El
Jem
(Thysdrus)
è
una
città
del
governatorato
di
Mahdia
in
Tunisia
e
ospita
alcune
delle
migliori
rovine
romane
dell'Africa.
L'anfiteatro romano, risalente al
III
secolo,
che
si
staglia,
austero
e
maestoso,
nella
pianura
semi-arida
dell'entroterra
tunisino,
appare
oggi
come
una
cattedrale
nel
deserto
o
un
monumento
alla
vanità
e
all'ambizione.
A
fargli
da
corona
c'è
il
disordinato
agglomerato
delle
case
che
compongono
l'abitato
di
El
Jem.
Eppure
quel
villaggio
berbero
di
7000
abitanti
ha
un
passato
glorioso,
come
testimoniano
i
resti
di
numerose
dimore
patrizie
romane,
ricche
di
raffinati
mosaici,
che
riportano
ai
tempi
in cui quel luogo si chiamava Tysdrus.
Fondata su un preesistente
insediamento
punico
ai
tempi
di
Giulio
Cesare,
a
partire
dal
117
d.C.
la
città
-
nodo
di
una
rete
di
strade
che
si
diramavano
a
stella
verso
i
principali
porti
della
Provincia
d'Africa
-
divenne
il
centro
del commercio di olio d'oliva.

E i suoi abitanti, uomini
d'affari
e
latifondisti
di
origine
romana
e
africana,
accumularono favolose ricchezze. Tanto che, nel 238 d.C, quando Roma venne travolta da una crisi finanziaria, per farvi fronte l'allora
imperatore
Massimino
di
Tracia
decise
di
imporre
pesanti
tasse
alla
Provincia
d'Africa.
Il
provvedimento
colpì
nel
vivo
Tysdrus,
che
si
ribellò.
Il
proconsole
della
città,
l'ottantenne
Gordiano,
assunse
il
titolo
di
imperatore
in
contrapposizione
a
Massimino,
ma
la
sua
carica
fu
di
breve
durata:
la
rivolta
venne
soffocata
nel
sangue
e
lui
stesso,
per
evitare
di
essere
condotto
a
Roma
in catene, si suicidò.
L'effimero
impero
africano
si
sarebbe
perso
nelle
pieghe
della
storia
se
il
vecchio
Gordiano
non
avesse
iniziato,
all'indomani
della
sua
proclamazione,
a
costruire
un
anfiteatro
che,
per
magnificenza
e
dimensioni,
rivaleggia
con
il
Colosseo.

L'edificio,
che
ha
un
tracciato
ellittico
del
perimetro
di
427
metri
(misura
149
m
di
lunghezza,
124
m
di
larghezza
e
36
m
di
altezza),
si
sviluppa
su
tre
livelli
composti
da
arcate
a
tutto
sesto
e
poteva
contenere
fino
a
35.000
spettatori,
una
capienza
anche
allora
molto
superiore
all'intera
popolazione
di
Tysdrus.
I
suoi
sotterranei
sono
suddivisi
in
numerosi
ambienti
destinati
ai
gladiatori,
a
magazzini
per
gli
attrezzi
scenici
e
alle
gabbie
per
gli
animali,
che
potevano
essere
sollevate
fino
all'arena
al
momento
dell'inizio
dello
spettacolo
circense
mediante un elaborato sistema di ascensori a
funi.
Ad
accrescere
la
grandiosità
dell'anfiteatro,
nonché
a
comprendere
l'immane
sforzo
economico
e
di
braccia
che
fu
necessario
per
la
sua
costruzione,
vi
è
il
fatto
che
la
pietra
utilizzata
proviene
da
una
cava
situata
a
30
chilometri
dalla
città.
La
volontà
di
erigere
un
monumento
di
questo
genere
in
una
situazione
di
forte
instabilità
politica
potrebbe
essere
giudicata
avventata,
se
non
addirittura
assurda.
Eppure
trova
una
sua
coerente
spiegazione
nella
sconfinata
passione
che
univa
tutti
i
sudditi
dell'impero
per
i
combattimenti
tra
gladiatori
e
animali
feroci.
E
l'organizzazione
di
giochi
circensi
sempre
più
cruenti
permetteva
ai
governanti
di
instaurare
una
relazione
paternalistica con il popolo che, in questo
modo,
si
sarebbe
mantenuto
fedele.
Vittima
di
eventi
più
grandi
di
lui,
Gordiano
non
riuscì
ad
assistere,
dal
palco
imperiale,
a
più
di
una
decina
di
spettacoli.
E
la
costruzione
stessa
dell'anfiteatro
non
fu
mai
portata
a
termine.
Dopo
la
rivolta,
le
fortune
di
Tysdrus
presero
velocemente
a
declinare
e
probabilmente
il
monumento
più
importante
sarebbe
stato
smantellato
(con
le
sue
pietre
usate
come
materiale
da
costruzione
dalle
popolazioni
che
si
avvicendarono
nella
zona
nei
secoli
successivi),
se
in
suo
aiuto
non
fosse
nata
una
leggenda,
secondo
la
quale
nel
VII
secolo
esso
sarebbe
stato
teatro
della
strenua
resistenza
contro
gli
invasori
arabi
da
pare
di
Kahina,
l'eroina
berbera
che,
asserragliata
nell'arena,
avrebbe
di
lì
respinto
gli
assalitori.
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