Il
sito UNESCO di Monte San Giorgio è formato da un
piccolo gruppo montuoso posto tra il Cantone Ticino in Svizzera e
la provincia di Varese in Lombardia (Italia),
geologicamente costituito da rocce del mesozoico caratterizzate
da un elevato contenuto fossilifero in ottimo stato di conservazione.
Questa località fossilifera prende il nome dalla maggior cima dell'area
il Monte
San Giorgio, che si trova in territorio svizzero. Di particolare
interesse sono i ritrovamenti paleontologici entro
la successione sedimentaria carbonatica marnosa del Triassico
Medio, entro cui si riconoscono almeno sei livelli fossiliferi principali,
ciascuno dei quali a sua volta suddivisibile in zone con differente
associazione faunistica.
L'arena
tettonica
svizzera di
Sardona
mostra un
eccezionale
esempio di
formazione
di montagne
attraverso
collisioni
continentali
e presenta
eccellenti
sezioni
geologiche
attraverso
la spinta
tettonica,
ovvero il
processo
mediante il
quale rocce
più vecchie
e
più
profonde
vengono
trasportate
su rocce più
giovani e
meno
profonde. Il
sito si distingue
per la
chiara
esposizione
tridimensionale
delle
strutture e
dei processi
che
caratterizzano
questo
fenomeno ed
è stato un
sito chiave
per le
scienze
geologiche sin
dal XVIII
secolo. Le Alpi Glaronesi sono montagne glaciali che si innalzano
drammaticamente
sopra
strette
valli
fluviali e
sono il sito
della più
grande frana
postglaciale
nella
regione
alpina
centrale.
Il
riconoscimento e la segnalazione dell'interesse paleontologico dell'area
risale alla metà del secolo XIX, e le prime attività di ricerca e
raccolta fossilifera furono compiute da Antonio
Stoppani nel 1862. Nel 2003 gli affioramenti triassici in
territorio svizzero furono iscritti nel Patrimonio
mondiale dell'UNESCO. L'area protetta interessa una superficie di 849 ettari,
l'area tampone 1389 ettari.
Nel 2010 anche quelli il versante italiano fu inserito nella World
Heritage List, completando il riconoscimento del paleosito. Dal XIX
secolo, in oltre 150 anni di ricerca, sono venuti alla luce decine di
migliaia di scheletri fossili di rettili marini e di pesci, tra cui
numerose specie rare o specifiche del sito, alle quali spesso sono
attribuiti nomi che indicano toponimi locali come Daonella
serpianensis, Serpianosaurus mirigiolensis, Serpianotiaris hescheleri, Tanystropheus meridensis, Luganoia
lepidosteoides, Ceresiosaurus, Ticinosuchus ferox, Besanosaurus
leptorhynchus, Lariosaurus,
nomi che ricordano i ricercatori che hanno lavorato sul Monte come Saurichthys
curionii, Mixosaurus
cornalianus, Macrocnemus
bassanii, Neusticosaurus
peyeri, Tintorina meridensis, Cymbospondylus buchseri e
nomi che ricordano le loro mogli come Cyamodus
hildegardis.
Le
principali collezioni dei reperti fossili sono conservate ed esposte
presso il Museo
dei fossili del Monte San Giorgio a Meride,
il Museo dell'istituto di paleontologia dell'Università di Zurigo e
il Museo
Civico di Storia Naturale di Milano, che conservano molti degli olotipi
delle
prime nuove specie fossili ivi rinvenute e classificate durante i primi
scavi, e il Museo
dei fossili di Besano.
Storia
degli scavi paleontologici
I
primi fossili di rettili e di pesci furono probabilmente scoperti nelle
miniere di scisto bituminoso in località Vallone a Besano. A
metà Ottocento il geologo Giulio
Curioni, tra
i fondatori della Società Italiana di Scienze Naturali, menzionò la
presenza di pesci fossili negli scisti di Besano. La
prima pubblicazione scientifica sui fossili del Monte San Giorgio risale
al 1854 e
fu redatta da Emilio
Cornalia. Nel 1863 il geologo e paleontologo Antonio
Stoppani iniziò i primi scavi nella Formazione di Besano in
località Vallone a Besano. Tra
il 1866 e il 1878, sotto la direzione di Emilio
Cornalia, allora direttore del Museo Civico di Storia Naturale di
Milano e presidente della Società
Italiana di Scienze Naturali, continuarono gli scavi nella medesima
località. La prima pubblicazione riguardante
questa campagna di scavo risale a Francesco
Bassani (1886). Nel 1907, durante i lavori d'estrazione a scopo
industriale degli scisti bituminosi in località Tre Fontane, dai
quali si ricavava tramite distillazione a freddo il Saurolo, vennero
alla luce ulteriori fossili di pesci e di rettili.
Nel
1919 il paleontologo e zoologo Bernhard
Peyer, su consiglio dall'amico paleontologo di Monaco Ferdinand
Broili s'interessò per la prima volta dei fossili del Monte e
diede in seguito un impulso decisivo alla ricerca scientifica, facendo del
San Giorgio il Monte dei Sauri. Dal 1924, grazie ad un credito di
1000 franchi, l'Istituto
e il Museo di Paleontologia dell'Università
di Zurigo (PIMUZ) iniziò gli scavi scientifici. Sino al 1975
ebbero luogo una cinquantina di campagne sistematiche di scavo a cielo
aperto che portarono alla luce numerosissimi fossili.
Nel 1925 Emil
Kuhn-Schnyder, allora assistente di Bernhard Peyer, prese per la prima
volta parte agli scavi. Nel 1927 i due ricercatori scoprirono i livelli
fossiliferi della Cava inferiore e della Cava superiore.
Negli anni Trenta Bernhard Peyer offrì a Fritz Buchser, scalpellino
di Meride, una formazione quale preparatore paleontologico. Quest'ultimo
lavorò poi al suo fianco per ben 47 anni, cercando e preparando i fossili
del Monte San Giorgio. Grazie al suo intuito si scoprirono gli strati
fossiliferi della Cassina. Nel 1940 i ricercatori di Zurigo
scoprirono fossili di pesci nella Kalkschieferzone.
Nel 1956 Emil
Kuhn-Schnyder fu promosso a direttore dell'Istituto di paleontologia
dell'Università di Zurigo. L'Università di Basilea sotto la guida di
Louis Vonderschmitt descrisse la la
geologia e la stratigrafia delle Ticino meridionale. Tra le campagne di
scavo più significative dal profilo scientifico vi è quella condotta da
Emil Kuhn-Schnyder con geologi dell'Università di Basilea in località
Mirigioli tra il 1950 e il 1968.
La
campagna di scavo interessò inizialmente una superficie di 240 m2 (poi
ridotti a 90 m2) e mostrò per la prima volta la distribuzione delle
numerose specie di fauna e flora lungo l'intero profilo della Formazione
di Besano.
Grazie
alle numerose scoperte scientifiche nel 1956 fu fondato l'Istituto
Paleontologico dell'Università di Zurigo. Nel 1965 fu aperta al pubblico
la collezione di reperti fossili che dal 1991 divenne ufficialmente Museo
Paleontologico dell'Università di Zurigo.
Emil Kuhn-Schnyder nel 1973
promosse l'apertura del Museo dei fossili del Monte San Giorgio a Meride.
Dal
1975 il Museo
civico di Storia Naturale di Milano riprese le ricerche nella Formazione
di Besano in
località Vallone e Rio Ponticelli a Besano.
Nel 1990 un secondo gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze della
Terra dell'Università degli Studi di Milano, sotto la direzione di Andrea
Tintori, iniziò scavi nella Kalkschieferzone (Calcare di Meride). Il
Museo di Induno Olona collaborò agli scavi in località Ca' del
Frate (Viggiù),
mentre a Meride vi fu la collaborazione con il Museo
Cantonale di Storia Naturale di Lugano.
Parallelamente, tra il 1976 e
il 2001, sotto la direzione di Hans Rieber, professore di
paleozoologia al Politecnico
federale e all'Università
di Zurigo, fu rielaborato il materiale delle precedenti campagne di
scavo, concentrandosi sullo studio dei pesci fossili. Hans
Rieber iniziò una nuova campagna di scavo nel 1983-1984 in località Val
Stelle a Meride, dedicandosi ai fossili invertebrati tra
cui le Daonelle e
le Ammoniti,
che si rivelarono eccezionali fossili
guida, utili quindi alla datazione degli strati sedimentari. Andrea
Tintori tra il 1996 e il 2003 condusse varie campagne su territorio
svizzero e italiano, contribuendo in particolare allo studio dei pesci del
Triassico medio (Kalkschieferzone). Parallelamente l'Università di
Zurigo, sotto la direzione di Heinz Furrer, curatore dal 1994 del
Museo dell'università, condusse numerose campagne di scavo negli strati
sedimentari della Kalkschieferzone in località Val Mara e Acqua
del Ghiffo. Il
dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Milano e il Museo
di storia naturale di Milano affiancarono il gruppo di ricercatori di
Zurigo.
Dal
2006 al 2014, in territorio svizzero, il Museo
cantonale di storia naturale di Lugano sotto la direzione di Rudolf
Stockar condusse altre ricerche e scavi scientifici. Dal 2010 in
poi, in località Cassina, Val Mara e Val Sceltrich,
ebbero luogo gli ultimi scavi del Museo di storia naturale di Lugano, affiancato
da studenti di altre università e da volontari. Per questi studi Stockar,
nel 2018, ha ricevuto il premio "Friedrich von Alberti,
un importante riconoscimento in ambito paleontologico.
Introduzione
geologica
La
catena delle Alpi Meridionali, lunga oltre 500 km e larga 50–150 km,
si estende dalla città di Ivrea (a Ovest) sino alla Slovenia occidentale
(a Est). Si
tratta di un margine continentale passivo contraddistinto da una catena a
falde sovrapposte con trend Est-Ovest e vergenza verso Sud. Le Alpi
Meridionali sono il fronte orogenico meridionale della catena delle Alpi. Verso
Nord le Alpi Meridionali sono tagliate dalla Linea
Insubrica, una discordanza
tettonica regionale che le divide dal massiccio centrale delle Alpi. Verso
Ovest il contatto col massiccio centrale è marcato dalla Linea
del Canavese, mentre ad Est interferiscono con le Alpi
Dinariche. A
Sud il fronte di catena è invece sommerso sotto i depositi tardo e post
orogenici della Pianura
Padana.
-
Periodo Ercinico: il basamento cristallino roccioso delle Alpi Meridionali
risale al periodo precedente il Carbonifero superiore ed è
contraddistinto da due deformazioni tra loro sovrapposte. La più antica
è riconducibili all'Orogenesi
Ercinica, la più recente
all'Orogenesi
Alpina. Nelle Alpi
Meridionali il grado metamorfico aumenta gradualmente da Est verso Ovest,
suggerendo un progressivo passaggio da zone di catena esterne verso zone
interne.
-
Mesozoico inferiore:
i modelli strutturali delle Alpi Meridionali mostrano una serie di
strutture compressive con trend Est-Ovest e altre faglie risalenti al
Mesozoico inferiore con trend Nord-Sud. Quest’ultmine sono correlate al
sistema distensivo in vigore tra le placche tettoniche Adria e Eurasia e
furono riattivate nei periodi geologici successivi, favorendo repentini
cambiamenti di facies e di spessore delle formazioni mesozoiche.
-
Triassico e Giurassico inferiore:
durante questo periodo si formarono i domini principali delle Alpi
Meridionali, inizialmente con cambiamenti locali di facies e poi con la
formazione di bacini sedimentari, alti strutturali sommersi e plateau
carbonatici. Nel Bacino Lombardo si formarono strutture
distensive e faglie ad alto angolo d’immersione tra cui la Faglia
del Lago Maggiore e la Faglia di Lugano. ebbe origine
una serie di alti strutturali come la Soglia di Arbostora (detto
anche Soglia di Arzo o di Lugano) e profondi bacini
sedimentari come il Bacino del Generoso. Il
Triassico medio, in particolare l’Anisico, fu caratterizzato da un
incremento dell’attività tettonica distensiva che diede origine a
estese piattaforme carbonatiche e a scogliere.
Il primo evento di
sedimentazione bacinale avvenne tra l'Anisico e il Ladinico con la
deposizione della Formazione di Besano. La faglia normale di
Lugano (Linea di Lugano), ad Est del Monte San Giorgio, ebbe
origine tra il Norico e il Giurassico inferiore. Questa faglia con
andamento Nord-Sud divide la Soglia di Arbostora dal Bacino
del Generoso ed
è caratterizzata da un’immersione verso Est e un movimento verticale
stimato in 7 km. All’interno della Dolomia Principale,
che interessava tutto il dominio delle Alpi Meridionali, intensi processi
sinsedimentari originarono brecce tettoniche di ambiente marino come la Macchia
Vecchia e
il Broccatello. Nel
Retico superiore continuò la sedimentazione carbonatica in un ambiente
marino lagunare aperto.
-
Giurassico –
Cretacico inferiore: tra il Giurassico e il Cretacico inferiore si aprì
l’oceano della Tetide. La Dolomia
Principale fu interessata da faglie normali e si formarono
numerosi bacini marini. In questo periodo il profilo Est-Ovest delle Alpi
Meridionali mostrava tre province tettoniche: la Piattaforma
Veneta (a Est), il Bacino Lombardo e i settori Canavese e Biellese (a
Ovest). Il Bacino
Lombardo subì un’elevata subsidenza e
sprofondò sotto la soglia di compensazione di calcite e aragonite,
favorendo la deposizione di radiolariti silicee. Nello stesso periodo, in
corrispondenza degli alti strutturali, sedimentarono i calcari ammonitici
(Rosso
Ammonitico).
-
Cretacico superiore
e Terziario inferiore:
cambiamenti climatici tardo Cretacici favorirono la sedimentazione dei
calcari micritici della Formazione
Maiolica. Il
margine continentale fu interessato da processi compressivi dovuti alla
convergenza tra Adria e Europa. Il margine si deformò progressivamente
dando origine alla catena a falde sovrapposte delle Alpi Meridionali e
formando le Falde Orobiche, una complessa serie di pieghe
anticlinali regionali e ampi sovrascorrimenti.
-
Terziario:
i movimenti trascorrenti lungo la Linea
Insubrica separavano
il Sistema Orobico delle Alpi Meridionali dall’area
metamorfica alpina. In questo periodo si formò la Molassa
Sudalpina quale prodotto di disgregazione dovuto all’orogenesi,
all’innalzamento e alla successiva erosione tardo Terziaria delle Alpi
Meridionali. I conglomerati e le arenarie della Molassa Sudalpina si
depositarono lungo i bordi e le scarpate in profondi bacini sedimentari.
Nei contrafforti Lombardi la serie Oligocene-Miocene comprende
dal basso verso l’alto la Formazione di Chiasso e il
gruppo della Gonfolite
Lombarda. Queste
formazioni sono separate tra loro da una discordanza con una lacuna
sedimentaria (hiatus) di 7 Ma. Si tratta del retroscorrimento regionale
vergente verso Nord della Gonfolite Lombarda, d'età Tortoniano.
Monte
San Giorgio nel contesto Sudalpino - Il
Monte San Giorgio si trova nella parte occidentale della catena delle Alpi
Meridionali in corrispondenza della Soglia di Arbostora. Il
sottosuolo è caratterizzato dalla sovrapposizione strutturale di due
Falde Orobiche (inferiore e superiore).
Da
Nord verso Sud, come mostrato nella carta geologica del Ticino
meridionale, le
rocce affioranti del San Giorgio sono vieppiù giovani. La parte settentrionale del Monte
ha uno zoccolo cristallino
pre-Permiano formato da gneiss e da affioramenti permiani con rocce
vulcaniche (andesiti, rioliti e ignimbriti). Salendo da Nord verso la cima
del Monte e scendendo poi sino alla località di Meride s'incontrano le
sequenze sedimentarie triassiche.
Proseguendo verso Sud, in località di
Arzo, affiorano sedimenti del Giurassico inferiore. La successione
sedimentaria è tagliata da faglie normali tardive con andamento Nord-Sud. La
giacitura dei sedimenti ha un’immersione di circa 30° verso Sud e la
sequenza sedimentaria Triassico-Giurassica sprofonda sotto i depositi
quaternari della Pianura Padana. Stratificazioni bituminose simili a
quelle del San Giorgio sono state riscontrate, infatti, a 4500 metri di
profondità nei pozzi perforati da AGIP (gruppo
ENI) in località Gaggiano e
Trecate-Villafortuna per
la ricerca e la coltivazione di idrocarburi liquidi. A Sud del confine
italo-svizzero affiorano infine i depositi del Gruppo della Gonfolite
Lombarda, che
delimitano verso Nord il fronte strutturale di un retroscorrimento
regionale.
La
laguna triassiaca del San Giorgio -
Oltre
230 milioni d'anni fa la regione del Monte San Giorgio si trovava 20 gradi
a Nord dell'equatore lungo la costa settentrionale del mare della Tetide. Vi
erano zone d'acqua bassa, banchi sabbiosi e alcune isolette che separavano
lagune poco profonde dal mare aperto.
Sui fondali di una laguna subtropicale profonda 30-130 metri ed
estesa 10–20 km con ristretta circolazione d'acqua
si
depositarono in assenza di ossigeno le rocce sedimentarie della Formazione
di Besano (Zona Limite Bituminosa).
In superficie l'acqua era al contrario
ben ossigenata e ricca di vita. Le condizioni climatiche, simili a quelle
degli attuali Caraibi, erano di tipo monsonico e l'acqua aveva una
temperatura di 22-25°C.
Gli animali morti finivano sui fondali
anossici della laguna, per poi essere ricoperti dal fango. Per questo
motivo oggi è possibile ritrovare scheletri fossili completi e
perfettamente conservati. Se i fondali marini avessero costituito un
ambiente favorevole alla vita, le carcasse sarebbero state divorate e si
sarebbero inesorabilmente degradate.
All'interno della fanghiglia i
batteri decomposero lentamente la pelle, le squame e, spesso le parti
molli delle carcasse. Gli scheletri degli animali si conservarono invece
sino ai giorni nostri. L'ambiente acquatico tipico della parte bassa e
media della Zona Limite Bituminosa era di tipo salino, la
parte alta presentava invece un regime meno salino.
Profilo
stratigrafico
Basamento
e formazioni Permiane
-
Basamento cristallino Insubrico (pre Carbonifero,
> 300 Ma; Ma = milioni d'anni): il basamento cristallino Insubrico è
costituito da gneiss,
metamorfizzati durante l'Orogenesi
Varisica. Questa
unità affiora spesso a Nord del lago di Lugano (Melide e Morcote). Nella
regione del San Giorgio vi sono affioramenti tra la dogana di Brusino
Arsizio e Porto Ceresio.
-
Rocce magmatiche e vulcaniche (Permiano,
260-299 Ma): lave e rocce piroclastiche permiane di composizione riolitica
e andesitica. Salendo da Brusino Arsizio in direzione del Serpiano la
prima litologia affiorante è un'andesite molto
degradata chiamata porfirite, più in alto affiora invece una roccia
riolitica detta porfido quarzifero. Entrambe le rocce vulcaniche si
formarono da rapida cristallizzazione di lave. A occhio nudo è facile
distinguere le due rocce: le porfiriti hanno un colore di degradazione
rosso-violaceo e tessitura microcristallina omogenea, il porfido
quarzifero è invece di colore marroncino e ha una tessitura leggermente
porfirica (con due o più generazioni di minerali di diversa
granulometria). I minerali più grandi sono feldspati (color bianco) e
biotiti nere, immersi in una matrice a grana fine. I porfidi contengono più
quarzo rispetto alle porfiriti.
Formazioni
Triassiche
-
Serie sedimentaria triassica (208-247
Ma): numerose fratture si aprirono all'interno del supercontinente Pangea.
Tra il continente africano a Sud e quello euroasiatico a Nord si formò un
bacino nel quale si insinuò, partendo da Est, un braccio di mare della Tetide.
Questo spiega il passaggio da rocce vulcaniche, nella parte bassa del
Monte, a rocce sedimentarie, nella parte alta.
-
Servino (Permiano superiore-Triassico
inferiore, 250 Ma): litologia di spessore limitato, inferiore alle due
precedenti, sovente ricoperta da depositi quaternari e difficilmente
osservabile. Alla base vi sono sedimenti litorali trasgressivi arenacei e
conglomeratici in contatto erosivo con le facies continentali permiane. La
formazione presenta spesso brecce arcosiche a clasti riolitici ed è
caratterizzata da elementi spigolosi a granulometria variabile immersi in
una matrice vulcanica microcrostallina.
-
Formazione
di Bellano (Triassico medio, Anisico medio-superiore):
depositi silicoclastici conglomeratici e arenacei di colore rossastro. Si
tratta di depositi alluvionali,
fluviali o deltaici che indicano un incremento dell'attività tettonica
nella regione con successivo innalzamento del suolo ed erosione.
-
Dolomia del San Salvatore detta pure Dolomia Albiga (Triassico
medio, Anisico medio/superiore-Ladinico):
dolomia di piattaforma carbonatica marina, che
testimonia l'inizio di un'ulteriore fase di trasgressione. Questa
formazione è ciò che resta di un'antica barriera corallina o di una
piattaforma carbonatica d'acqua bassa che separava il bacino del San
Giorgio dal mare aperto. Alla base vi sono componenti sabbiose immerse in
una matrice calcitica (poi dolomitizzata) formata da organismi marini di
barriera tra cui bivalvi,
lumache, coralli, spughe, granchi, crinoidi e alghe rosse.
-
Formazione di Besano detta pure Zona Limite Bituminosa o Grenzbitumenzone (Anisico superiore- Ladinico inferiore):
è tra le formazioni sedimentarie che hanno reso famoso il Monte San
Giorgio a livello mondiale. Datazioni dei
minerali di zircone contenuti in strati di tufo vulcanico (bentonite)
hanno permesso di datare la roccia in 242.1 ± 0.6 Ma. La
Formazione di Besano costituisce uno fra i migliori esempi al mondo di un
particolare giacimento fossilifero chiamato giacimento di conservazione
(sottotipo stagnazione, tipo di biofacies letalpantostrato).
La laguna del
San Giorgio era nel lontano Triassico un lembo di mare della Tetide,
protetto dal mare aperto dalla barriera corallina del San Salvatore. La
profondità della laguna era di 30-130 metri, le
acque erano calde e relativamente calme, tanto da rappresentare un
ambiente favorevole per una numerosa fauna e flora. Negli scisti sono
stati ritrovati fossili tipici di terraferma, come rami di conifere
primitive, pollini e
rettili terrestri. La
laguna non distava quindi molto dalla terra emersa. Gli scisti
bituminosi sono rocce di colore nero, ricche in bitume e in
materia organica. Generalmente è difficile ottenere sedimenti ad alto
contenuto organico perché, in presenza d'ossigeno, il materiale si
degrada. Gli strati d'acqua al fondo della laguna del San Giorgio erano
perlopiù disaerobici con periodi anossici. L'allineamento
di alcuni fossili di pesce e quindi una leggera circolazione d'acqua
sembrano supportare questa ipotesi.
Si pensa inoltre che i fondali fossero
pressoché abiotici, con poche tracce di bioturbazione. Le
carcasse di pesci e di rettili si depositarono sui fondali, senza essere
divorate e senza degradarsi, permettendo così la loro conservazione sino
ai giorni nostri. La sedimentazione di questa formazione richiese periodo
assai lungo, tanto che in pochi millimetri di roccia sono racchiusi
migliaia di anni. La Formazione di Besano ha uno spessore di
15–16 m ed è costituita da un'alternanza di strati chiari di dolomia,
spessi circa 30 cm e proveniente dalla barriera corallina del San
Salvatore, e di livelli scuri di scisto bituminoso con una stratificazione
assai sottile, detta laminazione.
Gli scisti della Zona Limite
Bituminosa hanno valori molto elevati di TOC (contenuto totale di
carbonio organico) che raggiungono addirittura il 44% del peso, valori
medi di TOC del 4% e contenuti di zolfo sino al 10%. Il potenziale di
generazione d'idrocarburi fu stimato in 330'000 tonnellate di HC per km2. Nell'area
del San Giorgio i sedimenti della Formazione di Besano sono solo
marginalmente maturi, a
causa del ridotto ricoprimento sedimentario. Nella Pianura Padana le
stesse rocce presentano invece uno spesso ricoprimento sedimentario, sono
molto mature e
costituiscono la principale roccia madre del
sistema petrolifero "Meride / Riva di Solto".
-
Dolomia del San Giorgio (Triassico Medio, Ladinico):
formazione carbonatica di piattaforma (successivamente dolomitizzata)
spessa 60 metri, depositatasi in ambiente d'acqua bassa e ricca di alghe.
-
Calcare di Meride corrispondente alla Formazione di Cunardo (Triassico
medio, Ladinico):
a seguito dei processi estensionali la Tedite si ingrandì ulteriormente,
i fondali marini divennero più profondi e scesero sotto la zona fotica,
arrestando la crescita della barriera corallina. Nel bacino si depositò
una spessa (400-600 metri) unità carbonatica, il Calcare di Meride,
che inizia con il Carlare di Meride inferiore (90-150 metri).
Il calcare è perlopiù omogeneo, con stratificazioni di spessore
variabile interrotte da sedimenti ricchi in scisto bituminoso oppure da
letti di bentonite giallastra. La
bentonite (tufo vulcanico) è una roccia tufacea di struttura plastica
derivante dalla compattazione di ceneri vulcaniche. Questi orizzonti sono
molto importanti perché permettono una precisa datazione della roccia e
costituiscono dei "marker" temporali a livello regionale. Nel Calcare
di Meride si distinguono quattro successioni fossilifere, elencate
dal basso verso l'alto: Cava inferiore (spessa 1.5 m), Cava
superiore (spessa 10 m, datata 241.07 ± 0.13 Ma), Cassina (spessa
3 m, datata 240.63 ± 0.13 Ma)
e Sceltrich (spessa pochi decimetri). Il
valore medio di TOC (contenuto totale di carbonio organico) del Calcare
di Meride è pari al 0.8%.
-
Kalkschieferzone Calcare di Meride superiore (Triassico medio, Ladinico superiore):
parte superiore del Calcare di Meride dello
spessore di 120 metri. La datazione di un letto di cenere vulcanica nella
parte intermedia della Kalkschieferzone indica un'età di 239.51
± 0.15 Ma. Sono
stratificazioni calcaree scistose con abbondanti componenti clastiche
derivate da processi erosivi. Il luogo di deposizione era una laguna poco
profonda, con grandi variazioni stagionali di salinità. Litologie
simili in Lombardia occidentale sono denominate Formazione di
Cunardo.
-
Marna del Pizzella appartenenti al Gruppo di Raibl (Triassico
superiore, Carnico):
marne grigie fogliettate oppure marne bituminose nerastre, talora con
resti di pesci e crostacei, intercalate a strati maggiormente carbonatici
di spessore da centimetrico a decimetrico. Questa formazione costituisce
un orizzonte spesso poche decine di metri, che presenta una maggiore
erodibilità rispetto alle unità adiacenti.
-
Dolomia principale (Triassico superiore, Norico):
la trasgressione marina tardo Triassica favorì la deposizione di uno
spesso pacchetto di roccia carbonatica (poi dolomitizzata), chiamata
Dolomia Principale (Hauptdolomit degli
autori svizzero tedeschi).
L'ambiente di deposizione era una piattaforma
carbonatica ampia migliaia di km2, i carbonati sedimentarono in condizioni
di ipersalinità in un ambiente tipo Sabkhah. Il
sistema estensionale assunse un trend Est-Ovest, formando una serie di
faglie orientate Nord-Sud all'interno della dolomia. Nella regione del
Monte San Giorgio essa affiora sul Poncione
d'Arzo.
Nel Mendrisiotto in questa epoca si depositarono
sedimenti di mare profondo (Bacino del Generoso) vicino a sedimenti tipici
d'acqua bassa (Soglia di Arbostora, Soglia di Arzo).
Formazioni
Giurassiche
-
Serie di Tremona, Breccia d'Arzo (Triassico superiore-Liassico,
Retico - Hettangiano/Sinemuriano):
breccia sedimentaria a tessitura porfirica con clasti macroscopici
dolomitici spigolosi, provenienti dalla Dolomia principale, immersi in una
matrice sedimentaria a grana fine e colore rosato. La colorazione della
matrice è d'origine secondaria, successiva quindi alla deposizione, ed è
riconducibile all'ossidazione dei minerali d'ematite.
Questa roccia fa parte della cosiddetta Serie di Tremona. Movimenti
distensivi portarono alla fessurazione delle rocce carbonatiche già
solidificate, sotto la spinta idrostatica dell'acqua, si verificò un
riempirono delle fessure con i sedimenti più giovani sovrastanti e con
frammenti di dolomia. Si parla di fessure d'iniezione. Nella regione
d'Arzo, la breccia mostra sino a sei generazioni di fessure e riempimenti.
I resti fossili contenuti nella roccia comprendono tra l'altro Brachiopodi, Crinoidi e Ammoniti.
-
Calcare di Saltrio e Calcare di Besazio (Liassico, Pliensbachiano/Carixiano):
roccia calcarea massiccia e omogenea di colore rossastro, perlopiù priva
di stratificazioni. È ricca in individui appartenenti ai Cefalopodi e
ai Crinoidi (assai numerosi), Brachiopodi, Lamellibranchi e
Gasteropodi.
-
Formazione di Moltrasio (Liassico, Sinemuriano/Pliesbachiano):
alternanza di calcare selcifero colore bruno-grigiastro, livelli di
sedimenti silicei e stratificazioni calcaree bituminose con livelli
marnosi. Presenza locale di brecce, conglomerati e dolomie (alla base
della formazione).
-
Rosso
Ammonitico (Liassico, Toarciano medio-superiore):
alla fine del Toarciano all'interno del Bacino Lombardo cessarono i
processi distensivi e s'instaurò una fase regressiva del livello del
mare. I tassi di sedimentazione si ridussero da varie centinaia di metri a
10 metri per Ma. Nelle aree di alto strutturale (Arzo) si depositarono
calcari marnosi nodulari e marne rossastro-verdognole ad alto contenuto
fossilifero (tra cui ammoniti e bivalvi),
chiamati Rosso Ammonitico (Concesio). La sedimentazione fu
spesso interrotta da eventi erosivi.
-
Selcifero Lombardo (Giurassico superiore, Titoniano):
la parte bassa della formazione, detta Radiolarite del Selcifero
Lombardo, presenta un'alternanza di calcare selcifero scuro (selci),
livelli sedimentari policromi a Radiolari silicei
intercalati a livelli argilloso-silicei. La parte alta della formazione,
detta Rosso ad Aptici, presenta calcari marnosi e marne rossastre.
Fauna
e flora fossile
In
oltre 150 anni di studi scientifici al Monte San Giorgio, nella
successione rocciosa che ricopre un periodo di 5 Ma, sono stati ritrovati
oltre 20'000 reperti fossili tra cui circa 25 specie di rettili, 100
specie di pesci, centinaia
di specie di invertebrati, vegetali e microorganismi. Col trascorrere del
tempo i paleontologi riuscirono a preparare, cioè a liberare dalla
matrice rocciosa inglobante, fossili sempre più piccoli. Per questo
motivo, nei primi anni la ricerca si concentrò su fossili di vertebrati
tra cui rettili e pesci di grandi dimensioni, si passò poi allo studio di
pesci di piccole dimensioni e, recentemente, di insetti e microorganismi.
Nelle rocce del San Giorgio i fossili vertebrati presentano un grado di
conservazione eccezionalmente buono e
spesso scheletri completi. Sono stati ritrovati anche embrioni fossili sia
di pesci che
di rettili nonché
le parti molli delle
carcasse straordinariamente conservati, come alcuni pesci Saurichthys dove
s'osserva addirittura l'apparato gastrointestinale.
La
flora fossile del Monte San Giorgio comprende oltre 50 ritrovamenti
fossili di piante terrestri di dimensione compresa tra 1 e 15 cm. Queste
piante, unitamente al ritrovamenti di rettili e insetti tipicamente
terrestri, testimoniano l’esistenza di terre emerse ricoperte da
vegetazione nei dintorni della laguna del San Giorgio. La qualità e la
composizione delle piante fossili suggeriscono una lunga via di trasporto,
durante forti temporali, e quindi un luogo d'origine relativamente lontano
dalla laguna. La flora è dominata da conifere dei generi Voltzia sp. (numerosi
ritrovamenti di rami e pigne), Elatocladus e
probabilmente Pelourdea e
da piante appartenenti alla divisione delle Spermatofite (gruppo Pteridospermae,
genere Ptilozamites). Sono stati pure ritrovati fossili del genere
degli Equiseti (Coda Cavallina) e resti di piante dell’ordine Cycadales (gruppo
delle Gimnosperme).
Tra
i ritrovamenti più recenti vi sono insetti triassici tra cui la Tintorina
meridensis, un efemerottero (zanzara
terrestre d'acqua dolce) lunga 17 mm, un coleottero e
un odonato (libellula)
e insetti archeognati del
genere Dasyleptus lunghi
15 mm. Tra il 2012 e il 2016 furono pure trovati embrioni di Saurichthys, pesci
del nuovo genere Ticinolepis longaeva e Ticinolepis
crassidense e
numerosi microorganismi unicellulari. Tra le ultime indagini vi è lo
studio delle comunità batteriche.
I
fossili di vertebrati si trovano sia negli scisti bituminosi che nei
litotipi dolomitici, gli invertebrati invece unicamente in quelli
dolomitici. Al Monte San Giorgio si distinguono sei livelli fossiliferi
principali, elencati dal basso verso l'alto (Figura 4): Formazione di
Besano, Cava inferiore (Calcare di Meride), Cava superiore (Calcare
di Meride), Cassina (Calcare di Meride), Sceltrich (Calcare
di Meride), Kalkschieferzone (Calcare di Meride).
Fossili
nella Formazione di Besano - Particolarmente
ricca di fossili è la parte centrale della Formazione di Besano (Zona
Limite Bituminosa) che al Monte San Giorgio veniva cavata originariamente
nelle miniere di Val Porina e Tre Fontane. Tra i
ritrovamenti principali di rettili si annoverano Notosauri (simili
ai Pachipleurosauri ma
di dimensioni sino a 4 metri), Pachipleurosauri (lunghi
30-50 cm), Placodonti (come
il Cyamodus hildegardis), Ittiosauri (grandi
sauri marini lunghi sino a 6 metri, Besanosaurus), Protorosauri (o
prolacertiformi) tra cui Tanystropheus, Talattosauri e Rauisuchi (vedi Ticinosuchus
ferox). Provenienti
dagli stessi strati vi sono altri rettili Sauropterygi e
sauri esclusivamente terrestri come Ticinosuchus
ferox e Macrocnemus.
I
principali pesci fossili sono Saurichthys, Birgeria e Condritti (squali).
Compaiono inoltre numerosi altri pesci tra cui Attinopterigi
perleidiformi, Dipteronotus (ritrovato
in località Ca' del Frate) e Felberia. Nei
banchi di dolomia vi sono resti fossili di invertebrati, alcune alghe
calcaree e rare piante come conifere (Voltzia, Elatocladus).
Grazie alla presenza di numerosi fossili guida come Ammoniti (organismi
estinti imparentati con l’attuale Nautilus)
e bivalvi del genere Daonella e Peribositra è
stato possibile datare con precisione l'età della Formazione di
Besano (Anisico-Ladinico).
Fossili
nel Calcare di Meride
- Negli
strati più recenti del Triassico medio del Monte San Giorgio appaiono
fossili di rettili e numerosi pesci di piccole dimensioni. All'interno
della laguna del San Giorgio vi fu in questo periodo un progressivo
peggioramento delle condizioni di vita. Negli strati della Cava
inferiore furono ritrovati pesci Attinopterigi e Saurichthys, Pachipleurosauri,
nonché altri Sauropterigi.
Dagli stati della Cava superiore furono estratti pesci Attinopterigi e Saurichthys, Notosauri, Neusticosauri, Ceresiosauri,
coleotteri e libellule.
Negli strati della Cassina furono
ritrovati grandi fossili di Neusticosaurus
edwardsii (noto
anche come Pachypleurosaurus)
e esemplari di Notosauri, Ceresiosauri, Macrocnemus, Tanystropheus,
numerosi pesci ossei e Saurichthys.
Negli strati di Sceltrich si
trovarono pesci Attinopterigi,
ossa e denti di Sauropterigi,
bivalvi, gastropodi (Laxitextella) e crostacei, tra cui Meridecaris
ladinica.
Nella Kalkschieferzone sono
stati ritrovati numerosi pesci di piccole dimensioni tra cui Attinopterigi,
granchi, crostacei (Schimperella), coproliti,
resti di piante, resti di rettili (Lariosauri e Notosauri)
e insetti (coleotteri, odonati, efemerotteri come l'Ephemeroptera
tintorina, archeognati come il Dasyleptus triassicus).
Fossili
nell’unità del Broccatello - Nell’unità
carbonatica del Broccatello e all’interno dei membri calcarei
stromatolitici finemente laminati vi sono numerosi fossili. La roccia
calcarea rossastra è ricca di brachiopodi (18
diverse specie), spugne calcaree (Porifera) e gigli
di mare (soventi frammenti di Crinoidi). Si osservano inoltre lamellibranchi (tra
cui grandi esemplari di bivalvi e
ostriche), ricci di mare (Echinoidea)
e gasteropodi di
tutte le dimensioni (come le grandi Pleurotomaria cf. gigas
Deslongchamps).
Raramente compaiono resti di coralli, cefalopodi tra
cui nautiloidi e ammoniti di
piccole dimensioni. Sono stati inoltre osservati foraminiferi e
rare tracce di bioturbazione.
Gli unici fossili di vertebrati sono una vertebra di Ittiosauro, un
dente di Placodonte e
denti di squalo e di pesci ossei.
Organismi
nella Dolomia del San Giorgio - Lo
studio dei resti fossili di microorganismi planctonici del gruppo Foraminiferi
e Radiolari (piccoli
organismi unicellulari con guscio siliceo), all'interno della Dolomia del
Monte San Giorgio ha permesso di evidenziare la presenza di 73 specie tra
cui 7 nuove specie a livello mondiale dei generi: Eptingium, Novamuria, Parentactinosphaera, Pessagnollum e Sepsagon.
Si tratta di ottimi fossili guida, che permettono una datazione esatta
della roccia. Tra questi microorganismi vi è la Ticinosphaera
mesotriassica, lunga soli 0.3 mm.
Miniere
e cave
Le
cave di scisto bituminoso - Nella
seconda metà del 1700 gli amministratori della città di Milano incoraggiarono
la ricerca di combustibile fossile nelle valli della Lombardia. Dal 1774
al 1790 un certo Valsecchi di Lecco iniziò
gli scavi in una vecchia miniera di Besano.
Questa è la prima testimonianza di sfruttamento minerario industriale
nella regione del San Giorgio. Gli scisti bituminosi furono studiati per un'eventuale estrazione di
combustibile e più tardi di gas naturale destinato all'illuminazione
delle strade di Milano (studio tecnico del 1830).
Dal 1902 su territorio
italiano e dal 1909 (data di fondazione della Società anonima Miniere
Scisti Bituminosi di Meride e Besano) su territorio svizzero, fu estratto
dalle rocce bituminose un olio dalle grandi proprietà terapeutiche e
curative chiamato Saurolo (Ammonium sulfosaurolicum).
A
Serpiano, in località Tre Fontane, e a Meride,
in località Val Porina, videro la luce numerose miniere i cui
cunicoli nel 1948 raggiunsero un'estensione di 1700 metri. La
Società Anonima occupò un totale di 34 dipendenti tra cui minatori,
fuochisti, ingegneri chimici e fabbri domiciliati a Meride, Tremona, Arzo,
Lugano, Saltrio e Porto Ceresio. La maggior parte degli impiegati fu
assunta tra il 1926 e 1951, con un picco delle assunzioni nel 1945-1946,
mentre i contratti terminarono tra il 1946 e il 1955. Dalla roccia fu
estratto l'8% di olio (74–85
litri di olio per tonnellata di scisto), l'8-9% di gas impuri e il 2-3% di
fluidi ricchi in ammoniaca.
Durante la seconda guerra mondiale si studiò
la possibilità di estrarre carburante. I costi di produzione avrebbero
però superato di ben 10 volte il prezzo dei prodotti allora disponibili
in commercio. La
produzione continuò con valori annui di 36 e 626 tonnellate di scisti,
con una produzione media di 300-400 tonnellate. Ciò permise di ottenere
da 3 a 50 tonnellate all'anno di olio grezzo. Le riserve accertate di
materia prima erano pari a 1.6 milioni di tonnellate, corrispondenti a
128'000 tonnellate d'olio. La roccia veniva trasportata nella fabbrica
dello Spinirolo a Meride dove, seguendo un brevetto della Società
Anonima, era distillata a
secco. Successivamente l'olio era purificato con acido solforico, seguendo
un processo detto di solfonazione. Il prodotto finale era simile ad un
altro unguento chiamato Ittiolo,
prodotto a Seefeld (Austria).
Secondo gli scritti del tempo, il Saurolo aveva grandi poteri
asettici, lo si utilizzò per curare malattie della pelle e conobbe una
grande diffusione tra le truppe italiane durante la Campagna militare
d'Africa. Dopo la seconda guerra mondiale la concorrenza sempre più
agguerrita dei prodotti esteri e la morte del direttore Piero Neri
Sizzo de Noris impose
la chiusura dello stabilimento di Meride.
La
storia estrattiva presso le miniere di scisto bituminoso fu purtroppo
funestata la mattina del 20 agosto 1931 da una grave disgrazia
verificatasi in un cunicolo adibito alla ricerca di fossili della Miniera
in Val Porina. L'operaio Giorgio Buzzi di Porto Ceresio fu infatti
sventuratamente investito da un macigno di 10-12 quintali, crollato dalla
volta della galleria dopo il brillamento di una mina. L'impressione in
paese e nei dintorni fu profonda, anche perché non si era mai registrata
una disgrazia di così gravi proporzioni. Una lapide affissa nella miniera
della Val Porina, ricorda oggi questo triste evento.
Le
Cave di Arzo
- Presso
la località di Arzo si
estrae una breccia sedimentaria comunemente chiamata Marmo d'Arzo.
L'inizio dell'attività estrattiva risale attorno al 1300. Le cave furono
gestite dal 1830 al 2010 dalla famiglia Rossi (ditta Rossi
& Cie.) e dalla famiglia Allio (sino al 1960), le quali si occuparono
dell'estrazione e della lavorazione del "marmo".
Dal 2017, dopo
un'interruzione di 7 anni, ha di nuovo inizio l'attività estrattiva.
Dagli anni '20 del secolo scorso, grazie a moderni strumenti di
lavorazione quali il monolama e la fresa, l'attività nelle cave divenne
efficace e produttiva. La breccia sedimentaria risale al Giurassico
inferiore (Liassico),
quando movimenti estensionali della crosta portarono alla fessurazione
subacquea della roccia e al conseguente riempimento delle fessure con
brecce sedimentarie (fessure d'iniezione). La roccia mostra un
affascinante mosaico di colori e si divide in sei differenti varietà.
La Macchia
Vecchia è una varietà eterogeneo composta da frammenti di
granulometria variabile di rocce del Triassico
superiore e del Liassico inferiore. L'aspetto è screziato e
vivace con tonalità variabili dal rosso, al giallo, sino al grigio. La
varietà Rosso d'Arzo si contraddistingue per il colore rosso
intenso e la struttura omogenea, mentre il Broccatello ha una
colorazione rosso-grigiastra.
Il Venato, infine, è contraddistinto
da colori sfumati e da numerose venature. Per questo motivo in dialetto è
pure chiamato Vinaa. Il Marmo d'Arzo fu impiegato nei più
disparati ambiti: anzitutto per la decorazione di opere architettoniche
quali chiese, cappelle, palazzi pubblici e ville private, oppure come
materiale per l'arredamento o per la realizzazione di oggetti di varia
forma e natura.
I
filoni di barite
- Le
rocce della zona porfirica permiana sono tagliate da numerose intrusioni
magmatiche di tipo filoniano. A Serpiano (frazione di Meride) si trova un
arricchimento filoniforme di barite, fluorite e ankerite che
fu sfruttato tra il 1942 ed il 1944. L'estrazione
di 746 tonnellate di roccia ricca in barite si concentrò dapprima in
superficie e poi in galleria per concludere a soli 10 metri di profondità
a causa di una faglia. Questo giacimento non ha più alcun significato
commerciale.
Le
cave di calcare - Sul
territorio del Monte San Giorgio vi sono numerose cave di calcare e
di tufi calcarei da
tempo cadute in disuso. Il materiale era in parte trattato ad alta
temperatura in fornace per l'ottenimento della calce.
Musei
e turismo
Il Museo
dei fossili del Monte San Giorgio a Meride (Svizzera),
ristrutturato e ampliato dall'architetto ticinese Mario
Botta, è stato inaugurato il 13 ottobre 2012. La struttura mostra una
collezione degli eccezionali fossili di rettili (sauri), pesci,
invertebrati e piante provenienti dai giacimenti unici a livello mondiale
del Monte San Giorgio.
Una
ricostruzione lunga 2.5 m del sauro terrestre Ticinosuchus ferox accoglie
il visitatore del nuovo Museo dei fossili, situato al centro dell'antico
villaggio di Meride. Esso viveva circa 242 milioni di anni fa ai margini
di un mare subtropicale, insieme ad altri sauri marini che si erano
adattati alla vita acquatica.
Distribuito
su quattro piani in ordine stratigrafico, con i reperti più vecchi a
piano terra e quelli più giovani al terzo piano, il museo presenta una
grande varietà di esseri viventi, che abitavano il mare e la costa del
Ticino meridionale di allora tra 245 e 180 milioni di anni fa.
Illustrazioni, modelli, ricostruzioni 3D, paleorami e rilievi interattivi
rendono comprensibile al visitatore questo mondo da lungo scomparso. Nella
graziosa corte interna del Museo è possibile ammirare la mostra
temporanea "Tesori nascosti", con gigantografie a forte
carattere estetico oltre che scientifico di fossili esposti presso il
Museo. È inoltre spiegata la storia recente del Monte, iniziata nel XVIII
secolo con l'attività estrattiva degli scisti bituminosi, il ritrovamento
dei primi esemplari fossili e le successive campagne di scavo scientifiche
condotte da specialisti svizzeri e italiani a partire dal 1850.
Lungo
il sentiero didattico geo-paleontologico del Monte San Giorgio (13.5 km,
4.5 ore) è possibile ripercorrere la storia geologico-paleontologica del
Monte grazie ad una serie di tavole esplicative poste lungo il percorso.
Il punto di partenza è la chiesa di San Silvestro, nel borgo di Meride.
Il percorso circolare attorno al Monte attraversa dapprima in direzione
Nord-Est le frazioni di Fontana, Spinirolo e Crocefisso per
poi giungere in località Serpiano. Si prosegue quindi sino alla funivia (650
metri) e si procede poi verso l'Alpe di Brusino e la località Gaggio (771
metri). Si devia quindi in direzione di Pozzo (812 metri) e si
scende fino a Albertina (Riva San Vitale) per poi concludere
l'itinerario a Meride.