Nel XVI secolo, il vescovo spagnolo Diego de Landa, a cui
era
stato
affidato
il
compito
di
cristianizzare
le
genti
maya
dello
Yucatan,
apprese
che
queste
si
recavano
regolarmente
in
un
luogo
sacro,
meta
di
pellegrinaggi:
qui,
non
lontano
dalle
rovine
di
un'antica
città,
si
trovava
un
grande
pozzo
naturale,
venerato
dagli
indigeni
da
tempi
immemorabili.
De
Landa,
nella
sua
"Relazione
delle
cose
dello
Yucatan",
narra
con
raccapriccio
di
uomini
e
donne
che
venivano
gettati
vivi
nelle
scure
acque
del
pozzo,
chiamato
"cenote"
dagli
spagnoli,
in
seguito
alla
corruzione
della
parola
maya
dzonot.
Il
religioso
apprese
che
si
trattava
di
sacrifici
umani
compiuti
nell'ambito
di
un
culto
antichissimo,
legato
all'acqua
e
alla
fertilità.
Le contigue rovine appartenevano a una delle più
prestigiose
città
del
mondo
maya
che,
a
differenza
di
altre,
non
era
mai
stata
del
tutto
abbandonata:
Nel 1841, John Stephens e Frederick
Catherwood
vi
si
recarono
e,
dopo
averne
ritratto
i
monumenti
più
spettacolari,
vi
intrapresero
le
prime
ricerche
archeologiche.
Queste
furono
in
seguito
riprese
da
studiosi
statunitensi,
quali
Maler
e
Holmes
e,
nel
1900,
dal
celebre
archeologo
Edward
Thompson,
che
giunse
a
immergersi
nel
Sacro
Cenote.
Le regolari campagne di scavo, che
ebbero
inizio
negli
anni
Venti
sotto
la
direzione
di
Sylvanus
Morley,
consentirono
di
riportare
alla
luce
edifici
grandiosi,
strappandoli
all'avanzare
della
vegetazione;
oggi
Chichén
Itzà,
che
ancora
non
ha
svelato
tutti
i
suoi
segreti,
costituisce
uno
dei
siti
più
famosi
dello
Yucatan
e
del
mondo
maya.
Situata su un pianoro calcareo per una superficie di 300
ettari
a
nord-est
della
penisola
dello
Yucatàn,
affacciata
sul
golfo
del
Messico,
sorge
Chichén
Itzá.
Al
principio
del
X
secolo
nell'area
centrale
dell'impero
maya
cessarono
le
attività
culturali
che
avevano
caratterizzato
il
"periodo
classico"
(III-X
secolo
d.C).
Le
fonti
maya,
come
il
Chilam
Balam,
raccontano
dell'arrivo
nelle
terre
basse
di
gruppi
estranei
alla
zona,
capeggiati
da
Kulkulcdn.
I Toltechi e gli Aztechi lo
chiamavano
Quetzalcoatl.
Per
i
Maya,
invece,
era
Kukulcàn.
Il
"serpente
con
le
piume
dell'uccello
quetzal"
-
questa
la
traduzione
del
nome
-
era
il
protettore
dei
sacerdoti
e
dei
sovrani,
padrone
della
sapienza
e
dei
venti.
In
un
pantheon
come
quello
maya,
popolato
di
divinità
sanguinarie,
Quetzalcoatl-Kukulcàn
non
chiedeva
ai
fedeli
altro
che
sacrifici
di
serpenti,
uccelli
e
farfalle.
E
si
credeva
che
un
giorno
sarebbe
tornato
sulla
Terra
per
farne
il
suo
paradiso.
Tanto
che
il
re
azteco
Montezuma
II
accolse
amichevolmente
Hernan
Cortéz,
credendolo
quel
dio.
Nel IX secolo, molto tempo
prima
dell'arrivo
degli
spagnoli,
il
divino
re
tolteco
Quetzalcoatl
conquistò
la
più
florida
delle
città
maya
dello
Yucatàn.
Questo,
almeno,
è
quanto
racconta
una
leggenda
a
proposito
di
Chichén
Itzà.
La data di fondazione di Chichén Itzá
viene
fatta
risalire
al
987.
Il
suo
nome
significa
"bocca
del
pozzo
degli
itza",
riferendosi
alla
particolarità
di
questo
territorio
carsico
caratterizzato
da
grandi
riserve
d'acqua,
cenotes,
di
forma
circolare
prodotte
dal
crollo
della
volta
di
grotte
sotterranee
dove
scorre
l'acqua
che
filtra
dalla
pietra
porosa
di
superficie.
In uno Yucatan prevalentemente arido la presenza di due larghi e profondi
pozzi
naturali,
chiamati
cenotes,
che
forniscono
acqua
in
abbondanza,
ha
reso
il
sito
particolarmente
attraente
per
l'insediamento.
Dei
due
cenotes
il
Cenote
Sagrado
è
il
più
famoso.
Secondo
le
fonti
post-conquista,
sia
Maya
che
spagnole,
i
Maya
precolombiani
compivano
sacrifici
al
dio
della
pioggia
Chaac,
gettando
nel
cenote
sia
manufatti
che
esseri
umani.
Il
console
statunitense
Edward
Herbert
Thompson
dragò
il
cenote
negli
anni
tra
il
1904
e
il
1910,
portando
alla
luce
manufatti
d'oro,
di
giada
e
di
ceramica,
così
come
resti
umani
con
ferite
compatibili
con
l'ipotesi
dei
sacrifici.
Chichén Itzá ascese al predominio regionale verso la fine del periodo
classico
arcaico
(approssimativamente
il
600
d.C.).
Fu
comunque
verso
la
fine
del
periodo
medio
classico
e
agli
inizi
del
periodo
classico
finale
che
il
sito
divenne
una
grande
capitale
regionale,
centralizzando
e
dominando
politicamente,
culturalmente
ed
economicamente
la
vita
nelle
pianure
settentrionali
dei
Maya.
L'ascesa di Chichén Itzá viene messa in relazione con il declino dei
principali
centri
Maya
delle
pianure
meridionali,
come
ad
esempio
Tikal.
Alla
fine
del
Periodo
Classico,
tra
l'800
e
il
950
d.C.,
quando
le
città
maya
dei
bassipiani
avevano
cominciato
la
fase
di
decadenza
e
di
abbandono,
un
gruppo
di
genti
maya
chiamate
Itzà
o
Chontal,
fortemente
influenzate
dalle
culture
del
Messico
settentrionale,
diedero
vita
a
un
centro
di
modeste
dimensioni,
la
cui
importanza
era
legata
soprattutto
al
culto
del
Sacro
Cenote.
I
dati
emersi
dall'indagine
archeologica,
in
accordo
con
le
fonti
storiche,
testimoniano
l'arrivo
a
Chichén Itzá di un nuovo gruppo di
genti,
i
Toltechi,
alla
fine
del
X
secolo
d.C.
Questi
invasori
provenivano
da
Tula,
la
città
che,
in
seguito
alla
caduta
di
Teotihuacan,
aveva
svolto
per
alcuni
secoli
il
ruolo
di
città
egemone
nell'Altopiano
del
Messico.
Fonti
storiche
di
matrice
tolteca
narrano
che,
inotrno
al
987
d.C.,
numerosi
abitanti
abbandonarono
Tula
sotto
la
guida
del
sovrano
Ce
Acatl
Topilzin,
detronizzando
dal
crudele
fratello
Tezcatlpoca,
e
in
seguito
a
un
ungo
viaggio
attraverso
i
territori
del
Messico,
giunsero
nello
Yucatan.
Qui si stabilirono a Chichén Itzá, che assunse il ruolo di nuova capitale e venne abbellita con
edifici
grandiosi.
Le
fonti
e
la
tradizione
storica
identificano
Ce
Acatl
Topilzin
con
Quetzalcòatl,
il
Serpente
Piumato
del
cui
culto
e
della
cui
iconografia
sono
impregnati
i
monumenti
di
Chichén Itzá. I Maya dello Yucatan furono dunque indotti a venerare questa
nuova
divinitòà,
inportata
dai
colonizzatori
toltechi,
che
si
affermò
sui
culti
degli
antenati
con
il
nome
di
Kukulkàn,
che
sigifica
proprio
"Serpente
dalla
piume
di
quetzal".
La leggenda tramandata sulla fuga di Ce Acatl da Tula, esiliato insieme ai
suoi
seguaci,
trova
un
chiaro
riscontro
nell'archeologia
attorno
al
1000
d.C.,
infatti
Chichén
Itzá
si
trasformò
in
un
centro
urbano
assai
vasto,
ricco
di
monumenti
che
denotano
nell'insieme
il
sincretismo
tra
la
cultura
maya
del
Periodo
Classico
finale
e
quella
tolteca.
Al contrario di altre città Maya del primo periodo classico, Chichén Itzá
non
era
governata
da
un
singolo
individuo
o
da
una
singola
dinastia.
L'organizzazione
politica
della
città
era
invece
strutturata
attraverso
un
sistema
cosiddetto
multepal,
caratterizzato
dal
governo
di
un
consiglio
composto
dai
membri
delle
famiglie
più
importanti.


Chichén
Itzá
al
suo
apogeo
era
la
maggiore
potenza
economica
delle
terre
Maya
settentrionali.
Sfruttando
le
rotte
marittime
che
circondavano
la
penisola
dello
Yucatan
per
mezzo
del
sito
portuale
di
Isla
Cerritos,
la
città
riusciva
a
ottenere
materie
prime
non
disponibili
localmente,
come
l'ossidiana
dalle
regioni
del
Messico
centrale
e
l'oro
dalle
regioni
del
Centroamerica
più
a
sud.
Le cronache Maya riportano nel 1221 una rivolta con una conseguente guerra civile, e le prove archeologiche
sembravano
confermare
che
le
coperture
lignee
del
grande
mercato
e
del
Tempio
dei
Guerrieri
bruciarono
all'incirca
in
quel
periodo.
Per
Chichén
Itzá
iniziò
il
declino
come
città
dominante
dello
Yucatan,
soppiantata
da
Mayapan.
Questa
cronologia
è
stata
tuttavia
drasticamente
rivista
in
anni
più
recenti.
Da
un
lato
una
migliore
conoscenza
archeologica
sui
cambiamenti
della
ceramica
nella
regione,
dall'altro
un
maggior
numero
di
reperti
databili
con
la
tecnica
del
radiocarbonio
giunti
dagli
scavi
a
Chichén
Itzá
,
hanno
spostato
la
datazione
del
declino
della
città
all'indietro
di
due
secoli,
intorno
al
1000
d.C.
Questa
nuova
datazione
lascia
un
intervallo
temporale
inspiegato
tra
la
caduta
di
Chichén
Itzá
e
il
sorgere
del
suo
successore
Mayapan.
Le
ricerche
in
corso
nel
sito
archeologico
di
Mayapan
potrebbero
aiutare
a
risolvere
questo
enigma
cronologico.
La
città
non
fu
mai
completamente
abbandonata,
tuttavia
la
popolazione
diminuì
e
nessuna
nuova
importante
costruzione
venne
eretta
dopo
il
collasso
politico.
Il
cenote
sacro
rimase
comunque
un
luogo
di
pellegrinaggio.
Nel
1531
lo
spagnolo
Francisco
de
Montejo
conquistò
Chichén
Itzá
con
l'intenzione
di
farne
la
capitale
dello
Yucatan
spagnolo,
ma
dopo
pochi
mesi
una
rivolta
dei
nativi
Maya
lo
costrinse
ad
abbandonarla.

La città si sviluppava intorno a una
piazza
principale
dove
furono
eretti
i
monumentali
edifici
sacri.
L'architettura
degli
itza,
a
differenza
di
quella
tipicamente
maya,
prevede
la
creazione
di
spazi
interni
molto
ampi,
mentre
l'effetto
di
sviluppo
verticale
non
aveva
esigenze
di
funzionalità
ma
solamente
di
carattere
estetico
e
finalizzato
a
provocare
stupore
in
coloro
che
presenziavano
alle
funzioni,
prevalentemente
folle
di
soldati
che,
quindi,
avevano
bisogno
di
ampi
spazi
per
riunirsi.
La
fusione
della
cultura
maya
con
quella
tolteca
è
evidente
nell'uso
contemporaneo
di
colonne
riccamente
decorate
e
coperture
piane
sostenute
da
travi.
Le tre principali città del popolo
itzà,
Chichén
Itzà,
Uxmal
e
Mayapàn,
si
unirono
in
un'alleanza
conosciuta
come
la
lega
di
Mayapàn,
che
durò
due
secoli
durante
i
quali
l'influenza
tolteca
si
diffuse
in
tutto
il
territorio
dello
Yucatàn
partecipando
alla
formazione
di
una
rete
di
strade
commerciali,
che
si
stavano
intensificando
fin
dall'epoca
classica.
Ma
nel
1194
esplose
un
conflitto
e
Mayapàn
si
impose
su
Chichén
Itzà,
che
venne
distrutta.
Nel
1441
l'organizzazione
di
un
movimento
di
rivolta
da
parte
dei
popoli
soggetti
fece
crollare
il
sistema
centralizzato
della
penisola,
instaurando
una
serie
di
signorie
locali
troppo
deboli
per
non
cadere
nelle
mani
degli
spagnoli
nel
1531.

Le principali espressioni artistiche locali recano l'impronta di una classe
dominante
fortemente
militarizzata
rispetto
a
quella
delle
città
maya
dei
bassipiani,
fiorite
nei
secoli
precedenti:
a
Chichén Itzá, così come a Tula, si percepisce chiaramente la presenza di
quell'ideologia
guerriera
che
caratterizzò
le
civiltà
mesoamericane
del
Postclassico,
sovrapponendosi
a
più
antichi
culti
religiosi.
L'influenza
dello
stile
Puuc,
proprio
dei
centri
yucatechi
del
Classico
finale,
è
riscontrabile
solo
in
alcuni
edifici
posti
nell'area
meridionale
del
sito,
che
rappresentano
l'ultimo
richiamo
artistico
e
culturale
al
mondo
maya:
i
più
importanti
sono
la
Casa
Colorada
e
l'Edificio
delle
Monache.
Il primo colpisce per l'aspetto sobrio e severo della sua struttura:
l'eleganza
dello
stile
Puuc
è
manifestato
solo
nella
parte
superiore,
arricchita
da
un
fregio
con
mascheroni
del
dio
Chac
e
sormontata
da
una
cresta
di
colòo
molto
stilizzata
rispetto
a
quelle
del
Periodo
Classico.
L'Edificio
delle
Monache
sembra
invece
nell'insieme
piuttosto
"barocco",
con
la
facciata
principale
interamente
ricoperta
di
greche
in
pietra
e
maschere
connesse
al
culto
di
Chac
e
del
Mostro
terrestre;
la
sua
architettura
richiama,
più
di
ogni
altra
a
Chichén Itzá, quella dei palazzi di Uxmal. Sopra la porta centrale, una
nicchia
contiene
una
scultura
a
bassorilievo
raffigurante
un
personaggio
seduto,
forse
uno
dei
sovrani
della
città,
sulla
cui
identità
nessuna
epigrafe
ha
lasciato
testimonianza.
Gli
edifici
annessi
e
la
cosiddetta
Iglesia
rappresentano
un
monumentale
omaggio
al
Dio
della
Pioggia,
con
numerosi
mascheroni
dalle
fauci
spalancate
e
fregi
con
serpenti
stilizzati.
Isolata
sul
portale
orientale
si
trova
invece
una
rara
scultura
di
figura
umana
incorniciata
da
un
ventaglio
di
piume.
Le
pareti
del
"monastero"
e
degli
altri
palazzi
sono
riccamente
coperti
di
decorazioni
Puuc.
I
Toltechi
inserirono
alcune
strutture
nel
vecchio
nucleo
maya
come
per
esempio
il
Tempio
dei
Pannelli
Dipinti,
che
recava
immagini
di
guerrieri
e
giaguari.
La
Tomba
del
Gran
Sacerdote
(detta
anche
Ossario)
era
probabilmente
dedicata
al
Dio
Supremo
Itzamná,
rappresentato
in
veste
di
uccello-serpente
che
venne
assimilato
dai
Toltechi
a
Kukulkán-Quetzalcóatl
come
divinità
benefica.
La
Tomba
del
Gran
Sacerdote
consiste
in
una
struttura
piramidale
costruita
sopra
un
pozzo
e
nel
suo
interno
sono
state
rinvenute
sette
tombe
con
numerosi
scheletri
accompagnati
da
ricche
offerte.
Nel settore nord-occidentale della città si trova lo sferisterio,
destinato
al
gioco
della
palla.
Si
tratta
del
campo
più
vasto
tra
quelli
finora
rinvenuti
nella
Mesoamerica:
la
corte
misura
circa
170
metri
di
lunghezza
e
circa
50
metri
di
larghezza,
mentre
i
muri
laterali
-
verticali
e
ornati
da
una
fascia
a
forma
di
serpente
-
sono
alti
quasi
8
metri;
gli
anelli
sono
fissati
ad
un’altezza
di
7
metri
e
mezzo.
Guardando
quei
bersagli
così
alti
viene
spontaneo
chiedersi
come
i
giocatori
potessero
lanciare
la
pesante
palla
di
caucciù
fino
lassù
senza
usare
le
mani,
colpendola
soltanto
con
i
gomiti,
le
ginocchia
e
i
fianchi.
Nel
gioco
della
pelota
di
Chichén
Itzá
si
fronteggiavano
due
squadre
formate
da
sette
elementi
ciascuna
e
le
loro
immagini
sono
immortalate
sui
rilievi
che
corrono
lungo
la
base
dei
muri:
vediamo
i
giocatori
protetti
da
larghe
cinture
che
coprivano
le
parti
vulnerabili,
dalle
anche
alle
ascelle,
e
da
paracolpi
sulle
braccia
e
sulle
ginocchia,
e
molte
scene
mostrano
il
rituale
sacrificio
dei
perdenti
per
decapitazione.
A
seconda
della
tradizione
locale
i
giocatori
erano
vestiti
con
costumi
particolari:
gli
Zapotechi
portavano
un
casco
a
forma
di
testa
di
giaguaro,
dei
lunghi
guanti,
pantaloni
corti,
fasce
di
cotone
e
ginocchiere.
Nella
cultura
di
El
Tajín
-
che
possiede
ben
quattordici
Campi
per
la
Pelota
-
la
corazza
protettiva
era
costituita
da
paracolpi
sui
fianchi,
sul
petto,
sulle
ginocchia
e
sui
gomiti.

Si
suppone
che
alcuni
oggetti
di
pietra,
finemente
scolpiti
e
rinvenuti
in
vicinanza
dei
campi,
fossero
legati
al
sarcificio
finale,
oppure
rappresentassero
simbolicamente
alcuni
elementi
della
corazza:
i
jugos
-
dei
massicci
gioghi
che
proteggevano
il
ventre
(nella
realtà
i
cinturoni
erano
fabbricati
in
cuoio
o
cotone);
le
palmas,
caratteristiche
della
cultura
Azteca,
a
forma
di
ventaglio
o
foglia,
che
forse
coprivano
il
petto,
e
le
hachas,
delle
torce
piatte
scolpite
con
profili
umani
o
animali,
il
cui
uso
è
incerto.
Il
sacro
Gioco
della
Palla
è
stato
praticato
da
tutte
le
culture
mesoamericane.
I
primi
campi
da
gioco
risalgono
alla
civiltà
Olmeca,
la
più
antica
del
Messico,
e
il
rituale
venne
poi
trasmesso
ai
Maya,
agli
Zapotechi,
ai
Totonachi
e
agli
Aztechi.
Il
gioco
era
associato
ad
un’antica
leggenda
narrata
nel
libro
dei
Maya
Popol
Vuh
che
racconta
il
mito
dei
Gemelli
Divini
Hunahpu
e
Xbalanque:
il
loro
padre
aveva
infastidito
gli
Dei
dello
Xibalba
(il
mondo
sotterraneo),
giocando
per
troppo
tempo
a
palla
con
suo
fratello
e
per
punizione
venne
decapitato.
Era
riuscito
tuttavia
ad
ingravidare
una
delle
figlie
degli
dei
dell’Inframondo
che
in
seguito
diede
alla
luce
due
gemelli.
Hunahpu
e
Xbalanque
si
vendicarono
della
morte
del
padre
ricomponendo
i
resti
del
suo
cadavere
sepolto
tra
gli
spalti
del
campo
da
gioco
e
combattendo
contro
gli
dei
dello
Xibalba
per
cacciarli
per
sempre
dal
mondo
degli
uomini.
Il
gioco
è
legato
anche
al
culto
del
Sole
che
deve
rinascere
ogni
giorno
abbandonando
le
tenebre:
il
campo
da
gioco
rappresenta
la
terra,
mentre
la
palla
simboleggia
il
sole,
per
cui
il
giocatore
che
lascia
cadere
la
palla
deve
essere
sacrificato
perchè
ha
impedito
al
sole
di
sorgere
nuovamente.

Lasciando lo sferisterio e addentrandosi nell'area nord-orientale della città,
si
possono
ammirare
i
complessi
architettonici
più
maestosi
e
maggiormente
impregnati
di
elementi
culturali
di
origine
tolteca.
Lo
Tzompantli, chiamato anche "Piattaforma dei Teschi", rappresenta forse il
monumento
più
raccapricciante
di
Chichén
Itzá,
sconosciuto
nella
città
maya
del
Classico
e
testimone
di
una
civiltà
ossessionata
dai
sacrifici
umani.
Si tratta infatti di una piattaforma rettangolare in pietra, i cui lati sono
coperti
da
un
fregio
continuo,
scolpito
a
bassorilievo
e
raffigurante
file
di
teschi
impalati.
Tale
struttura
riproduce
lo
tzompantli
originale,
una
sorta
di
palizzata
di
legno
sulla
quale
venivano
infilzati
ed
esposti
i
crani
delle
vittime
decapitate.
Si
suppone
che
i
macabri
resti
appartenessero
a
nemici
catturati
in
battaglia,
oppure
ai
membri
delle
squadre
perdenti
del
gioco
della
palla,
cui
appunto
veniva
mozzato
il
capo.
La presenza di monumenti analoghi è stata attestata, oltre che a Tula,
anche
a
Tenochtitlan,
la
capitale
dell'impero
Azteco,
i
cui
abitanti
ereditarono
gli
usi
e
i
costumi
del
popolo
tolteco.
A est del macabro edifico sorgono l'imponente Tempio dei Guerrieri e
le
contigue
vestigia
del
cosiddetto
"Gruppo
delle
Mille
Colonne".
La
grande
struttura
piramidale
a
gradoni
fu
probabilmente
innalzata
nel
XII
secolo
d.C.,
con
la
precisa
volontà
di
costruire
un
edificio
sacro
identico
a
quello
di
Tlahuizcalpantecuhtli
a
Tula,
dedicato
a
Venere
nel
suo
aspetto
di
stella
del
mattino.
Il
tempio
sorge
su
una
bassa
piramide
a
quattro
livelli e una scalinata centrale,
ornata
da
teste
di
serpenti
piumati, consente l'accesso alla
sommità,
dove
si
eleva
la
cella
del
santuario
vero
e
proprio,
i
cui
pilastri
istoriati
sorreggevano
il
tetto
oggi
scomparso.
Due gigantesche colonne
serpentiformi
fiancheggiano
l'entrata
del
santuario:
il
mostro
dalle
fauci
spalancate
e
dal
corpo
ricoperto
di
piume
raffigura
ancora
una
volta
Kukulkán-Quetzalcóatl, il Serpente Piumato della
mitologia.
Una
leggenda
su
Kukulkán-Quetzalcóatl
vuole
che
l’eroe
sia
asceso
al
cielo
trasformandosi
in
Stella
del
Mattino,
cioè
nel
pianeta
Venere.

Tra le due colonne è posto il Chac mool che, come lo tzompantli,
rappresenta
un'innovazione
culturale
apportata
dai
colonizzatori
toltechi.
Si
tratta
di
un
altare
monolitico
antropomorfo,
sul
quale,
ancora
all'epoca
della
Conquista,
venivano
immolate
le
vittime
destinate
al
sacrificio.
I quattro corpi che formano la struttura della piramide, realizzati secondo
i
moduli
del
talud
e
del
tablero
di
origine
teotihuacana,
sono
ricoperti
di
fregi
scolpiti:
alle
immagini
destinate
a
esaltare
la
potenza
degli
ordini
militari
toltechi,
l'Ordine
delle
Aquile
e
quello
dei
Giaguari,
si
alternano
scene
di
crudeli
sacrifici.
Nel 1841, Stephens scoprì all'interno del tempio un ciclo di pitture
parietali,
purtroppo
in
pessimo
stato;
riuscì
tuttavia
a
individuare
la
raffigurazione
di
una
battaglia
navale.
Il Tempio dei Guerrieri è affiancato dalla sala chiamata
delle
Mille
Colonne
per
la
selva
di
colonne
di
pietra disposte su più file, che in origine sorreggevano i soffitti a falsa volta
di
enormi
saloni
ipostili.
Il
fusto
delle
colonne
è
costituito
da
blocchi
cilindrici
o
parallelepipedi,
generalmente
decorati
a
bassorilievo.
La
colonna
come
elemento
portante,
sconosciuta
ai
Maya,
venne
importata
dai
Toltechi
che
l’avevano
già
sperimentata
a
Tula
:
con
questa
struttura,
su
cui
poggiavano
travi
di
legno
che
sostenevano
un
tetto
in
pietra,
era
possibile
ampliare
a
piacimento
le
dimensioni
di
un
unico
ambiente.
Purtroppo
le
intemperie
e
l’umidità
hanno
fatto
sì
che
le
parti
in
legno
si
deteriorassero
al
punto
da
non
reggere
la
pesante
copertura
che
già
all’arrivo
degli
Spagnoli
giaceva
disordinatamente
sul
suolo.
Di
fronte
alle
Mille
Colonne
si
trova
un
altro
edificio
porticato,
detto
il
Mercato,
sul
cui
muro
di
fondo
è
rappresentata
una
processione
di
guerrieri
incorniciata
da
serpenti
piumati.

Per
quanto
i
monumenti
finora
descritti
siano
di
indubbio
fascino,
la
principale
struttura
e
il
simbolo
stesso
di
Chichén Itzá è il Castillo,
chiamato
così
dagli
spagnoli
per
l'imponenza
delle
sue
proporzioni,
che
sorge
isolato
nel
mezzo
della
grande
spianata
compresa
tra
lo
sferisterio
e
il
tempio
dei
guerrieri.
La
grande
piramide
maya-tolteca
dedicata
al
re-eroe
Kukulkán,
fu
il
primo
monumento
costruito
dalla
tribù
tolteca
degli
Itzá
dopo
il
loro
arrivo
alla
fine
del
X
secolo.
Di
dimensioni
gigantesche,
con
una
base
di
55
metri
per
lato
ed
un’altezza
di
30
metri,
El
Castillo
è
la
celebrazione
in
pietra
del
divino
Kukulkán-Quetzalcóatl:
le
quattro
scalinate
hanno
i
parapetti
ornati
da
lunghissimi
serpenti
piumati
le
cui
fauci
si
aprono
nel
piazzale
sottostante,
mentre
le
colonne
del
tempio
sono
serpenti
a
sonagli
la
cui
coda
sostiene
un
architrave.
Kukulkán
fa
la
sua
apparizione
nei
giorni
degli
equinozi
(a
Marzo
e
a
Settembre)
quando
l’ombra
delle
nove
terrazze
si
proietta
sul
muro
nord-ovest
creando
l’immagine
di
un
serpente
che
striscia
lungo
la
piramide.
La piramide oggi visibile, formata da
nove
gradoni,
ingloba
un
edificio
più
antico,
risalente
al
X
secolo,
dalla
struttura
analoga,
anch'esso
a
base
quadrata,
ma
di
più
modeste
dimensioni.
Al
suo
interno
sono
stati
trovati
un
Chaac
Mool
e
un
trono
a
forma
di giaguaro,
dipinto
di
rosso
e
decorato
con
dischetti
di
giada
per
simulare
le
macchie
del
manto.
Il Castillo è sormontato da un
santuario
dotato
delle
tipiche
colonne
serpentiformi,
cui
si
accede
grazie
alle
quattro
scalinate
disposte
al
centro
dei
lati
secondo
i
criteri
delle
antiche
piramidi
maya
del
Periodo
Classico
antico;
occorre
precisare
che
tale
soluzione
è
poco
frequente
nell'architettura
mesoamericana.

L’importanza
dei
calcoli
astronomici
è
ribadita
in
tutto
il
monumento:
le
quattro
scalinate
che
scandiscono
la
piramide
contano
ognuna
91
gradini
per
una
somma
totale
di
364;
se
vi
aggiungiamo
l’unico
gradino
del
tempio
il
conto
finale
è
di
365,
l’esatto
numero
dei
giorni
di
un
ciclo
solare.
Secondo l'immaginario popolare rappresenterebbe la montagna
dove
la
Prima
Madre
modellò
con
un
impasto
di
mais
i
primi
uomini.
Sicuramente
legato
all'attività
astronomica
è
l'edificio
circolare
che
si
erge
su
due
piattaforme
rettangolari
del
Caracol,
letteralmente
"lumaca"
per
la
forma
a
chiocciola
della
sua
copertura,
e
vera
opera
di
ingegno
architettonico
e
scientifico.
Proprio
la
forma
circolare
e
le
numerose
finestre
aperte
nella
torre
e
sistemate
a
spirale
permettevano
di
osservare
il
movimento
degli
astri
seguendone
il
percorso
creato
dalla
rotazione
della
Terra.
In
cima
alla
Piramide
del
Castillo
a
Chichén
Itzá
la
cella
mostra
i
progressi
dell'architettura
nel
periodo
Maya-Tolteco.
L'ampia
cella
è
composta
da
tre
navate
con
un
soffitto
a
volta
sostenuto
da
colonne
quadrate
decorate
da
bassorilievi.
La
fusione
tra
la
cultura
tolteca
e
quella
maya
è
l’elemento
caratterizzante
di
Chichén
Itzá.
Elementi
locali,
in
particolare
le
decorazioni
Puuc,
concentrate
nello
scomparto
superiore
degli
edifici,
e
quelle
Chenes,
che
occupano
l’intera
facciata,
si
alternano
a
motivi
di
influenza
esterna,
anzitutto
il
serpente
piumato
Kukulcán,
ma
anche
aquile,
teschi
e
guerrieri.
Come
i
raggi
del
sole,
da
El
Castillo
partono
numerose
"strade"
maya
in
terra
battuta
o
pavimentate
a
seconda
dell’importanza
-
tra
cui
quella
principale
che
conduce
al
Cenote
Sacro,
il grande pozzo di origine carsica nel
quale
venivano
gettate
le
vittime
in
onore
di
Chac,
dio
della
pioggia
e
della
fertilità.

L'itinerario
archeologico
attraverso
i
resti
di
Chichén
Itzá
non
finisce
di
stupire,
oltre
ai
templi
e
agli
eleganti
palazzi
ipostili,
dove
trionfa
l'iconografia
del
Serpente
Piumato
e
di
culti
sanguinari,
oltre
ai
mercati
e
agli
sferisteri,
esiste
un
edifico
la
cui
struttura
ricorda
l'antica
vocazione
dei
maya
per
lo
studio
degli
astri,
nel
quale
eccelsero
sopra
ogni
altro
popolo.
Questa
singolare
costruzione
fu
chiamata
dai
Conquistadores
"Caracol",
uno
dei
pochi
edifici
a
pianta
circolare
del
mondo
maya
e
tolteco.
Questa
struttura
era
un
osservatorio
astronomico,
con
le
porte
allineate
con
la
posizione
del
sole
all'equinozio
di
primavera,
con
i
punti
delle
massime
declinazioni
nord
e
sud
della
luna
e
altri
eventi
astronomici
sacri
a
Kukulkan,
il
serpente
piumato
dio
del
vento
e
della
conoscenza.
I
Maya
determinavano
il
momento
dei
solstizi
per
mezzo
delle
ombre
proiettate
dal
sole
all'interno
della
struttura.
La
loro
perizia
nel
calcolare
lo
scorrere
del
tempo
li
aveva
portati
a
basarsi
su
un
calendario
solare
di
365
giorni,
con
uno
scarto
infinitesimale
su
quello
stabilito
dagli
astronomi
moderni.
Ai
margini
di
El
Caracol
sono
poste
delle
ampie
coppe
di
pietra
che
venivano
riempite
d'acqua.
L'osservazione
delle
stelle
che
vi
si
riflettevano
aiutava
gli
astronomi
Maya
a
determinare
il
loro
complesso,
ma
estremamente
preciso
calendario.
Su
un
doppio
basamento
dagli
angoli
smussati
venne
costruito
un
edificio
in
semplici
blocchi
di
pietra
levigata
scandito
da
quattro
porte,
mentre
sul
tamburo
superiore
furono
applicate
delle
maschere
di
Chaac
in
corrispondenza
delle
aperture.
Un
ulteriore
piano
presenta
invece
delle
finestrelle
da
cui
forse
si
affacciavano
i
sacerdoti-astronomi
per
scrutare
il
cielo.
Il
nome
Caracol
ricorda
la
scala
a
chiocciola
che,
protetta
da
un
muro
circolare
interno,
porta
al
secondo
piano.

Situato a est del Caracol, Akab Dzib significa, nel linguaggio Maya, La
casa
delle
iscrizioni
misteriose.
Un
nome
precedente
dell'edificio,
secondo
una
traduzione
dei
glifi
della
Casa
Colorada,
era
Wa(k)wak
Puh
Ak
Na,
ossia
la
casa
piatta
con
un
eccessivo
numero
di
stanze,
ed
era
la
residenza
dell'amministratore
di
Chichén
Itzá,
kokom
Yahawal
Cho'
K'ak'.
Si
tratta
di
una
costruzione
relativamente
corta,
alta
solamente
6
metri,
con
una
lunghezza
di
50
metri
e
una
larghezza
di
15
metri.
La
facciata
rivolta
a
ovest
presenta
sette
porte,
quella
rivolta
a
est
solamente
quattro,
interrotte
da
una
larga
scalinata
che
conduce
al
tetto.
Questa
era
apparentemente
la
parte
frontale
della
casa,
e
guarda
verso
un
cenote,
oggi
asciutto.
Il
lato
sud
ha
una
sola
porta,
che
si
apre
su
di
una
piccola
camera.
All'interno
si
trovano
le
iscrizioni
misteriose
a
cui
l'intero
edificio
deve
il
suo
nome
attuale,
intricati
glifi
in
rilievo
situati
al
di
sopra
di
una
delle
porte
interne.
Nello
stipite
della
porta
c'è
un
altro
pannello
scolpito
che
rappresenta
una
figura
seduta
circondata
da
altri
glifi.
In
un
mondo
in
cui
tutto
era
permeato
dal
tocco
divino
e
nessun
atto
poteva
svolgersi
senza
prima
conoscere
il
parere
degli
dei,
i
sacerdoti-astronomi
erano
tenuti
nella
massima
considerazione,
poiché
gli
allineamenti
degli
astri
e
dei
pianeti
venivano
visti
come
incontri
o
scontri
tra
divinità
che
in
tale
modo
esprimevano
il
proprio
volere.

Al
cospetto
di
questa
superba
dimostrazione
dell'ingegnosità
umana,
è
triste
pensare
che
quando
i
conquistatori
bianchi
giunti
dal
Vecchio
Continente
si
apprestarono
a
cancellare
quanto
ancora
rimaneva
della
raffinata
cultura
maya,
non
trovarono
nulla
di
meglio
per
giustificare
tale
scempio
che
bollare
i
nativi
come
"selvaggi
incivili".
Abbattendo
i
loro
palazzi
e
bruciando
in
enormi
roghi
i
sacri
testi,
accusati
di
essere
blasfemi,
i
nuovi
venuti
non
si
accorsero
neppure
di
distruggere
conoscenze
scientifiche
e
astronomiche
di
straordinario
valore;
conoscenze
così
avanzate
da
essere
state
superate
solo
in
tempi
moderni.
Non
sapremo
mai
dove
avrebbe
potuto
giungere
l'uomo,
se
ancora
una
volta
a
prevalere
non
fosse
stata
l'intolleranza:
tuttavia,
le
vestigia
del
Caracol,
di
Chichén
Itzá
e,
più
in
generale,
di
tutti
i
siti
archeologici
dell'America
precolombiana,
rimangono
a
terribile
monito
per
il
futuro
della
nostra
razza.
LA
RELIGIONE
MAYA
Le fonti letterarie redatte dai conquistadores e dai primi
uomini
di
cultura
che
ebbero
dei
contatti
con
le
civiltà
meso-americane
ricordano
che,
secondo
la
cultura
maya,
l'universo
era
stato
creato
dall'azione
di
energie
divine
per
perpetuare
la
propria
esistenza
attraverso
un
essere
che
differisse
dagli
altri
grazie
alla
consapevolezza
di
sé,
l'uomo,
e
che
divenisse
grazie
a
ciò
il
fulcro
del
mondo.
Gli dei maya erano forze invisibili
che
potevano
manifestarsi
attraverso
fenomeni
naturali
o
assumendo
sembianze
sia
animali
sia
umane
e
potevano
materializzarsi
nei
simulacri
eretti
dagli
uomini
stessi.
Dato
che
il
cosmo
era
in
costante
movimento
e
cambiamento,
anche
gli
dei
potevano
trasformarsi,
soprattutto
nascevano
e
morivano.
Potevano essere quattro, come le
direzioni
del
cosmo,
tredici,
come
le
divinità
del
cielo,
nove,
come
le
divinità
del
mondo
sotterraneo.
La
decifrazione
della
scrittura
maya
ha
permesso
di
conoscere
il
mito
della
creazione
dell'uomo
diffuso
nel
"periodo
classico"
(200-900
d.C).
Secondo
questa
cosmogonia,
scolpita
sulle
pareti
dei
templi
della
città
di
Palenque,
il
Primo
Padre
nacque
nel
3114
a.C.
Compì
azioni
prodigiose
e
vinse
la
morte
resuscitando.
La
resurrezione
dal
Mondo
di
Sotto
lo
trasformò
in
una
giovane
donna
di
straordinaria
bellezza
che
porta
sulla
terra
i
preziosi
semi
del
mais.
Il
mais
si
ritrova
anche
nel
mito
tramandato
dal
Popol
Vuh,
un
testo
scritto
in
lingua
quiche.
Secondo
questa
versione
la
coppia
primordiale
degli
dei
pose
fine
al
caos
dell'universo
ordinando
il
mondo
e
creando
una
coppia
di
Divini
Gemelli.
Costoro
estrassero
dalle
montagne
sostanze
atte
al
nutrimento,
mais
giallo
e
bianco:
lo
macinarono
per
nove
volte
e
con
la
preziosa
farina
modellarono
il
corpo
dei
primi
uomini.
