Il
Parco nazionale del Serengeti
è una delle più importanti
aree naturali protette
dell'Africa orientale ed è
adiacente al parco keniota di
Masai Mara e ad altre
importanti riserve
faunistiche. Il parco
rappresenta una delle
principali attrazioni
turistiche della Tanzania, e
la più importante di un
sistema di quattro aree
naturali protette detto
"Northern Safari
Circuit", che include
anche il Parco nazionale del
lago Manyara, il parco
nazionale del Tarangire, il
parco nazionale di Arusha e la
riserva naturale di
Ngorongoro.
La
presenza umana nell'area del
Serengeti fin da tempi
antichissimi è testimoniata
da ritrovamenti paleontologici
di straordinaria importanza;
nella pianura del Serengeti si
trova il celebre sito di
Olduvai, dove sono stati
trovati i resti dell'Australopithecus
boisei, un ominide
risalente a circa 1,5 milioni
di anni fa.
Prima
dell'arrivo degli Europei, la
pianura del Serengeti era
abitata principalmente dai
Masai, allevatori e
semi-nomadi. Negli ultimi anni
dell'amministrazione coloniale
tedesca, la regione divenne
un'area protetta.
L'amministrazione inglese,
subentrata con la nascita
dello stato del Tanganika,
istituì il parco nazionale
nel 1951, affidandone la
gestione al naturalista
Bernhard Grzimek, divenuto
celebre come uno dei
precursori dell'approccio
moderno alla conservazione
dell'ambiente.
L'istituzione
del parco fu accompagnata
dalla rilocazione delle
popolazioni locali
nell'adiacente altopiano di
Ngorongoro. La natura
coercitiva di questa
operazione ha suscitato una
controversia tuttora non del
tutto sopita.

Una leggenda africana narra che l'ultimo animale creato fu
lo gnu, cui Dio diede forma e
vita usando i pochi pezzi
spaiati che gli erano rimasti.
In effetti lo gnu
(Connochaetes taurinus),
dotato di una testa troppo
grande e di un corpo più
massiccio e alto nella parte
anteriore che in quella
posteriore, è piuttosto
sgraziato, soprattutto se lo
si paragona alle eleganti
antilopi che popolano la
savana. Eppure questo animale
è la tessera più importante
di quell'enorme mosaico che è
l'ecosistema del Serengeti.
La migrazione stagionale di quasi due milioni di gnu - ai
quali si accodano circa
300.000 zebre e altre antilopi
- è un fenomeno che affascina
naturalisti e
"profani". Durante
la stagione delle piogge, tra
dicembre e giugno, gli gnu si
radunano nel cratere di
Ngorongoro, dove si
riproducono. Poi, quando
l'erba comincia a seccarsi,
attraversano la grande piana
del Serengeti diretti a nord,
dove la presenza di corsi
d'acqua perenni assicura il
nutrimento necessario alla
loro sopravvivenza. Alla fine
di novembre, invece, arriva il
momento per compiere il
tragitto in senso opposto. La
grande migrazione dura dai
quattro ai cinque giorni,
durante i quali viene coperta
una distanza di poco meno di
200 chilometri
. Una fatica immane, che miete
molte vittime tra gli
esemplari più giovani e più
anziani, decimati non solo dai
numerosi felini predatori
durante il cammino, ma anche
dai coccodrilli che, infidi,
li attendono nei fiumi.

All'inizio degli anni Sessanta, il governo della Tanzania -
nonostante il parere contrario
dei guardaparco - decise di
impedire agli gnu l'ingresso a
Ngorongoro mediante la
costruzione di una recinzione
di pali di legno e rete
metallica. Bastarono poche
ore, tuttavia, perché quella
barriera venisse rasa al
suolo, a dimostrare che l'uomo
non ha il potere né il
diritto di modificare un
comportamento inscritto nel
patrimonio genetico degli
animali da molte migliaia di
anni.
Quello del Serengeti - una regione biogeografica che
comprende i parchi nazionali
del Serengeti e di Ngorongoro
in Tanzania e quello del
Masai-Mara in Kenya - è
considerato uno degli
ecosistemi ancora in buona
salute piiì antichi del
mondo, dato che la sua
composizione faunistica è
rimasta grossomodo inalterata
dal Pleistocene. In più,
risalgono a quell'era anche le
prime testimonianze di una
presenza umana, rinvenute
nella gola di Olduvai, situata
nella sezione nord del
Serengeti National Park, a
ridosso del cratere del
vulcano Ngorongoro.


Esteso su poco meno di
1.500.000 ettari
e dichiarato parco nazionale
nel 1951, il Serengeti - il
cui nome, nella lingua dei
Masai, significa "il
luogo della terra che corre
per sempre" - è un
altopiano di roccia
cristallina ricoperto di
terreno vulcanico. Situato a
un'altitudine media di
920 metri, l'acrocoro è
orlato a nord e a ovest da
colline di granito, dette
kopjes, che raggiungono
l'altitudine massima di 1800
metri. In corrispondenza dei
kopjes sono localizzati due
corsi d'acqua che si
prosciugano totalmente
soltanto durante gli anni di
siccità, mentre l'altopiano,
qua e là, presenta pozze e
marcite. Oltre ai già citati
gnu, Serengeti è l'habitat di
zebre di Burchell, eland,
impala, gazzelle di Thompson e
numerose altre specie di
antilopi; tutti questi
erbivori sono prede designate
dei leoni, presenti nel parco
in ben 3000 esemplari, dei
leopardi, dei ghepardi e,
quando questi hanno terminato
il pasto, di iene maculate e
sciacalli. Sono invece circa
1500 gli elefanti e, tra gli
altri grandi mammiferi, sono
comuni il rinoceronte nero, il
bufalo, l'ippopotamo, la
giraffa e il coccodrillo.
Tra gli animali di più modeste dimensioni si contano sette
specie di primati e
altrettante di manguste, oltre
a due di lontre e al facocero.
A causa di un'epidemia di
rabbia, una decina d'anni fa
si è estinto il licaone.
L'avifauna è ricca di 350
specie e comprende l'uccello
più grande del mondo: lo
struzzo. Con una popolazione
faunistica tanto varia e
vasta, il Serengeti National
Park è uno dei luoghi più
ambiti dell'Africa per i
safari. In una giornata,
infatti, è facile imbattersi
in ognuno dei famosi big five,
i "cinque grandi":
l'elefante, il leone, il
leopardo, il rinoceronte e il
bufalo.
Contrariamente a quanto si è portati a pensare, i bigfive
si sono meritati l'appellativo
non per le dimensioni, ma
perché, quando in queste
savane era ancora permessa la
caccia grossa, rappresentavano
il trofeo più ambito a causa
della loro pericolosità per
l'uomo.
Durante la stagione delle piogge, il paesaggio del
Serengeti si presenta come una
prateria dominata da piante
erbacee. Nella zona centrale e
in quella occidentale del
parco si concentrano invece
numerose specie di acacie,
oltre a palme da dattero
selvatiche e alla Kigelia
africana, nota comunemente con
il nome di "albero delle
salsicce" a causa della
forma dei frutti, il cui
estratto viene utilizzato
nell'industria cosmetica.
Durante la stagione secca il paesaggio muta drasticamente,
diventando molto simile a un
deserto. Sebbene il territorio
sia dunque inadatto
all'agricoltura, la pressione
antropica ai margini dell'area
protetta si fa sentire sempre
più forte. Le comunità masai
praticano abitualmente la
caccia di frodo: si calcola
che in media vengano uccise,
per scopi alimentari, 4000
antilopi all'anno. La
massiccia campagna di
sensibilizzazione degli
abitanti recentemente promossa
dal governo ha dato scarsi
risultati. Del resto, sebbene
l'industria turistica sia la
seconda voce delle entrate
della Tanzania, ai Masai,
ancora più poveri dopo la
terribile siccità del 2000 -
non restano che le briciole.
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