Nelle
pagine più toccanti della sua Guerra Giudaica, lo storico Giuseppe Flavio
riporta le parole di Eleazar Ben Yair, capo degli zeloti assediati a
Masada dai romani: "Finché le nostre mani hanno una spada da
impugnare, ci rendano un generoso favore: moriamo quando ancora i nemici
non ci hanno ridotti in schiavitù, e da uomini liberi diamo un addio alla
vita con le nostre mogli e i nostri figli". E narra che in quella
drammatica notte del 73 d.C. gli Zeloti, dopo aver abbracciato i loro
cari, presi da una smania incontenibile si suicidarono in massa. La
mattina successiva, raggiunta la rocca, i romani si trovarono davanti 960
cadaveri e le ceneri fumanti di quintali di masserizie. Non era in questo
modo che si aspettavano di domare la rivolta di quel pugno di ebrei -
fuggiti da Gerusalemme dopo la distruzione del Tempio - che avevano osato
sfidare la potenza di Roma. La loro fu una vittoria amara, nonostante
Masada fosse giudicata virtualmente inespugnabile.
Masada è
una delle più emozionanti riscoperte storico-archeologiche del XX secolo.
Come risaputo, Masada è il nome di uno sperone roccioso culminante in un
ampio pianoro a forma di nave che si innalza di trecento metri sulla costa
sud-ovest del Mare Morto, in uno scenario arido e selvaggio perché
l’acqua del Mar Morto è da tempo evaporata.
Nel
40 a.C. il luogo assunse un significato particolare per Erode, che
sfuggendo alle forze del pretendente dei Parti, Antigono, dovette
lasciarvi al sicuro la famiglia mentre si recava a Roma per invocare un
aiuto militare. I suoi congiunti, assieme a ottocento uomini che avevano
l'ordine di proteggerli, quasi morirono di sete durante l'assedio prima
che un provvidenziale acquazzone riempisse le cisterne ormai vuote.
Più tardi, quando
riuscì a recuperare il suo regno con l'ausilio delle truppe romane, Erode
trasformò Masada in un complesso palazzo-fortezza,
progettato come suo rifugio perché temeva un doppio pericolo, da una
parte temeva di essere detronizzato dal popolo ebreo e in secondo luogo
temeva la regina egiziana Cleopatra, avversaria sicuramente più
pericolosa. Cleopatra non nascondeva le sue intenzioni anzi faceva
pressioni su Antonio affinché questi facesse uccidere Erode per poi darle
in dono il regno di Giudea.
La
struttura più imponente del sito è però ancora oggi la splendida reggia
che si affaccia sulla punta settentrionale della rocca: questo autentico
capolavoro presenta soluzioni costruttive assai avanzate e una
scenografica distribuzione dei vari ambienti. Il piano più alto era
costituito da una sala rettangolare, che sul lato prospiciente la piana
sottostante si apriva in una grande abside delimitata da un colonnato
corinzio, a formare uno straordinario belvedere sulla depressione del Mar
Morto. Una scala coperta collegava quest'ala del palazzo con la sezione
intermedia, formata da una struttura a pianta rotonda, anch'essa
circondata da colonne e sormontata da un tetto campaniforme.

Il
livello più basso era invece a pianta pressappoco quadrata e al centro si
apriva in un cortile interno, delimitato da un portico sorretto da
pilastri cui erano addossate eleganti semicolonne corinzie; accanto
sorgeva un piccolo, ma lussuoso impianto termale.
Le
pareti interne e le colonne del palazzo erano ricoperte di vivaci stucchi
policromi, per lo più a imitazione di marmi pregiati, mentre i pavimenti
erano coperti di mosaici bianchi e neri, a disegni geometrici.
Di
notevole interesse sono anche le grandi terme a quattro vani che facevano
parte del livello superiore, tra le meglio preservatesi dei diversi siti
di epoca romana in Israele.
Allo
spogliatoio, o apodyterium, ornato di stucchi e di pavimenti a piastrelle bianche e
nere, seguono il tepidarium,
cioè la sala tiepida, e il frigidarium,
l'ambiente più fresco, caratterizzato da una grande vasca a sedile. Nel calidarium
è ancora visibile l'ipocausto, ossia il pavimento sorretto da pilastrini,
al di sotto del quale circolava l'aria calda proveniente dalla caldaia.
Nei
pressi delle terme si estendeva un vasto insieme di ambienti usati non
solo per conservare cibo e vino, ma anche come depositi dove custodire le
armi e gli oggetti di valore. Questo settore della fortezza, comprendente
il palazzo vero e proprio, le terme e i magazzini, era separato dal resto
della cittadella da un muro e da un cancello. Il sontuoso complesso era
chiaramente destinato ai festeggiamenti e all'ostentazione della ricchezza
e del potere di Erode, ma nel contempo era stato concepito per poter
fungere da estrema difesa nel caso in cui eventuali invasori ne avessero
scavalcato le mura.
Al contrario, il palazzo
occidentale doveva essere più funzionale ed era pertanto costituito dagli
appartamenti reali e da quelli destinati agli ospiti, da stanze di
servizio, da laboratori e magazzini, nonché da sale che avevano una
funzione amministrativa, come quelle usate per i ricevimenti di stato.
Anche qui i pavimenti erano impreziositi da mosaici ed esistono prove che
alcune parti dell'edificio fossero alte diversi piani.
Nelle
vicinanze si trovavano altre tre piccole strutture, in una delle quali era
ospitato un mikveh, ossia l'ambiente preposto al bagno rituale ebraico.
Il
problema più grave di Masada, un luogo nel quale poteva essere necessario
ospitare contemporaneamente anche un migliaio di persone, erano
l'approvvigionamento e lo stoccaggio dell'acqua. Dal momento che non solo
la fortezza si trova nel deserto, dove le piogge sono a carattere
stagionale e poco abbondanti, ma è situata su un altopiano in cima a una
montagna circondata da ripide scarpate, venne escogitato un sistema di
drenaggio che portava l'acqua piovana dalle dighe costruite nelle valli
circostanti fino a un sistema di dodici cisterne, poste alla base della
rocca, che contenevano fino a 40.000 metri cubi. Da qui l'acqua poteva
essere trasportata a dorso d'uomo o di mulo lungo un sentiero tortuoso,
fino alle vasche poste all'interno della fortezza.


Pur
essendo quasi inaccessibile, Masada era fortificata da poderose mura che
racchiudevano tutte le strutture sulla spianata, con l'eccezione del
palazzo settentrionale, di per sé imprendibile. Il perimetro difensivo
era costituito da una cinta esterna e da una interna: lo spazio ricavato
nel mezzo era occupato da ambienti di vario utilizzo. In totale, le mura
di Masada sono lunghe 1500 metri e intervallate da settanta casematte,
trenta torri e quattro porte.
Quando
gli Zeloti conquistarono la fortezza nel corso della rivolta ebraica
antiromana, durata sei anni, apportarono numerose modifiche al complesso
erodiano. Per ospitare un gran numero di famiglie, tutte le stanze nelle
mura vennero trasformate per uso domestico e molte sale del palazzo furono
suddivise per creare diversi nuclei abitativi.
Inoltre,
gli Zeloti costruirono due mikveh
ed esistono prove dell'esistenza di una stanza forse adibita a beit
midrash, ossia un'aula per gli studi religiosi.
La
sinagoga, posta sul lato nord-occidentale, è stata in parte ricostruita;
orientata verso Gerusalemme, potrebbe essere stata eretta dagli Zeloti sul
luogo di un tempio risalente ai tempi di Erode.
Masada
è un sito di eccezionale valore archeologico, non solo per le sue
vestigia architettoniche. Tra i vari reperti qui rinvenuti e conservatisi
grazie al clima secco, figurano infatti frammenti di abiti, tra i quali
scialli da preghiera e sandali di cuoio, oltre a vasellame e cesti di
vimini. Sono state trovate anche numerose monete, coniate sul posto dai
ribelli.
Molto
importanti per lo studio dei diversi testi della Bibbia sono i resti di
quattordici rotoli in pergamena scoperti in alcuni punti della fortezza.
Durante
le campagne di scavo vennero inoltre riportati alla luce oltre settecento ostraka (frammenti di vasellame con iscrizioni), che ci forniscono
ulteriori indizi sulla vita condotta dai ribelli intrappolati sulla rupe
di Masada. Gli ostraka erano
iscritti per lo più in ebraico o aramaico, ma anche in greco o latino.
Per la maggior parte sono stati reperiti nei pressi dei magazzini e
sembrano indicare che durante l'assedio fosse in vigore un sistema di
razionamento dei viveri. In quattro casi, sono stati ritrovati grandi ostraka
che portano scritti alcuni nomi accompagnati da numeri: potrebbe trattarsi
di elenchi amministrativi.
La
scoperta più sensazionale è stata però quella di undici frammenti,
ognuno con un solo nome, che stavano vicino alle porte dei magazzini: uno
dei nomi è quello di Ben-Yair, il capo dei ribelli di Masada. Secondo
alcuni studiosi questi ostraka
costituirebbero le prove dell'estrazione a sorte che avvenne tra i dieci
capi della ribellione durante l'ultimo giorno d'assedio, dopo quasi
quattro anni di eroica resistenza, quando fu chiaro che ormai tutto era
perduto.

Masada
è il prodotto di una mania di persecuzione, una paranoia sfogata nella
pietra, un nido di roccia per un’aquila paurosa; ai margini del regno
costituisce una fortezza inespugnabile ma è meglio essere un re senza
regno o un re minacciato nel proprio paese? Luoghi come Masada sono
dimostrazioni di potere, ma in realtà sono inutili al potere, sono sicuri
come un bunker, come una tomba, sono luoghi di declino. In luoghi simili
anche il sovrano più grande sogna quello che sognano gli altri,
semplicemente sopravvive, un vero incubo per il potere.
All’inizio
della prima rivolta giudaica scoppiata nel 66 d.C. i ribelli strapparono
la fortezza ai romani e di lì tennero loro testa anche quando oramai
Gerusalemme era stata distrutta e il tempio incendiato. È di questo
evento bellico, universalmente famoso, che dovremo parlare, ma prima si
può aggiungere che dal 74 d.C. al 111 a Masada stazionò un distacco
militare romano, e che poi nella seconda rivolta giudaica (132-135 d.C.)
vi si stabilirono di nuovo i ribelli giudei. In epoca bizantina, infine,
Masada fu abitata (finalmente) da gente meno bellicosa, e cioè da pii
monaci cristiani, come testimoniano i resti del monastero e della piccola
cappella dalle decorazioni geometriche a sassolini su intonaco, che il
visitatore trova a Masada tra gli altri edifici. Ora Masada è meta
immancabile di chi visita Israele e la Terrasanta.
La
vicenda più drammatica di Masada ci è nota dagli scritti di uno storico
giudaico di nome Giuseppe che inizialmente aveva avuto qualche ruolo nella
guerra contro i romani e che poi era passato dall’altra parte. Giunto a
Roma con i romani vincitori, fu storico di corte del primo principe della
famiglia Flavia, l’imperatore Vespasiano, assumendo di lui anche il nome
di famiglia, per cui è passato alla storia come “Giuseppe Flavio”.
Ebbene, a soli 5 o 6 anni di distanza dai fatti, egli narrò la caduta di
Masada nell’opera intitolata “Guerra giudaica”.
100 anni
più tardi a Masada si raccolgono i più deboli. Nell’anno 66 d.C., gli
ebrei tentano una rivolta contro l’occupazione dei romani; i romani
contrattaccano. Nell’anno 70 Gerusalemme è in fiamme, la fortezza di
Masada diventa l’ultimo rifugio degli ebrei ormai allo sbando. Eleazar
Ben Yair è il
comandante dei sicari, ma Giuseppe Flavio ha fatto pace con i romani,
quindi scrive per entrambe le parti, per i romani che lo hanno lasciato in
vita e per gli ebrei, per i quali deve sminuire l’accusa di essere un
traditore.
Nell’inverno
del 72 i romani si avvicinano. Il comandante della legione romana, Flavio
Silva, circondò la fortezza con delle mura rendendo più difficile la
possibilità di fuga agli assediati, poi scelse un luogo adatto
all’assedio, un punto in cui le rocce della fortezza si affacciano sulle
montagne vicine. Il generale romano diede avvio all’assedio, ad
occidente si trovava un’altura piuttosto ampia e sporgente ma situata
più in basso rispetto a Masada. Silva fece occupare questa altura,
chiamata la Roccia Bianca; ordinò ai suoi soldati di alzare un muro; in
breve venne costruito un argine fortificato. Allo stesso tempo Silva fece
costruire un possente ariete e con esso colpì il muro di continuo. Dopo
molti sforzi le mura cedettero e si aprì una breccia, ma pronti, i sicari
avevano eretto un secondo muro che nemmeno le macchine riuscirono ad
abbattere. Quando Silva se ne accorse, pensò di vincere la trincea con il
fuoco, quindi ordinò ai suoi soldati di lanciare fiaccole accese e in
effetti in muro cominciò a bruciare. Improvvisamente però si alzò un
forte vento da nord, pericoloso per i romani, spingendo le fiamme dalla
fortezza ai loro volti. I romani temettero il fallimento della loro azione
e per poco le loro macchine da guerra non presero fuoco.
Ma improvvisamente il vento ricominciò a soffiare da sud, come per
miracolo, e ricacciò con violenza le fiamme verso la fortezza che
bruciava completamente. I romani riconobbero l’intervento divino e
tornarono al loro accampamento decisi a dare l’assalto il giorno
seguente.

Eleazar a
quel punto decise che tutti dovevano morire: “Miei soldati, da tempo
siamo decisi a non cadere sudditi dei romani ne di chiunque altro, se non
al di fuori di Dio, perché solo lui è l’unico vero sovrano degli
uomini. E’ giunto ora il momento di agire per compiere la nostra
decisione; sappiamo che domani cadremo nelle mani nemiche ma possiamo
ancora scegliere liberamente di andare incontro a una nobile morte e
insieme ai nostri cari. Le nostre donne devono morire senza essere violate
e i nostri figli non devono conoscere la schiavitù. Loro se ne andranno
prima di noi, mostreremo così il nostro amore gli uni per gli altri, il
sudario sarà il custode per la nostra libertà”.
Il
discorso di Eleazar non convince la folla; Eleazar carica il discorso
incutendo terrore con visioni di torture e bagni di sangue, ma chi vuole
farla finita per motivi politici vuole anche una ricompensa perciò
Eleazar promette ai suoi l’immortalità dell’anima nel regno dei
cieli, un insegnamento religioso applicato alla politica. Eleazar convince
la sua gente.
Giuseppe
Flavio, che annota ogni cosa, che si è trovato lui stesso in una
situazione simile e ha deciso di vivere una vita da prigioniero piuttosto
che la libertà nella morte, tentenna tra il rispetto e lo smarrimento. A
Masada non sopravvive nessun essere umano, solo un mito.
Dopo la sua presa, Masada rimase in
mano ai romani fino all'epoca bizantina per essere riscoperta oltre un
secolo e mezzo fa per diventare simbolo della causa sionista. Tutt'oggi
reclute dell'esercito israeliano vengono condotte sul luogo per
pronunciare il giuramento di fedeltà al grido di: "Mai più Masada
cadrà".
Sebbene
il sito di Masada sia stato identificato a metà del XIX secolo, soltanto
nel 1963 sono stati effettuati scavi sistematici che - oltre ai maestosi
resti delle costruzioni - hanno portato alla luce una grande quantità di
manufatti, monete e alcuni scheletri, probabilmente
degli zeloti suicidi.
Masada è stata in parte ricostruita
ed è diventato uno fra i più importanti siti archeologici di Israele
grazie anche agli scavi compiuti a partire dagli anni '60 sotto la guida
dall'archeologo Yigael Yadin. Sono stati riportati alla luce i resti
dell'antica fortezza: evidenti risultano i segni dei campi militari
romani, con mosaici di notevole qualità, bagni ed anche i massi di pietra
lanciati dalle catapulte. Come segno dell'occupazione zelota resta solo
una piccola sinagoga mentre più recente, risalente al V secolo è una
basilica fatta costruire da monaci penitenziali.
Essendo
stato l’ultimo focolaio di resistenza contro i Romani, nel XX secolo
Masada è divenuta un simbolo e addirittura un mito del patriottismo
giudaico, in conseguenza di almeno tre fattori. I primi due sono il
sorgere del movimento sionista e la costituzione del nuovo stato ebraico,
e il terzo è lo scavo archeologico condotto negli anni ’60 dal grande
archeologo israeliano Yigael Yadin. Egli, infatti, ha sottratto alla
polvere dei secoli tutto lo scenario degli eventi e facendolo conoscere a
tutti attraverso memorabili pubblicazioni anche divulgative. Tra
l’altro, a Masada vengono periodicamente allestiti spettacoli di
“suoni e luci”, in chiave ovviamente di ardente patriottismo.
