Nel XVI secolo, il vescovo spagnolo Diego de Landa, a cui
era stato affidato il compito di cristianizzare le genti maya dello
Yucatan, apprese che queste si recavano regolarmente in un luogo sacro,
meta di pellegrinaggi: qui, non lontano dalle rovine di un'antica
città, si trovava un grande pozzo naturale, venerato dagli indigeni da
tempi immemorabili. De Landa, nella sua "Relazione delle cose
dello Yucatan", narra con raccapriccio di uomini e donne che
venivano gettati vivi nelle scure acque del pozzo, chiamato "cenote"
dagli spagnoli, in seguito alla corruzione della parola maya dzonot.
Il religioso apprese che si trattava di sacrifici umani compiuti
nell'ambito di un culto antichissimo, legato all'acqua e alla
fertilità.
Le contigue rovine appartenevano a una delle più
prestigiose città del mondo maya che, a differenza di altre, non era
mai stata del tutto abbandonata.
Nel 1841, John Stephens e Frederick
Catherwood vi si recarono e, dopo averne ritratto i monumenti più
spettacolari, vi intrapresero le prime ricerche archeologiche. Queste
furono in seguito riprese da studiosi statunitensi, quali Maler e Holmes
e, nel 1900, dal celebre archeologo Edward Thompson, che giunse a
immergersi nel Sacro Cenote.
Le regolari campagne di scavo, che
ebbero inizio negli anni Venti sotto la direzione di Sylvanus Morley,
consentirono di riportare alla luce edifici grandiosi, strappandoli
all'avanzare della vegetazione; oggi Chichén Itzà, che ancora non ha
svelato tutti i suoi segreti, costituisce uno dei siti più famosi dello
Yucatan e del mondo maya.
Situata su un pianoro calcareo per una superficie di 300
ettari a nord-est della penisola dello Yucatàn, affacciata sul golfo
del Messico, sorge Chichén Itzá. Al principio del X secolo nell'area
centrale dell'impero maya cessarono le attività culturali che avevano
caratterizzato il "periodo classico" (III-X secolo d.C). Le
fonti maya, come il Chilam Balam, raccontano dell'arrivo nelle terre
basse di gruppi estranei alla zona, capeggiati da Kulkulcdn. I Toltechi e gli Aztechi lo
chiamavano Quetzalcoatl. Per i Maya, invece, era Kukulcàn. Il
"serpente con le piume dell'uccello quetzal" - questa la
traduzione del nome - era il protettore dei sacerdoti e dei sovrani,
padrone della sapienza e dei venti. In un pantheon come quello maya,
popolato di divinità sanguinarie, Quetzalcoatl-Kukulcàn non chiedeva
ai fedeli altro che sacrifici di serpenti, uccelli e farfalle. E si
credeva che un giorno sarebbe tornato sulla Terra per farne il suo
paradiso. Tanto che il re azteco Montezuma II accolse amichevolmente
Hernan Cortéz, credendolo quel dio.
Nel IX secolo, molto tempo
prima dell'arrivo degli spagnoli, il divino re tolteco Quetzalcoatl
conquistò la più florida delle città maya dello Yucatàn. Questo,
almeno, è quanto racconta una leggenda a proposito di Chichén Itzà.
La data di fondazione di Chichén Itzá
viene fatta risalire al 987. Il suo nome significa "bocca del
pozzo degli itza", riferendosi alla particolarità di questo
territorio carsico caratterizzato da grandi riserve d'acqua, cenotes, di
forma circolare prodotte dal crollo della volta di grotte sotterranee
dove scorre l'acqua che filtra dalla pietra porosa di superficie.
In uno Yucatan prevalentemente arido la presenza di due larghi e profondi
pozzi naturali, chiamati cenotes,
che forniscono acqua in abbondanza, ha reso il sito particolarmente
attraente per l'insediamento. Dei due cenotes
il Cenote Sagrado è il più famoso. Secondo le fonti
post-conquista, sia Maya che spagnole, i Maya precolombiani compivano
sacrifici al dio della pioggia Chaac, gettando nel cenote sia
manufatti che esseri umani. Il console statunitense Edward Herbert
Thompson dragò il cenote negli anni tra il 1904 e il 1910, portando
alla luce manufatti d'oro, di giada e di ceramica, così come resti
umani con ferite compatibili con l'ipotesi dei sacrifici.
Chichén Itzá ascese al predominio regionale verso la fine del
periodo
classico arcaico
(approssimativamente il 600 d.C.). Fu comunque verso la fine del periodo
medio classico e agli inizi del periodo classico finale che il sito
divenne una grande capitale regionale, centralizzando e dominando
politicamente, culturalmente ed economicamente la vita nelle pianure
settentrionali dei Maya.
L'ascesa di Chichén Itzá viene messa in relazione con il declino dei
principali centri Maya delle pianure meridionali, come ad esempio Tikal.
Alla
fine del Periodo Classico, tra l'800 e il 950 d.C., quando le città
maya dei bassipiani avevano cominciato la fase di decadenza e di
abbandono, un gruppo di genti maya chiamate Itzà o Chontal, fortemente
influenzate dalle culture del Messico settentrionale, diedero vita a un
centro di modeste dimensioni, la cui importanza era legata soprattutto
al culto del Sacro Cenote.
I
dati emersi dall'indagine archeologica, in accordo con le fonti
storiche, testimoniano l'arrivo a Chichén Itzá di un nuovo gruppo di
genti, i Toltechi, alla fine del X secolo d.C. Questi invasori
provenivano da Tula, la città che, in seguito alla caduta di
Teotihuacan, aveva svolto per alcuni secoli il ruolo di città egemone
nell'Altopiano del Messico. Fonti storiche di matrice tolteca narrano
che, inotrno al 987 d.C., numerosi abitanti abbandonarono Tula sotto la
guida del sovrano Ce Acatl Topilzin, detronizzando dal crudele fratello
Tezcatlpoca, e in seguito a un ungo viaggio attraverso i territori del
Messico, giunsero nello Yucatan.
Qui si
stabilirono a Chichén Itzá, che assunse il ruolo di nuova capitale e
venne abbellita con edifici grandiosi. Le fonti e la tradizione storica
identificano Ce Acatl Topilzin con Quetzalcòatl, il Serpente Piumato
del cui culto e della cui iconografia sono impregnati i monumenti di
Chichén Itzá. I Maya dello Yucatan furono dunque indotti a venerare
questa nuova divinitòà, inportata dai colonizzatori toltechi, che si
affermò sui culti degli antenati con il nome di Kukulkàn, che sigifica
proprio "Serpente dalla piume di quetzal".
La leggenda tramandata sulla fuga di Ce Acatl da Tula, esiliato insieme ai
suoi seguaci, trova un chiaro riscontro nell'archeologia attorno al 1000
d.C., infatti Chichén Itzá si trasformò in un centro urbano assai vasto, ricco di
monumenti che denotano nell'insieme il sincretismo tra la cultura maya
del Periodo Classico finale e quella tolteca.
Al contrario di altre città Maya del primo periodo classico, Chichén Itzá
non era governata da un singolo individuo o da una singola dinastia.
L'organizzazione politica della città era
invece strutturata attraverso un sistema cosiddetto multepal,
caratterizzato dal governo di un consiglio composto dai membri delle
famiglie più importanti.
Chichén
Itzá al suo apogeo era la maggiore potenza economica delle terre Maya
settentrionali. Sfruttando le rotte marittime che circondavano la
penisola dello Yucatan per mezzo del sito portuale di Isla Cerritos, la
città riusciva a ottenere materie prime non disponibili localmente,
come l'ossidiana dalle regioni del Messico centrale e l'oro dalle
regioni del Centroamerica più a sud.
Le cronache Maya riportano nel 1221 una rivolta con una conseguente guerra civile, e le prove archeologiche
sembravano confermare che le coperture lignee del grande mercato e del
Tempio dei Guerrieri bruciarono all'incirca in quel periodo. Per
Chichén Itzá iniziò il declino come città dominante dello Yucatan,
soppiantata da Mayapan. Questa cronologia è stata tuttavia
drasticamente rivista in anni più recenti. Da un lato una migliore
conoscenza archeologica sui cambiamenti della ceramica nella regione,
dall'altro un maggior numero di reperti databili con la tecnica del
radiocarbonio giunti dagli scavi a Chichén Itzá , hanno spostato la
datazione del declino della città all'indietro di due secoli, intorno
al 1000 d.C.
Questa
nuova datazione lascia un intervallo temporale inspiegato tra la caduta
di Chichén Itzá e il sorgere del suo successore Mayapan. Le ricerche
in corso nel sito archeologico di Mayapan potrebbero aiutare a risolvere
questo enigma cronologico. La città non fu mai completamente
abbandonata, tuttavia la popolazione diminuì e nessuna nuova importante
costruzione venne eretta dopo il collasso politico. Il cenote sacro
rimase comunque un luogo di pellegrinaggio. Nel 1531 lo spagnolo
Francisco de Montejo conquistò Chichén Itzá con l'intenzione di farne
la capitale dello Yucatan spagnolo, ma dopo pochi mesi una rivolta dei
nativi Maya lo costrinse ad abbandonarla.

La città si sviluppava intorno a una
piazza principale dove furono eretti i monumentali edifici sacri.
L'architettura degli itza, a differenza di quella tipicamente maya,
prevede la creazione di spazi interni molto ampi, mentre l'effetto di
sviluppo verticale non aveva esigenze di funzionalità ma solamente di
carattere estetico e finalizzato a provocare stupore in coloro che
presenziavano alle funzioni, prevalentemente folle di soldati che,
quindi, avevano bisogno di ampi spazi per riunirsi. La fusione della
cultura maya con quella tolteca è evidente nell'uso contemporaneo di
colonne riccamente decorate e coperture piane sostenute da travi.
Le tre principali città del popolo
itzà, Chichén Itzà, Uxmal e Mayapàn, si unirono in un'alleanza
conosciuta come la lega di Mayapàn, che durò due secoli durante i
quali l'influenza tolteca si diffuse in tutto il territorio dello Yucatàn
partecipando alla formazione di una rete di strade commerciali, che si
stavano intensificando fin dall'epoca classica. Ma nel 1194 esplose un
conflitto e Mayapàn si impose su Chichén Itzà, che venne distrutta.
Nel 1441 l'organizzazione di un movimento di rivolta da parte dei popoli
soggetti fece crollare il sistema centralizzato della penisola,
instaurando una serie di signorie locali troppo deboli per non cadere
nelle mani degli spagnoli nel 1531.

Le principali espressioni artistiche locali recano l'impronta di una classe
dominante fortemente militarizzata rispetto a quella delle città maya
dei bassipiani, fiorite nei secoli precedenti: a
Chichén Itzá, così come a Tula, si percepisce chiaramente la presenza di
quell'ideologia guerriera che caratterizzò le civiltà mesoamericane
del Postclassico, sovrapponendosi a più antichi culti religiosi.
L'influenza dello stile Puuc, proprio dei centri yucatechi del Classico
finale, è riscontrabile solo in alcuni edifici posti nell'area
meridionale del sito, che rappresentano l'ultimo richiamo artistico e
culturale al mondo maya: i più importanti sono la Casa Colorada
e l'Edificio delle Monache.
Il primo colpisce per l'aspetto sobrio e severo della sua struttura:
l'eleganza dello stile Puuc è manifestato solo nella parte superiore,
arricchita da un fregio con mascheroni del dio Chac e sormontata da una
cresta di colòo molto stilizzata rispetto a quelle del Periodo
Classico.
L'Edificio
delle Monache sembra invece nell'insieme piuttosto "barocco",
con la facciata principale interamente ricoperta di greche in pietra e
maschere connesse al culto di Chac e del Mostro terrestre; la sua
architettura richiama, più di ogni altra a Chichén Itzá, quella dei palazzi di Uxmal. Sopra la porta centrale, una
nicchia contiene una scultura a bassorilievo raffigurante un personaggio
seduto, forse uno dei sovrani della città, sulla cui identità nessuna
epigrafe ha lasciato testimonianza.
Gli
edifici annessi e la cosiddetta Iglesia rappresentano un
monumentale omaggio al Dio della Pioggia, con numerosi mascheroni dalle
fauci spalancate e fregi con serpenti stilizzati. Isolata sul portale
orientale si trova invece una rara scultura di figura umana incorniciata
da un ventaglio di piume. Le pareti del "monastero" e degli
altri palazzi sono riccamente coperti di decorazioni Puuc.
I
Toltechi inserirono alcune strutture nel vecchio nucleo maya come per
esempio il Tempio dei Pannelli Dipinti, che recava immagini di guerrieri
e giaguari. La Tomba del Gran Sacerdote (detta anche Ossario) era
probabilmente dedicata al Dio Supremo Itzamná, rappresentato in veste
di uccello-serpente che venne assimilato dai Toltechi a Kukulkán-Quetzalcóatl
come divinità benefica. La Tomba del Gran Sacerdote consiste in una
struttura piramidale costruita sopra un pozzo e nel suo interno sono
state rinvenute sette tombe con numerosi scheletri accompagnati da
ricche offerte.
Nel settore nord-occidentale della città si trova lo sferisterio,
destinato al gioco della palla. Si tratta del campo più vasto tra
quelli finora rinvenuti nella Mesoamerica: la corte misura circa 170 metri di lunghezza e circa 50
metri di larghezza, mentre i muri laterali - verticali e ornati da una
fascia a forma di serpente - sono alti quasi 8 metri; gli anelli sono
fissati ad un’altezza di 7 metri e mezzo. Guardando quei bersagli così
alti viene spontaneo chiedersi come i giocatori potessero lanciare la
pesante palla di caucciù fino lassù senza usare le mani, colpendola
soltanto con i gomiti, le ginocchia e i fianchi.
Nel
gioco della pelota di Chichén Itzá si fronteggiavano due squadre
formate da sette elementi ciascuna e le loro immagini sono immortalate
sui rilievi che corrono lungo la base dei muri: vediamo i giocatori
protetti da larghe cinture che coprivano le parti vulnerabili, dalle
anche alle ascelle, e da paracolpi sulle braccia e sulle ginocchia, e
molte scene mostrano il rituale sacrificio dei perdenti per
decapitazione.
A
seconda della tradizione locale i giocatori erano vestiti con costumi
particolari: gli Zapotechi portavano un casco a forma di testa di
giaguaro, dei lunghi guanti, pantaloni corti, fasce di cotone e
ginocchiere. Nella cultura di El Tajín - che possiede ben quattordici
Campi per la Pelota - la corazza protettiva era costituita da paracolpi
sui fianchi, sul petto, sulle ginocchia e sui gomiti.

Si
suppone che alcuni oggetti di pietra, finemente scolpiti e rinvenuti in
vicinanza dei campi, fossero legati al sarcificio finale, oppure
rappresentassero simbolicamente alcuni elementi della corazza: i jugos
- dei massicci gioghi che proteggevano il ventre (nella realtà i
cinturoni erano fabbricati in cuoio o cotone); le palmas,
caratteristiche della cultura Azteca, a forma di ventaglio o foglia, che
forse coprivano il petto, e le hachas, delle torce piatte
scolpite con profili umani o animali, il cui uso è incerto.
Il
sacro Gioco della Palla è stato praticato da tutte le culture
mesoamericane. I primi campi da gioco risalgono alla civiltà Olmeca, la
più antica del Messico, e il rituale venne poi trasmesso ai Maya, agli
Zapotechi, ai Totonachi e agli Aztechi.
Il
gioco era associato ad un’antica leggenda narrata nel libro dei Maya Popol
Vuh che racconta il mito dei Gemelli Divini Hunahpu e Xbalanque: il
loro padre aveva infastidito gli Dei dello Xibalba (il mondo
sotterraneo), giocando per troppo tempo a palla con suo fratello e per
punizione venne decapitato. Era riuscito tuttavia ad ingravidare una
delle figlie degli dei dell’Inframondo che in seguito diede alla luce
due gemelli. Hunahpu e Xbalanque si vendicarono della morte del padre
ricomponendo i resti del suo cadavere sepolto tra gli spalti del campo
da gioco e combattendo contro gli dei dello Xibalba per cacciarli per
sempre dal mondo degli uomini.
Il
gioco è legato anche al culto del Sole che deve rinascere ogni giorno
abbandonando le tenebre: il campo da gioco rappresenta la terra, mentre
la palla simboleggia il sole, per cui il giocatore che lascia cadere la
palla deve essere sacrificato perchè ha impedito al sole di sorgere
nuovamente.

Lasciando lo sferisterio e addentrandosi nell'area nord-orientale della
città, si possono ammirare i complessi architettonici più maestosi e
maggiormente impregnati di elementi culturali di origine tolteca. Lo Tzompantli, chiamato anche "Piattaforma dei Teschi", rappresenta forse il
monumento più raccapricciante di Chichén Itzá, sconosciuto nella
città maya del Classico e testimone di una civiltà ossessionata dai
sacrifici umani.
Si tratta infatti di una piattaforma rettangolare in pietra, i cui lati sono
coperti da un fregio continuo, scolpito a bassorilievo e raffigurante
file di teschi impalati. Tale struttura riproduce lo tzompantli
originale, una sorta di palizzata di legno sulla quale venivano
infilzati ed esposti i crani delle vittime decapitate. Si suppone che i
macabri resti appartenessero a nemici catturati in battaglia, oppure ai
membri delle squadre perdenti del gioco della palla, cui appunto veniva
mozzato il capo.
La presenza di monumenti analoghi è stata attestata, oltre che a Tula,
anche a Tenochtitlan, la capitale dell'impero Azteco, i cui abitanti
ereditarono gli usi e i costumi del popolo tolteco.
A est del macabro edifico sorgono l'imponente Tempio dei Guerrieri e
le contigue vestigia del cosiddetto "Gruppo delle Mille Colonne".
La grande struttura piramidale a gradoni fu probabilmente innalzata nel
XII secolo d.C., con la precisa volontà di costruire un edificio sacro
identico a quello di Tlahuizcalpantecuhtli a Tula, dedicato a Venere nel
suo aspetto di stella del mattino.
Il
tempio sorge su una bassa piramide a quattro livelli e una scalinata
centrale, ornata da teste di serpenti piumati, consente l'accesso alla
sommità, dove si eleva la cella del santuario vero e proprio, i cui
pilastri istoriati sorreggevano il tetto oggi scomparso.
Due
gigantesche colonne serpentiformi fiancheggiano l'entrata del santuario:
il mostro dalle fauci spalancate e dal corpo ricoperto di piume
raffigura ancora una volta Kukulkán-Quetzalcóatl, il Serpente Piumato
della mitologia. Una leggenda su Kukulkán-Quetzalcóatl vuole che
l’eroe sia asceso al cielo trasformandosi in Stella del Mattino, cioè
nel pianeta Venere.

Tra le due colonne è posto il Chac mool che, come lo tzompantli,
rappresenta un'innovazione culturale apportata dai colonizzatori
toltechi. Si tratta di un altare monolitico antropomorfo, sul quale,
ancora all'epoca della Conquista, venivano immolate le vittime destinate
al sacrificio.
I quattro corpi che formano la struttura della piramide, realizzati secondo
i moduli del talud e del tablero di origine teotihuacana,
sono ricoperti di fregi scolpiti: alle immagini destinate a esaltare la
potenza degli ordini militari toltechi, l'Ordine delle Aquile e quello
dei Giaguari, si alternano scene di crudeli sacrifici.
Nel 1841, Stephens scoprì all'interno del tempio un ciclo di pitture
parietali, purtroppo in pessimo stato; riuscì tuttavia a individuare la
raffigurazione di una battaglia navale.
Il
Tempio dei Guerrieri è affiancato dalla sala chiamata delle Mille
Colonne per la selva di colonne di pietra disposte su più file, che
in origine sorreggevano i soffitti a falsa volta di enormi saloni
ipostili. Il fusto delle colonne è costituito da blocchi cilindrici o
parallelepipedi, generalmente decorati a bassorilievo.
La colonna come elemento portante, sconosciuta ai Maya, venne importata
dai Toltechi che l’avevano già sperimentata a Tula: con questa struttura, su cui poggiavano travi di legno che sostenevano
un tetto in pietra, era possibile ampliare a piacimento le dimensioni di
un unico ambiente.
Purtroppo
le intemperie e l’umidità hanno fatto sì che le parti in legno si
deteriorassero al punto da non reggere la pesante copertura che già
all’arrivo degli Spagnoli giaceva disordinatamente sul suolo.
Di
fronte alle Mille Colonne si trova un altro edificio porticato, detto il
Mercato, sul cui muro di fondo è rappresentata una processione
di guerrieri incorniciata da serpenti piumati.

Per
quanto i monumenti finora descritti siano di indubbio fascino, la
principale struttura e il simbolo stesso di Chichén Itzá è il
Castillo, chiamato così dagli spagnoli per l'imponenza delle sue
proporzioni, che sorge isolato nel mezzo della grande spianata compresa
tra lo sferisterio e il tempio dei guerrieri.

La grande piramide
maya-tolteca dedicata al re-eroe Kukulkán, fu il primo monumento costruito
dalla tribù tolteca degli Itzá dopo il loro arrivo alla fine del X
secolo.
Di
dimensioni gigantesche, con una base di 55 metri per lato ed
un’altezza di 30 metri, El Castillo è la celebrazione in pietra del
divino Kukulkán-Quetzalcóatl: le quattro scalinate hanno i parapetti
ornati da lunghissimi serpenti piumati le cui fauci si aprono nel
piazzale sottostante, mentre le colonne del tempio sono serpenti a
sonagli la cui coda sostiene un architrave. Kukulkán fa la sua
apparizione nei giorni degli equinozi (a Marzo e a Settembre) quando
l’ombra delle nove terrazze si proietta sul muro nord-ovest creando
l’immagine di un serpente che striscia lungo la piramide.
La piramide oggi visibile, formata da
nove gradoni, ingloba un edificio più antico, risalente al X secolo,
dalla struttura analoga, anch'esso a base quadrata, ma di più modeste
dimensioni.
Al suo interno sono
stati trovati un Chaac Mool e un trono a forma di giaguaro, dipinto
di rosso e decorato con dischetti di giada per simulare le macchie del
manto.
Il Castillo è sormontato da un
santuario dotato delle tipiche colonne serpentiformi, cui si accede
grazie alle quattro scalinate disposte al centro dei lati secondo i
criteri delle antiche piramidi maya del Periodo Classico antico; occorre
precisare che tale soluzione è poco frequente nell'architettura
mesoamericana.

L’importanza
dei calcoli astronomici è ribadita in tutto il monumento: le quattro
scalinate che scandiscono la piramide contano ognuna 91 gradini per una
somma totale di 364; se vi aggiungiamo l’unico gradino del tempio il
conto finale è di 365, l’esatto numero dei giorni di un ciclo solare.
Secondo l'immaginario popolare rappresenterebbe la montagna
dove la Prima Madre modellò con un impasto di mais i primi uomini.
Sicuramente legato all'attività astronomica è l'edificio circolare che
si erge su due piattaforme rettangolari del Caracol, letteralmente
"lumaca" per la forma a chiocciola della sua copertura, e vera
opera di ingegno architettonico e
scientifico.
Proprio
la forma circolare e le numerose finestre aperte nella torre e sistemate
a spirale permettevano di osservare il movimento degli astri seguendone
il percorso creato dalla rotazione della Terra.
In
cima alla Piramide del Castillo a Chichén Itzá la cella mostra i
progressi dell'architettura nel periodo Maya-Tolteco. L'ampia cella è
composta da tre navate con un soffitto a volta sostenuto da colonne
quadrate decorate da bassorilievi. La fusione tra la cultura tolteca e
quella maya è l’elemento caratterizzante di Chichén Itzá. Elementi
locali, in particolare le decorazioni Puuc, concentrate nello scomparto
superiore degli edifici, e quelle Chenes, che occupano l’intera
facciata, si alternano a motivi di influenza esterna, anzitutto il
serpente piumato Kukulcán, ma anche aquile, teschi e guerrieri.
Come i
raggi del sole, da El Castillo partono numerose "strade" maya
in terra battuta o pavimentate a seconda dell’importanza - tra cui
quella principale che conduce al Cenote Sacro, il grande pozzo di
origine carsica nel quale venivano gettate le vittime in onore di Chac,
dio della pioggia e della fertilità.

L'itinerario
archeologico attraverso i resti di Chichén Itzá
non finisce di stupire, oltre ai templi e agli eleganti palazzi
ipostili, dove trionfa l'iconografia del Serpente Piumato e di culti sanguinari,
oltre ai mercati e agli sferisteri, esiste un edifico la cui struttura
ricorda l'antica vocazione dei maya per lo studio degli astri, nel quale
eccelsero sopra ogni altro popolo.
Questa
singolare costruzione fu chiamata dai Conquistadores "Caracol",
uno dei pochi edifici a pianta circolare
del
mondo maya e tolteco. Questa
struttura era un osservatorio astronomico, con le porte allineate con la
posizione del sole all'equinozio di primavera, con i punti delle massime
declinazioni nord e sud della luna e altri eventi astronomici sacri a
Kukulkan, il serpente piumato dio del vento e della conoscenza.
I Maya
determinavano il momento dei solstizi per mezzo delle ombre proiettate
dal sole all'interno della struttura. La loro perizia nel calcolare lo
scorrere del tempo li aveva portati a basarsi su un calendario solare di
365 giorni, con uno scarto infinitesimale su quello stabilito dagli
astronomi moderni. Ai margini di El Caracol sono poste delle ampie coppe
di pietra che venivano riempite d'acqua. L'osservazione delle stelle che
vi si riflettevano aiutava gli astronomi Maya a determinare il loro
complesso, ma estremamente preciso calendario.
Su
un doppio basamento dagli angoli smussati venne costruito un edificio in
semplici blocchi di pietra levigata scandito da quattro porte, mentre
sul tamburo superiore furono applicate delle maschere di Chaac in
corrispondenza delle aperture. Un ulteriore piano presenta invece delle
finestrelle da cui forse si affacciavano i sacerdoti-astronomi per
scrutare il cielo. Il nome Caracol ricorda la scala a chiocciola che,
protetta da un muro circolare interno, porta al secondo piano.

Situato a est del Caracol, Akab Dzib significa, nel linguaggio Maya, La
casa delle iscrizioni misteriose. Un nome
precedente dell'edificio, secondo una traduzione dei glifi della Casa
Colorada, era Wa(k)wak Puh Ak Na, ossia la casa piatta con
un eccessivo numero di stanze, ed era la residenza
dell'amministratore di Chichén Itzá, kokom Yahawal Cho' K'ak'.
Si
tratta di una costruzione relativamente corta, alta solamente 6 metri,
con una lunghezza di 50 metri e una larghezza di 15 metri. La facciata
rivolta a ovest presenta sette porte, quella rivolta a est solamente
quattro, interrotte da una larga scalinata che conduce al tetto. Questa
era apparentemente la parte frontale della casa, e guarda verso un
cenote, oggi asciutto. Il lato sud ha una sola porta, che si apre su di
una piccola camera.
All'interno si trovano le iscrizioni misteriose
a cui l'intero edificio deve il suo nome attuale, intricati glifi in
rilievo situati al di sopra di una delle porte interne. Nello stipite
della porta c'è un altro pannello scolpito che rappresenta una figura
seduta circondata da altri glifi.
In
un mondo in cui tutto era permeato dal tocco divino e nessun atto poteva
svolgersi senza prima conoscere il parere degli dei, i
sacerdoti-astronomi erano tenuti nella massima considerazione, poiché
gli allineamenti degli astri e dei pianeti venivano visti come incontri
o scontri tra divinità che in tale modo esprimevano il proprio volere.

Al
cospetto di questa superba dimostrazione dell'ingegnosità umana, è
triste pensare che quando i conquistatori bianchi giunti dal Vecchio
Continente si apprestarono a cancellare quanto ancora rimaneva della
raffinata cultura maya, non trovarono nulla di meglio per giustificare
tale scempio che bollare i nativi come "selvaggi
incivili".
Abbattendo
i loro palazzi e bruciando in enormi roghi i sacri testi, accusati di
essere blasfemi, i nuovi venuti non si accorsero neppure di distruggere
conoscenze scientifiche e astronomiche di straordinario valore;
conoscenze così avanzate da essere state superate solo in tempi
moderni. Non sapremo mai dove avrebbe potuto giungere l'uomo, se ancora
una volta a prevalere non fosse stata l'intolleranza: tuttavia, le
vestigia del Caracol, di Chichén Itzá
e, più in generale, di tutti i siti archeologici dell'America
precolombiana, rimangono a terribile monito per il futuro della nostra
razza.
LA
RELIGIONE MAYA
Le fonti letterarie redatte dai conquistadores e dai primi
uomini di cultura che ebbero dei contatti con le civiltà meso-americane
ricordano che, secondo la cultura maya, l'universo era stato creato
dall'azione di energie divine per perpetuare la propria esistenza
attraverso un essere che differisse dagli altri grazie alla
consapevolezza di sé, l'uomo, e che divenisse grazie a ciò il fulcro
del mondo.
Gli dei maya erano forze invisibili
che potevano manifestarsi attraverso fenomeni naturali o assumendo
sembianze sia animali sia umane e potevano materializzarsi nei simulacri
eretti dagli uomini stessi. Dato che il cosmo era in costante movimento
e cambiamento, anche gli dei potevano trasformarsi, soprattutto
nascevano e morivano.
Potevano essere quattro, come le
direzioni del cosmo, tredici, come le divinità del cielo, nove, come le
divinità del mondo sotterraneo. La decifrazione della scrittura maya ha
permesso di conoscere il mito della creazione dell'uomo diffuso nel
"periodo classico" (200-900 d.C). Secondo questa cosmogonia,
scolpita sulle pareti dei templi della città di Palenque, il Primo
Padre nacque nel 3114 a.C. Compì azioni prodigiose e vinse la morte
resuscitando. La resurrezione dal Mondo di Sotto lo trasformò in una
giovane donna di straordinaria bellezza che porta sulla terra i preziosi
semi del mais.
Il
mais si ritrova anche nel mito tramandato dal Popol Vuh, un testo
scritto in lingua quiche. Secondo questa versione la coppia primordiale
degli dei pose fine al caos dell'universo ordinando il mondo e creando
una coppia di Divini Gemelli. Costoro estrassero dalle montagne sostanze
atte al nutrimento, mais giallo e bianco: lo macinarono per nove volte e
con la preziosa farina modellarono il corpo dei primi uomini.