Il
Grand Canyon era noto all'uomo bianco da secoli, e precisamente dal
1540, quando fu scoperto dal capitano dell'esercito spagnolo Garcia
Lopez de Cardenas, inviato a nord dal viceré del Messico in cerca delle
leggendarie sette città d'oro di Cibola. E, con un incarico così
ambizioso, arrivato fin lì non provò altro che delusione. Tanto che i
successivi visitatori di quest'area furono soltanto i missionari,
impegnati più a tentare di redimere i nativi Navajo e Hopi che a
registrare fenomeni geologici e stranezze botaniche.
Persino
il maggiore John Wesley Powell, il veterano della Guerra Civile
americana che nel 1869, a capo di una spedizione di nove persone, fu il
primo scendere le rapide del Colorado, fu mosso nell'impresa da
interessi etnologici piuttosto che geografici e naturalistici. Al punto
che dopo questa fatica durata tre mesi - e in cui persero la vita tre
membri dell'equipaggio - fu in grado di completare la sua ricerca sulle
lingue dei nativi e fondò il Bureau for American Ethnology presso la
Smithsonian Institution. Il maggiore Powell, tuttavia, non sfuggì al
fascino del luogo, e gli va il merito di aver incuriosito, con i suoi
racconti, i colleghi geologi della prestigiosa istituzione scientifica.
L'immensa
forra, che attraversa gran parte dello Stato dell'Arizona, è uno dei
capolavori assoluti della natura; il presidente Theodore Roosevelt, che
guidò il movimento per la conservazione delle risorse naturalistiche
degli Stati Uniti all'alba del XX secolo, volle preservarlo impedendo
qualsiasi intervento umano che potesse danneggiarlo o alterarne le
caratteristiche. Vincolatone il territorio nel 1908, il presidente
assicurò che sarebbe divenuto un parco nazionale, qualifica che in
effetti venne ratificata nel 1919.
È
praticamente impossibile descrivere il Grand Canyon del Colorado. Anche
volendo abbondare in aggettivi e superlativi, è molto difficile ridurre
a semplici parole la fantastica grandiosità di
questa spettacolare gola, profonda 1500 metri, lunga 447 chilometri e
larga da 549 metri a 30 chilometri,
dei suoi strapiombi e delle sue scarpate di colore ocra. Qui il fiume
Colorado ha scavato per ben 443 chilometri gole profonde più di 2100
metri e di larghezza variabile, che può passare dai 200 metri, laddove
il fiume è visibile dai bordi della fenditura, fino ai 30 chilometri.
La bellezza non è l'unico attributo significativo del Grand Canyon.
L'area è un raro esempio del conflitto scatenato tra due poderose forze
della Terra, l'orogenesi e l'erosione fluviale.
Nel
periodo Precambriano le rocce sedimentarie frammiste a lava e ad altri
materiali eruttivi vennero compresse e trasformate in rocce
metamorfiche. La formazione risultante, nota come "scisti
Visnu", diede luogo a montagne gigantesche che si innalzarono sotto
le spinte orogenetiche per più di 8000 metri e che sarebbero state in
seguito erose e ridotte fino a formare un altopiano.
A
ricordo di quell'epoca, le pareti inferiori del Grand Canyon sono
costituite da scisti grigi molto scuri, a volte interrotti da venature
rossastre di feldspati e di altri minerali pesanti. Questo strato, privo
di resti fossili, si immerge per centinaia di metri nelle viscere della
Terra e comprende le rocce più antiche del Canyon. In seguito, per un
processo di abbassamento della crosta, queste terre vennero portate
verso il basso e sommerse dal mare, ricoprendosi quindi di strati
sedimentari di oltre 1000 metri di spessore.
A
questa fase corrispondono le formazioni calcaree di Bass, con resti
fossili di piante, e le quarziti violacee di Shinume. Questi strati
sedimentari hanno dato origine a montagne che, sottoposte a un nuovo
ciclo erosivo, furono ridotte in altezza lasciando posto a una
depressione. Per la seconda volta, le acque marine invasero le terre,
come testimoniano fossili di brachiopodi e trilobiti. Con i sistemi di
datazione assoluta, possibili grazie all'esame degli isotopi
radioattivi, si è ricostruita con notevole fedeltà la storia del
Canyon nel corso degli ultimi 600 milioni d'anni. Le arenarie marroni di
Tapeat, le argille verdastre di Brighi Angel e le terre rossastre del
periodo Mississippiense parlano di un'occupazione marina che durò 280
milioni d'anni. Da quel momento le acque si ritirarono, ragion per cui
le rocce dell'altopiano Supai e gli scisti rossi di Hermit racchiudono
fossili di felci, di conifere e di insetti che avevano abbandonato le
paludi per iniziare la conquista dell'aria.
Gli
strati più recenti del Grand Canyon hanno nientemeno che 200 milioni di
anni. Si parla di una nuova presenza marina e di una posteriore fase di
innalzamento, che ebbe luogo 70 milioni di anni fa e modellò montagne
poco pronunciate di 2000 metri di altitudine sul livello del mare.
Successivi fenomeni erosivi ridussero questi rilievi fino alle quote
attuali. Su questo substrato geologico, 25 milioni di anni fa ebbe
inizio l'azione erosiva del fiume Colorado, che si originava dalle
grandi calotte di ghiaccio che ricoprivano le Montagne Rocciose. Il
processo si rafforzò un milione di anni fa, grazie a un intenso periodo
interglaciale che permise alle acque del disgelo di nevai e ghiacciai di
moltiplicare la portata del fiume e, ovviamente, la sua forza erosiva.
Questa
spiegazione è lungi dall'essere definitiva, considerando la grandiosità
del processo erosivo del Grand Canyon. In altre parole, non vi è
proporzione tra la capacità erosiva del fiume, per quanto possa essere
stata eccezionale in passato la sua portata, e il ciclopico lavoro
realizzato. Il Colorado continua nel suo processo di smantellamento del
terreno, stimato in 40.000 tonnellate al giorno tra limo e detriti vari.
Prima della realizzazione delle chiuse che regolano la sua portata, a
monte del fiume si contavano in alcuni punti 380.000 tonnellate di terra
portata ogni giorno in sospensione.
Lungo
il canyon scavato dal Colorado sono innumerevoli i punti panoramici e le
"sculture naturali" cui sono stati dati nomi che, ancora una
volta, richiamano alcune divinità, dal Diana Temple fino a uno Shiva
Temple, francamente improbabile da questa parte del mondo. Siti che,
inoltre, sono sacri per i nativi Hopi, che li considerano i luoghi in
cui sono racchiusi gli spiriti dei loro progenitori. Ma il South Rim e
il North Rim, ovvero i territori sui due versanti del Grand Canyon,
rappresentano anche due mondi opposti. Il
primo è un deserto per la gran parte della sua estensione. Le conifere
presenti - come il ginepro dello Utah e il pino di Pinon - appartengono
a specie che riescono a trattenere acqua per lungo tempo nelle radici, e
vi sono varie specie di cactus, agave e yucca. Il secondo,
caratterizzato da un clima più umido e freddo, ha una vegetazione più
ricca, con foreste di conifere dominate da pini di Douglas e pini di
Ponderosa mentre, nelle vallate più protette, si incontrano comunità
di pioppi tremuli e betulle.
Di
conseguenza, vi è differenza anche nella composizione faunistica dei
due versanti. E se alcune specie - come il coyote, il puma, la capra
americana - sono presenti su tutto il territorio, altre si trovano
soltanto dall'una o dall'altra parte. Il South Rim, per esempio, è
l'habitat di una rara sottospecie indigena di serpente a sonagli. Caso
interessante è poi quello dello scoiattolo di Kaibab, che vive nel
North Rim, e dello scoiattolo di Albert, tipico del South Rim, due
specie che, in condizioni distinte, si sono evolute da un unico
progenitore. A "viaggiare" liberamente tra un versante e
l'altro sono invece le oltre 300 specie di uccelli censite nell'area,
tra lei quali almeno 60 coppie di falchi pellegrini, la più
significativa popolazione di questa specie negli Stati Uniti
meridionali.
Le
forze della
natura hanno creato altre meraviglie della natura negli Stati Uniti
sud-occidentali: il Glen Canyon, formato dalle acque del Colorado a
monte del Grand Canyon, oggi è sbarrato da una gigantesca diga e
inondato dalle acque blu cobalto del lago Powell, che serpeggia per 300
chilometri attraverso i deserti dello Utah e dell'Arizona ed è
rinserrato da centinaia di gole laterali, rientranze e insenature che
nascondono rovine indiane e concrezioni rocciose dalle forme
fantastiche. Con il completamento della diga del Glen Canvon. nel 1966, la
mano dell’uomo ha “addomesticato” la natura immettendo una grande
massa d’acqua nel mezzo del deserto. Il bacino artificiale, che ha
preso il nome da John Wesley Powell, esploratore e guida della prima
squadra di uomini che riuscì a navigare con successo lungo i canyon del
fiume Colorado, per una sorta di strana ironia ha completamente
trasformato l'ambiente e lo stesso Glen Canyon rispetto a come l'aveva
visto Powell nel 1869. Le torreggiarti formazioni rocciose e gli aerei
strapiombi rossi che movimentano il territorio desertico intorno al Lake
Powell connotano un paesaggio arido, impressionante e indimenticabile
forse più del lago stesso, opera dell'uomo.
Il
magnifico arco del Rainbow Bridge, che con 88 metri di altezza è il più
grande ponte naturale del mondo, senza alcun dubbio è la formazione
rocciosa più spettacolare nei dintorno del lago: l'aerea, snellissima
struttura è particolarmente sacra agli indiani Dine, una tribù della
Nazione Navajo, la cui riserva contorna la sponda meridionale del lago.
A
nord del Grand Canyon, nello Stato dello Utah, si trova il Bryce Canyon,
che comprende 150.000 ettari di formazioni uniche e variopinte chiamate
hoodoo. Composti di calcare, arenaria e strati di argilla compatta messi
a nudo dall'erosione sul margine orientale dell'altopiano Paunsaugunt,
gli hoodoo vennero creati 10 milioni di anni or sono da un susseguirsi
di sollevamenti e fratture tettoniche, allorché alcune masse rocciose
furono spinte verso l'alto e un altro gruppo divenne l'altopiano
Paunsaugunt. Gli antichi fiumi scolpirono tali masse e col tempo si
vennero a formare le creste alte e sottili chiamate fin, che,
ulteriormente erose dal vento e dal ghiaccio, diedero origine alle
sorprendenti formazioni visibili oggi. I rossi hoodoo appaiono
spettacolari soprattutto quando li si osserva sullo sfondo delle foreste
di pini dell'altopiano alle loro spalle, mentre in inverno, coperti
dalle nevicate, appaiono come fette di torta alla panna e brillano in un
arcobaleno di colori naturali.
Il
deserto accoglie molti animali, la maggior parte dei quali va a caccia e
si sposta di notte: coyote, volpi, procioni dalla coda ad anelli, cervi,
topi e ratti, tutti conservano le proprie energie rintanandosi durante
il giorno, quando invece entrano in azione le lucertole come il
chuckwalla, e i serpenti, animali che dipendono dal calore del sole per
regolare la temperatura corporea. Sono inoltre molte le specie di
uccelli che vivono all'interno e nei dintorni del canyon, incluse le
aquile reali e i corvi che si librano nelle forti correnti ascensionali.
Le distese del deserto roccioso ospitano anche numerose forme di vita
vegetale: per esempio, sulle pareti dei canyon i licheni disegnano
delicate striature di colore, i cactus e le
yucca dalle foglie a baionetta crescono abbondantemente, negli anfratti
sbocciano - ad ogni primavera e dopo le estati particolarmente piovose
fiori sgargianti, lungo il letto dei torrenti stormiscono pioppi
cottonwood, salici e tamerici, mentre le quote più elevate sono
appannaggio di ginepri e pini.
Le
regioni desertiche degli Stati Uniti possiedono troppe bellezze naturali
per poterle descrivere tutte: il deserto tuttavia continua a essere un
luogo sottilmente misterioso. Soprattutto di notte, allorché la quiete
è rotta dai richiami dei molti animali notturni che rammentano
l'abbondanza di vita che sussiste all'interno di questa grande, estesa
meraviglia della natura. In un angolo dell'Arizona nordorientale, snelli
pinnacoli di arenaria rossa si stagliano alti contro l'azzurro del
cielo, in un fantastico gioco di contrasti con il verde della rada
vegetazione arbustiva e le sfumature violette delle colline che si
profilano all'orizzonte.
Il
vento soffia dolcemente in questa landa desertica, sollevando mulinelli
di sabbia rossastra. Un coniglio selvatico dalla coda bianca si muove
fulmineo tra i bassi cespugli, mentre le piante di mesquite riempiono
l'aria del loro dolce aroma.
Questa
è la terra degli indiani Navajo, una potente e numerosa tribù che
abita nel sud-ovest degli Stati Uniti. Uno dei più spettacolari scenari
naturali del Paese si trova proprio qui ed è costituito dagli
incredibili butte - che significa letteralmente "pan di
zucchero" - della Monument Vailey. Queste formazioni geologiche
danno origine a un paesaggio surreale e bizzarro che pare quasi alieno,
sebbene abbia un che di familiare. Infatti, chiunque abbia visto un film
western girato in questa località ne conosce, seppur indirettamente, il
fascino ammaliatore; questo luogo era prediletto soprattutto dal grande
regista John Ford, che qui ambientò tra l'altro il celeberrimo Ombre
Rosse.
La
Monument Valey, il cui territorio è suddiviso tra gli Stati dello Utah
e dell'Arizona, è un'area desertica di incomparabile bellezza, estesa
su oltre 3000 chilometri quadrati, punteggiata da smilze torri di
arenaria che arrivano a sfiorare i 350 metri di altezza. Sono in molti a
pensare che l'intera regione faccia parte di un Parco Nazionale, ma le
cose stanno diversamente: la Monument Valley è infatti proprietà del
Dipartimento per le Risorse Culturali della Nazione Navajo - che se ne
assume la tutela - ed è interamente compresa entro i confini della
Riserva Navajo.
Le
modalità di formazione dei butte, così singolarmente erosi, meritano
una spiegazione. La Monument Vailey fa parte del Colorado Plateau, che
milioni da anni fa era un mare interno, sul cui fondo si depositarono
spessi depositi sedimentari.
Nel
corso delle ere geologiche, i sommovimenti tettonici spinsero verso
l'alto il fondale marino, che si prosciugò, fessurandolo e dando inizio
al lungo ciclo erosivo. I butte sono formati da tre differenti tipi di
roccia.
Ai
loro piedi si trova il tenero scisto cristallino rossastro, i cui
frammenti giacciono sparsi tutto attorno, solitamente coperti dalla
vegetazione. Il nucleo centrale di ciascuna formazione è composto
invece da un'arenaria più dura e resistente, mentre la sommità è
costituita da una roccia sedimentaria chiamata shinarump, formatasi durante
il Cenozoico.
A
causa del loro aspetto bizzarro, i buttes hanno ricevuto nomi
pittoreschi, assegnati in base alle somiglianze di ognuno con
qualcos'altro. Per esempio, le Three Sisters devono tale appellativo al
fatto che ricordano altrettante suore in abiti talari, The Hub si chiama
così perche sembra il mozzo di una ruota da carro, mentre il Totem
Pole, imponente pilastro alto 120 metri, non ha bisogno di spiegazioni.
La
Monument Valley incarna quello che nell'immaginario collettivo è
l'essenza stessa del mitico Far West: selvaggio, sconfinato, costellato
di rocce e montagne dalle forme inverosimili, questo scenario è
diventato universalmente celeb grazie alle decine di film, documentari e
spot pubblicitari che vi sono stati ambientati. Si può affermare che la
Monument Valle rappresenta l'icona del West, ma al di là del ruolo
giocato nell cultura popolare americana, è soprattutto un capolavoro
della natura. Assieme al Grand Canyon, alla Death Valley e al Bryce
Canyon costituisce una delle più preziose meraviglie naturali del
Sud-ovest degli Stati Uniti.
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