Palazzo Stoclet
Belgio

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2009

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Palazzo Stoclet (dal nome del suo primo proprietario - Adolph Stoclet, banchiere e collezionista di Bruxelles) fu realizzato fra il 1905 ed il 1911 su progetto di Joseph Hoffmann (1870-1956) per l’esigenza di vivere in una abitazione che fondesse arte e vita; l’edificio fu una mirabile sintesi delle arti (architettura, pittura, decorazione, design d’interni e d’oggetti d’uso), chiamata spesso nella storia a fare da opera-simbolo (“summa”) degli artisti che cooperarono per realizzarla, concretizzazione, vale a dire, degli ideali di quella Secessione viennese da cui essi provenivano.

Situato nei sobborghi della capitale belga (Tervurenlaan), secondo le intenzioni del committente il Palazzo doveva essere il luogo adibito a ospitare collezioni ed eventi culturali; per il suo progetto Adolphe e Suzanne Stoclet non posero limiti di costi, perché i realizzatori raggiungessero l’obiettivo dell’Opera d’Arte Totale - una sintesi unitaria di arti diverse (come era stato già per l’esperienza del manifesto del movimento succitato, la rivista “Versacrum”), adoperate per dare forma alla stessa Idea attraverso le diverse incarnazioni dello Stile.

Hoffmann, che aveva già anticipato le principali linee guida della costruzione con il sanatorio di Purkersdorf (1904-1908), per semplificazioni delle forme, scarnificazione delle superfici e l’integrazione di differenti arti, con questo Palazzo osò ulteriormente tramite l’aggregazione dei diversi moduli geometrici, di cui è costituito all’esterno, secondo una articolazione libera, mentre l’appiattimento totale delle superfici e la cesellatura in bronzo scuro dei cordoli, che delimitavano in maniera netta le parti e davano una cornice alle aperture, ebbero la funzione di alleggerire notevolmente la massa dell’edificio, una scatola priva di evidente spessore, quasi le pareti fossero appoggiate l’una all’altra. 

A sormontare il Palazzo Hoffmann collocò una torre, precorritrice di simili soluzioni Art Déco nei decenni a venire (pensiamo ai grattaceli statunitensi).

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All’interno, la planimetria centrifuga dell’edificio si sviluppava secondo un’entrata a doppia altezza, un piano inferiore dedicato all’accoglienza degli ospiti, una sala da musica, la zona per il pranzo. Colorati con marmi e arredati in maniera sontuosa, gli interni e i decori furono realizzati dagli artigiani del laboratorio Wiener Werkstatte (Vienna), che Hoffmann stesso aveva fondato assieme a Kolo Moser (1868-1918, ulteriore esponente della Secessione viennese il cui contributo al Palazzo fu assai rilevante) per ridisegnare gli oggetti d’uso quotidiano secondo un’ideale estetizzante. Spesso, all’interno del palazzo ricorse la forma tipica dello stile geometrico di Hoffmann, il quadrato, usato qui, come altrove, quale marchio, firma, cifra stilistica.

Fra le opere più celebri che ornarono l’abitazione-museo, va ricordato la pittura parietale del salone da pranzo, apoteosi dell’intero edificio - “L’albero della vita”, realizzato da Gustav Klimt (1862-1918), dalla tipica cromia a prevalenza dorata e che si sviluppava attraverso i fitti rami, sui lati, in due scene complementari: “L’attesa” e l’ideale proseguimento “L’abbraccio”.

Il visitatore, che attraversava questa foresta di simboli disseminati fra le sale e i corridoi, doveva avere il presagio di quella penetrazione dell’arte in ogni singolo dettaglio, gesto, monile che l’arredasse. Un’esperienza estetica per chi voleva la propria esistenza come un’opera d’arte, resa ancora più totalizzante dall’assenza di distanza dall’Opera, quale, piuttosto, spazio in cui si svolgesse la vita stessa.

Spinto oltre gli iniziali intenti di Hoffmann con il Sanatorio (più “democratico”, spoglio e alla portata di un maggior pubblico cui rivolgere il messaggio artistico), il Palazzo fu eletto quale luogo supremo e sacrale del Bello, incarnato in un senso anche elitario, circoscritto in un ambiente lussuoso, non privo di una certa sofisticatezza, in grado persino di mettere da parte la funzionalità degli ambienti e degli oggetti e che susciterà, dunque, all’interno della Secessione le risposte razionalizzanti come quelle del fuoriuscito dal gruppo Adolf Loos (1870-1933).

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Da diversi anni la proprietà è stata oggetto di disputa legale tra gli eredi di Stoclet e la regione di Bruxelles. I termini di tale contenzioso riguardava il contenuto interno di quella che veniva appunto definita come "opera totale" e classificata monumento storico dal 1976: il suo contenuto - un valore di oltre 30 milioni di euro – si contestava, non poteva essere monumento storico e quindi monumento nazionale, bensì proprietà privata. La regione di Bruxelles ha voluto classificare tutti gli elementi degli arredi, al fine di proporre all'UNESCO come un capolavoro del patrimonio mondiale, nonostante l'opposizione degli eredi di Adolphe Stoclet, che chiedevano di disporre della loro proprietà liberamente. L'Austria tentò di acquistare, ma invano.

La collezione della famiglia Stoclet fu acquisita tramite aste e antiquari, compresa una collezione d'arte antica cinese. Il mercato internazionale ai quei tempi, prima della seconda guerra mondiale, era tale che i pezzi d'arte venivano acquistati privi di documenti di provenienza. I vasi in bronzo provenivano da Anyang e gli oggetti in bronzo intarsiato con oro o argento da Jincun (nella provincia di Henan). Si sospetta che gli studiosi stranieri, soprattutto i più determinati che hanno cercato di stabilire l’esatta provenienza di questi oggetti, tra i quali il vescovo Bianco di Luoyang e l’archeologo giapponese Umehara Sueji, furono a volte deliberatamente fuorviati dai loro fornitori. 

Lasciando in eredità la collezione ai loro figli, gli Stoclet ne fecero un destino di dispersione quasi inevitabile. Può darsi che fosse questa tuttavia la loro intenzione. Difficilmente può essere considerata una coincidenza il fatto che durante i loro anni di formazione a Parigi gli Stoclet annoverassero tra i loro amici più stretti Edmond de Goncourt. Fu lui che per primo disse che “la dispersione di una raccolta è il modo più appropriato per dare a una nuova generazione di amanti dell’arte, l’opportunità di sperimentare la gioia del collezionismo”. La procedura di classificazione dei mobili nel contenuto nella collezione artistica del Palazzo Stoclet è stata infine completata nel novembre 2006.