Parco nazionale Serengeti
Tanzania
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1981
  
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Il Parco nazionale del Serengeti è una delle più importanti aree naturali protette dell'Africa orientale ed è adiacente al parco keniota di Masai Mara e ad altre importanti riserve faunistiche. Il parco rappresenta una delle principali attrazioni turistiche della Tanzania, e la più importante di un sistema di quattro aree naturali protette detto "Northern Safari Circuit", che include anche il Parco nazionale del lago Manyara, il parco nazionale del Tarangire, il parco nazionale di Arusha e la riserva naturale di Ngorongoro.

La presenza umana nell'area del Serengeti fin da tempi antichissimi è testimoniata da ritrovamenti paleontologici di straordinaria importanza; nella pianura del Serengeti si trova il celebre sito di Olduvai, dove sono stati trovati i resti dell'Australopithecus boisei, un ominide risalente a circa 1,5 milioni di anni fa.

Prima dell'arrivo degli Europei, la pianura del Serengeti era abitata principalmente dai Masai, allevatori e semi-nomadi. Negli ultimi anni dell'amministrazione coloniale tedesca, la regione divenne un'area protetta. L'amministrazione inglese, subentrata con la nascita dello stato del Tanganika, istituì il parco nazionale nel 1951, affidandone la gestione al naturalista Bernhard Grzimek, divenuto celebre come uno dei precursori dell'approccio moderno alla conservazione dell'ambiente. 

L'istituzione del parco fu accompagnata dalla rilocazione delle popolazioni locali nell'adiacente altopiano di Ngorongoro. La natura coercitiva di questa operazione ha suscitato una controversia tuttora non del tutto sopita.

Una leggenda africana narra che l'ultimo animale creato fu lo gnu, cui Dio diede forma e vita usando i pochi pezzi spaiati che gli erano rimasti. In effetti lo gnu (Connochaetes taurinus), dotato di una testa troppo grande e di un corpo più massiccio e alto nella parte anteriore che in quella posteriore, è piuttosto sgraziato, soprattutto se lo si paragona alle eleganti antilopi che popolano la savana. Eppure questo animale è la tessera più importante di quell'enorme mosaico che è l'ecosistema del Serengeti.

La migrazione stagionale di quasi due milioni di gnu - ai quali si accodano circa 300.000 zebre e altre antilopi - è un fenomeno che affascina naturalisti e "profani". Durante la stagione delle piogge, tra dicembre e giugno, gli gnu si radunano nel cratere di Ngorongoro, dove si riproducono. Poi, quando l'erba comincia a seccarsi, attraversano la grande piana del Serengeti diretti a nord, dove la presenza di corsi d'acqua perenni assicura il nutrimento necessario alla loro sopravvivenza. Alla fine di novembre, invece, arriva il momento per compiere il tragitto in senso opposto. La grande migrazione dura dai quattro ai cinque giorni, durante i quali viene coperta una distanza di poco meno di 200 chilometri . Una fatica immane, che miete molte vittime tra gli esemplari più giovani e più anziani, decimati non solo dai numerosi felini predatori durante il cammino, ma anche dai coccodrilli che, infidi, li attendono nei fiumi. 

All'inizio degli anni Sessanta, il governo della Tanzania - nonostante il parere contrario dei guardaparco - decise di impedire agli gnu l'ingresso a Ngorongoro mediante la costruzione di una recinzione di pali di legno e rete metallica. Bastarono poche ore, tuttavia, perché quella barriera venisse rasa al suolo, a dimostrare che l'uomo non ha il potere né il diritto di modificare un comportamento inscritto nel patrimonio genetico degli animali da molte migliaia di anni. 

Quello del Serengeti - una regione biogeografica che comprende i parchi nazionali del Serengeti e di Ngorongoro in Tanzania e quello del Masai-Mara in Kenya - è considerato uno degli ecosistemi ancora in buona salute piiì antichi del mondo, dato che la sua composizione faunistica è rimasta grossomodo inalterata dal Pleistocene. In più, risalgono a quell'era anche le prime testimonianze di una presenza umana, rinvenute nella gola di Olduvai, situata nella sezione nord del Serengeti National Park, a ridosso del cratere del vulcano Ngorongoro. 

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Esteso su poco meno di 1.500.000 ettari e dichiarato parco nazionale nel 1951, il Serengeti - il cui nome, nella lingua dei Masai, significa "il luogo della terra che corre per sempre" - è un altopiano di roccia cristallina ricoperto di terreno vulcanico. Situato a un'altitudine media di 920 metri, l'acrocoro è orlato a nord e a ovest da colline di granito, dette kopjes, che raggiungono l'altitudine massima di 1800 metri. In corrispondenza dei kopjes sono localizzati due corsi d'acqua che si prosciugano totalmente soltanto durante gli anni di siccità, mentre l'altopiano, qua e là, presenta pozze e marcite. Oltre ai già citati gnu, Serengeti è l'habitat di zebre di Burchell, eland, impala, gazzelle di Thompson e numerose altre specie di antilopi; tutti questi erbivori sono prede designate dei leoni, presenti nel parco in ben 3000 esemplari, dei leopardi, dei ghepardi e, quando questi hanno terminato il pasto, di iene maculate e sciacalli. Sono invece circa 1500 gli elefanti e, tra gli altri grandi mammiferi, sono comuni il rinoceronte nero, il bufalo, l'ippopotamo, la giraffa e il coccodrillo.

Tra gli animali di più modeste dimensioni si contano sette specie di primati e altrettante di manguste, oltre a due di lontre e al facocero. A causa di un'epidemia di rabbia, una decina d'anni fa si è estinto il licaone. L'avifauna è ricca di 350 specie e comprende l'uccello più grande del mondo: lo struzzo. Con una popolazione faunistica tanto varia e vasta, il Serengeti National Park è uno dei luoghi più ambiti dell'Africa per i safari. In una giornata, infatti, è facile imbattersi in ognuno dei famosi big five, i "cinque grandi": l'elefante, il leone, il leopardo, il rinoceronte e il bufalo.  

Contrariamente a quanto si è portati a pensare, i bigfive si sono meritati l'appellativo non per le dimensioni, ma perché, quando in queste savane era ancora permessa la caccia grossa, rappresentavano il trofeo più ambito a causa della loro pericolosità per l'uomo. 

Durante la stagione delle piogge, il paesaggio del Serengeti si presenta come una prateria dominata da piante erbacee. Nella zona centrale e in quella occidentale del parco si concentrano invece numerose specie di acacie, oltre a palme da dattero selvatiche e alla Kigelia africana, nota comunemente con il nome di "albero delle salsicce" a causa della forma dei frutti, il cui estratto viene utilizzato nell'industria cosmetica. 

Durante la stagione secca il paesaggio muta drasticamente, diventando molto simile a un deserto. Sebbene il territorio sia dunque inadatto all'agricoltura, la pressione antropica ai margini dell'area protetta si fa sentire sempre più forte. Le comunità masai praticano abitualmente la caccia di frodo: si calcola che in media vengano uccise, per scopi alimentari, 4000 antilopi all'anno. La massiccia campagna di sensibilizzazione degli abitanti recentemente promossa dal governo ha dato scarsi risultati. Del resto, sebbene l'industria turistica sia la seconda voce delle entrate della Tanzania, ai Masai, ancora più poveri dopo la terribile siccità del 2000 - non restano che le briciole.