Parco Nazionale del Kilimangiaro
Tanzania
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1987
  
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Il parco nazionale del Kilimanjaro (Kilimanjaro National Park) è uno dei principali parchi nazionali della Tanzania. Copre una superficie di 756 km². 

Con i suoi 5895 metri di altitudine, il Kilimangiaro è il punto più alto dell'Africa e il massiccio isolato più elevato del mondo. Non sono tuttavia questi gli elementi che l'hanno trasformato in un luogo mitico per gli Occidentali; quello che ha sempre suscitato l'attenzione dei turisti, infatti, è la presenza di un manto di nevi perenni in una zona tanto vicina all'Equatore. 

Le prime notizie conosciute sul Kilimangiaro sono tanto antiche quanto vaghe; il greco Diogene localizzò con sufficiente approssimazione questo massiccio e anche i Monti Elgon e Kenya, tanto che i suoi dati sarebbero stati utilizzati dal celebre geografo Tolomeo attorno all'anno 150 dell'era cristiana in occasione della compilazione delle sue celebri mappe.  

Il governatore a Mombasa aveva avvertito il missionario tedesco di non scalare la montagna; a quanto pareva era abitata da spiriti maligni. Johannes Rebmann non vi salì, eppure nel 1848 fu il primo a vederlo: il grande Kilimangiaro e la sua vetta ricoperta di ghiaccio, il Kibo. Rebmann fu deriso in quanto nessuno credeva possibile che vi fosse la neve a soli 300 km dall'equatore, una simile idea poteva venire solo a una testa esposta al sole per lungo tempo nel continente nero. 

Probabilmente le società geografiche, che avrebbero preferito credere all'antica leggenda africana, secondo la quale quello attorcigliato sulla cima del Kilimangiaro è un gigantesco serpente bianco. Visto dalla pianura il Kibo è uno spettacolo raro, la cima bianca è quasi sempre ricoperta dalle nubi, per vederla bisogna alzarsi in volo oppure osare una salita faticosa. La prima tappa è la giungla, la foresta pluviale che al mattino sembra più una foresta di nebbia.

Oggi le escursioni nella giungla non durano più così tanto come un secolo fa, quando le prime spedizioni europee volevano prendere d'assalto la vetta e questo non dipende soltanto dagli equipaggiamenti moderni; la foresta pluviale è diventata molto più piccola. In alcuni luoghi la cintura verde intorno al Kilimangiaro è larga solo un chilometro, il resto è stato abbattuto. Al suo posto ci sono piantagioni di boschi, la povertà artificiale e gli insediamenti umani hanno sostituito la vegetazione e la vita animale indisturbata.

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Con l'aumentare dell'altitudine la foresta diventa una fitta sterpaglia, oltre i 3800 metri il clima permette solo la presenza di un paesaggio erboso e una landa: la brughiera. Siamo sull'altopiano di Shira, il realtà lo Shira è una delle tre cime del massiccio del Kilimangiaro. Alcune parti del bordo del cratere sono ancora intatte, qui finalmente spariscono la cappa di nubi e gli alberi e si apre una vista indisturbata sul Kibo. La montagna è avvolta solo da un paio di veli sottili per accrescere ulteriormente la curiosità nei confronti della cima. Qui di notte la temperatura scende sempre sotto lo zero, mentre di giorno fa molto caldo.

Più su, dove finisce la piana inclinata di Shira, la vegetazione si dirada ulteriormente. Se si guarda verso il basso l'altopiano di Shira appare come un mare verde e ruvido, tutto il resto è avvolto da una nebbia fredda. Nessuno sa cosa cerchino i bufali a queste altezze, qui non possono trovare piante ma soltanto freddo e morte.

Arrivare fino alla torre di lava è relativamente semplice, soltanto l'altezza può insidiare la scalata. Nel 1887 il geografo di Lipsia Hans Meyer, tentò di scalare il Kibo, arrivò vicino ai ghiacciai ma non riuscì a superarli. A 5000 metri dovette rinunciare a causa di una fitta bufera di neve. Due anni dopo, il capo di una spedizione che contava diverse centinaia di uomini fu il primo a raggiungere la vetta, la vetta della libertà, a 5895 metri di altezza.

Soltanto allora gli scienziati europei vollero credere che ci fosse una vetta innevata così  vicina all'equatore. Tuttavia anche in epoche precedenti doveva aver raggiunto il ghiacciaio del Kibo, altrimenti come sarebbe divenuta famosa la leggenda della montagna d'argento nell'antichità, argento che si trasforma in acqua quando si sposta nella pianura.

Per Hernest Hemingqay il Kilimangiaro era grande quanto il mondo intero e di un bianco inimmaginabile al sole. Purtroppo non sarà più a lungo così; il ghiacciaio del Kibo si sta sciogliendo. Dal 1972 la sua massa è già diminuita del 95%; la polvere che i fuoristrada sollevano in vortice nelle savane, immagazzina il calore del sole; il disboscamento attraverso gli incendi aumenta l'effetto serra; le precipitazioni sono diventate sempre più rare. Probabilmente nel 2030 non ci sarà più neve sul Kilimangiaro, l'argento della montagna si trasformerà in acqua.

Quando il 6 ottobre 1889, Hans Meyer giunse sulla cima, nel punto più alto dell'Africa, sulla vetta della montagna isolata più alta del mondo, fu pervaso da uno stato d'animo solenne. Guardò nel grande cratere e pensò a tutti i sacrifici e alle delusioni dell'anno: quella montagna era la sua ragione di vita. E poi con un senso di felicità e di soddisfazione si voltò indietro, sulle stazioni della salita, come nessuno dei tanti migliaia di conquistatori della vetta dopo di lui. Si convinse che la montagna volesse comunicare il suo segreto a lui e al suo accompagnatore che aveva preso con sé per l'ultima tappa.

Il Kilimangiaro e i boschi che lo circondano furono dichiarati riserva di caccia dal governo coloniale tedesco all'inizio del XX secolo; nel 1921 gli inglesi li trasformarono in riserva forestale e, finalmente, nel 1973 una piccola parte dell'area posta sopra i 2700 metri di quota ottenne il rango di Parco Nazionale. Com'è ovvio, la storia del Kilimangiaro non è così recente come la sua dichiarazione a Parco, ma nemmeno si può parlare di un'origine molto antica a proposito della sua nascita geologica. 

Circa un milione di anni fa, nella dolce e ondulata pianura dell'Africa orientale si aprirono una serie di spaccature attraverso le quali fuoriuscì il magma. La pianura perse così una parte del suo appoggio e sprofondò dando origine a una grande depressione. 750.000 anni fa una nuova colata di lava portò alla nascita di un grande sistema vulcanico, il Kilimangiaro, formato da tre crateri principali: Kibo, Mawenzi e Shira. 

Per lungo tempo i crateri crebbero in modo costante, seppure lentamente, raggiungendo un'altitudine approssimativa di 5000 metri , fino a quando lo Shira collassò - mezzo milione di anni fa - sprofondando in una vasta caldera che restò inattiva e venne inondata dalla lava degli altri due coni vulcanici. 

Il Mawenzi fu il secondo a spegnersi, dopo una grande esplosione che ne distrusse il margine orientale, dando luogo a una profonda gola. Il Kibo invece si mantenne attivo molto più a lungo, fino a quando, circa 100 000 anni fa, le sue emissioni magmatiche investirono il già eroso cratere dello Shira, aprirono l'attuale precipizio del Kibo, circondarono il Mawenzi e si dispersero a grande distanza nella pianura. Da allora, e malgrado una limitata attività, l'agente che maggiormente ha influito sul modellamento del paesaggio è stato quello erosivo, che ha ridotto la cima alla quota attuale conferendole la forma che oggi conosciamo.

Il Kilimangiaro è un massiccio vulcanico isolato che occupa 388 500 ettari elevandosi su un altopiano situato a un migliaio di metri di quota; data l'altitudine, nelle giornate limpide la sua sagoma si può scorgere fino a 500 chilometri di distanza. Visto dall'alto, il vulcano forma un ovale lungo 60 chilometri e ampio 40, con un manto di nevi perenni sulla cima. Il cratere del Kibo è nella parte centrale, assieme al picco Uhuru che rappresenta il punto più elevato del monte, e perciò del continente africano. Scendendo di circa mille metri in direzione est si giunge al precipizio del Kibo, dal quale si inizia l'ascesa al Mawenzi, che in realtà è un grande spuntone roccioso di 5149 metri che una volta chiudeva il camino interno dello scomparso cratere. Se dal Kibo si scende in direzione contraria, cioè verso ovest, la triade vulcanica si completa con il cono dello Shira, ridotto ora a 3962 metri , ma che emerge imponente da uno spettacolare pianoro conosciuto con il nome di Shira Plateau. Non è facile determinare l'origine del nome Kilimangiaro: sebbene tutto lasci pensare che derivi dal termine Mima, dove lima significa "montagna", non è chiaro il motivo del prefisso ki, dato che si tratta di un diminutivo. Il termine njaro complica ulteriormente la situazione poiché, a seconda delle lingue parlate nei dintorni, ha diversi significati: "carovana", "freddo" e "sorgente".  

La vegetazione del Kilimangiaro può essere suddivisa in quattro zone:

·  la zona della foresta pluviale (da 1.800 m a 2.700 m ), ricca di rigogliosa vegetazione dominata dagli alberi ad alto fusto;

·  la zona della brughiera (da 2.700 m a 4.000 m ), abitata prevalentemente da specie arbustifere;

·  la zona del deserto d'alta quota (da 4.000 m a 5.000 m ), desertica e desolata;

·  la zona sommitale (da 5.000 m a 5.895 m ), spesso coperta dalle nevi e soggetta a condizioni climatiche estreme.

Zona della foresta pluviale - da 1.800 m a 2.700 m - Questa è certamente la fascia più ricca di specie vegetali, dominata da alberi ad alto fusto dalle chiome rigogliose che ricoprono totalmente i sentieri formando suggestive foreste a galleria. Le specie ad alto fusto maggiormente rappresentate sono: la Macaranga kilimandscharica, l'Albizia schimperiana e la Mitragyna rubrostipulata. Accanto a questi veri e propri giganti del regno vegetale crescono alberi di dimensioni più ridotte quali la Tabernaemontana holstii, la Xymalos monospora e la Agauria salicifolia. Tra le specie erbacee si incontrano specie caratteristiche quali le orchidee del genere Polystachya, alcune varietà di Impatiens: la Impatiens pseudoviola di colore rosa e la Impatiens kilimanjari dai fiori rosso scarlatto, e la Mimulopsis kilimandscharica, una pianta erbacea con fiori rosa.

Nel versante nord e ovest la foresta riceve meno piogge e qui si incontrano specie differenti: alti e contorti esemplari di ginepro, e due specie di olivo, l'Olea Africana alto fino a 10 metri e l'Olea kilimandscharica alto fino a 30 metri. Alle quote più elevate gli alberi si diradano. Si osservano esemplari isolati di varie specie di Podocarpus, di Ilex minutus e dei grandi alberi della canfora africana Ocotea usambarensis, che possono raggiungere i 40 metri d'altezza. Nelle zone più umide e riparate l'Hagenia abyssinica, rosacea con grandi foglie pennate, si ricopre con eleganti fiori rosso scuro.

Zona della brughiera - da 2.700 m a 4.000 m - Al di sopra della linea degli alberi scompaiono le piante ad alto fusto ma sono tuttavia presenti numerose specie vegetali. La zona più bassa della brughiera è popolata da fitti cuscini di Erica arborea che creano suggestivi effetti cromatici. Le piante più singolari di questa zona sono comunque il senecio gigante, caratteristica pianta dal lungo tronco che regge una ampia e carnosa rosetta fogliare, e la Lobelia deckenii, una specie della famiglia delle Campanulacee che cresce fino ad 3 metri di altezza, con grandi spighe verticali claviformi.

Completano il paesaggio numerose altre specie meno appariscenti ma che offrono una varietà di sfumature cromatiche: gli arbusti di Hypericum revolutum con piccoli fiori gialli, l'Helichrysum kilimanjari con fiori giallo intenso, la liliacea Kniphofia thomsonii, i Gladiolus watsonioides con fiore rosa salmone, l'orchidea Disa stairsii, con bella spiga rosa intenso, l'Anemone thomsonii, il giallo Ranunculus oreophylus, la Scabiosa comumbaria dai fiori rosati, l'Anthospermum usambarensis, cespuglio somigliante al cipresso con fioriture bianche, e la Stoebe kilimandscharica con minuscole foglie grigio-argentate.

Zona del deserto d'alta quota - La vita vegetale in questa zona è limitata ad alcune specie erbacee dalla sviluppata capacità di adattamento a condizioni ambientali poco favorevoli. Oltre che muschi e licheni lapidicoli è possibile vedere esemplari di Carduus chamaecephalus, di forma appiattita e con foglie pelose e spinose, ciuffi isolati di Pentaschistis minor, detta "erba del deserto" e differenti specie di Helichrysum. L'Haplocarpha rueppellii e l'Haplosciadium abyssinicum sono altre due specie che, grazie a un rivestimento di fitti peli argentei, che riflettono le radiazioni solari e riducono le perdite d'acqua e di calore, riescono a sopravvivere a queste altitudini.
  
Zona sommitale - A causa delle condizioni climatiche estreme di questa zona (basse temperature, radiazioni solari molto intense, ossigeno rarefatto) sono poche le specie vegetali che riescono a sopravvivere. Tra di esse si possono annoverare l'erbacea Helichrysum newii e i licheni della specie Xanthoria elegans.

Il parco è ricchissimo di specie animali: sono state censite oltre 140 specie di mammiferi incluse 7 specie di primati, 25 di carnivori, 25 di antilopi e 24 specie di pipistrelli.

Nella zona delle falde, nonostante il crescente sfruttamento agricolo abbia modificato le caratteristiche del territorio, sopravvive una popolazione di qualche centinaia di elefanti e non è raro incontrare anche qualche esemplare di bufalo nero e di leopardo. Il rinoceronte nero, una volta presente in questa area, è adesso estinto.

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Tra i mammiferi che popolano la foresta pluviale vanno menzionate differenti specie di primati: il babbuino, il cercopiteco, il Colobus polykomos  ed alcune specie di Galago.

Al di sopra della linea degli alberi le specie di mammiferi più significative sono l'antilope alcina , l'antilope di Abbot, la Sylvicapra grimmia, il Tragelaphus scriptus e il Cephalophus natalensis. Sono reperibili inoltre numerose specie di roditori, quali il Dendrohyrax validus, e di insettivori.

Sono state censite circa 180 specie di uccelli, la maggior parte delle quali abitano la zona di foresta pluviale: tra esse un cenno particolare merita lo storno di Abbot, molto raro al di fuori di questa area. Tra le specie reperibili nelle zone più elevate vengono segnalati: il gipeto, la sassicola di Erlanger , il beccamoschino di Hunter, la nettarinia malachite di Johnston e il corvo collobianco.

Meritano infine una menzione una rara specie di farfalla, la Papilio sjoestedti, nota anche come Kilimanjaro swallowtail, che vive, oltreché sul Kilimanjaro, anche a Ngorongoro e sul Monte Meru, e una sua sottospecie di colore nero, la Papilio sjoestedti ssp. atavus, che si trova solo sul Kilimanjaro.