Palazzo
Stoclet (dal nome del suo
primo proprietario - Adolph
Stoclet, banchiere e
collezionista di Bruxelles) fu
realizzato fra il 1905 ed il
1911 su progetto di Joseph
Hoffmann (1870-1956) per
l’esigenza di vivere in una
abitazione che fondesse arte e
vita; l’edificio fu una
mirabile sintesi delle arti
(architettura, pittura,
decorazione, design
d’interni e d’oggetti
d’uso), chiamata spesso
nella storia a fare da
opera-simbolo (“summa”)
degli artisti che cooperarono
per realizzarla,
concretizzazione, vale a dire,
degli ideali di quella
Secessione viennese da cui
essi provenivano.
Situato
nei sobborghi della capitale
belga (Tervurenlaan), secondo
le intenzioni del committente
il Palazzo doveva essere il
luogo adibito a ospitare
collezioni ed eventi
culturali; per il suo progetto
Adolphe e Suzanne Stoclet non
posero limiti di costi, perché
i realizzatori raggiungessero
l’obiettivo dell’Opera
d’Arte Totale - una sintesi
unitaria di arti diverse (come
era stato già per
l’esperienza del manifesto
del movimento succitato, la
rivista “Versacrum”),
adoperate per dare forma alla
stessa Idea attraverso le
diverse incarnazioni dello
Stile.
Hoffmann,
che aveva già anticipato le
principali linee guida della
costruzione con il sanatorio
di Purkersdorf (1904-1908),
per semplificazioni delle
forme, scarnificazione delle
superfici e l’integrazione
di differenti arti, con questo
Palazzo osò ulteriormente
tramite l’aggregazione dei
diversi moduli geometrici, di
cui è costituito
all’esterno, secondo una
articolazione libera, mentre
l’appiattimento totale delle
superfici e la cesellatura in
bronzo scuro dei cordoli, che
delimitavano in maniera netta
le parti e davano una cornice
alle aperture, ebbero la
funzione di alleggerire
notevolmente la massa
dell’edificio, una scatola
priva di evidente spessore,
quasi le pareti fossero
appoggiate l’una
all’altra.
A
sormontare il Palazzo Hoffmann
collocò una torre,
precorritrice di simili
soluzioni Art Déco nei
decenni a venire (pensiamo ai
grattaceli statunitensi).

All’interno,
la planimetria centrifuga
dell’edificio si sviluppava
secondo un’entrata a doppia
altezza, un piano inferiore
dedicato all’accoglienza
degli ospiti, una sala da
musica, la zona per il pranzo.
Colorati con marmi e arredati
in maniera sontuosa, gli
interni e i decori furono
realizzati dagli artigiani del
laboratorio Wiener Werkstatte
(Vienna), che Hoffmann stesso
aveva fondato assieme a Kolo
Moser (1868-1918, ulteriore
esponente della Secessione
viennese il cui contributo al
Palazzo fu assai rilevante)
per ridisegnare gli oggetti
d’uso quotidiano secondo
un’ideale estetizzante.
Spesso, all’interno del
palazzo ricorse la forma
tipica dello stile geometrico
di Hoffmann, il quadrato,
usato qui, come altrove, quale
marchio, firma, cifra
stilistica.
Fra
le opere più celebri che
ornarono l’abitazione-museo,
va ricordato la pittura
parietale del salone da
pranzo, apoteosi dell’intero
edificio - “L’albero della
vita”, realizzato da Gustav
Klimt (1862-1918), dalla
tipica cromia a prevalenza
dorata e che si sviluppava
attraverso i fitti rami, sui
lati, in due scene
complementari:
“L’attesa” e l’ideale
proseguimento
“L’abbraccio”.
Il
visitatore, che attraversava
questa foresta di simboli
disseminati fra le sale e i
corridoi, doveva avere il
presagio di quella
penetrazione dell’arte in
ogni singolo dettaglio, gesto,
monile che l’arredasse.
Un’esperienza estetica per
chi voleva la propria
esistenza come un’opera
d’arte, resa ancora più
totalizzante dall’assenza di
distanza dall’Opera, quale,
piuttosto, spazio in cui si
svolgesse la vita stessa.
Spinto
oltre gli iniziali intenti di
Hoffmann con il Sanatorio (più
“democratico”, spoglio e
alla portata di un maggior
pubblico cui rivolgere il
messaggio artistico), il
Palazzo fu eletto quale luogo
supremo e sacrale del Bello,
incarnato in un senso anche
elitario, circoscritto in un
ambiente lussuoso, non privo
di una certa sofisticatezza,
in grado persino di mettere da
parte la funzionalità degli
ambienti e degli oggetti e che
susciterà, dunque,
all’interno della Secessione
le risposte razionalizzanti
come quelle del fuoriuscito
dal gruppo Adolf Loos
(1870-1933).

Da
diversi anni la proprietà è
stata oggetto di disputa
legale tra gli eredi di
Stoclet e la regione di
Bruxelles. I termini di tale
contenzioso riguardava il
contenuto interno di quella
che veniva appunto definita come
"opera totale" e
classificata monumento storico
dal 1976: il suo contenuto -
un valore di oltre 30 milioni
di euro – si contestava, non
poteva essere monumento
storico e quindi monumento
nazionale, bensì proprietà
privata. La regione di
Bruxelles ha voluto
classificare tutti gli
elementi degli arredi, al fine
di proporre all'UNESCO come un
capolavoro del patrimonio
mondiale, nonostante
l'opposizione degli eredi di
Adolphe Stoclet, che
chiedevano di disporre della
loro proprietà
liberamente. L'Austria tentò
di acquistare, ma invano.
La
collezione della famiglia
Stoclet fu acquisita tramite
aste e antiquari, compresa una
collezione d'arte antica
cinese.
Il mercato internazionale ai
quei tempi, prima della
seconda guerra mondiale, era
tale che i pezzi d'arte
venivano acquistati privi di
documenti di provenienza. I
vasi in bronzo provenivano da
Anyang e gli oggetti
in bronzo intarsiato con oro o
argento da Jincun (nella
provincia di Henan). Si
sospetta che gli studiosi
stranieri, soprattutto i più
determinati che hanno cercato
di stabilire l’esatta
provenienza di questi oggetti,
tra i quali il vescovo Bianco
di Luoyang e l’archeologo
giapponese Umehara Sueji,
furono a volte deliberatamente
fuorviati dai loro fornitori.
Lasciando
in eredità la collezione ai
loro figli, gli Stoclet ne
fecero un destino di
dispersione quasi inevitabile.
Può darsi che fosse
questa tuttavia la loro
intenzione. Difficilmente può
essere considerata una
coincidenza il fatto che
durante i loro anni di
formazione a Parigi gli
Stoclet annoverassero tra i
loro amici più stretti Edmond
de Goncourt. Fu
lui che per primo disse che
“la
dispersione di una raccolta è
il modo più appropriato per
dare a una nuova generazione
di amanti dell’arte,
l’opportunità di
sperimentare la gioia del
collezionismo”.
La procedura di
classificazione dei mobili nel
contenuto nella collezione
artistica del Palazzo Stoclet
è stata infine completata nel
novembre 2006.

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