine.

Dopo la rivolta, le fortune di Tysdrus presero velocemente a declinare e probabilmente il monumento più importante sarebbe stato smantellato (con le sue pietre usate come materiale da costruzione dalle popolazioni che si avvicendarono nella zona nei secoli successivi), se in suo aiuto non fosse nata una leggenda, secondo la quale nel VII secolo esso sarebbe stato teatro della strenua resistenza contro gli invasori arabi da pare di Kahina, l'eroina berbera che, asserragliata nell'arena, avrebbe di lì respinto gli assalitori.