Dario I,
figlio di Hystaspe, fu re di Persia dal
522 a.C. al 485 a.C. Dario I cinse anche la corona d'Egitto con il nome di Stutra. La
famiglia di Dario apparteneva ad un ramo cadetto della dinastia achemenide
e quindi era strettamente imparentato con Cambise II. Dopo la morte di
questi, avvenuta nel
522 a.C., l'usurpatore Gautama governò indisturbato sull'impero sotto le
mentite spoglie di Bardiya (meglio conosciuto come Smerdi) il fratello di
Cambise fatto uccidere da questi in segreto alcuni anni prima. Dario, che
in quel momento ricopriva il ruolo di ufficiale negli Immortali, la
famosa guardia reale persiana, grazie all'appoggio di alcuni ufficiali
riuscì ad uccidere l'usurpatore nel settembre del 522.
Nell'iscrizione di Behistun, fatta incidere da Dario
stesso, si dice che con l'aiuto di Ahura Mazda e di sei altri nobili
sorprese Gautama in una delle sue fortezze, in Media. Per consolidare le
sue pretese al trono sposò Atossa, figlia del re Ciro II, padre di
Cambise, e vedova di Gautama. Da questa unione nacque Serse I, successore
di Dario.
Questi convulsi rivolgimenti nel
potere centrale furono interpretati dai governanti delle province più
esterne dell'impero come segnali della possibilità di riottenere la
propria indipendenza. In Susiana, Babilonia, Media, Sagartia e Margiana
comparvero nuovi usurpatori che pretendevano di appartenere alla
discendenza reale e riunivano intorno a loro grandi eserciti.
Nella stessa Persia, Vahyazdata
imitò di Gautama e gran parte del popolo lo credette il vero Bardiya.
Dario, malgrado disponesse solamente di un piccolo esercito composto di
Persiani e di Medi, al comando di un ristretto numero di generali fedeli,
riuscì a superare tutte le difficoltà. Tra il
520 a.C. ed il
519 a.C. tutte le ribellioni vennero sedate e Dario ristabilì la sua autorità
su tutto l'impero.
Dario,
che nelle sue iscrizioni appare come un fervente seguace della religione
monoteistica di Zaratustra, fu un valente statista che riorganizzò
profondamente il sistema persiano di amministrazione dell'impero ponendo
mano anche ai codici delle leggi civili e penali. Le sue modifiche
riguardarono, in modo particolare, il commercio degli schiavi, le leggi
sulle testimonianze, i prestiti, la corruzione ed il diritto di faida.
L'amministrazione dell'impero subì notevoli innovazioni con la
definizione rigorosa delle province e con la definizione dell'entità dei
tributi che ciascuna di esse doveva versare all'erario centrale. Dario
divise l'impero in venti province ciascuna sotto la guida di un
governatore, o satrapo la cui posizione era usualmente ereditaria e
dotata di grande autonomia, permettendo a ciascuna provincia di possedere
leggi proprie, tradizioni ed una nobiltà locale. Il tributo all'erario
era pagato in oro o argento e questo prelievo fu spesso la causa
del declino economico di regioni precedentemente fiorenti come
la Babilonia.
Ciascuna satrapia possedeva anche un funzionario addetto al controllo delle
finanze ed un supervisore militare i quali, come il satrapo, controllavano
l'amministrazione. Tutte e tre queste figure facevano capo direttamente al
re.
Questa struttura di ripartizione del potere nelle satrapie era volta a
ridurre il rischio di rivolte. Dario espanse anche la burocrazia imperiale
aumentando il numero degli scribi addetti alla registrazione delle
questioni amministrative.
In campo militare il tempo delle conquiste era ormai giunto al termine e
le guerre combattute da Dario ebbero solamente lo scopo di garantire la
stabilità dei confini dell'impero. Per tali motivi soggiogò le
popolazioni barbariche delle zone montuose del Ponto e dell'Armenia,
estese il controllo persiano fino al Caucaso, combatté contro gli Saka e
le altre tribù delle steppe dell'Iran e affrontò i misteriosi Turaniani
che vivevano oltre il fiume Oxus. Anche in campo militare Dario svolse una
profonda azione di rinnovamento introducendo la coscrizione obbligatoria,
la paga per i soldati, forme codificate di addestramento e rinnovando
l'organizzazione dell'esercito e della marina.
Grandi
furono i progetti che presero vita durante il regno di Dario I, primo tra
tutti la costruzione della nuova capitale: Persepoli. Pasargade, la
precedente capitale, era fortemente legata alla memoria della dinastia di
Ciro il Grande e del figlio Cambise II e pertanto il nuovo re volle
erigere una nuova città che sottolineasse l'avvento della nuova dinastia.
Persepoli,
che ebbe mura alte
20 metri
e larghe 11, rappresentò un enorme sforzo. La stessa tomba di Dario fu
scavata in una parete rocciosa non lontano dalla città. Anche le varie
province videro un'intensa attività edilizia rivolta soprattutto alla
realizzazione di strade ed altre vie di traffico. In Egitto Dario portò a
compimento il progetto, iniziato sotto Necho II, di ampliamento del canale
navigabile tra il Nilo ed il Mar Rosso; un iscrizione geroglifica ricorda
come le navi del re navigarono dal Nilo fino alla mitica Saba passando per
il Mar Rosso.
Alcune
tavolette cuneiformi provenienti da Persepoli ricordano la costruzione
delle strade tra Susa e Persepoli e tra Sardis e Susa. Queste strade erano
dotate di stazioni di posta e locande ed erano sorvegliate da guarnigioni
militare per rendere sicuro il traffico.
Tra
le realizzazioni di Dario in questo campo va anche ricordata la grande
iscrizione di Behistun incisa sulle rocce nei pressi della città omonima
e dedicata a tramandare ai posteri l'ascesa al trono del re ed i suoi
legittimi diritti sul trono stesso.
Intorno
al 514 a.C. Dario diede il via alla guerra contro gli Sciti. Un grande esercito
attraversò il Bosforo, soggiogò
la Tracia
orientale ed attraversò il Danubio. Lo scopo di questa guerra era di
prendere alle spalle le tribù nomadi che minacciavano i confini
dell'impero rendendo questi maggiormente sicuri.
L'intero
piano era basato su una ipotesi geografica errata, comune in quell'epoca e
che ingannerà, in seguito, anche Alessandro I di Macedonia; si credeva,
infatti, che il fiume Indokush (che era detto Indo Caucasico) e lo Jaxares
(conosciuto come Tanais e ora come Don fossero prossimi al Mar Nero.
La
spedizione fu un fallimento: dopo essere avanzato per alcune settimane
nelle steppe della Ucraina Dario fu costretto ad ordinare il ritorno senza
aver raggiunto gli obiettivi prefissati. L'affermazione di Erodoto secondo
cui la spedizione avrebbe raggiunto ed attraversato il Volga non ha
trovato conferme.
Benché
la Grecia
europea fosse culturalmente ed economicamente connessa con le città
greche della costa dell'Asia Minore, vassalle dell'impero persiano, Dario
non cercò lo scontro con le prime. Le guerre persiane furono la
conseguenza del supporto dato da Atene ed Eretria alla ribellione delle
città ionie e carie. La prima spedizione persiana, guidata da Mardonio,
fallì presso il promontorio del Monte Athos nel 492 a.C., con la disfatta della flotta persiana distrutta da una tempesta.
L'esercito penetrato in Attica, sotto il comando di Dati e di Artaferne,
fu sconfitto nella battaglia di Maratona del 490 a.C.
Nel
486 a.C. Dario venne distolto dalla preparazione della terza spedizione contro
la Grecia
da una ribellione in Egitto. L'anno seguente Dario morì dopo un regno di
trentasei anni.
Bisotun
si trova lungo l'antica rotta commerciale che collegava l'altopiano
iranico con la Mesopotamia e presenta resti dalla preistoria ai periodi
medio, achemenide, sasanide e ilkhanide. Il monumento principale di questo
sito archeologico è il bassorilievo e l'iscrizione cuneiforme ordinata da
Dario I, il Grande, quando salì al trono dell'Impero Persiano, nel 521
a.C.
Il
bassorilievo raffigura Dario che regge un arco, in segno di sovranità, e
calpesta il petto di una figura che giace sulla schiena davanti a lui.
Secondo la leggenda, la figura rappresenta Gaumata, il Mago dei Medi e
pretendente al trono il cui assassinio portò all'ascesa al potere di
Dario.
Al
di sotto e intorno ai bassorilievi si trovano circa 1.200 righe di
iscrizioni che raccontano la storia delle battaglie che Dario combatté
nel 521-520 a.C. contro i governatori che tentavano di smantellare
l'impero fondato da Ciro.
Le Iscrizioni
di Bisotun sono delle iscrizioni multi-lingue situate sul Monte
Behistun nella provincia iraniana di Kermanshah, nello
shahrestān di Harsin, tra le più importanti iscrizioni antiche di tutto
il Vicino Oriente.
Le
iscrizioni, risalenti agli anni fra il 520 e il 518
a.C. durante il regno di Dario I, sono composte da tre versioni
dello stesso testo, scritte in caratteri cuneiformi in tre
diverse lingue: antico
persiano, elamitico e babilonese. Un ufficiale
del British Army, Sir Henry Creswicke Rawlinson, li trascrisse
in due parti, nel 1835 e nel 1844. Egli riuscì poi a tradurre il testo in
antico persiano nel 1838, mentre le versioni elamitica e babilonese
vennero tradotte da Rawlinson ed altri dopo il 1844. Il babilonese era una
forma evoluta della lingua accadica, entrambe facenti parte
del ceppo semitico. Queste iscrizioni furono per la scrittura
cuneiforme quello che fu la stele di Rosetta per
i geroglifici egiziani: il documento cruciale per decifrare
un sistema di scrittura che si credeva perduto.
La
prima citazione storica delle iscrizioni fu fatta dal greco Ctesia di
Cnido che ne annotò l'esistenza attorno al 400 a.C., parlando
di un pozzo e di un bel giardino sotto le iscrizioni dedicate dalla
regina Semiramide a Zeus (analogo greco di Ahura
Mazdā). Anche Tacito ne parlò inserendo una descrizione di
monumenti ausiliari alla base del monte che sarebbero andati perduti, tra
cui un altare dedicato ad Ercole. I reperti recuperati sul
luogo, tra cui una statua del 148 a.C., sono coerenti con quanto
descritto da Tacito. Infine Diodoro Siculo, storico del I secolo
a.C., scrisse:
«Semiramide [...]
si mise in viaggio con un grande esercito in direzione della Media. E
quando arrivò alla montagna conosciuta come Bagistano [=
Bisotun], si accampò vicino a questa e vi dispose un'area, di
12 stadi di circonferenza, che, essendo situata in pianura,
conteneva una grande sorgente con cui si potevano irrigare i campi. La
montagna di Bagistano è sacra a Zeus e sul lato
rivolto verso la sorgente ha delle rocce a picco che si stagliano fino a
17 stadi d'altezza. Semiramide levigò la parte più bassa di queste rocce
e vi incise sulla superficie un ritratto di se stessa con un centinaio di
guerrieri al suo fianco. E inoltre scrisse sulla roccia in alfabeto
siriaco: "Semiramide, coi basti delle bestie da soma nel suo
esercito, dalla pianura erse questa collinetta e quindi scalò questo
dirupo, fino alla sua vetta".» (Diodoro Siculo, Bibliotheca
historica, II, 13, 1-2, ed. Immanuel Bekker)
Dopo
la caduta dell'impero persiano e dei suoi successori, ed il declino della
scrittura cuneiforme, la natura delle iscrizioni venne dimenticata e la
storia delle sue origini cominciò a riempirsi di particolari inventati.
Per secoli, invece di attribuirli a Dario (uno dei primi re persiani) si
credette che fossero sorti durante il regno di Cosroe II di
Persia (uno degli ultimi).
Nacque
una leggenda secondo cui sarebbero stati creati da Farhad, amante
della moglie di Cosroe, Shirin. Esiliato per il tradimento, a Farhad
sarebbe stato ordinato di incidere la montagna per trovare acqua; se ci
fosse riuscito avrebbe avuto il permesso di sposare Shirin. Dopo molti
anni, e dopo aver rimosso metà della montagna, alla fine trovò l'acqua,
ma scoprì che sia Cosroe sia Shirin erano morti. Impazzì, lanciò
l'ascia contro la montagna, baciò il suolo e morì. Nel libro Cosroe
e Shirin si dice che la sua ascia era stata fabbricata con il legno
preso da un melograno, e che dove l'arma atterrò nacque un melograno i
cui frutti erano in grado di curare le malattie. Shirin ovviamente non era
morta, e ne pianse la morte.
L'iscrizione
venne notata da un viaggiatore arabo, Ibn Hawqal, a metà del 900,
che la interpretò come la figura di un'insegnante che punisce il proprio
pupillo. Fu solo nel 1598 che l'inglese Robert Shirley vide le
iscrizioni durante una missione diplomatica in Persia per conto
dell'Austria, e le portò all'attenzione delle scuole archeologiche
europee. Il suo gruppo giunse alla conclusione che si trattava di
un'immagine dell'Ascensione di Gesù con un'iscrizione in greco.
Le
errate interpretazioni bibliche degli europei continuarono per i due
secoli successivi. Il generale francese Gardanne ci vide Cristo ed
i dodici apostoli, mentre Robert Ker Porter credeva che si
trattasse delle dodici tribù di Israele e di Salmanassar I
d'Assiria. L'esploratore italiano Pietro Della Valle visitò
l'iscrizione durante un pellegrinaggio attorno al 1621, ed il
tedesco Carsten Niebuhr lo fece nel 1764 durante l'esplorazione
dell'Arabia e del Medio Oriente per conto di Federico V di
Danimarca, pubblicando una copia delle iscrizioni nel suo diario di
viaggio nel 1777. Le trascrizioni di Niebuhr vennero usate da Georg
Friedrich Grotefend e da altri nel tentativo di decifrare la
scrittura cuneiforme dell'antica Persia. Grotefend decifrò 10 dei 37
simboli nel 1802.
Nel
1835 Henry Rawlinson, ufficiale della Compagnia Inglese delle
Indie Orientali assegnato allo Scià dell'Iran, iniziò a
dedicarsi seriamente al loro studio. Dal momento che il nome della città
di Bisotun veniva anglicizzato in "Behistun", il monumento
divenne noto con il nome di "Iscrizioni di Behistun". Nonostante
la loro inaccessibilità Rawlinson riuscì a scalare il monte copiando
l'iscrizione in antico persiano. Il testo in elamitico si trovava oltre un
crepaccio, ed il babilonese quattro metri sopra; entrambi erano difficili
da raggiungere, e vennero rimandati a futuri studi.
Armato
di testo persiano e con circa un terzo del sillabario reso
disponibile dal lavoro di Georg Friedrich Grotefend, Rawlinson
iniziò a lavorarci. Fortunatamente la prima sezione conteneva una lista
degli stessi re persiani ritrovabili negli scritti
di Erodoto nella loro originale forma persiana. Ad esempio il
nome di Dario viene scritto come "Dâryavuš" invece
della versione greca "Δαρειος". Esaminando i
nomi ed i caratteri Rawlinson riuscì a decifrare la scrittura degli
antichi persiani nel 1838 presentando i risultati dei propri studi
alla Royal Asiatic Society di Londra e
alla Société Asiatique a Parigi.
Sorprendentemente
il testo in antico persiano era stato copiato e decifrato prima ancora di
copiare le versioni elamitica e babilonese. Nel frattempo Rawlinson fece
una spedizione in Afghanistan fino al 1843. Attraversò per la
prima volta il crepaccio che lo divideva dalle altre due scritture
costruendo un ponte temporaneo con assi di legno. A questo punto poté
assumere un ragazzo del posto per arrampicarsi fino in cima alla costa, e
per appendere funi grazie alle quali riuscì a fare stampi
di cartapesta del testo babilonese. Rawlinson, insieme agli
studenti Edward Hincks, Jules Oppert, William Fox
Talbot ed Edwin Norris, decifrò queste iscrizioni, arrivando a
poterle leggere per intero. La capacità di leggere l'antico persiano,
l'elamitico ed il babilonese fu uno degli sviluppi chiave che condussero
l'assiriologia ad un livello moderno.
LA
FAMA DELLE ISCRIZIONI - In
seguito vennero effettuate altre spedizioni. Nel 1904 ve ne fu una
sponsorizzata dal British Museum e guidata da Leonard William
King e Reginald Campbell Thompson, mentre nel 1948 ne compì un'altra
George G. Cameron dalla University of Michigan. Entrambe raccolsero
fotografie, gessi e trascrizioni più accurate dei testi, tra cui passaggi
non copiati da Rawlinson. Fu evidente che le piogge avevano eroso parte
del calcare in cui il testo era stato inciso, lasciando invece altri
strati che avevano parzialmente coperto l'opera.
Il
monumento patì il fatto che i soldati lo usarono quale bersaglio per
l'addestramento durante la seconda guerra mondiale. Recentemente gli
archeologi iraniani hanno svolto alcuni lavori di restauro. Il sito
divenne patrimonio dell'umanità dell'UNESCO nel 2006.
TESTO
E VERSIONI - Il
testo delle iscrizioni può essere suddiviso in quattro parti principali
in base alla lingua di appartenenza e al periodo di iscrizione:
- Prima
versione elamitica: anche detti "testi supplementari", fu la
prima ad essere incisa sulla roccia, visto che nel 520 a.C.,
all'epoca di Dario I, l'elamitico era la lingua ufficiale di tutto
l'impero achemenide. Il testo in elamitico si trova nelle quattro colonne
a destra delle figure in rilievo dei sovrani, per un totale di 323 linee.
Il cattivo stato di conservazione non permette una chiara lettura del
testo che, secondo lo storico George Cameron, sarebbe stato in
buona parte simile alla successiva versione elamitica.
-
Versione babilonese: in seguito alla prima versione elamitica, fu incisa
sulla pietra una versione in babilonese di 112 linee, molto più corta di
quella in elamitico che ne conta 323. Tutto il testo babilonese è stipato
in un'unica colonna che, come si intuisce dalla posizione, sembrerebbe
essere l'arrangiamento originale delle incisioni.
-
Versione persiana: intorno al 519 a.C. a Bisotun venne creata
una versione in persiano, esattamente al di sotto delle raffigurazioni in
rilievo. Il testo è il più lungo tra tutte le versioni (in totale circa
3 600 parole) e, originariamente, era composto da quattro colonne di
96, 98, 92 e 92 linee di lunghezza. Una quinta colonna, di 36 linee, venne
aggiunta dopo la seconda versione elamitica; l'"appendice"
tratta degli ultimi eventi accaduti nell'impero (intorno al 519
a.C.). L'iscrizione in persiano ha una grande importanza in ambito
linguistico: è infatti il primo testo scritto in
persiano cuneiforme.
-
Seconda versione elamitica: fu creata per celebrare la vittoria di Dario
sugli Elamiti e
sugli Sciti (rispettivamente 519 e 517 a.C.). La
raffigurazione del capo degli Sciti, Skunkha, venne posta accanto a quella
degli altri capi sconfitti, però, così facendo, si dovette eliminare la
parte più a sinistra delle iscrizioni in elamitico, che vennero
minuziosamente ricopiate più in basso, a sinistra di quelle in persiano
antico. Il testo si estende su tre colonne di 81, 85 e 94 linee ciascuna
(per un totale di 260).
Le
iscrizioni di Bisotun nascono come un'autobiografia dai
tratti encomiastici del re Dario di Persia, una sorta
di Res gestae persiane, come scrisse lo storico Olmstead. In
generale analizzano anno per anno, dal 522 al 519 a.C., la legittima
salita al trono di Dario, le ribellioni represse e le guerre
intraprese con annesso riassunto e le caratteristiche del suo governo.
Tutte
le versioni sembrano quindi trattare in modo simile ogni argomento, ognuna
derivando il proprio testo dall'elamitico o, forse, da una versione ancora
più antica in aramaico. Nessuna ipotesi può essere confermata,
ma è un fatto che soprattutto i testi in elamitico e in antico persiano
siano quelli che presentano il maggior numero di somiglianze, come anche
quelli in babilonese e i ritrovamenti in aramaico. Le versioni
presentano alcune differenze:
Dal
punto di vista puramente strutturale, senza considerare i singoli testi
dal punto di vista sintattico, si possono rintracciare numerose
discrepanze nella suddivisione in paragrafi. Ogni paragrafo, eccetto il
primo di ogni versione, presenta la classica ricorrenza: «il re Dario
dice»
IL
PARAGRAFO 70 E LA DIFFUSIONE DEL TESTO - L'ultima
frase in persiano, prima della scrittura della V colonna, recita così:
«Il
re Dario dice: col favore di Ahuramazda questa è l'iscrizione
che io feci. Inoltre, essa era in ario, sia su tavole d'argilla che
su pergamena fu composta. Inoltre, una scultura di me stesso io feci. In
più, io feci la mia stirpe. Ed essa fu inscritta e letta prima di me. In
seguito io inviai questa iscrizione in ogni dove tra le province. Tutte
insieme le genti (la) hanno intesa.»
L'argomento
del paragrafo 70 non è presente nei testi in elamitico e in
babilonese. Secondo quanto recita il testo in persiano sopra citato,
Dario diffuse il contenuto dell'iscrizione in «tutte le sue province» su
tavole d'argilla e su pergamena. Questa affermazione è stata confermata
dal ritrovamento di alcuni frammenti recanti una parte del testo
dell'iscrizione di Bisotun.
Frammenti
di Babilonia: sul sito dell'antica città di Babilonia sono stati
ritrovati due piccoli frammenti del testo dell'iscrizione. Il primo
dei due frammenti è una tavoletta d'argilla di
26×40 cm di lunghezza, contenente 13 linee di testo
riconducibili alle linee 55-58 e 69-72 della prima colonna in persiano. Il
testo, pur non riportando le stesse parole presenti nelle iscrizioni,
conferma l'affermazione del paragrafo 70 della quarta colonna e prova che
anche a Babilonia si era diffuso il messaggio inciso a Bisotun.
Il
secondo frammento, ritrovato sempre a Babilonia, contiene 5 linee
riconducibili alle linee 91-95 della prima colonna e alle linee 11-12
della seconda colonna.
Frammenti
di Elefantina: molto importanti risultano essere i due fogli di
papiro e i 36 frammenti in aramaico ritrovati nell'antica
colonia ebrea di Elefantina, in Egitto, e pubblicati nel
1911 da Sachau. Il test al radiocarbonio ha posto i
frammenti a non più tardi del 420 a.C., anno in cui l'aramaico era
già diventato la lingua ufficiale dell'impero.
I
frammenti ritrovati, però, andrebbero apparentemente contro il testo
dell'iscrizione di Bisotun che parla di testi in «ario» non in aramaico.
A questo problema, alcuni studiosi hanno supposto che le copie di cui
parla l'iscrizione siano state scritti in persiano utilizzando l'alfabeto
aramaico (i termini vengono definiti arameogrammi), sicuramente molto
più veloce da scrivere rispetto ai segni cuneiformi.
Risalenti
all'impero achemenide sono stati ritrovati anche altri papiri contenenti
arameogrammi, come gli scritti inviati al satrapo di Menfi e di
Giudea o le lettere a quello d'Egitto, un certo Aršāma. Le
circa 190 linee di testo su papiro trovano numerose corrispondenze con
§44 e §49 per la versione babilonese, e §55, §60-§61 per quanto
riguarda il testo in persiano cuneiforme di Bisotun.
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