L'opera architettonica di Le Corbusier, 
un contributo eccezionale al Movimento Moderno Argentina/Belgio/Francia/Germania/Giappone/India/Svizzera 

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2016

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Nel corso della riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO svoltosi ad Istanbul il 17 luglio 2016, è stato annunciato che 17 opere architettoniche e urbanistiche, progettate dall'architetto Le Corbusier, sono state iscritte nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità.

Il risultato è frutto di un intenso lavoro collettivo che ha coinvolto oltre alla Fondazione Le Corbusier, i sette paesi partner dove sono dislocate le opere (Argentina, Belgio, India, Giappone, Svizzera, Francia), le autorità locali, i professionisti coinvolti nel progetto, gli utenti e i residenti degli edifici, tra le 17 opere sono presenti infatti anche abitazioni private. 

Il riconoscimento dell'UNESCO, attestando il contributo eccezionale che questo maestro dell'architettura ha dato al Movimento Moderno, è un incoraggiamento alla promozione, condivisione e tutela di un patrimonio complesso e fragile dell'architettura mondiale.

Elenco delle 17 opere:

Argentina: Maison du docteur Curutchet, La Plata

Belgio: Maison Guiette, Anvers

Francia: Cabanon de Roquebrune - Chapelle Notre Dame du Haut, Ronchamp Cité Frugès, Pessac Cité radieuse (o Unité d'Habitation), Marseille Couvent Sainte Marie de la Tourette, Evreux Maison de la culture, Firminy Immeuble locatif Molitor, Boulogne-Billancourt - Maisons La Roche et Jeanneret, Paris - Villa Savoye et loge du jardinier, Poissy - Manufacture, Saint-Dié des-Vosges

Germania: Maison de la Weissenhof-Seidlung, Stuttgart

Giappone: Musée National des Beaux-Arts de l’Occident, Taito-Ku

India: Complexe du Capitole, Chandigarh

Svizzera: Immeuble Clarté Ginevra - Petite villa au bord du Lac Léman, Corseaux  

Charles-Edouard Jeanneret nasce svizzero il 6 ottobre 1887 a La Chaux-de-Fonds e muore francese nel 1965 durante una nuotata al largo di Cap Martin. 

Impara il mestiere sul campo; non conseguirà mai un diploma. Nel 1912 costruisce la sua prima casa a La Chaux-de-Fonds. In tutto realizzerà un'ottantina di progetti, servendosi in modo pionieristico del calcestruzzo armato. Tra le opere più note: la villa Savoy a Possy (1932), l'unità abitativa di Marsiglia (1945-1952), la città di Chandigarh (1952) e la cappella di Ronchamp (1955). Le Corbusier (pseudonimo che adotta a Parigi nel 1920) è considerato uno dei maestri del Movimento Moderno.

Maison du docteur Curutchet

Maison du docteur Curutchet è una costruzione situata a La Plata. Si stratta di uno dei due edifici di Le Corbusier esistenti nel continente americano, l'altro è il Carpenter Center for the Visual Arts à Cambridge, Massachusetts.

La casa fu commissionata dal Dr. Pedro Curutchet nel 1948. I lavori iniziarono nel 1949 e terminarono nel 1953. E' considerata monumento storico nazionale dal 1987.

Maison Guiette, Anvers

Casa Guiette, è stata disegnata da Le Corbusier nel 1926 ed è considerata una delle sue opere meno conosciute.

Quest’opera architettonica non è in alcun modo valorizzata, sembra incredibile che Le Corbusier abbia costruito qui e che quasi nessuno ne sia a conoscenza. In mezzo a terra, pietre e macerie e a quello che pare un cantiere in corso si scorge questo edificio bianco, anzi precisamente un semplice parallelepipedo bianco. In mezzo a delle macerie. 

L'edificio, commissionato dal pittore Renè Guiette, fu costruita nel 1927.

L'abitazione è composta di tre piani, ed ha grandi vetrate nel fronte e nel retro, per dare maggiore luminosità allo studio del pittore. Casa Guiette venne inoltre restaurata nel 1985 da Georges Baines.

Cabanon de Roquebrune

Il Cabanon è una costruzione progettata da Le Corbusier nel 1951 e ubicata a Roquebrune-Cap-Martin, in Francia.

Le Corbusier progetta il Cabanon come regalo di compleanno per la moglie Yvonne e decide di collocarlo a Roquebrune - Cap-Martin, in Costa Azzurra, dove già abitava all'interno della casa E 1027, realizzata da Eileen Gray e Jean Badovici nel 1927: la peculiarità di tale proposta progettuale era costituita dalle sue dimensioni ridottissime. Trattasi invero di un capanno - traduzione dal francese del termine stesso «Cabanon» - dalle dimensioni in pianta di 3,66 x 3,66 metri e dall'altezza di 2,26 metri: queste dimensioni, studiate con estrema precisione secondo i dettami aurei e antropocentrici del Modulor, sono frutto anche della consapevolezza che a un «uomo nudo» in vacanza «non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del sole che risplende sul mare».

Il Cabanon, in effetti, si costituisce come un minimum architettonico irriducibile, insemplificabile, grande appena quattordici metri quadrati (come la cabina di un treno), dove ogni elemento è ridotto al massimo dell'essenzialità. Per ottenere una simile elementarietà nell'organizzazione spaziale di questa machine à habiter ciascun arredo spesso svolge una duplice funzione: il letto occulta i cassetti dell'armadio, il supporto del lavandino funge da elemento di separazione, uno sgabello è anche scala per il ripostiglio superiore, e così via. Una simile semplificazione coinvolge anche la distribuzione di questo microspazio, il quale si contrae in un corridoio d'entrata, un servizio e un vuoto unico centrale, suo fulcro distributivo, intorno al quale si dispongono in maniera centripeta le diverse zone funzionali (soggiorno, area pasti, servizi igienici ...) di questa "umile baracca". Persino gli infissi sono minimalizzati, con la presenza di sole due finestre, rivolte verso un'emergenza rocciosa e verso i litorali monacensi, e di due fessurazioni funzionali per un'aerazione ottimale degli interni. Il soffitto è infine realizzato con pannelli di quercia bianchi, rossi, verdi, gialli e blu.

Malgrado la manifesta semplicità, dunque, gli interni del Cabanon sono studiati con rigorosa diligenza, e rimandano nel loro complesso a un'ideale di calore, accoglienza, introversione ed essenzialità. Interessante è anche l'involucro esterno, composto da doghe di scorza di pino, il quale per la sua rustica selvaticità sarebbe quasi assimilabile a uno chalet montano, se non fosse armoniosamente connaturato nella rigogliosa vegetazione mediterranea circostante.

Chapelle Notre Dame du Haut

Notre-Dame du Haut è una cappella situata a Ronchamp, presso Belfort in Francia realizzata dall'architetto Le Corbusier, secondo i canoni dell'architettura brutalista (cfr. anche razionalismo). È considerata uno dei più celebri esempi di moderna architettura religiosa.

Progettata a partire dal 1950, la prima pietra venne posata il 4 aprile 1954 e la chiesa fu ultimata il 20 giugno 1955, benedetta il 25 giugno 1955, e consacrata l'11 settembre 2005.

La costruzione, situata sulla sommità di una montagna, è in calcestruzzo armato. È costituita da un'unica navata di forma irregolare. Nei lati della navata sono ricavate tre piccole cappelle indipendenti che terminano in tre campanili di forma semi cilindrica. La copertura della chiesa è realizzata con una gettata di calcestruzzo modellata come se si trattasse di una grande vela rovesciata.

Per aumentare il senso di leggerezza dell'insieme la copertura non appoggia direttamente sulle pareti, bensì su corti pilastrini affogati nella muratura delle medesime. In questo modo, osservando il soffitto dall'interno, si percepisce una lama di luce che penetra tra i muri e la vela in calcestruzzo, come se essa potesse quasi volar via da un momento all'altro.

La luce entra inoltre da decine di aperture delle più varie forme. Feritoie, finestre, vetrate e frangisole che determinano suggestivi effetti di luce valorizzati dal contrasto tra il bianco dell'intonaco ed il grigio sporco del cemento. Ardito ed interessante l'accostamento, proposto da Pierre Guéguen tra queste feritoie ed i tagli che Lucio Fontana iniziò a praticare pochi anni dopo nelle sue tele: "Rencontre de luminaristes en des arts differents". La chiesa è stata concepita per essere utilizzata anche all'esterno, dove, sotto l'ampio tetto, si trovano un altare e un pulpito. La costruzione può ospitare circa 200 persone.

"Ho voluto creare un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, di gioia interiore", disse Le Corbusier, il giorno dell'inaugurazione.

Cité Frugès, Pessac

Frutto dell'incontro fra un architetto urbanista audace, quel Charles-Eduard Jeanneret detto Le Corbusier e Henry Frugès, un industriale bordelese lungimirante, nasce, fra il 1924 e il 1926 la Cité Frugès a Pessac che all'epoca rappresenta una vera rivoluzione sia sul piano dell'habitat sociale che su quello dell'architettura. Le Corbusier ha finalmente l'occasione di passare dalla teoria alla pratica, di applicare i suoi principi costruttivi base, di sperimentare la produzione in serie e il prefabbricato, la sua "filosofia del vivere" che rispetta l'uomo e le sue esigenze non resterà più solo sulla carta. Da parte loro gli abitanti godranno di ben 75 metri quadri di appartamento, di comodità moderne inimmaginabili all'epoca persino nelle ricche case borghesi di Bordeaux come ripostiglio-lavanderia, stanza da bagno con doccia, riscaldamento centralizzato, garage o tetti- terrazza, luminosi spazi individuali e collettivi per i diversi momenti del vivere quotidiano. 

Cinque tipologie di case, "la maison Gratte-Ciel", "la maison Arcade", "la maison Jumelle", "la maison Zig-Zag" e "la maison Quinconce", come un gioco del lego con i pezzi rispondenti a caratteristiche comuni che vengono assemblati ogni volta diversamente e la policromia quale protagonista. Il colore è un fattore determinante nella composizione della Cité Frugès, giochi cromatici non solo sulle pareti all'interno, ma anche negli esterni. 

Previste inizialmente bianche, strada facendo ci si accorgerà che il colore ha il potere di valorizzare gli elementi architettonici, da la sensazione di uniformità a certi gruppe di case o viceversa può creare alternanze, variazioni fra le diverse costruzioni.

Presso gli abitanti c'è la consapevolezza di vivere in un luogo particolare che rappresenta una pagina di storia dell'architettura moderna del XX° secolo e la volontà di procedere alla salvaguardia delle unità nel rispetto dei piani originali anche se la ristrutturazione è molto più lunga e costosa se paragonata a una casa comune, vige infatti una severa normativa rispetto questa Zona di Protezione del Patrimonio Architettonico.

Cité Radieuse (o Unité d'Habitation)

L'Unité d'Habitation de Marseille, conosciuta anche come Cité Radieuse, è un edificio civile di Marsiglia, progettato dall'architetto svizzero Le Corbusier.

L'edificio è il primo dei cinque analoghi realizzati in Europa e rappresenta una delle realizzazioni pratiche delle teorie ideate dal celebre architetto circa il nuovo concetto di costruire la città, nonché uno dei punti di arrivo fondamentali del Movimento Moderno nel concepire l'architettura e l'urbanistica.

Nel 1946, in un tragico scenario di devastazione e macerie, le varie nazioni europee, sopravvissute alla seconda guerra mondiale, avviarono ognuna dei grandi progetti di ricostruzione. In Francia il ministro dell'Urbanistica e della Ricostruzione Raoul Dautry interpellò, tra gli altri, il celebre architetto avanguardista Le Corbusier, che ebbe così l'opportunità di mettere in pratica i suoi innovativi studi sui princìpi funzionali volti ad un nuovo modo di concepire lo spazio abitativo collettivo.

L'idea dell'Unité d'Habitation, infatti, veniva coltivata da Le Corbusier seppur in forma estremamente embrionale sin dal lontano 1907, quando egli fu in visita alla certosa di Ema, presso Firenze. Questa struttura lo colpì non sotto il profilo estetico, o formale, bensì per il suo efficacissimo motore distributivo, perfettamente in grado di coniugare la vita individuale con quella collettiva. In questo complesso monastico, infatti, la vita privata dei frati era tutelata da ogni promiscuità grazie alla presenza di celle che garantivano un isolatento pressoché totale: al contempo, tuttavia, la vita collettiva era assai sentita. «A partire da questo momento mi è apparso il binomio: individuo e collettivo, binomio indissolubile» avrebbe scritto l'architetto, folgorato dalla sinergia che nella certosa di Ema si veniva a creare fra queste due sfere, apparentemente inconciliabili.

Pur suscitando accesi dibattiti o violente stroncature, i suoi progetti si rivelarono apprezzabili e con intuizioni all'avanguardia per i tempi, anticipando molte delle più diffuse concezioni architettoniche contemporanee. Inutile rimarcare che, se queste varie idee progettuali erano sino a quel momento rimaste sulla carta, ora con l'occasione marsigliese era necessario concretarle. Per questo motivo Le Corbusier decise di istituire l'Ascoral, Assembée de Constructeurs pour une Rénovation Architecturale, nella prospettiva di avviare un'intensa ricerca teorica - sfociata poi con l'ideazione del Modulor - e di stabilire una feconda e solidale collaborazione tra architetti e ingegneri, in maniera perfettamente antitetica al sentire comune del tempo, per il quale questa dicotomia era insolubile: sotto questi auspici creò l'Atbat, Atelier de Bâtisseurs, un gruppo omogeneo di collaboratori tra architetti e ingegneri coordinati dall'ingegnere Vladimir Bodiansky.

Fu così che nel 1947 il progetto prese il via. Stabilito il luogo propedeutico all'edificazione della prima Unité d'Habitation - boulevard Michelet, a Marsiglia - vennero eseguiti più di mille disegni, sotto la tenace tutela di Le Corbusier, che non si lasciò affatto scoraggiare dalle innumerevoli difficoltà che lo ostacolavano (le formalità con l'amministrazione furono estenuanti, così come le ininterrotte critiche dei detrattori). Dopo cinque anni di intenso lavoro, nel 1952, la costruzione poté finalmente dirsi ultimata e l'Unité d'Habitation di Marsiglia venne solennemente inaugurata: da quell'anno in poi complessi edilizi analoghi vennero realizzati a Nantes per una cooperativa privata (1953-555), a Berlino sotto la spinta dell'Interbau (1957), a Briey (1961) e infine a Firminy (1967). Diventata, nonostante le iniziali incomprensioni, ambita residenza di esponenti del ceto borghese medio-alto, professionisti e intellettuali del capoluogo francese, l'Unité d'Habitation è stata nominata il 12 ottobre 1995 «Monument historique» ed è luogo di visita di numerosi turisti, scolaresche e studiosi d'architettura ogni anno.

Secondo il pensiero di Le Corbusier non esisteva una sostanziale distinzione tra l'urbanistica e l'architettura, arti che tentò di ricondurre a unità con una demiurgica opera di ricucitura. La sua attenzione era principalmente rivolta a studiare un sistema di relazioni che, partendo dalla singola unità abitativa intesa come cellula di un insieme, si estendeva all'edificio, al quartiere e all'intero ambiente costruito.

L'Unité d'Habitation è la magistrale sintesi di questa teoria e racchiude in sé tutti i princìpi architettonici da lui ideati, divenendo la somma delle funzioni prettamente domestiche coniugate a quelle urbanistiche. Essa venne quindi concepita come una vera e propria «città verticale» caratterizzata da spazi individuali inseriti in un ampio contesto di aree comuni; questo equilibrio fu supportato dall'impiego delle più moderne tecniche progettuali e costruttive già scoperte in precedenza dal Razionalismo e dall'esperienza del Bauhaus.

L'edificio rappresenta quindi una sorta di contenitore che racchiude in esso uno spazio urbano, trascendendo la funzione meramente abitativa di un semplice condominio e concependo l'edificio come una sorta di «macchina per abitare» per un elevato numero di persone. Secondo i principi di Le Corbusier, l'attuazione di questa teoria porterebbe al salto dimensionale tra il singolo edificio e la città, cosicché il primo divenga un sottomultiplo della seconda.  

Attraverso un accurato studio delle piante Le Corbusier, con la sua Unité d'Habitation, riesce a proporre un modello architettonico in grado di armonizzare la vita individuale, familiare e collettiva. Se la proliferazione di case isolate aveva dato vita a un elevato consumo di suolo agricolo e naturale e ad altri fenomeni energivori e poco sani, come quelli dello sprawl e della città diffusa, Le Corbusier con l'Unité d'Habitation intende dare vita a un unico organismo polifunzionale complesso che, pur preservando una densità abitativa elevata, riesce a costituirsi come un'alternativa alla colata di cemento delle villette unifamiliari riuscendo a destinare la parte restante del terreno a verde.

Partendo da queste premesse, si pone il problema di gestire con cautela la concrezione abitativa che si viene così a generare. Le Corbusier, come già accennato, risolve in maniera geniale questa problematica, a partire sin dalle piante dei singoli alloggi: l'architetto, infatti, ripudia l'architettura così come tradizionalmente concepita - in maniera scatolare, come mera giustapposizione di stanze, e perciò tendente a frantumare l'unità familiare e a generare disgregazione - e approda a un impianto distributivo che da un lato stimola i momenti di riunione, ma dall'altro assicura spazi individuali dove il singolo utente può isolarsi in maniera tranquilla.

Aumentando di scala, Le Corbusier si rende conto di come sia necessario anche salvaguardare il nucleo famigliare dalle ingerenze esterne, evitando per quanto più possibile promiscuità - sia fisica ma anche morale - con le famiglie adiacenti. La lottizzazione delle case isolate si rivelava carente in tal senso, in quanto le singole unità abitative erano separate tra di loro solo da sottili strisce di terreno, di dimensioni modestissime, che non garantivano una sufficiente protezione visiva e acustica tra i vari nuclei famigliari.

Memore della lezione dei certosini di Ema, tuttavia, Le Corbusier è consapevole che tutelare l'individualità familiare non significa necessariamente rinunciare a una vita collettiva intensa: essendo l'uomo un animale per natura sociale, esso tende per natura ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società, e per questo - pur avendo il diritto di realizzarsi privatamente, in seno alla famiglia, nella propria vita individuale - deve anche riconoscersi in una dimensione culturale collettiva. Partendo da quest'esigenza Le Corbusier integra gli alloggi, di per sé isolati come si è visto, in una collettività, nel segno di un'equilibrata riconciliazione tra famiglia e società: per ricucire queste due sfere antropologiche egli prevede esternamente agli alloggi, concependoli come veri e propri «prolungamenti», una dotazione di servizi extraresidenziali - asili nido, palestre, supermercati - a diretto beneficio di tutti gli abitanti.

Localmente noto come «maison du fada» il complesso residenziale si estende su un'area di circa 3.500 metri quadrati e misura 137 metri di lunghezza per 24 metri di larghezza e può contenere più di 1.500 abitanti.

L'edificio si sviluppa su diciotto piani, per un'altezza complessiva di 56 metri: osservando il basamento si può notare l'adozione di grandi e massicci pilastri di forma tronco-conica che, sorreggendo tutto il corpo di fabbrica, sostituiscono i setti portanti. Inoltre, la loro funzione strutturale separa volutamente l'edificio dal suolo e, soprattutto, elimina definitivamente la presenza di abitazioni penalizzate dall'oscurità e dall'umidità derivanti dalla collocazione a terra.

L'arretramento degli stessi pilastri rispetto al filo dei solai consente, inoltre, il libero sviluppo della facciata con l'impiego di ampie finestrature a «nastro» lungo le pareti perimetrali a tutto vantaggio di un ottimale livello di illuminazione interna, uno degli aspetti fondamentali dell'opera di Le Corbusier. I prospetti delle facciate sono invece scandite da ripetuti moduli rettangolari costantemente caratterizzati dalla presenza del colore in netto contrasto con l'uniformità cromatica del cemento armato che caratterizza l'intera struttura: «parallelepipedo imponente che, rinnegando il gusto della superficie levigata, esalta il béton brut, il cemento roccioso colato in casseforme di legno grezzo, la materia scabra su cui è impressa la sigla del Modulor» ricorda il critico Bruno Zevi.  

Come è noto l'edificio ospita anche aree dedicate a servizi solitamente dislocati nel contesto urbano circostante: tuttavia, la commistione di spazi comuni, zone commerciali e aree residenziali è organizzata con razionalità, pur senza tralasciare la funzionalità.

Al settimo e ottavo piano, un ampio corridoio interno, che percorre longitudinalmente la struttura come una sorta di strada, consente l'accesso ai principali servizi utili alla collettività: una lavanderia, un supermercato, un albergo con ventuno camere, una biblioteca e poi svariati negozi, ristoranti e uffici. Come per l'esterno, gli interni dell'edificio sono costantemente caratterizzati dalla presenza del colore, utilizzato come elemento di arredo. Al di sopra e al di sotto del settore centrale dedicato ai servizi vi è la parte residenziale dell'edificio, composta da una successione di 337 appartamenti disposti trasversalmente rispetto allo sviluppo dell'edificio.

Uno degli aspetti più rivoluzionari fu la nuova concezione della singola cellula abitativa, non più contraddistinta dal contesto sociale di chi lo abita; analizzando la planimetria degli appartamenti è interessante notare come Le Corbusier abbia concepito delle unità abitative tutte uguali e di dimensioni medio-grandi, quasi fossero oggetti da assemblare in serie. Ciascuna di esse è del tipo duplex, ovvero disposta su due livelli diversi collegati da una scala interna; gli ingressi sono disposti lungo ampi corridoi interni dalle coloratissime pareti situati ogni due piani che, nella logica progettuale di Le Corbusier, rappresentano le strade del complesso residenziale.

L'architetto concepì questi spazi abitativi applicando il proprio sistema denominato Modulor, ovvero «una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all'architettura e alle cose meccaniche». Una rappresentazione del Modulor è raffigurata su una parete dei locali presenti sul tetto dell'edificio. L'ennesima innovazione è rappresentata infine anche dal tetto abitabile, noto anche come «tetto giardino», secondo i celeberrimi Cinque Punti.

Analogamente a quanto accade nei grattacieli, grazie all'impiego del calcestruzzo armato, esso può diventare un vasto giardino pensile o essere adibito a funzioni complementari e ricreative utili alla collettività. Esso ospita infatti svariati locali ad uso comune come la palestra, una piccola piscina, l'asilo nido, un solarium, un auditorium all'aperto e un percorso ginnico di circa trecento metri per l'attività sportiva.

Couvent Sainte Marie de la Tourette, Evreux

Il convento di Santa Maria de La Tourette è un edificio religioso appartenente all'Ordine domenicano, progettato da Le Corbusier e situato nel comune di Éveux situato nella zona di L'Arbresle nei pressi di Lione e non nel territorio di La Tourette.

Su invito del padre Couturier dell'Ordine domenicano, Le Corbusier sviluppa un progetto che unisse i principi religiosi dell'Ordine e le idee costruttive dell'architetto. Le Corbusier ha collaborato con il suo socio Andre Wogenscky, mentre assieme al progettista greco Iannis Xenakis ha studiato soluzioni armoniche per le vetrate sia orizzontalmente sia verticalmente. Il cantiere inizia nel 1956, pur avendo dei problemi economici, viene consacrato nell'ottobre 1960. Grazie a due mecenati, il convento viene chiuso per lavori per 4 anni su 3 delle 4 ali, nel 2010 viene riaperto per ospitare monaci e per visite guidate. Nel 2011 iniziano i lavori di restauro della chiesa e della sagrestia.

Il complesso conventuale comprende una chiesa, un chiostro, una sala capitolare, aule, biblioteca, sala da pranzo, varie sale, cucine e un centinaio di singole celle. È costruito in una valle in forte discesa circondata da foreste e da pianura; per dare un aspetto meno massiccio alla struttura si è scelto di appoggiare la massa del convento su pilastri di varia altezza data la pendenza del terreno. Al suo interno vi sono cento celle per i monaci. Ancora sotto si trovano le sale studio, più in basso i refettori e infine, a contatto con il suolo, le cucine. Nelle zone adiacenti si trovano la chiesa e la sagrestia. È presente un cortile interno collegato direttamente con l'esterno.

Il terreno del convento si trova a lato di una strada di crinale che degrada verso valle; Le Corbusier sfrutta la pendenza del terreno per meglio organizzare la distribuzione funzionale. L'impianto utilizzato è molto formale, difatti non è facilmente riconoscibile come convento; l'edificio è definibile come appartenente al brutalismo, il calcestruzzo è presente ovunque, non sono presenti delle modanature e nessun elemento decorativo, in linea con i principi di povertà e semplicità dell'Ordine. Gli elementi sono articolati con l'angolo retto, inoltre le aperture sono studiate per essere a nastro andando ad occupare spesso la maggior parte della parete.

L'edificio è pensato principalmente per il rapporto che chi è all'interno ha verso l'esterno e non l'impatto paesaggistico che ha l'edificio con il contesto, questo i frati appartenenti all'Ordine dei Frati Predicatori devono avere un'alta istruzione, ed il convento è il posto dove questa preparazione avviene.

Nella sagrestia e nell'altare della chiesa è stato studiato principalmente il rapporto con la luce, sono stati inseriti dei "cannoni" di luce, finestre appositamente modellate per poter avere alle diverse ore del giorno diversi comportamenti interni della luce. Nella navata della chiesa sono presenti due finestre, una posizionata nel centro della navata mentre una posta alla sommità della parete opposta all'altare; questo gioco di luci da un diverso effetto interno durante le diverse ore del giorno.

Le Corbusier fa variare l'altezza tra il pavimento ed il soffitto a seconda dell'importanza dell'ambiente, la chiesa ha l'altezza maggiore e il corridoi con il quale vi si accede cambia di altezza mentre lo si percorre, per significare il fatto che si entra in un ambiente importante. L'ambiente d'entrata ha un'altezza bassa, ma mentre ci si avvicina al centro dell'edificio i solai cambiano d'altezza.

Maison de la culture

Simbolo dell'architettura moderna, Le Corbusier costruisce a Firminy (a 10 km da Saint-Etienne) 4 edifici: la Maison de la Culture - La casa della Cultura, le Stadio, l’unité d’Habitation et la Chiesa.

Il sito Le Corbusier di Firminy, il più grande complesso europeo ideato dall'architetto visionario, rientra ormai tra i monumenti classificati Patrimonio mondiale dell'umanità. Tale classificazione conferma l'importanza di quest'opera come modello imprescindibile, sia sul piano teorico che sul piano artistico, dell'architettura del XX e XXI secolo.

La Maison de la Culture di Firminy è entrata a far parte persino della rete internazionale dei siti riconosciuti dall'ONU come Città Creative Design, proprio come è successo per la città di Saint-Étienne già Patrimonio dell'UNESCO.

La Maison de la Culture è il primo edificio costruito dall'architetto, tra il 1961 e il 1965, nel nuovo quartiere di Firminy-Vert. Le sue sale d'esposizione vi mostreranno la storia del quartiere di Firminy-Vert e delle opere di Le Corbusier negli anni 60.

La sua architettura contribuisce al rinnovamento delle forme e della concezione spaziale del movimento moderno: la sua conformazione rivela l'avanguardismo dell'architettura, in particolare nel modo di utilizzare le nuove tecniche, nella sperimentazione di materiali.

Proprio a questo titolo La Maison de la Culture è uno dei gioielli imperdibili della Creazione di Le Corbusier… Un luogo unico nel dipartimento della Loira... Un luogo di straordinaria fama al servizio del territorio di Saint-Etienne e di tutta la regione Alvernia Rodano-Alpi.

Immeuble locatif Molitor

L'Immeuble Molitor è un edificio di Parigi situato in rue Nungesser et Coli 24 (XVI arrondissement), opera di Le Corbusier, che all'ultimo piano aveva il suo atelier per la pittura personale e un'abitazione dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.

L'abitazione è oggi aperta al pubblico e fa parte degli edifici parigini del grande architetto gestiti dalla Fondazione Le Corbusier.

Fu progettato nel 1931 e concluso nel 1934 da Le Corbusier e Pierre Jeanneret. L'edificio, in una posizione panoramica tra il Parco dei Principi e il Bois de Boulogne, venne scelto da Le Corbusier per la propria abitazione, creando all'ultimo piano ed alla terrazza sul tetto "il miglior appartamento dell'intero edificio", complessivamente ampio circa 240 metri quadrati. 

Il sistema delle volte permise la creazione di ampi spazi, senza il ricorso a supporti intermedi e creando vari ambienti funzionali che sono un tutt'uno, senza i tradizionali mezzi di separazione. Le porte ad esempio sono veri e propri mobili ruotanti, che permettevano di isolare in maniera invisibile per il visitatore i due nuclei principali dell'appartamento: lo studio di pittura e la parte abitativa vera e propria.

Lo studio è diviso in tre ambienti principali:

La grande sala per dipingere, con ampie finestre, pareti lisce e con una predominanza del colore bianco, anche nel pavimento. La volta misura circa 3x12 metri, con un'altezza di 3,50 m; la grande parete di fondo è composta da pietre e mattoni a vista.

L'angolo con la scrivania e lo scrittoio, affacciato sul panorama

Il ripostiglio e la camera di servizio.

Grande importanza rivestiva la luce, che Le Corbusier cercò di far entrare da ogni lato, ricreando artificialmente la situazione di un'abitazione sul Mediterraneo. Pannelli di legno servivano per controllare le aperture e impedire una luce troppo abbagliante, soprattutto al mattino.

La parte dell'appartamento è composta da un cucinotto, disegnato da Charlotte Perriand, in legno scuro Okume dipinto grigio chiaro e acquaio in peltro. La camera da letto ha un altissimo letto, così composto affinché si potesse vedere il Bois de Boulogne dalla finestra. Molto originale è il bagno, ricavato in un ambiente di per sé molto angusto, con pareti non ortogonali. All'ultimo piano, raggiungibile da una scala a chiocciola senza ringhiera, si trova una gabbia di vetro e muratura dalla quale si accede alla terrazza superiore.

Quasi tutto il mobilio presente è originale, mentre non ci sono più le opere d'arte create da Le Corbusier o da lui possedute.

L'appartamento è stato dichiarato come "Listed Building" nel 1972 e confermato nel 1990.  

Maisons La Roche et Jeanneret

La maison La Roche-Jeanneret è una doppia villetta costruita da Le Corbusier nel 1924, ubicata presso i numeri 8-10 della rue Doctor Blanche, a Parigi.

Il progetto risale al 1923, quando Raoul La Roche commissionò all'architetto elvetico una casa dove potesse anche essere esposta la sua galleria d'arte. Il lotto, molto stretto e penalizzato da numerosi vincoli, oltre che da un orientamento eliotermico assolutamente sfavorevole, lambiva la rue du Docteur Blanche, a Parigi, in un quartiere borghese - Auteuil - che, pur essendo stato inglobato nei processi di urbanizzazione, preservava un'atmosfera villaggesca: quello che poteva benissimo prospettarsi come una mortificante operazione di speculazione immobiliare, tuttavia, viene trasformato da Le Corbusier in un pregevole intervento architettonico in grado di captare le suggestioni provenienti dalle sperimentazioni neoplastiche di Theo van Doesburg e Cornelis van Eesteren, «architetti del gruppo De Stijl», e di segnare un nuovo punto di partenza nella sua maturazione architettonica.

Il complesso La Roche-Jeanneret è costituito da due abitazioni distinte, contigue, ma indissociabili: la prima, maison Jeanneret, venne costruita in collaborazione con l'architetto Pierre Jeanneret nel 1925, mentre la seconda fu destinata a monsieur Raoul La Roche, economista benestante e colto collezionista di arte moderna (alla sua collezione appartenevano tele di Picasso, Braque, Lèger, Gris, Lipchitz e dello stesso Le Corbusier, noto pittore di matrice purista). Dal cancello d'ingresso si dipana un sentiero in pendenza che, addentrandosi in profondità nel lotto, consente l'accesso ad ambedue le abitazioni, volumi netti, candidi, dalle notevoli qualità plastiche. Maison La Roche, in particolare, è particolarmente interessante dal punto di vista planimetrico in quanto dissocia completamente l'area funzionale all'abitare in senso stretto a quella destinata alla fruizione delle varie opere d'arte: in questo modo si scindono in maniera efficace la parte pubblica della casa da quella privata, in modo tale da evitare ogni conflittualità, ma si salda al contempo un legame indissolubile tra la pittura e l'architettura, due universi che presentano forti compenetrazioni, anche nella biografia di Le Corbusier.  

Entrando nell'abitazione si ha innanzitutto accesso a una hall a tripla altezza, priva di affacci diretti verso l'esterno ma irrorata in maniera costante ma delicata della luce proveniente dagli ambienti contigui: da questo spazio, vero e proprio fulcro dell'intero sistema architettonico, si innesta una scala nera che dà accesso alla galleria delle opere d'arte, caratterizzata da uno sviluppo orizzontale preminente, enfatizzato dalla rettilineità delle pareti (atta proprio per appendervi i quadri). La galleria, a sua volta, è connessa alla soprastante biblioteca mediante una rampa di risalita, strumento di cui Le Corbusier si serve per superare agevolmente il dislivello presente tra i vari piani senza per questo sacrificare la continuità dei relativi ambienti: si tratta di una sperimentazione primitiva della cosiddetta promenade architecturale («passeggiata architettonica»), la quale verrà poi perferzionata nelle successive villa Stein e villa Savoye.  

La rampa, in ogni caso, consente l'accesso al piano più alto della casa, dove - come già accennato - è collocata la biblioteca, luogo di studio e di contemplazione prediletto da monsieur La Roche che qui poteva rifugiarsi, assorgersi nella lettura dei suoi amati libri e dominare con lo sguardo il resto degli ambienti della casa, senza per questo essere visto. Tra gli altri ambienti della casa troviamo per l'appunto la cucina, il garage e la camera del guardiano, disposti al piano terra, la sala da pranzo (dove le lampadine «denudate» denunciano la volontà di Le Corbusier di sopprimere ogni ornamentazione superflua), la chambre puriste (camera da letto dall'arredo minimalista) e il toit-terrasse.  

Villa Savoye et loge du jardinier

Villa Savoye è una residenza privata progettata da Le Corbusier e da Pierre Jeanneret, costruita tra il 1928 e il 1931 su commissione di Pierre Savoye. Si tratta del manifesto più conosciuto del movimento moderno e in particolare del cubismo architettonico.

Pierre Savoye, broker assicurativo, socio del gruppo Gras-Savoye, marito di Emilie Savoye e padre di Roger Savoye, nel 1928 commissionò a Charles-Eduard Jeanneret (noto come Le Corbusier) e Pierre Jeanneret il progetto di una residenza dove trascorrere i fine settimana con la famiglia. La costruzione iniziò nel febbraio del 1929 e l'abitazione venne conclusa nel 1931 con l'aggiunta del sistema di riscaldamento, diventando così la residenza secondaria dei Savoye. L'iter progettuale e costruttivo, come di consueto in Le Corbusier, fu abbastanza tortuoso, in quanto il preventivo iniziale di 785.060 franchi si rivelò sin da subito essere troppo esoso.

Le diffocoltà e le tensioni sorte in fase progettuale, tuttavia, permasero anche una volta terminata la costruzione di villa Savoye, che iniziò ben presto ad accusare difetti tecnici nefasti. Quando la famiglia iniziò ad abitare per brevi periodi la casa, soprattutto d'autunno, nacquero infatti diverse difficoltà, dovute alle infiltrazioni dal soffitto, agli spifferi causati dallo scarso isolamento delle grandi finestre e ai rumori dovuti al tremolio dei vetri dei lucernari, oltre che dalla formazione di condensa, dovuta all'eccessiva umidità e all'insufficienza tecnica dell'impianto di riscaldamento. Da alcune lettere di Madame Savoye a Le Corbusier si colgono chiare lamentele al riguardo («[il ticchettio della pioggia] è infernale e non ci lascia dormire» o, in un'altra lettera: «Piove nell'atrio, piove sulla rampa e il muro del garage è completamente impregnato d'acqua. Quel che è peggio, continua a piovere nella mia stanza da bagno, che resta allagata ogni volta che fa mal tempo»). I Savoye continuarono ad abitare la casa fino al 1940.

Dopo l'abbandono dell'abitazione da parte dei Savoye quest'ultima iniziò a essere afflita da un'inarrestabile serie di deterioramenti e degradi. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi e in seguito gli alleati occuparono l'edificio, che subì notevoli danni; i primi addirittura stabilirono i loro depositi per il fieno all'interno dell'abitazione. Nel 1958 la città di Poissy espropriò gli otto ettari di terreno appartenenti alla famiglia Savoye, utilizzandone una parte, non occupata dalla casa lecorbusierana ormai abbandonata, per costruire un liceo. Dovettero intervenire Le Corbusier e altri architetti per impedire la demolizione di casa Savoye negli anni successivi, fino a quando lo stato francese, nel 1963, acquisì la proprietà dal municipio e provò a recuperarla con un primo tentativo firmato dall'architetto Jean Debuisson.

Nel 1965 la Maison Savoye, quando Le Corbusier era ancora in vita, fu inserita nella lista dei monumenti storici francesi in virtù del suo valore architettonico. Nel 1985 ebbe invece inizio un secondo restauro diretto dall'architetto Jean-Louis Veret che terminò nel 1997 e vide una ripresa del calcestruzzo ormai deteriorato dal tempo, l'installazione di un nuovo sistema d'illuminazione, l'impianto di una serie di telecamere di sorveglianza e il ripristino di diversi infissi e arredi interni.

La Villa Savoye nasce da una maglia strutturale di base rettangolare formata da elementi verticali cilindrici (pilotis) posti ad un ritmo perimetrale di 4,75 metri l'uno dall'altro e disposti verso l'interno quasi simmetricamente secondo uno schema che favorisce il percorso di un'automobile e consenta l'appoggio delle chiusure orizzontali principali. Tutti gli elementi principali, dalle fondamenta ai pilastri ai solai, sono in cemento armato. Di particolare interesse risultano le facciate della villa Savoye, brano architettonico tra i più riusciti del cubismo architettonico: se l'edilizia tradizionale, infatti, concepiva un edificio in termini di facciata principale, prospetti laterali e retro, Le Corbusier svuota tale prassi di qualsiasi significato, rendendo quasi identiche le facciate.

Partendo dal basso si ha un portico coperto, scandito dall'arioso succedersi dei pilotis, e il piano terra, dove troviamo la hall di ingresso, il garage per le automobili, un piccolo alloggio riservato all'autista e alla cameriera, l'appartamento per gli ospiti e i servizi di lavanderia. L'automobile, per la sua formidabile perfezione tecnico-industriale, era particolarmente ammirata da Le Corbusier, il quale la considerava paradigmatica dello sviluppo tecnologico del XX secolo: per questo motivo, una volta giunto a villa Savoye con la propria autovettura, il visitatore può quasi ritualisticamente entrare nell'abitazione dal garage mediante la porta d’ingresso in metallo collocata nel vestibolo del piano terra. La stessa villa rimane influenzata dalle dinamiche motorie dell'automobile, presentando al piano terra dove vi è l’ingresso una vetrata industriale il cui arco curvo, dalla notevole sensazione di movimento, è determinato proprio dal raggio di sterzata di un'autovettura.

Il vestibolo denuncia chiaramente i due elementi di distribuzione verticale che caratterizzano la villa Savoye: la rampa, posta in lieve pendenza, e le scale a chiocciola. La prima, che con la sua dolce inclinazione attraversa e unisce tutti gli ambienti dell'abitazione, garantisce al visitatore un'esperienza spaziale fluente, continua, dando vita se percorsa a una vera e propria «passeggiata architettonica», promenade architecturale, che «offre costantemente aspetti vari e inattesi, a volte addirittura stupefacenti».

La rampa, insomma, rende l'ascesa verticale dell'edificio quasi impercettibile, a differenza della scala, dove i cambiamenti di quota sono decisamente più sentiti. Quest'ultima, torcendosi come una spirale elicoidale, è uno degli archetipi fondamentali dell'architettura di Le Corbusier ed è protetta da un parapetto, anch'esso in cemento armato.

La rampa, dunque, prima di proseguire la sua corsa verso la terrazza, emerge presso il primo piano. Quest'ultimo, come un heures claires (una scatola sospesa), così chiamato dai cugini Savoye, è un prisma monocolore stereometricamente ben definito, dalla radicale elementarità, avvolto da superfici candide, diafane, e spezzato longitudinalmente dai vuoti delle finestre che, configurandosi come «nastri continui, vitrei e panoramici» (Zevi), incidono a metà ogni prospetto e incentivano l'interazione tra esterno e interno.

Il parallelepipedo puro, monoprismatico del primo piano, infatti, comprende gli spazi più formali e pubblici: la zona giorno (soggiorno, cucina, salottino), la zona notte (camera degli ospiti, camera del figlio e camera dei genitori) e i servizi (bagno piccolo e bagno grande), e un giardino pensile. La camera da letto padronale ha dimensioni notevoli, ma non eccessive (in linea con la destinazione d'uso di villa Savoye, non dimora stabile, bensì rifugio per i fine settimana estivi), ed è comunicante sia con l'esterno - con l'adozione di fenêtre en longueur - che con il bagno contiguo, dal quale risulta separato solo per mezzo di un'esigua tenda-membrana, la quale non raggiunge neanche il soffitto, a ribadire la continuità vigente tra questi due ambienti. Notevoli, nel bagno, il rivestimento con tasselli ceramici smaltati di azzurro, funzionali per il raggiungimento di un'igiene ottimale, e la presenza di una carnale chaise longue, progettata dallo stesso Le Corbusier. La cucina, delimitata da armadi a muro con ante scorrevoli in alluminio, è estremamente compatta, a differenza del soggiorno, che si presenta come l'ambiente più ampio dell'abitazione: è scarsamente arredato e si arricchisce non tanto della mobilia, quanto della visuale sul panorama circostante offerta dalle finestre a nastro, oltre che da un caminetto centrale che conferisce all'intero spazio un carattere intimo, conviviale.

Il piano superiore o terrazzo è il coronamento dell'edificio oltreché la conclusione del percorso della promenade architecturale, senza alcuna barriera architettonica, che parte dal piano terra dove si trova il garage, motore e idea del luogo abitativo, fino a sbarcare tramite una rampa sul solarium, come sul ponte di una nave.

Sulla copertura, infatti, le fantasticherie nautiche di Le Corbusier si fanno più vivide, grazie all'impiego di balaustre di tipo navale in tubolare di acciaio tinto bianco e alla presenza del vano-ciminiera dalla curiosa forma imbutiforme in cui è alloggiata la scala. La rigorosa disciplina formale cui era sottoposto il prisma del primo piano, inoltre, qui si attenua con l'azione dinamica di volumi basati su archi di cerchio ed ellittici, i quali operando una «danza di sagome ondulate» (Zevi) richiamano esplicitamente la rotondità di alcuni dipinti puristi (come La dame au chat et à la théière) e sembrano anticipare la futura tensione plastica delle tarde opere lecorbusierane, come la cappella di Ronchamp.

Il toit-terrasse (o terrazzo giardino) qui presente grazie ai solai in calcestruzzo armato non pesa sulla struttura sottostante, ma anzi funge da coibente e garantisce agli ambienti del primo piano, una maggiore frescura d'estate e un buon isolamento d'inverno. Il terrazzo ospita oltre ad un giardino coltivabile anche un solarium protetto da una parete tagliavento che riprende la forma delle curve al piano terra.  

Manufacture, Saint-Dié des-Vosges

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