Hierapolis - Pumukkale
Turchia
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1988

 

   

Hierapolis, la città posta a dominare la valle del fiume Lykos lungo il percorso che collega l'Anatolia interna al Mediterraneo, era il più rinomato centro termale del mondo romano. Le nobildonne della corte imperiale erano disposte a intraprendere viaggi lunghi e faticosi pur di potersi bagnare nell'acqua benefica, color della ruggine, delle piscine. Vi giacevano immerse per ore, detergendosi con saponi profumati all'alloro, per poi presentarsi al cospetto dei loro uomini con il capo cinto da grappoli d'uva. Il luogo delle cure di bellezza era - e ancora è - tanto poetico quanto straordinario, con le sue piscine naturali racchiuse in terrazze di travertino che l'azione incessante dell'acqua ha ricoperto di un manto calcareo candido come bambagia. Tanto che i turchi hanno dato a quel luogo il nome di Pamukkale, "castello di cotone".

Sotto la tutela dell'Unesco sia per le sue caratteristiche naturali sia per l'importanza storica, Hierapolis-Pamukkale fu fondata intorno al 190 a.C. da Eumene II, re della dinastia degli Attalidi, in corrispondenza di una sorgente sotterranea dove già da lungo tempo le popolazioni lidie e frigie veneravano la dea madre Cibele. Il sovrano la chiamò Hierapolis in omaggio a Hiera, moglie di Telefo, leggendario re di Pergamo. Poco meno di un secolo dopo fu Attalo III, un altro re di Pergamo, a cedere la città - che già contava notevoli costruzioni dall'elegante architettura ellenistica - ai romani, i quali la posero sotto la giurisdizione del governatore di Efeso. 

Al centro di una zona altamente sismica, Hierapolis fu funestata da due terremoti, rispettivamente nel 17 e nel 60 d.C. E l'opera di ricostruzione, che pure ha seguito l'impianto urbanistico greco, ha fornito alla città un aspetto tipicamente romano. A fare da perno era il Plutonium, l'antica sorgente sotterranea che i romani avevano dedicato al dio dell'oltretomba. Da qui, come racconta Strabone, si sprigionavano vapori tossici, letali per chiunque tranne che per i sacerdoti, che dimostravano i loro poteri facendovi volare attraverso delle colombe, le quali morivano istantaneamente. 

Hierapolis fu un centro propulsore del cristianesimo. Nell'anno 80 vi fu martirizzato l'apostolo Filippo insieme ai suoi sette figli. E nel V secolo i bizantini eressero in suo onore il Martyrion, una maestosa basilica a pianta ottagonale, oggi semidiroccata. Ma la testimonianza più affascinante delle civiltà che si alternarono a Hierapolis senza soluzione di continuità è la necropoli che sorge a poca distanza dalle vestigia dell'antica città. Dalle più antiche tombe a tumulo di età ellenistica, a quelle romane con elaborati sarcofagi, alle tombe a volta dell'era cristiana, le oltre 1200 sepolture fanno della necropoli di Hierapolis la più ampia e meglio conservata dell'Anatolia.  

Le recenti attività di scavo hanno permesso di riconoscere l'impianto urbano di Hierapolis, riferibile probabilmente ad età ellenistica, con un asse principale nord-sud, la grande plateia, lungo la quale si sviluppa un reticolo stradale ortogonale che divide la città in isolati regolari, piuttosto allungati. All'interno di questo impianto si disponevano gli edifici pubblici e le case. Nella parte nord della città, lungo la strada che portava verso Tripolis, cominciarono a formarsi, tra il II e il I sec. a.C., i primi nuclei della necropoli, che si svilupperà in età imperiale, con tombe a fossa ed edifici funerari.

L'assetto monumentale della città meglio riconoscibile è quello che si creò in età flavia, dopo il rovinoso terremoto del 60 d.C., tra la fine del I ed il III sec. d.C. É a questo periodo, infatti, che si può far risalire la costruzione dei principali monumenti quali il teatro, il recinto del tempio di Apollo, l'agora commerciale, due grandi ninfei pubblici, ecc.

La crescita della città subì un brusco arresto nel corso del IV sec. d.C. a causa di un violento terremoto che distrusse estese aree come quella dell'Agora commerciale.

Con la costruzione delle mura di fortificazione bizantine, alla fine del IV sec. d.C., la parte nord della città, compresa l'Agora commerciale, fu esclusa dal perimetro urbano ed utilizzata come cava per recuperare il materiale da costruzione.

Hierapolis diviene in questa fase un importante centro della Cristianità e lungo l'asse viario principale furono costruite la chiesa extraurbana (Terme-chiesa), la Cattedrale con il Battistero, la Basilica a pilastri e, sulla collina orientale, il Martyrion di S. Filippo.

Alla fine del VI sec. d.C. un altro terremoto provocò il crollo della maggior parte degli edifici ierapolitani comprese le mura bizantine.

Nelle più recenti campagne di scavo sono state indagate in modo sistematico anche le fasi medievali le quali attestano profonde trasformazioni dell'abitato in nuclei agricoli che fanno riferimento al castello costruito, con materiali di spoglio, su uno sperone del pianoro.

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AGORA - La vasta piana tra la Via di Frontino e le pendici delle montagne ad est fu trasformata, nel corso del II sec. d.C., in una grande piazza in cui si può riconoscere l'Agorà commerciale di Hierapolis. Larga circa 170 metri e lunga 280, l'Agorà è circondata sui lati nord, ovest e sud da portici di marmo con facciata ionica e fila interna di colonne corinzie. Sul lato est si conservano, invece, i resti della monumentale stoà-basilica che, impostata su una scalinata in marmo di 4 metri, dominava la piazza. 

La stoà-basilica aveva una facciata a due piani ed un porticato con pilastri a sezione quadrata a cui si addossano semicolonne, scanalate superiormente, con basi di tipo ionico e capitelli, pure ionici, con maschere barbate sulle facce laterali. Il piano superiore aveva una fila di pilastri a semicolonne in breccia rossastra con capitelli corinzi in marmo bianco. L'ingresso alla stoà-basilica era segnato da un corpo avanzato con pilastri su cui poggiano capitelli figurati con leoni che azzannano tori e sfingi.

CASA DEI CAPITELLI IONICI - Lungo una strada secondaria (stenopos) che portava verso il teatro è stato messo in luce un complesso abitativo la “casa dei capitelli ionici”. La casa è organizzata in diversi ambienti che si aprono su un peristilio centrale quadrato con tre colonne per lato. Le sottili colonne, alte metri 2,95, sono in marmo brecciato rossastro, con capitelli ionici in marmo bianco che danno il nome alla casa. 

Il rinvenimento, nel crollo, di altre colonne più piccole in onice, ancora con capitelli ionici, fa ipotizzare la presenza, almeno nella parte centrale, di un piano superiore. L'esistenza di un piano sopraelevato è anche attestata da tavelle di terracotta, di dimensioni più piccole rispetto a quelle che costituiscono i pavimenti su cui sono crollate le strutture. Lo scavo ha permesso di ricostruire una sequenza di fasi di frequentazione e rifacimenti dal II al X sec. d.C.

 La struttura originaria dell'edificio, sulla base dello stile degli elementi architettonici e dei pavimenti in opus spicatum in cotto, si può riferire al II sec. d.C. La casa doveva appartenere ad una delle famiglie aristocratiche della città come provano i numerosi oggetti dell'arredo di marmo, tra cui un'erma con testa di Dioniso ed una testa di divinità barbata, pure in marmo. La casa subì gravi distruzioni nel corso del terremoto del IV sec. d.C.; nella fase di ristrutturazione (inizi V sec. d.C.) fu modificata l'organizzazione dei vani intorno al peristilio e fu ricavato un nuovo ambiente con pavimento in opus sectile e zoccolature in marmo.

LATRINA - All'ingresso della città, subito dopo la Porta di Frontino, si trova una grande latrina pubblica (fine I sec. d.C.). L'edificio è stato rinvenuto in una situazione di crollo, provocato dal terremoto del VII sec. d.C., ed è stato poi ricostruito ricomponendo e ricollocando i vari elementi nella posizione originaria. All'edificio, largo oltre 6 metri e lungo 20 metri, si accedeva dai due lati brevi. 

Dai due ingressi laterali, attraverso una scala di tre gradini, si scendeva al livello originario, più basso di almeno un metro rispetto al piano stradale. Il vano unico, è diviso longitudinalmente in due navate da una fila di colonne doriche monolitiche che sostenevano il tetto a grandi lastre di travertino. Un canale correva lungo i quattro lati convogliando i liquami nella cloaca della via di Frontino; lungo i muri perimetrali rimangono gli incassi in cui erano inseriti i sedili.

MARTYRION - L'edificio fu costruito, alla fine del IV o gli inizi del V sec. d.C., su un alto pianoro dal quale si domina la città ed il paesaggio circostante, all´interno di un´area di necropoli. La struttura è costituita da un vano centrale, ottagono, su cui si aprono otto ambienti rettangolari circondati da una serie di camere perimetrali. I vani rettangolari si affacciano sull'ottagono mediante tre archi sostenuti da colonne sormontate da capitelli marmorei compositi. 

Il vano centrale è pavimentato con lastre di marmo ed era sormontato da una copertura a cupola lignea coperta da lamine di piombo, distrutta da un incendio. I vani radiali hanno una pavimentazione a mosaico di grosse tessere con motivi geometrici a quadrifogli, larga treccia e bordi a tralci vegetali. Questo edificio a pianta centrale tipica dei martyria, sorto in area cimiteriale, è stato collegato alla tradizione del diacono Filippo che in età apostolica si trasferì a Hierapolis

MURA BIZANTINE - Le mura bizantine furono costruite tra la fine del IV e gli inizi del V sec. d. C. Non molto imponenti, misurano solo metri 2,50 di larghezza e furono realizzate con blocchi di reimpiego provenienti dalla demolizione degli edifici pubblici, in particolare dall'Agorà. La cinta muraria ingloba quasi tutto l'abitato di età romana ed è munita di 24 torri a pianta quadrata disposte evidentemente in base ad esigenze strategiche di controllo del territorio. 

In corrispondenza della via principale si aprono due porte, una a nord ed una a sud; lungo il lato orientale due postierle conducono verso il Martyrion di S. Filippo e le tombe della necropoli orientale. La porta Nord, ad un solo passaggio, con un grande arco di scarico, è fiancheggiata da due torri a pianta quadrata. Al di sopra del fornice, molto probabilmente, erano collocate quattro mensole con teste di leoni, di pantera e di Gorgoni, appartenenti ad edifici più antichi e rinvenute in posizione di caduta davanti all'ingresso.

NECROPOLI - Vaste necropoli si estendono fuori del perimetro dell'abitato; la più importante per il numero e l'imponenza dei monumenti è la necropoli nord. 

L'architettura funeraria presenta un'eccezionale varietà di tipi e di soluzioni. 

I più antichi sepolcri sono quelli a tumulo, riferibili all'età ellenistica (II-I sec. a.C.), in cui la camera funeraria a volta è coperta da un cono artificiale di terra circondato da un muro circolare in cui si apre la porta d'ingresso.

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NINFEO DEI TRITONI - Il Ninfeo dei Tritoni è, insieme al Ninfeo vicino al Tempio di Apollo, una delle due grandi fontane monumentali della città. L'edificio è costituito da una vasca lunga 70 metri, aperta sulla strada, e da una facciata con due risvolti sui quali sono ricavate nicchie per l'alloggio di statue.

Gli scavi sistematici del monumento, iniziati nel 1993, hanno permesso di recuperare gli elementi della decorazione architettonica e figurata in marmo, crollati nella grande vasca e coperti da strati di calcare concrezionati. Di particolare interesse sono le lastre con scene di Amazzonomachia e rilievi con personificazioni di fiumi e sorgenti. I caratteri stilistici degli elementi architettonici e la dedica all´Imperatore Alessandro Severo, incisa su un'architrave, fanno datare il complesso alla prima metà del III sec. d. C

TEATRO - L'edificio, che occupa circa quattro isolati del centro urbano, si addossa in parte al pendio roccioso. La cavea, molto ripida, è divisa in due parti dal diazoma mediano e, verticalmente, da 8 scalette in 9 cunei (kerkides); superiormente vi era la galleria di summa cavea. Al centro della ima cavea è collocata un'ampia esedra marmorea di proedria, con sedili terminanti a zampe leonine e alto schienale, per ospitare personaggi di alto rango.

La cavea si salda all'edificio scenico creando una struttura unitaria e chiusa secondo i modelli dell'architettura romana. L'edificio scenico si articola in un logeion (palcoscenico) ed in una scena. Della scena si conserva solo il primo piano; la parte superiore è stata rinvenuta in crollo sul palcoscenico e nell'orchestra. Il muro della frontescena poggia su un podio che si incurva in esedre in corrispondenza delle porte principali. Il podio, che poggia su basamenti sagomati ed ha cornice decorata a foglie d'acanto e di quercia, regge lastre marmoree scolpite con un ciclo figurativo dedicato ad Apollo ed Artemide. Questo maestoso edificio fu costruito nel III sec. d.C., sotto l'imperatore Settimio Severo, inglobando e cancellando le fasi precedenti.

Lo straordinario stato di conservazione del fregio, che ornava il basamento del colonnato appoggiato al frontescena del teatro, pone quest'opera tra i più importanti complessi di decorazione teatrale attualmente noti in Asia Minore. In questi edifici prevalgono decorazioni con figure generiche di eroi e del seguito di Dioniso, divinità dei travestimenti e dei camuffamenti e di conseguenza ispiratore della recitazione. 

Il teatro di Hierapolis, pur conservando un fregio dionisiaco, presenta nel punto più importante della struttura, ovvero lungo il palco dove gli attori agivano, un fregio costituito da 49 lastre rappresentanti i miti di Artemide e Apollo. L'originalità dei temi figurativi non attinge a consueti motivi di repertorio, ma risulta legato alla realtà culturale della città, all'ambiente microasiatico dove spesso è ambientato il ciclo mitologico riguardante i due gemelli nati da Latona, divinità anch'essa originaria dell'Asia Minore, venerati nei più grandi santuari microasiatici, Artemide a Efeso, Apollo nei templi oracolari di Didime e di Claro oltre che a Hierapolis stessa. 

Attraverso un programma iconografico organico, si passa dalla gloria della città fiorita nel periodo ellenistico alla grandezza attuale (inizio III secolo a.C.) dovuta all'imperatore Settimio Severo. Fulcro di tutta la narrazione, infatti, è l'altorilievo fissato all'architrave in corrispondenza della porta principale: esso rappresenta l'apoteosi dell'imperatore Settimio Severo in vesti di Zeus incoronato dalla Vittoria, circondato dalla moglie, Giulia Domna, e dai figli, Caracalla e Geta, e da una serie di personificazioni, tra cui la città di Hierapolis, il coraggio, la giustizia, la fortuna, sotto i cui buoni auspici venivano svolte le gare di teatro. 

La sottile corrispondenza tra l'iconografia e le descrizioni dei miti nei testi letterari permette di ipotizzare che l'autore, grande sostenitore dell'impero come unica forma di governo possibile, sia da ricercarsi in Antipatro, filosofo sofista alla corte imperiale, istruttore dei figli dell'imperatore, nativo di Hierapolis.  

VIA DI FRONTINO - La Via di Frontino è la strada principale (plateia) che attraversa l'intero abitato. Larga 14 metri, è lastricata e fornita di marciapiedi; al centro corre la grande cloaca coperta da lastroni monolitici. Lungo i due lati si aprono ambienti allineati con funzione di case, depositi e botteghe, unificati da una facciata in travertino di ordine dorico. 

La strada appare, per le sue caratteristiche architettoniche, organicamente concepita in un progetto unitario con la porta di Frontino che costituisce l'ingresso monumentale alla città romana. La porta a tre fornici, è costruita con blocchi squadrati di travertino e fiancheggiata da due torri a pianta circolare. Un'iscrizione monumentale in marmo sulla facciata con dedica del proconsole d'Asia, Sesto Giulio Frontino, all'imperatore Domiziano permette di far risalire la costruzione della porta e della strada alla fine del I sec. d.C.

TEMPIO DI APOLLO - Le ricerche degli anni sessanta hanno permesso di identificare un grande edificio di marmo collegato, grazie ai dati restituiti dai documenti epigrafici rinvenuti durante lo scavo, al culto della principale divinità di Hierapolis, Apollo. L'edificio si imposta su di una monumentale scalinata e ingloba l'ingresso ad una cavità ipogeica in cui va riconosciuto il Plutonio, l'accesso al mondo sotterraneo di cui parlano le fonti letterarie antiche. 

Il tempio era ubicato all'interno di un´area sacra, di circa 70 metri di larghezza, circondata da un muro di recinzione (temenos) al quale si addossava un porticato in marmo. Il lato nord è poco visibile perché parzialmente coperto dal passaggio della strada moderna che porta al teatro. Le strutture del tempio sono più tarde ma la presenza di due capitelli ionici e di un capitello corinzio del I sec. d.C. fanno ipotizzare l'esistenza nell'area di un più antico edificio templare

Pamukkale

Ai piedi dei Monti Còkelez si staglia un dirupo di 200 metri di altezza. È un luogo che possiede un fascino speciale e che un "piccolo" dettaglio geologico rende unico al mondo: nella parte alta del dirupo si trova una sorgente di acque termali calcaree che scendono verso la pianura lasciando dietro di sé una "cascata" di sedimenti dalle forme fantastiche e una serie di piscine tiepide che, per il colore della roccia, sembrano scavate nel ghiaccio. Quando, nell'XI secolo, i Turchi conquistarono l'Anatolia costruirono qui una fortezza e diedero alla località il suo nome definitivo: Pamukkale, ossia "castello di cotone".  

Fin dall'antichità si conoscevano le virtù delle acque di Pamukkale che, oltre a essere indicate per la cura delle malattie degli occhi e della pelle, venivano utilizzate per sgrassare la lana e fissare le tinture. Quando Eumene II, re di Pergamo tra il 197 e il 159 a.C, decise di fondare una città in prossimità delle sorgenti, fu assicurata anche la prosperità del luogo. Fin dalle origini, Hierapolis è stata un'importante stazione termale, un luogo di culto per i suoi numerosi templi e anche un attivo centro di attività tessile. La qualità delle acque permetteva di ottenere, mediante una tintura vegetale, un colorante rosso intenso dai costi molto più accessibili rispetto a quelli della porpora di origine animale utilizzata dai Fenici.

I movimenti tettonici non solo hanno causato frequenti terremoti, ma hanno anche permesso la nascita di numerose fonti termali, ed è proprio l'acqua che sgorgata da queste fonti con il suo contenuto minerale, in particolare di gesso, che creò Pamukkale. A parte una piccola quantità di materiale radioattivo, l'acqua contiene grandi quantità di carbonato di idrogeno e calcio, che rende le piogge ricche di bicarbonato di calcio. Questi fenomeni atmosferici lasciano spessi strati bianchi di calcare e travertino lungo il pendio della montagna, rendendo l'area simile ad una fortezza di cotone o di cascate di ghiaccio.

Pamukkale è un importante centro turco per i turisti che viaggiano dalle coste dell'Adalia e del Mar Egeo per vedere questo luogo che, in coppia con Hierapolis, è uno dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Esistono pochi luoghi al mondo simili a questo, ad esempio le Mammoth Hot Springs negli USA, e Huanglong nella provincia cinese di Sichuan (altro sito dell'UNESCO).

Sfortunatamente Pamukkale venne abusata nel tardo ventesimo secolo, alcuni hotel sono stati costruiti sopra al sito, distruggendo parte delle rovine di Hierapolis. L'acqua calda è stata incanalata per riempire le piscine degli alberghi, e quella mancante rubata ai monumenti che in questo modo hanno preso il tipico colore bruno. Inoltre è stata costruita una strada asfaltata in mezzo al sito. Le persone ci camminano sopra con le scarpe, lavandosi con sapone e shampoo nelle piscine, ed anche guidando bici e moto lungo la discesa.

Dopo che l'UNESCO ha messo gli occhi su Pamukkale, e dato che il sito stava perdendo attrattiva, venne attualizzato un piano di recupero. Gli hotel furono demoliti, e la strada coperta da piscine artificiali che sono tuttora accessibili, a differenza del resto, dai turisti scalzi. Vi si possono trovare anche dei girini. Una piccola trincea è stata scavata lungo il bordo, al fine di recuperare l'acqua ed evitarne la dispersione. Le parti brune vengono lasciate al sole, senza essere coperte dall'acqua, sbiancandole e peggiorando quindi il problema. Molte piscine sono vuote. Alcune aree sono coperte d'acqua per un paio di ore al giorno, secondo la programmazione mostrata in cima alla collina.

L'attività vulcanica sotterranea che ha generato le fonti termali, permette anche all'anidride carbonica di fuoriuscire generando quella che viene chiamata "Plutonium", formata interamente da plutone, e che significa "luogo del dio della morte".

ACQUE MIRACOLOSE - Con una temperatura che si aggira sui 35 gradi centigradi e una portata media di circa 40 metri cubi al secondo, le acque curative di Hierapolis Pamukkale sono state considerate preziose fin dall'antichità. L'architetto Vitruvio e il geografo Strabone (I secolo a.C. - I secolo d.C), mentre studiavano la rapidità con cui il deposito lasciato dalla corrente si solidifica, ci descrivono un paesaggio ben diverso da quello odierno. 

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L'oasi termale era attraversata da canali di irrigazione, che regolavano il flusso delle acque in modo che l'agricoltura e le manifatture ne potessero sfruttare al meglio le proprietà. Dall'esistenza di monete coniate con l'immagine di Dioniso si deduce che la produzione locale avesse un buon commercio. I giardini dovevano essere numerosi, tanto da giustificare l'esistenza di una corporazione di kepourgòi, giardinieri, menzionata in un'iscrizione. L'utilità maggiore di quelle acque non potabili consisteva nella loro capacità di fissare la tintura delle lane. Lavoratori della lana, tintori, tessitori erano raggruppati in potenti corporazioni.  

I porphyrabàphoi acquisirono una posizione preminente poiché avevano scoperto che utilizzando una pianta originaria della zona, e che gli studiosi hanno identificato con la rhus cothinus della famiglia delle Coccigee, potevano tingere di porpora i tessuti senza dover acquistare il costoso murice.

Le caratteristiche stesse del famoso marmo locale, materia prima dei sarcofagi funerari dei maggiori esponenti dell'aristocrazia locale greca e poi romana, sarebbero derivate, secondo Filostrato (prima metà del III secolo d.C), dallo scorrere delle correnti calde.

Il  loro ristagnare ne avrebbe prodotto una varietà giallognola, le correnti più limpide creavano una pietra trasparente come il cristallo, le qualità variegate nascevano dalle diverse condizioni di sedimentazione. Purtroppo le nostre testimonianze si riducono alle decorazioni e agli elementi architettonici degli edifici della città, tuttavia le ricerche hanno permesso di identificare la "pietra di Hierapolis" con un onice o un alabastro più o meno trasparente, ma non colorato.