Il
luogotenente James King, imbarcato con la spedizione di James Cook nel
1779, ne stimò l'altitudine in 4883 metri. Pochi anni più tardi,
tuttavia, le misure barometriche del botanico Archibald Menzies, il
primo a raggiungerne la vetta, lo ridimensionarono decisamente,
arrivando al più verosimile valore di 4134 metri, e in effetti, secondo
lo U.S. Geological Survey Hawaiian Volcano Observatory, fondato nel
1912, il Mauna Loa, che occupa la metà sud-occidentale dell'isola di
Hawaii, è alto 4169 metri.
Se
però a questi si aggiungono i circa 5000 metri di profondità del
fondale marino da cui il vulcano si innalza e gli 8000 della depressione
che si è formata per effetto della sua spinta, con 17 chilometri di
altezza il Mauna Loa è la montagna più alta del mondo: quasi il doppio
dell'Everest. E, di certo, è la più voluminosa, con 80.000 chilometri
cubi di rocce vulcaniche, per una superficie, al di sopra del livello
del mare, di 5271 chilometri quadrati.
Mauna
Loa è anche uno dei vulcani più attivi della Terra, con 33 eruzioni
registrate in epoca storica, ma in questa classifica è ampiamente
superato dal vicino Kilauea, che ha eruttato in continuazione per oltre
vent'anni, prima del 1907, per poi riprendere a tratti nel 1952 e
ricominciare nel 1983, con un'eruzione che ancora non accenna a
fermarsi. Da queste poderose officine di Efesto prendono il nome le
eruzioni di tipo hawaiiano, che raramente hanno un comportamento
esplosivo e sono caratterizzate da un flusso continuo di lava che spesso
fuoriesce da un fianco del vulcano.
Nei
millenni, questi flussi di magma fluido hanno depositato, strato dopo
strato, la lava che ha prodotto lo spettacolare panorama vulcanico
dell'isola di Hawaii. Entrambi fanno parte dell'Hawaii National Park,
creato nel 1916 e successivamente modificato fino all'attuale
estensione, pari a 92.934 ettari. Istituito per preservare lo scenario
modellato da 70 milioni di anni di evoluzione geologica, il parco è
diventato il rifugio delle numerosissime specie autoctone, sia vegetali
sia animali.
L’isolamento
dell’arcipelago delle Hawaii e la peculiare natura del suolo hanno
infatti favorito lo sviluppo di comunità botaniche con un’altissima
percentuale di endemismi, anche se, come è tipico delle isole, la
biodiversità è relativamente ridotta rispetto alle aree continentali.
Il tratto più peculiare della storia dell’arcipelago è forse la
“stratificazione”, intesa in termini sia geologici sia biologici.
Formate dal sovrapporsi e dal continuo mutare di strati di lava, le
Hawaii sono state conquistate dalla vita in diverse fasi, distanti fra
loro secoli o millenni. Veicolate di volta in volta dalla acque
oceaniche, dai venti e specialmente dagli uccelli, grandi apportatori di
vita su tutte le isole del mondo, le numerose specie indigene delle
Hawaii hanno occupato ogni angolo delle isole adattandosi a condizioni
variabilissime, a seconda dell'altitudine, dei venti prevalenti, delle
condizioni dell'umidità e delle nebbie.
Ultimi
arrivati, anche gli esseri umani sbarcarono in diversi scaglioni, forse
a partire dall'epoca in cui cadde Roma e provenendo, prima dell'arrivo
di Cook, dalle sovrappopolate isole Marchesi. In questo quadro
contornato da specie rarissime e altamente minacciate, particolarmente
importanti sono le felci, che rappresentano una quota significativa
della flora indigena, ancora prevalente al di sopra dei 1500 metri di
altitudine e notevolmente contaminata dalle specie importate sotto i 600
metri. Unico mammifero originario dell'isola di Hawaii è il Lasiurus
cinereus, il pipistrello più diffuso nelle Americhe. Di grande
interesse sono invece gli uccelli, tra i quali si trovano interessanti
esempi di radiazione adattativa. Molte specie endemiche, peraltro, sono
rare o in pericolo.
Tra
queste ultime si annoverano l’akepa, l’akiapola'au, la procellaria
delle Hawaii, l'omao, l’apapane, l’elepaio, l’amakihi e l’iiwi.
Tutta l'area del parco, purtroppo, è compromessa dall'invasività delle
specie introdotte dall'uomo. Capre e maiali selvatici hanno distrutto
intere aree di piante indigene, le manguste hanno decimato i rettili. E
del mutamento degli habitat, oltre che della caccia, ha sofferto anche
il nene, ultima superstite di nove specie di oca selvatica endemiche
dell'isola, di recente elevata a simbolo della conservazione hawaiana.
Secondo le stime, dovevano essere circa 25.000 al tempo dell'arrivo di
Cook, ma a metà degli anni Quaranta non ne erano rimasti più di 50
esemplari. Dagli anni Settanta è stato avviato un programma di
reintroduzione che ha dato qualche successo, ma ancor oggi la
sopravvivenza del nene continua a dipendere dalle attenzioni dell'uomo.

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