Nel
corso della riunione annuale del World
Heritage Committee dell'UNESCO svoltosi ad Istanbul il
17 luglio 2016, è stato annunciato che 17
opere architettoniche e urbanistiche, progettate dall'architetto Le
Corbusier, sono state iscritte nella Lista
del Patrimonio Mondiale dell'Umanità.
Il
risultato è frutto di un intenso lavoro collettivo che ha coinvolto
oltre alla Fondazione
Le Corbusier, i sette paesi partner dove sono
dislocate le opere (Argentina, Belgio, India, Giappone, Svizzera,
Francia), le autorità locali, i professionisti coinvolti nel progetto,
gli utenti e i residenti degli edifici, tra le 17 opere sono presenti
infatti anche abitazioni private.
Il
riconoscimento dell'UNESCO, attestando il contributo eccezionale che
questo maestro dell'architettura ha dato
al Movimento Moderno, è un incoraggiamento alla promozione,
condivisione e tutela di un
patrimonio complesso e fragile dell'architettura
mondiale.
Elenco
delle 17 opere:
Argentina: Maison
du docteur Curutchet, La Plata
Belgio: Maison
Guiette, Anvers
Francia: Cabanon
de Roquebrune - Chapelle Notre Dame du Haut, Ronchamp - Cité
Frugès, Pessac - Cité
radieuse (o Unité d'Habitation), Marseille - Couvent
Sainte Marie de la Tourette, Evreux - Maison
de la culture, Firminy - Immeuble
locatif Molitor, Boulogne-Billancourt - Maisons La Roche et Jeanneret,
Paris - Villa Savoye et loge du jardinier, Poissy - Manufacture,
Saint-Dié des-Vosges
Germania: Maison
de la Weissenhof-Seidlung, Stuttgart
Giappone: Musée
National des Beaux-Arts de l’Occident, Taito-Ku
India: Complexe
du Capitole, Chandigarh
Svizzera: Immeuble
Clarté Ginevra - Petite villa au bord du Lac Léman, Corseaux
Charles-Edouard
Jeanneret nasce svizzero il 6 ottobre 1887 a La Chaux-de-Fonds e muore
francese nel 1965 durante una nuotata al largo di Cap Martin.
Impara
il mestiere sul campo; non conseguirà mai un diploma. Nel 1912
costruisce la sua prima casa a La Chaux-de-Fonds. In tutto realizzerà
un'ottantina di progetti, servendosi in modo pionieristico del
calcestruzzo armato. Tra le opere più note: la villa Savoy a Possy
(1932), l'unità abitativa di Marsiglia (1945-1952), la città di
Chandigarh (1952) e la cappella di Ronchamp (1955). Le Corbusier
(pseudonimo che adotta a Parigi nel 1920) è considerato uno dei maestri
del Movimento Moderno.
Maison
du docteur Curutchet
Maison
du docteur Curutchet è una costruzione situata a La Plata.
Si stratta di uno dei due edifici di Le Corbusier esistenti nel
continente americano, l'altro è il Carpenter Center for the Visual Arts à Cambridge, Massachusetts.
La casa
fu commissionata dal Dr. Pedro Curutchet nel 1948. I lavori iniziarono
nel 1949 e terminarono nel 1953. E' considerata monumento storico
nazionale dal 1987.
Maison
Guiette, Anvers
Casa
Guiette, è stata disegnata da Le Corbusier nel 1926 ed è considerata
una delle sue opere meno conosciute.
Quest’opera
architettonica non è in alcun modo valorizzata, sembra incredibile che
Le Corbusier abbia costruito qui e che quasi nessuno ne sia a
conoscenza. In mezzo a terra, pietre e macerie e a quello che pare un
cantiere in corso si scorge questo edificio bianco, anzi precisamente un
semplice parallelepipedo bianco. In mezzo a delle macerie.
L'edificio,
commissionato dal pittore Renè Guiette, fu costruita nel 1927.
L'abitazione
è composta di tre piani, ed ha grandi vetrate nel fronte e nel retro,
per dare maggiore luminosità allo studio del pittore. Casa Guiette
venne inoltre restaurata nel 1985 da Georges Baines.
Cabanon
de Roquebrune
Il
Cabanon è una costruzione progettata da Le Corbusier nel
1951 e ubicata a Roquebrune-Cap-Martin, in Francia.
Le
Corbusier progetta il Cabanon come regalo di compleanno per la moglie
Yvonne e decide di collocarlo a Roquebrune - Cap-Martin, in Costa
Azzurra, dove già abitava all'interno della casa E 1027, realizzata da Eileen
Gray e Jean Badovici nel 1927: la peculiarità di tale
proposta progettuale era costituita dalle sue dimensioni ridottissime.
Trattasi invero di un capanno - traduzione dal francese del termine
stesso «Cabanon» - dalle dimensioni in pianta di 3,66 x 3,66 metri e
dall'altezza di 2,26 metri: queste dimensioni, studiate con estrema
precisione secondo i dettami aurei e antropocentrici del Modulor,
sono frutto anche della consapevolezza che a un «uomo nudo» in vacanza
«non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del
sole che risplende sul mare».
Il
Cabanon, in effetti, si costituisce come un minimum architettonico
irriducibile, insemplificabile, grande appena quattordici metri quadrati
(come la cabina di un treno), dove ogni elemento è ridotto al massimo
dell'essenzialità. Per ottenere una simile elementarietà
nell'organizzazione spaziale di questa machine à habiter ciascun
arredo spesso svolge una duplice funzione: il letto occulta i cassetti
dell'armadio, il supporto del lavandino funge da elemento di
separazione, uno sgabello è anche scala per il ripostiglio superiore, e
così via. Una simile semplificazione coinvolge anche la distribuzione
di questo microspazio, il quale si contrae in un corridoio d'entrata, un
servizio e un vuoto unico centrale, suo fulcro distributivo, intorno al
quale si dispongono in maniera centripeta le diverse zone funzionali
(soggiorno, area pasti, servizi igienici ...) di questa "umile
baracca". Persino gli infissi sono minimalizzati, con la presenza
di sole due finestre, rivolte verso un'emergenza rocciosa e verso i
litorali monacensi, e di due fessurazioni funzionali per un'aerazione
ottimale degli interni. Il soffitto è infine realizzato con pannelli di
quercia bianchi, rossi, verdi, gialli e blu.
Malgrado
la manifesta semplicità, dunque, gli interni del Cabanon sono studiati
con rigorosa diligenza, e rimandano nel loro complesso a un'ideale di
calore, accoglienza, introversione ed essenzialità. Interessante è
anche l'involucro esterno, composto da doghe di scorza di pino, il quale
per la sua rustica selvaticità sarebbe quasi assimilabile a uno chalet
montano, se non fosse armoniosamente connaturato nella rigogliosa
vegetazione mediterranea circostante.
Chapelle
Notre Dame du Haut
Notre-Dame
du Haut è una cappella situata a Ronchamp, presso Belfort in Francia realizzata
dall'architetto Le Corbusier, secondo i canoni dell'architettura
brutalista (cfr. anche razionalismo). È considerata uno dei
più celebri esempi di moderna architettura
religiosa.
Progettata
a partire dal 1950, la prima pietra venne posata il 4 aprile 1954 e
la chiesa fu ultimata il 20 giugno 1955, benedetta il 25
giugno 1955, e consacrata l'11 settembre 2005.
La
costruzione, situata sulla sommità di una montagna, è in calcestruzzo
armato. È costituita da un'unica navata di forma irregolare.
Nei lati della navata sono ricavate tre piccole cappelle indipendenti
che terminano in tre campanili di forma semi cilindrica. La
copertura della chiesa è realizzata con una gettata di calcestruzzo
modellata come se si trattasse di una grande vela rovesciata.
Per
aumentare il senso di leggerezza dell'insieme la copertura non appoggia
direttamente sulle pareti, bensì su corti pilastrini affogati nella
muratura delle medesime. In questo modo, osservando il soffitto
dall'interno, si percepisce una lama di luce che penetra tra i muri e la
vela in calcestruzzo, come se essa potesse quasi volar via da un momento
all'altro.
La
luce entra inoltre da decine di aperture delle più varie forme. Feritoie,
finestre, vetrate e frangisole che determinano
suggestivi effetti di luce valorizzati dal contrasto tra il bianco
dell'intonaco ed il grigio sporco del cemento. Ardito ed
interessante l'accostamento, proposto da Pierre Guéguen tra queste
feritoie ed i tagli che Lucio Fontana iniziò a praticare pochi anni
dopo nelle sue tele: "Rencontre de luminaristes en des arts
differents". La chiesa è stata concepita per essere utilizzata
anche all'esterno, dove, sotto l'ampio tetto, si trovano un altare e
un pulpito. La costruzione può ospitare circa 200 persone.
"Ho
voluto creare un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, di gioia
interiore", disse Le Corbusier, il giorno dell'inaugurazione.
Cité
Frugès, Pessac
Frutto
dell'incontro fra un architetto urbanista audace, quel Charles-Eduard
Jeanneret detto Le Corbusier e Henry Frugès, un industriale bordelese
lungimirante, nasce, fra il 1924 e il 1926 la Cité Frugès a Pessac che
all'epoca rappresenta una vera rivoluzione sia sul piano dell'habitat
sociale che su quello dell'architettura. Le Corbusier ha finalmente
l'occasione di passare dalla teoria alla pratica, di applicare i suoi
principi costruttivi base, di sperimentare la produzione in serie e il
prefabbricato, la sua "filosofia del vivere" che rispetta
l'uomo e le sue esigenze non resterà più solo sulla carta. Da parte
loro gli abitanti godranno di ben 75 metri quadri di appartamento, di
comodità moderne inimmaginabili all'epoca persino nelle ricche case
borghesi di Bordeaux come ripostiglio-lavanderia, stanza da bagno con
doccia, riscaldamento centralizzato, garage o tetti- terrazza, luminosi
spazi individuali e collettivi per i diversi momenti del vivere
quotidiano.
Cinque
tipologie di case, "la maison Gratte-Ciel", "la maison
Arcade", "la maison Jumelle", "la maison
Zig-Zag" e "la maison Quinconce", come un gioco del lego
con i pezzi rispondenti a caratteristiche comuni che vengono assemblati
ogni volta diversamente e la policromia quale protagonista. Il colore è
un fattore determinante nella composizione della Cité Frugès, giochi
cromatici non solo sulle pareti all'interno, ma anche negli esterni.
Previste
inizialmente bianche, strada facendo ci si accorgerà che il colore ha
il potere di valorizzare gli elementi architettonici, da la sensazione
di uniformità a certi gruppe di case o viceversa può creare
alternanze, variazioni fra le diverse costruzioni.
Presso
gli abitanti c'è la consapevolezza di vivere in un luogo particolare
che rappresenta una pagina di storia dell'architettura moderna del XX°
secolo e la volontà di procedere alla salvaguardia delle unità nel
rispetto dei piani originali anche se la ristrutturazione è molto più
lunga e costosa se paragonata a una casa comune, vige infatti una severa
normativa rispetto questa Zona di Protezione del Patrimonio
Architettonico.
Cité
Radieuse (o Unité d'Habitation)
L'Unité
d'Habitation de Marseille, conosciuta anche come Cité Radieuse, è
un edificio civile di Marsiglia, progettato dall'architetto
svizzero Le Corbusier.
L'edificio
è il primo dei cinque analoghi realizzati in Europa e
rappresenta una delle realizzazioni pratiche delle teorie ideate dal
celebre architetto circa il nuovo concetto di costruire la città,
nonché uno dei punti di arrivo fondamentali del Movimento Moderno nel
concepire l'architettura e l'urbanistica.
Nel
1946, in un tragico scenario di devastazione e macerie, le varie nazioni
europee, sopravvissute alla seconda guerra mondiale, avviarono
ognuna dei grandi progetti di ricostruzione. In Francia il
ministro dell'Urbanistica e della Ricostruzione Raoul Dautry interpellò,
tra gli altri, il celebre architetto avanguardista Le Corbusier, che
ebbe così l'opportunità di mettere in pratica i suoi innovativi studi
sui princìpi funzionali volti ad un nuovo modo di concepire lo spazio
abitativo collettivo.
L'idea
dell'Unité d'Habitation, infatti, veniva coltivata da Le Corbusier
seppur in forma estremamente embrionale sin dal lontano 1907, quando
egli fu in visita alla certosa di Ema, presso Firenze. Questa
struttura lo colpì non sotto il profilo estetico, o formale, bensì per
il suo efficacissimo motore distributivo, perfettamente in grado di
coniugare la vita individuale con quella collettiva. In questo complesso
monastico, infatti, la vita privata dei frati era tutelata da ogni
promiscuità grazie alla presenza di celle che garantivano un isolatento
pressoché totale: al contempo, tuttavia, la vita collettiva era assai
sentita. «A partire da questo momento mi è apparso il binomio:
individuo e collettivo, binomio indissolubile» avrebbe scritto
l'architetto, folgorato dalla sinergia che nella certosa di Ema si
veniva a creare fra queste due sfere, apparentemente inconciliabili.
Pur
suscitando accesi dibattiti o violente stroncature, i suoi progetti si
rivelarono apprezzabili e con intuizioni all'avanguardia per i tempi,
anticipando molte delle più diffuse concezioni architettoniche
contemporanee. Inutile rimarcare che, se queste varie idee progettuali
erano sino a quel momento rimaste sulla carta, ora con l'occasione
marsigliese era necessario concretarle. Per questo motivo Le Corbusier
decise di istituire l'Ascoral, Assembée de Constructeurs pour une Rénovation
Architecturale, nella prospettiva di avviare un'intensa ricerca teorica
- sfociata poi con l'ideazione del Modulor - e di stabilire
una feconda e solidale collaborazione tra architetti e ingegneri, in
maniera perfettamente antitetica al sentire comune del tempo, per il
quale questa dicotomia era insolubile: sotto questi auspici creò
l'Atbat, Atelier de Bâtisseurs, un gruppo omogeneo di collaboratori tra
architetti e ingegneri coordinati dall'ingegnere Vladimir
Bodiansky.
Fu
così che nel 1947 il progetto prese il via. Stabilito il luogo
propedeutico all'edificazione della prima Unité d'Habitation -
boulevard Michelet, a Marsiglia - vennero eseguiti più di
mille disegni, sotto la tenace tutela di Le Corbusier, che non si lasciò
affatto scoraggiare dalle innumerevoli difficoltà che lo ostacolavano
(le formalità con l'amministrazione furono estenuanti, così come le
ininterrotte critiche dei detrattori). Dopo cinque anni di intenso
lavoro, nel 1952, la costruzione poté finalmente dirsi ultimata e
l'Unité d'Habitation di Marsiglia venne solennemente inaugurata: da
quell'anno in poi complessi edilizi analoghi vennero realizzati a Nantes per
una cooperativa privata (1953-555), a Berlino sotto la spinta
dell'Interbau (1957), a Briey (1961) e infine a Firminy (1967).
Diventata, nonostante le iniziali incomprensioni, ambita residenza di
esponenti del ceto borghese medio-alto, professionisti e intellettuali
del capoluogo francese, l'Unité d'Habitation è stata nominata il 12
ottobre 1995 «Monument historique» ed è luogo di visita di numerosi
turisti, scolaresche e studiosi d'architettura ogni anno.
Secondo
il pensiero di Le Corbusier non esisteva una sostanziale distinzione tra
l'urbanistica e l'architettura, arti che tentò di ricondurre a
unità con una demiurgica opera di ricucitura. La sua attenzione era
principalmente rivolta a studiare un sistema di relazioni che, partendo
dalla singola unità abitativa intesa come cellula di un insieme,
si estendeva all'edificio, al quartiere e all'intero ambiente
costruito.
L'Unité
d'Habitation è la magistrale sintesi di questa teoria e racchiude in sé
tutti i princìpi architettonici da lui ideati, divenendo la somma delle
funzioni prettamente domestiche coniugate a quelle urbanistiche. Essa
venne quindi concepita come una vera e propria «città verticale»
caratterizzata da spazi individuali inseriti in un ampio contesto di
aree comuni; questo equilibrio fu supportato dall'impiego delle più
moderne tecniche progettuali e costruttive già scoperte in precedenza
dal Razionalismo e dall'esperienza del Bauhaus.
L'edificio
rappresenta quindi una sorta di contenitore che racchiude in esso uno
spazio urbano, trascendendo la funzione meramente abitativa di un
semplice condominio e concependo l'edificio come una sorta di «macchina
per abitare» per un elevato numero di persone. Secondo i principi di Le
Corbusier, l'attuazione di questa teoria porterebbe al salto
dimensionale tra il singolo edificio e la città, cosicché il primo
divenga un sottomultiplo della seconda.
Attraverso
un accurato studio delle piante Le Corbusier, con la sua Unité
d'Habitation, riesce a proporre un modello architettonico in grado di
armonizzare la vita individuale, familiare e collettiva. Se la
proliferazione di case isolate aveva dato vita a un elevato consumo di
suolo agricolo e naturale e ad altri fenomeni energivori e poco sani,
come quelli dello sprawl e della città diffusa, Le Corbusier con l'Unité
d'Habitation intende dare vita a un unico organismo polifunzionale
complesso che, pur preservando una densità abitativa elevata, riesce a
costituirsi come un'alternativa alla colata di cemento delle villette
unifamiliari riuscendo a destinare la parte restante del terreno a
verde.
Partendo
da queste premesse, si pone il problema di gestire con cautela la
concrezione abitativa che si viene così a generare. Le Corbusier, come
già accennato, risolve in maniera geniale questa problematica, a
partire sin dalle piante dei singoli alloggi: l'architetto, infatti,
ripudia l'architettura così come tradizionalmente concepita - in
maniera scatolare, come mera giustapposizione di stanze, e perciò
tendente a frantumare l'unità familiare e a generare disgregazione - e
approda a un impianto distributivo che da un lato stimola i momenti di
riunione, ma dall'altro assicura spazi individuali dove il singolo
utente può isolarsi in maniera tranquilla.
Aumentando
di scala, Le Corbusier si rende conto di come sia necessario anche
salvaguardare il nucleo famigliare dalle ingerenze esterne, evitando per
quanto più possibile promiscuità - sia fisica ma anche morale - con le
famiglie adiacenti. La lottizzazione delle case isolate si rivelava
carente in tal senso, in quanto le singole unità abitative erano
separate tra di loro solo da sottili strisce di terreno, di dimensioni
modestissime, che non garantivano una sufficiente protezione visiva e
acustica tra i vari nuclei famigliari.
Memore
della lezione dei certosini di Ema, tuttavia, Le Corbusier è
consapevole che tutelare l'individualità familiare non significa
necessariamente rinunciare a una vita collettiva intensa: essendo l'uomo
un animale per natura sociale, esso tende per natura ad aggregarsi con
altri individui e a costituirsi in società, e per questo - pur avendo
il diritto di realizzarsi privatamente, in seno alla famiglia, nella
propria vita individuale - deve anche riconoscersi in una dimensione
culturale collettiva. Partendo da quest'esigenza Le Corbusier integra
gli alloggi, di per sé isolati come si è visto, in una collettività,
nel segno di un'equilibrata riconciliazione tra famiglia e società: per
ricucire queste due sfere antropologiche egli prevede esternamente agli
alloggi, concependoli come veri e propri «prolungamenti», una
dotazione di servizi extraresidenziali - asili nido, palestre,
supermercati - a diretto beneficio di tutti gli abitanti.
Localmente
noto come «maison du fada» il complesso residenziale si estende
su un'area di circa 3.500 metri quadrati e misura 137 metri di lunghezza
per 24 metri di larghezza e può contenere più di 1.500 abitanti.
L'edificio
si sviluppa su diciotto piani, per un'altezza complessiva di 56 metri:
osservando il basamento si può notare l'adozione di grandi e massicci
pilastri di forma tronco-conica che, sorreggendo tutto il corpo di
fabbrica, sostituiscono i setti portanti. Inoltre, la loro funzione
strutturale separa volutamente l'edificio dal suolo e, soprattutto,
elimina definitivamente la presenza di abitazioni penalizzate
dall'oscurità e dall'umidità derivanti dalla collocazione a terra.
L'arretramento
degli stessi pilastri rispetto al filo dei solai consente,
inoltre, il libero sviluppo della facciata con l'impiego di ampie
finestrature a «nastro» lungo le pareti perimetrali a tutto vantaggio
di un ottimale livello di illuminazione interna, uno degli aspetti
fondamentali dell'opera di Le Corbusier. I prospetti delle facciate sono
invece scandite da ripetuti moduli rettangolari costantemente
caratterizzati dalla presenza del colore in netto contrasto con
l'uniformità cromatica del cemento armato che caratterizza l'intera
struttura: «parallelepipedo imponente che, rinnegando il gusto della
superficie levigata, esalta il béton brut, il cemento
roccioso colato in casseforme di legno grezzo, la materia scabra su cui
è impressa la sigla del Modulor» ricorda il critico Bruno Zevi.
Come
è noto l'edificio ospita anche aree dedicate a servizi solitamente
dislocati nel contesto urbano circostante: tuttavia, la commistione di
spazi comuni, zone commerciali e aree residenziali è organizzata con
razionalità, pur senza tralasciare la funzionalità.
Al
settimo e ottavo piano, un ampio corridoio interno, che percorre
longitudinalmente la struttura come una sorta di strada, consente
l'accesso ai principali servizi utili alla collettività: una lavanderia,
un supermercato, un albergo con ventuno camere, una
biblioteca e poi svariati negozi, ristoranti e uffici.
Come per l'esterno, gli interni dell'edificio sono costantemente
caratterizzati dalla presenza del colore, utilizzato come elemento di
arredo. Al di sopra e al di sotto del settore centrale dedicato ai
servizi vi è la parte residenziale dell'edificio, composta da una
successione di 337 appartamenti disposti trasversalmente rispetto allo
sviluppo dell'edificio.
Uno
degli aspetti più rivoluzionari fu la nuova concezione della singola
cellula abitativa, non più contraddistinta dal contesto sociale di chi
lo abita; analizzando la planimetria degli appartamenti è interessante
notare come Le Corbusier abbia concepito delle unità abitative tutte
uguali e di dimensioni medio-grandi, quasi fossero oggetti da assemblare
in serie. Ciascuna di esse è del tipo duplex, ovvero
disposta su due livelli diversi collegati da una scala interna; gli
ingressi sono disposti lungo ampi corridoi interni dalle coloratissime
pareti situati ogni due piani che, nella logica progettuale di Le
Corbusier, rappresentano le strade del complesso
residenziale.
L'architetto
concepì questi spazi abitativi applicando il proprio sistema denominato Modulor,
ovvero «una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione
umana, applicabile universalmente all'architettura e alle cose meccaniche».
Una rappresentazione del Modulor è raffigurata su una
parete dei locali presenti sul tetto dell'edificio. L'ennesima
innovazione è rappresentata infine anche dal tetto abitabile, noto
anche come «tetto giardino», secondo i celeberrimi Cinque
Punti.
Analogamente
a quanto accade nei grattacieli, grazie all'impiego del calcestruzzo
armato, esso può diventare un vasto giardino pensile o essere adibito a
funzioni complementari e ricreative utili alla collettività. Esso
ospita infatti svariati locali ad uso comune come la palestra, una
piccola piscina, l'asilo nido, un solarium, un auditorium all'aperto
e un percorso ginnico di circa trecento metri per l'attività
sportiva.
Couvent
Sainte Marie de la Tourette, Evreux
Il convento
di Santa Maria de La Tourette è un edificio religioso appartenente
all'Ordine
domenicano,
progettato da Le
Corbusier e
situato nel comune di Éveux situato
nella zona di L'Arbresle nei
pressi di Lione e
non nel territorio di La
Tourette.
Su
invito del padre Couturier dell'Ordine domenicano, Le
Corbusier sviluppa
un progetto che unisse i principi religiosi dell'Ordine e le idee
costruttive dell'architetto. Le
Corbusier ha
collaborato con il suo socio Andre Wogenscky, mentre assieme al
progettista greco Iannis
Xenakis ha studiato soluzioni armoniche per le vetrate sia
orizzontalmente sia verticalmente. Il cantiere inizia nel 1956,
pur avendo dei problemi economici, viene consacrato nell'ottobre 1960.
Grazie a due mecenati, il convento viene chiuso per lavori per 4 anni su
3 delle 4 ali, nel 2010 viene
riaperto per ospitare monaci e per visite guidate. Nel 2011 iniziano
i lavori di restauro
della chiesa e della sagrestia.
Il
complesso conventuale comprende una chiesa, un chiostro, una sala
capitolare, aule, biblioteca, sala da pranzo, varie sale, cucine e un
centinaio di singole celle. È costruito in una valle in forte discesa
circondata da foreste e da pianura; per dare un aspetto meno massiccio
alla struttura si è scelto di appoggiare la massa del convento su pilastri di
varia altezza data la pendenza del terreno. Al suo interno vi sono cento
celle per i monaci. Ancora sotto si trovano le sale studio, più in
basso i refettori e infine, a contatto con il suolo, le
cucine. Nelle zone adiacenti si trovano la chiesa e la sagrestia. È
presente un cortile interno collegato direttamente con l'esterno.
Il
terreno del convento si trova a lato di una strada di crinale che
degrada verso valle; Le Corbusier sfrutta la pendenza del terreno per
meglio organizzare la distribuzione funzionale. L'impianto
utilizzato è molto formale, difatti non è facilmente riconoscibile
come convento;
l'edificio è definibile come appartenente al brutalismo,
il calcestruzzo è presente ovunque, non sono presenti delle modanature e
nessun elemento decorativo, in linea con i principi di povertà e
semplicità dell'Ordine. Gli elementi sono articolati con l'angolo
retto, inoltre le aperture sono studiate per essere a nastro andando
ad occupare spesso la maggior parte della parete.
L'edificio
è pensato principalmente per il rapporto che chi è all'interno ha
verso l'esterno e non l'impatto paesaggistico che ha l'edificio con il
contesto, questo i frati appartenenti all'Ordine
dei Frati Predicatori devono
avere un'alta istruzione, ed il convento è il posto dove questa
preparazione avviene.
Nella
sagrestia e nell'altare della chiesa è stato studiato principalmente il
rapporto con la luce, sono stati inseriti dei "cannoni" di
luce, finestre appositamente modellate per poter avere alle diverse ore
del giorno diversi comportamenti interni della luce. Nella navata della
chiesa sono presenti due finestre, una posizionata nel centro della
navata mentre una posta alla sommità della parete opposta all'altare;
questo gioco di luci da un diverso effetto interno durante le diverse
ore del giorno.
Le
Corbusier fa variare l'altezza tra il pavimento ed il soffitto a seconda
dell'importanza dell'ambiente, la chiesa ha l'altezza maggiore e il
corridoi con il quale vi si accede cambia di altezza mentre lo si
percorre, per significare il fatto che si entra in un ambiente
importante. L'ambiente d'entrata ha un'altezza bassa, ma mentre ci si
avvicina al centro dell'edificio i solai cambiano d'altezza.
Maison
de la culture
Simbolo
dell'architettura moderna, Le Corbusier costruisce a Firminy (a 10 km da
Saint-Etienne) 4 edifici: la Maison de la Culture - La casa della
Cultura, le Stadio, l’unité d’Habitation et la Chiesa.
Il
sito Le Corbusier di Firminy, il più grande complesso europeo ideato
dall'architetto visionario, rientra ormai tra i monumenti classificati
Patrimonio mondiale dell'umanità. Tale
classificazione conferma l'importanza di quest'opera come modello
imprescindibile, sia sul piano teorico che sul piano artistico,
dell'architettura del XX e XXI secolo.
La
Maison de la Culture di Firminy è entrata a far parte persino
della rete internazionale dei siti riconosciuti dall'ONU come Città
Creative Design, proprio come è successo per la città di Saint-Étienne
già Patrimonio dell'UNESCO.
La
Maison de la Culture è il primo edificio costruito dall'architetto, tra
il 1961 e il 1965, nel nuovo quartiere di Firminy-Vert. Le sue sale
d'esposizione vi mostreranno la storia del quartiere di Firminy-Vert e
delle opere di Le Corbusier negli anni 60.
La
sua architettura contribuisce al rinnovamento delle forme e della
concezione spaziale del movimento moderno: la sua conformazione rivela
l'avanguardismo dell'architettura, in particolare nel modo di utilizzare
le nuove tecniche, nella sperimentazione di materiali.
Proprio
a questo titolo La Maison de la Culture è uno dei gioielli
imperdibili della Creazione di Le Corbusier… Un luogo unico nel
dipartimento della Loira... Un luogo di straordinaria fama al servizio
del territorio di Saint-Etienne e di tutta la regione Alvernia
Rodano-Alpi.
Immeuble
locatif Molitor
L'Immeuble
Molitor è un edificio di Parigi situato
in rue Nungesser et Coli 24 (XVI
arrondissement),
opera di Le
Corbusier,
che all'ultimo piano aveva il suo atelier per la pittura personale e
un'abitazione dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.
L'abitazione
è oggi aperta al pubblico e fa parte degli edifici parigini del grande
architetto gestiti dalla Fondazione
Le Corbusier.
Fu
progettato nel 1931 e
concluso nel 1934 da
Le Corbusier e Pierre
Jeanneret.
L'edificio, in una posizione panoramica tra il Parco
dei Principi e
il Bois
de Boulogne, venne scelto da Le Corbusier per la propria
abitazione, creando all'ultimo piano ed alla terrazza sul tetto "il
miglior appartamento dell'intero edificio", complessivamente ampio
circa 240 metri quadrati.
Il
sistema delle volte permise la creazione di ampi spazi, senza il ricorso
a supporti intermedi e creando vari ambienti funzionali che sono un
tutt'uno, senza i tradizionali mezzi di separazione. Le porte ad esempio
sono veri e propri mobili ruotanti, che permettevano di isolare in
maniera invisibile per il visitatore i due nuclei principali
dell'appartamento: lo studio di pittura e la parte abitativa vera e
propria.
Lo
studio è diviso in tre ambienti principali:
La
grande sala per dipingere, con ampie finestre, pareti lisce e con una
predominanza del colore bianco, anche nel pavimento. La volta misura
circa 3x12 metri, con un'altezza di 3,50 m; la grande parete di fondo è
composta da pietre e mattoni a vista.
L'angolo
con la scrivania e lo scrittoio, affacciato sul panorama
Il
ripostiglio e la camera di servizio.
Grande
importanza rivestiva la luce, che Le Corbusier cercò di far entrare da
ogni lato, ricreando artificialmente la situazione di un'abitazione sul
Mediterraneo. Pannelli di legno servivano per controllare le aperture e
impedire una luce troppo abbagliante, soprattutto al mattino.
La
parte dell'appartamento è composta da un cucinotto, disegnato da Charlotte
Perriand,
in legno scuro Okume dipinto grigio chiaro e acquaio in peltro.
La camera da letto ha un altissimo letto, così composto affinché si
potesse vedere il Bois de Boulogne dalla finestra. Molto originale è il
bagno, ricavato in un ambiente di per sé molto angusto, con pareti non
ortogonali. All'ultimo piano, raggiungibile da una scala a chiocciola
senza ringhiera, si trova una gabbia di vetro e muratura dalla quale si
accede alla terrazza superiore.
Quasi
tutto il mobilio presente è originale, mentre non ci sono più le opere
d'arte create da Le Corbusier o da lui possedute.
L'appartamento
è stato dichiarato come "Listed Building" nel 1972 e
confermato nel 1990.
Maisons
La Roche et Jeanneret
La maison
La Roche-Jeanneret è una doppia villetta costruita da Le
Corbusier nel 1924,
ubicata presso i numeri 8-10 della rue Doctor Blanche, a Parigi.
Il
progetto risale al 1923, quando Raoul La Roche commissionò
all'architetto elvetico una casa dove potesse anche essere esposta la
sua galleria d'arte. Il lotto, molto stretto e penalizzato da numerosi
vincoli, oltre che da un orientamento eliotermico assolutamente
sfavorevole, lambiva la rue du Docteur Blanche, a Parigi, in un
quartiere borghese - Auteuil - che, pur essendo stato inglobato nei
processi di urbanizzazione, preservava un'atmosfera villaggesca: quello
che poteva benissimo prospettarsi come una mortificante operazione di
speculazione immobiliare, tuttavia, viene trasformato da Le Corbusier in
un pregevole intervento architettonico in grado di captare le
suggestioni provenienti dalle sperimentazioni neoplastiche di Theo
van Doesburg e Cornelis
van Eesteren, «architetti del gruppo De Stijl», e di segnare un
nuovo punto di partenza nella sua maturazione architettonica.
Il
complesso La Roche-Jeanneret è costituito da due abitazioni distinte,
contigue, ma indissociabili: la prima, maison Jeanneret, venne costruita
in collaborazione con l'architetto Pierre Jeanneret nel 1925, mentre la
seconda fu destinata a monsieur Raoul La Roche, economista benestante e
colto collezionista di arte moderna (alla sua collezione appartenevano
tele di Picasso, Braque, Lèger, Gris, Lipchitz e dello stesso Le
Corbusier, noto pittore di matrice purista). Dal cancello d'ingresso si
dipana un sentiero in pendenza che, addentrandosi in profondità nel
lotto, consente l'accesso ad ambedue le abitazioni, volumi netti,
candidi, dalle notevoli qualità plastiche. Maison La Roche, in
particolare, è particolarmente interessante dal punto di vista
planimetrico in quanto dissocia completamente l'area funzionale
all'abitare in senso stretto a quella destinata alla fruizione delle
varie opere d'arte: in questo modo si scindono in maniera efficace la
parte pubblica della casa da quella privata, in modo tale da evitare
ogni conflittualità, ma si salda al contempo un legame indissolubile
tra la pittura e l'architettura, due universi che presentano forti
compenetrazioni, anche nella biografia di Le Corbusier.
Entrando
nell'abitazione si ha innanzitutto accesso a una hall a tripla altezza,
priva di affacci diretti verso l'esterno ma irrorata in maniera costante
ma delicata della luce proveniente dagli ambienti contigui: da questo
spazio, vero e proprio fulcro dell'intero sistema architettonico, si
innesta una scala nera che dà accesso alla galleria delle opere d'arte,
caratterizzata da uno sviluppo orizzontale preminente, enfatizzato dalla
rettilineità delle pareti (atta proprio per appendervi i quadri). La
galleria, a sua volta, è connessa alla soprastante biblioteca mediante
una rampa di risalita, strumento di cui Le Corbusier si serve per
superare agevolmente il dislivello presente tra i vari piani senza per
questo sacrificare la continuità dei relativi ambienti: si tratta di
una sperimentazione primitiva della cosiddetta promenade
architecturale («passeggiata architettonica»), la quale verrà
poi perferzionata nelle successive villa
Stein e villa
Savoye.
La
rampa, in ogni caso, consente l'accesso al piano più alto della casa,
dove - come già accennato - è collocata la biblioteca, luogo di studio
e di contemplazione prediletto da monsieur La Roche che qui poteva
rifugiarsi, assorgersi nella lettura dei suoi amati libri e dominare con
lo sguardo il resto degli ambienti della casa, senza per questo essere
visto. Tra gli altri ambienti della casa troviamo per l'appunto la
cucina, il garage e la camera del guardiano, disposti al piano terra, la
sala da pranzo (dove le lampadine «denudate» denunciano la volontà di
Le Corbusier di sopprimere ogni ornamentazione superflua), la chambre
puriste (camera da letto dall'arredo minimalista) e il toit-terrasse.
Villa
Savoye et loge du jardinier
Villa
Savoye è una residenza
privata progettata da Le
Corbusier e da Pierre
Jeanneret, costruita tra il 1928 e il 1931 su commissione di
Pierre Savoye. Si tratta del manifesto più conosciuto del movimento
moderno e in particolare del cubismo architettonico.
Pierre
Savoye, broker
assicurativo, socio del gruppo Gras-Savoye, marito di Emilie
Savoye e padre di Roger Savoye, nel 1928 commissionò a Charles-Eduard
Jeanneret (noto come Le
Corbusier) e Pierre
Jeanneret il progetto di una residenza dove trascorrere i
fine settimana con la famiglia. La costruzione iniziò nel febbraio del
1929 e l'abitazione venne conclusa nel 1931 con l'aggiunta del sistema
di riscaldamento,
diventando così la residenza secondaria dei Savoye. L'iter
progettuale e costruttivo, come di consueto in Le Corbusier, fu
abbastanza tortuoso, in quanto il preventivo iniziale di 785.060 franchi
si rivelò sin da subito essere troppo esoso.
Le
diffocoltà e le tensioni sorte in fase progettuale, tuttavia, permasero
anche una volta terminata la costruzione di villa Savoye, che iniziò
ben presto ad accusare difetti tecnici nefasti. Quando la famiglia iniziò
ad abitare per brevi periodi la casa, soprattutto d'autunno, nacquero
infatti diverse difficoltà, dovute alle infiltrazioni dal soffitto,
agli spifferi causati dallo scarso isolamento delle grandi finestre e ai
rumori dovuti al tremolio dei vetri dei lucernari,
oltre che dalla formazione di condensa, dovuta all'eccessiva umidità e
all'insufficienza tecnica dell'impianto di riscaldamento. Da alcune
lettere di Madame Savoye a Le Corbusier si colgono chiare lamentele al
riguardo («[il ticchettio della pioggia] è infernale e non ci lascia
dormire» o, in un'altra lettera: «Piove nell'atrio, piove sulla rampa
e il muro del garage è completamente impregnato d'acqua. Quel che è
peggio, continua a piovere nella mia stanza da bagno, che resta allagata
ogni volta che fa mal tempo»). I Savoye continuarono ad abitare la casa
fino al 1940.
Dopo
l'abbandono dell'abitazione da parte dei Savoye quest'ultima iniziò a
essere afflita da un'inarrestabile serie di deterioramenti e degradi.
Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi e in seguito gli alleati occuparono
l'edificio, che subì notevoli danni; i primi addirittura stabilirono i
loro depositi per il fieno all'interno dell'abitazione. Nel 1958 la
città di Poissy espropriò
gli otto ettari di terreno appartenenti alla famiglia Savoye,
utilizzandone una parte, non occupata dalla casa lecorbusierana ormai
abbandonata, per costruire un liceo. Dovettero intervenire Le Corbusier
e altri architetti per impedire la demolizione di casa Savoye negli anni
successivi, fino a quando lo stato francese, nel 1963, acquisì la
proprietà dal municipio e provò a recuperarla con un primo tentativo
firmato dall'architetto Jean Debuisson.
Nel
1965 la Maison Savoye, quando Le Corbusier era ancora in vita, fu
inserita nella lista dei monumenti storici francesi in virtù del suo
valore architettonico. Nel 1985 ebbe invece inizio un secondo restauro
diretto dall'architetto Jean-Louis Veret che terminò nel 1997 e vide
una ripresa del calcestruzzo ormai
deteriorato dal tempo, l'installazione di un nuovo sistema
d'illuminazione, l'impianto di una serie di telecamere di sorveglianza e
il ripristino di diversi infissi e arredi interni.
La
Villa Savoye nasce da una maglia strutturale di base rettangolare
formata da elementi verticali cilindrici (pilotis) posti ad un
ritmo perimetrale di 4,75 metri l'uno dall'altro e disposti verso
l'interno quasi simmetricamente secondo uno schema che favorisce il
percorso di un'automobile e consenta l'appoggio delle chiusure
orizzontali principali. Tutti gli elementi principali, dalle fondamenta
ai pilastri ai solai, sono in cemento
armato. Di particolare interesse risultano le facciate della
villa Savoye, brano architettonico tra i più riusciti del cubismo
architettonico: se l'edilizia tradizionale, infatti, concepiva un
edificio in termini di facciata principale, prospetti laterali e retro,
Le Corbusier svuota tale prassi di qualsiasi significato, rendendo quasi
identiche le facciate.
Partendo
dal basso si ha un portico coperto, scandito dall'arioso succedersi dei pilotis,
e il piano terra, dove troviamo la hall di ingresso, il garage per le
automobili, un piccolo alloggio riservato all'autista e alla cameriera,
l'appartamento per gli ospiti e i servizi di lavanderia. L'automobile,
per la sua formidabile perfezione tecnico-industriale, era
particolarmente ammirata da Le Corbusier, il quale la considerava
paradigmatica dello sviluppo tecnologico del XX secolo: per questo
motivo, una volta giunto a villa Savoye con la propria autovettura, il
visitatore può quasi ritualisticamente entrare nell'abitazione dal
garage mediante la porta d’ingresso in metallo collocata nel vestibolo
del piano terra. La stessa villa rimane influenzata dalle dinamiche
motorie dell'automobile, presentando al piano terra dove vi è
l’ingresso una vetrata industriale il cui arco curvo, dalla notevole
sensazione di movimento, è determinato proprio dal raggio di sterzata
di un'autovettura.
Il
vestibolo denuncia chiaramente i due elementi di distribuzione verticale
che caratterizzano la villa Savoye: la rampa, posta in lieve pendenza, e
le scale a chiocciola. La prima, che con la sua dolce inclinazione
attraversa e unisce tutti gli ambienti dell'abitazione, garantisce al
visitatore un'esperienza spaziale fluente, continua, dando vita se
percorsa a una vera e propria «passeggiata architettonica», promenade
architecturale, che «offre costantemente aspetti vari e inattesi, a
volte addirittura stupefacenti».
La
rampa, insomma, rende l'ascesa verticale dell'edificio quasi
impercettibile, a differenza della scala, dove i cambiamenti di quota
sono decisamente più sentiti. Quest'ultima, torcendosi come una spirale elicoidale,
è uno degli archetipi fondamentali dell'architettura di Le Corbusier ed
è protetta da un parapetto, anch'esso in cemento armato.
La
rampa, dunque, prima di proseguire la sua corsa verso la terrazza,
emerge presso il primo piano. Quest'ultimo, come un heures
claires (una scatola sospesa), così chiamato dai cugini
Savoye, è un prisma monocolore
stereometricamente ben definito, dalla radicale elementarità, avvolto
da superfici candide, diafane, e spezzato longitudinalmente dai vuoti
delle finestre che, configurandosi come «nastri continui, vitrei e
panoramici» (Zevi),
incidono a metà ogni prospetto e incentivano
l'interazione tra esterno e interno.
Il
parallelepipedo puro, monoprismatico del primo piano, infatti, comprende
gli spazi più formali e pubblici: la zona giorno (soggiorno, cucina,
salottino), la zona notte (camera degli ospiti, camera del figlio e
camera dei genitori) e i servizi (bagno piccolo e bagno grande), e un
giardino pensile. La camera da letto padronale ha dimensioni notevoli,
ma non eccessive (in linea con la destinazione d'uso di villa Savoye,
non dimora stabile, bensì rifugio per i fine settimana estivi), ed è
comunicante sia con l'esterno - con l'adozione di fenêtre en
longueur - che con il bagno contiguo, dal quale risulta
separato solo per mezzo di un'esigua tenda-membrana, la quale non
raggiunge neanche il soffitto, a ribadire la continuità vigente tra
questi due ambienti. Notevoli, nel bagno, il rivestimento con tasselli
ceramici smaltati di azzurro, funzionali per il raggiungimento di
un'igiene ottimale, e la presenza di una carnale chaise longue,
progettata dallo stesso Le Corbusier. La cucina, delimitata da armadi a
muro con ante scorrevoli in alluminio, è estremamente compatta, a
differenza del soggiorno, che si presenta come l'ambiente più ampio
dell'abitazione: è scarsamente arredato e si arricchisce non tanto
della mobilia, quanto della visuale sul panorama circostante offerta
dalle finestre a nastro, oltre che da un caminetto centrale che
conferisce all'intero spazio un carattere intimo, conviviale.
Il
piano superiore o terrazzo è il coronamento dell'edificio oltreché la
conclusione del percorso della promenade architecturale,
senza alcuna barriera architettonica, che parte dal piano terra dove si
trova il garage, motore e idea del luogo abitativo, fino a sbarcare
tramite una rampa sul solarium,
come sul ponte di una nave.
Sulla
copertura, infatti, le fantasticherie nautiche di Le Corbusier si fanno
più vivide, grazie all'impiego di balaustre di tipo navale in tubolare
di acciaio tinto bianco e alla presenza del vano-ciminiera dalla curiosa
forma imbutiforme in cui è alloggiata la scala. La rigorosa disciplina
formale cui era sottoposto il prisma del primo piano, inoltre, qui si
attenua con l'azione dinamica di volumi basati su archi di cerchio ed
ellittici, i quali operando una «danza di sagome ondulate» (Zevi) richiamano
esplicitamente la rotondità di alcuni dipinti puristi (come La
dame au chat et à la théière) e sembrano anticipare la futura
tensione plastica delle tarde opere lecorbusierane, come la cappella di
Ronchamp.
Il toit-terrasse (o
terrazzo giardino) qui presente grazie ai solai in calcestruzzo armato
non pesa sulla struttura sottostante, ma anzi funge da coibente e
garantisce agli ambienti del primo piano, una maggiore frescura d'estate
e un buon isolamento d'inverno. Il terrazzo ospita oltre ad un giardino
coltivabile anche un solarium protetto da una parete tagliavento che
riprende la forma delle curve al piano terra.
Manufacture,
Saint-Dié des-Vosges
Pag.
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