Valle d'Aosta
La Regione e le sue provincie

         

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La Valle d'Aosta è una regione autonoma a statuto speciale dell'Italia Nord-Occidentale di circa 120 mila abitanti, con capoluogo Aosta. 

Confina a nord con la Svizzera (Canton Vallese), a ovest con la Francia (dipartimenti dell'Alta Savoia e della Savoia nella regione Rodano-Alpi), a sud e ad est col Piemonte (Provincia di Torino, Provincia di Biella, Provincia di Vercelli).

Il significato del nome della regione è chiaro: la valle di Aosta, l'unica città della regione, il cui nome a sua volta in origine era Augusta Praetoria (in onore dell'imperatore romano Augusto).

Delimitata a nord dalla Svizzera, a ovest dalla Francia e a sud-est dal Piemonte, la Valle d'Aosta costituisce l'estrema regione nord-occidentale d'Italia. Aperta soltanto in corrispondenza del fondovalle della Dora Baltea, essa è circondata dalle più elevate montagne d'Europa: il monte Bianco (4810 m), il Cervino (4478 m), il monte Rosa (4634 m), il Gran Paradiso (4061 m).

Le rocce di questi massicci sono rappresentate da grossi cristalli di quarzo, mica e feldspati, che si sono formati durante il paleozoico e l'archeozoico e in seguito sono andati soggetti a complessi fenomeni e movimenti orogenetici.

Scavata e modellata dall'azione erosiva degli antichi ghiacciai all'inizio dell'era quaternaria, la Valle d'Aosta è costituita dal solco vallivo della Dora Baltea, che ne rappresenta il filone principale, e da una serie di valli laterali che scendono quasi parallele fra loro dalle catene delle Alpi Graie e delle Alpi Pennine. Tributane della valle della Dora Baltea sono, alla sua testata, la val Veny e la val Ferret, che confluiscono nella conca di Courmayeur alle falde del monte Bianco.

Dal versante di destra (Alpi Graie) scendono sei valli: la valle di La Thuile, la Valgrisenche, la valle di Rhémes, la Valsavarenche, la valle di Cogne, la valle di Champorcher.

Altre sei valli scendono dal versante di sinistra (Alpi Pennine): la valle del Buthier, che si dirama nella valle d'Artanavaz e nella Valpelline, la valle di Saint-Barthélemy, la Valtournenche, la valle d'Ayas e la valle di Gressoney.

Il territorio valdostano occupa una superficie di 3262 km2, di cui soltanto il fondovalle della Dora, fra Saint-Vincent e il confine con il Piemonte, si trova a un'altitudine inferiore a 500 m; 1/5 è situato al di sotto dei 1500 m; il 58% circa è compreso fra i 1500 e ì 2700 m; il 20% supera questa quota e il 6% è coperto da ghiacciai per un'estensione complessiva di 190 km2, Questi ghiacciai alimentano il principale asse idrografico della regione, che è costituito dal bacino della Dora Baltea e dei suoi affluenti.

La Dora Baltea ha origine nel massiccio del monte Bianco, nei pressi di Entrèves, alla confluenza della Dora di Veny con quella di Ferret. Il fiume, tributario del Po, prima di sfociare nella pianura piemontese scorre nel territorio valdostano per oltre 100 km, ricevendo da destra le acque delle Dorè della Valgrisenche e di Rhèmes, del Savara, del Grand Eyvia; da sinistra quelle del Buthier, del Marmore, dell'Evançon e del Lys.

Le abbondanti risorse idriche della Dora e dei suoi affluenti permettono di far fronte alla scarsità di pioggia, che, con 1.580 mm nella conca di Aosta e 1.405 mm nella valle di Cogne, fa registrare valori fra i più bassi d'Italia.

Tale scarsità di precipitazioni, dovuta in gran parte all'azione protettiva delle elevate catene montuose, rappresenta uno dei fattori fondamentali del clima della Valle d'Aosta, che, pur rappresentando sensibili differenze fra zona e zona, a seconda dell'altitudine e dell'esposizione dei versanti, ha in generale caratteristiche semicontinentali.

Sopra 12500 m si registra una temperatura media annua di 1°C con una forte escursione termica (la temperatura durante il giorno sale a valori elevati per l'intensa insolazione e, durante la notte, scende sotto lo 0 anche d'estate). Nel fondovalle le temperature annue oscillano fra i 12° e i 9°C a seconda dell'altitudine della piana, che varia dai 1000 m di Pré-Saint-Didier ai 310 di Pont-Saint-Martin. La nevosità si attiene sui valori medi, ma nei versanti più umidi e freddi il manto nevoso permane anche per sette mesi all'anno.

Nonostante i disboscamenti attuati a favore dell'agricoltura e del pascolo, il bosco rimane ancora l'elemento predominante del paesaggio. Fino a 800 metri prevalgono robinie, querce, castagni, faggi; sopra ì 1000 metri pini, larici e abeti; fra i 2000-2500 metri grandi estensioni di rododendri; oltre questi limiti altimetrici muschi e licheni. Ricche e varie sono le specie della flora, per la difesa e la conservazione delle quali è stato istituito nel 1955 il Giardino Alpino Paradisia.

Storia

Sembrano assai scarse le probabilità di una frequentazione dell'uomo durante il periodo quaternario: eventuali tracce sarebbero state comunque cancellate dall'ultima avanzata dei ghiacciai nell'età wurmiana. È invece probabile che esistano testimonianze degli ultimi cacciatori del Paleolitico superiore, che potevano inoltrarsi lungo le balze erbose e i fianchi del ghiacciaio oramai in fase di definitivo ritiro (circa 10.000-5.000 a.C). Mancano finora anche tracce delle fasi iniziali e medie del Neolitico; le testimonianze più antiche venute in luce risalgono a momenti finali del Neolitico, attorno al termine del IV millennio e agli inizi del III millennio a.C. (Saint-Pierre).

Con l'affacciarsi del III millennio a.C. compaiono culture di tipo nuovo, portatrici della metallurgia e di molte altre innovazioni tecnologiche. Tali culture sono testimoniate dalla presenza di consistenti necropoli - caratterizzate da tombe a cista litica e contenenti deposizioni singole o plurime di inumati rannicchiati - messe in luce a Villeneuve, Saint-Nicolas, Montjovet, Vollein (Quart). All'occupazione quasi sistematica del territorio, specie in presenza di filoni metalliferi (rame, argento, oro), fa riscontro l'imponente presenza dell'area megalitica di Aosta, situata esattamente nel luogo dove, dopo tre millenni, sarebbe sorta la città romana di "Augusta Praetoria". L'area megalitica di St-Martin-de-Corléans si può definire in sintesi un luogo di culto e di sepoltura rimasto in uso per quasi tutto l'arco del III millennio a.C. e caratterizzato dalla presenza di monumenti megalitici di vario tipo (allineamenti di stele antropomorfe, tombe megalitiche), nonché da varie testimonianze attinenti al culto e alla religiosità dell'epoca. 

Scarsi sono i ritrovamenti riferibili all'antica e media età del Bronzo; più numerosi gli insediamenti cronologicamente inquadrabili tra la tarda età del Bronzo e l'età del Ferro. Le principali espressioni culturali di questa facies sono la comparsa di tombe a tumulo e l'occupazione delle alture arroccate, condizionata da fattori di ordine socio-economico (attività agro-pastorali e minerarie). Si tratta in molti casi di insediamenti d'altura, difesi naturalmente o circoscritti da spesse murature a secco delimitanti nuclei o aggregati di capanne. Sono dislocati a partire dal fondovalle principale, quasi sempre in posizioni dominanti e strategiche, e risalgono in quasi tutte le valli laterali fino a notevole altezza; le loro posizioni spesso sono state rioccupate in epoca medievale dai castelli.

Nel corso del IV secolo a.C. nuove genti portatrici della cultura La Tene si installano in Valle d'Aosta a seguito dei movimenti migratori delle tribù galliche. 

Il gruppo etnico dei Salassi, che oltre l'odierno territorio della Valle d'Aosta occupava la pianura canavesana, fa il suo ingresso nelle fonti, sotto questo nome, solo nel II secolo a.C. Dai dati archeologici attualmente rilevati si può ritenere che la Valle d'Aosta fosse abitata da una popolazione celto-ligure, derivante dall'incontro-fusione delle popolazioni indigene con quelle celtiche provenienti da nord. L'economia delle genti salasse non era esclusivamente agricola, ma era legata all'attività mineraria e commerciale connessa al transito alpino.

L'intervento di Roma nel 143 a.C, motivato da discordie e pressioni interne fu inizialmente di carattere militare. Dopo un insuccesso iniziale, il console Appio Claudio Pulcro riportò la vittoria nel 140 a.C: i Salassi furono costretti a cedere ai Romani le miniere e il fondovalle. Nulla sappiamo di preciso sul periodo compreso tra la vittoria di Appio Claudio e la loro totale sottomissione. Fatto importante è la fondazione di "Eporedia" (Ivrea) nel 100 a.C: la colonia, quale base operativa in posizione strategica dominante l'imbocco della valle, veniva a restringere notevolmente l'area di influenza dei Salassi, limitata alla zona più settentrionale. Da questo momento ha inizio una penetrazione più intensa, di ordine militare e commerciale, che vede la valle come tramite verso il continente europeo.

La lunga opposizione dei Salassi a Roma termina nel 25 a.C. con la loro resa incondizionata. Aulo Terenzio Varrone Murena, legato di Augusto, riservò loro un trattamento molto duro: secondo le fonti, 36.000 prigionieri - di cui 8000 combattenti - cioè la quasi totalità della popolazione, furono deportati a "Eporedia" e venduti come schiavi. E ancora secondo la tradizione militare romana, il territorio dei Salassi, a causa della loro fiera resistenza, fu colonizzato. Viene fondata "Augusta Praetoria Salassorum".

La colonizzazione segnò una frattura con il passato: da un sistema di modeste aggregazioni e di villaggi fortificati di altura si passò, per effetto di una volontà politica, a una ristrutturazione globale del territorio conquistato, secondo una programmazione ormai sperimentata comportante il tracciamento delle rete viaria, l'impianto della città e l'organizzazione fondiaria. La scelta topografica della città riflette un criterio selettivo che teneva conto di fattori idrogeologici e ambientali di carattere funzionale, ma anche di altre esigenze, quali la centralità territoriale e la viabilità in funzione strategico-militare.

Sulla storia di "Augusta Praetoria" la tradizione tace. La città di nuova fondazione, per la sua posizione geografica, veniva a svolgere un ruolo di rilevante interesse politico-strategico, attestato dalle imponenti opere stradali. L'organicità formale delle grandi realizzazioni pubbliche - il foro, il teatro e l'anfiteatro - la decorazione architettonica, i frammenti di statue in bronzo e la concomitante crescita dell'edilizia privata documentano un incremento della città almeno a partire dall'età claudia.

Nel corso del II secolo si verificò l'occupazione progressiva di tutta l'area urbana di "Augusta Praetoria": la disponibilità di spazio, anche nel periodo di maggior estensione dell'abitato, consentì comunque uno sviluppo regolare e uniforme, nel rispetto del piano urbanistico originariamente concepito. La configurazione monumentale della città e la conseguente qualificazione degli spazi pubblici era prevista anche in funzione del rapporto città-territorio: "Augusta Praetoria" costituiva infatti il centro direzionale, politico, amministrativo e la sede dei servizi rivolti all'intero territorio. Raggiunta la massima espansione all'interno delle mura, l'abitato precipitò gradualmente nella stasi edilizia o nel reimpiego (ristrutturazione di isolati), e gli interventi edilizi si settorializzarono. 

Nel IV secolo "Augusta Praetoria", ormai urbe di confine, assumeva una rinnovata importanza strategico-militare per la posizione geografica e itineraria, come testimonia la riorganizzazione della rete stradale attestata da alcuni cippi miliari di età costantiniana. L'abitato in sé non sembra subire radicali trasformazioni: la cinta muraria rimane funzionante e gli scavi evidenziano una certa validità economica e una persistenza demografica almeno sino alla fine del secolo. Nemmeno la diffusione del cristianesimo sembra aver molto innovato: nei luoghi in precedenza adibiti a necropoli, appena fuori delle porte urbiche alla fine del IV secolo, sorgevano le nuove aree cimiteriali con edifici funerari e di culto, e all'interno dell'area urbana si impiantava, su precedenti costruzioni civili, la prima chiesa (attuale Cattedrale).

Periodi di incursioni e di disordini interessarono la Valle d'Aosta quale terra di confine nell'alto Medioevo. In questo periodo di crisi delle istituzioni pubbliche e di gravi squilibri sociali si assiste alla disgregazione del tessuto urbano, a un processo di ruralìzzazione e a un accentuarsi della vita urbana lungo gli assi viari principali. La tradizione cittadina tuttavia non si estinse: mutando il nome in "Augusta", l'abitato conservò nella sua topografia stradale l'immagine fedele della concezione morfologica e formale della colonia romana.

Una precisa identità storica valdostana venne affermandosi nei secoli. Il territorio, prima appartenente alle diocesi di Milano e Vercelli, fu eretto in diocesi autonoma già intorno all'inizio del V secolo. Nei vescovi di Aosta venne a identificarsi anche la massima autorità civile quantomeno nei due secoli a cavallo dell'anno Mille, a fronte della scarsa incisività del potere laico centrale contrastato dai feudatari locali. Del resto, quando Tommaso I conte di Savoia riuscirà, dopo più di un secolo dall'investitura, ad affermare concretamente la signoria della propria casata sulla nobiltà valdostana (1191), dovrà ottenere l'avallo dei vescovi locali tramite la stipula di un trattato di amicizia.

Popolata sin dall'età neolitica e assoggettata dal 25 a.C. ai Romani, durante la cui fase di dominio i passaggi lungo la strada consolare delle Gallie da "Eporedia" (Ivrea) a "Lugdunum" (Lione) avevano coinvolto la valle nel sistema dei grandi commerci internazionali, dopo un periodo di dominazioni diverse il territorio era divenuto nel 904 dominio dei re della Borgogna transgiuriana. Già nel terzo decennio dell'XI secolo Umberto Biancamano, ritenuto il capostipite dei Savoia (e già consigliere dei re borgognoni), subentrava nel possesso e veniva insignito del titolo di conte di Aosta. La signoria dei Savoia - poi trasformata in ducato dal 1416 - perdurò nei secoli sino all'età contemporanea tranne per brevissimi periodi di dominazione francese.

Il rapporto della valle con i suoi signori venne configurandosi con caratteristiche tali da garantire a quelle terre di montagna una certa autonomia. La contea risultava inizialmente un aggregato disuniforme di circoscrizioni regolate da rapporti feudali diversi: solo alcuni territori erano sotto l'effettivo controllo sabaudo, altri lo divennero poi per conquista, come nel caso di Bard e Montjovet con le loro rocche fortificate. La città di Aosta pervenne sotto la giurisdizione diretta dei Savoia nel 1191, con il conte Tommaso I che, nell'occasione, stipulò la "Carta delle franchigie" regolamentando i doveri dei cittadini nei confronti della signoria centrale e proteggendoli nel contempo dalle angherie dei vassalli valdostani. Il dominio dei conti su Aosta fu garantito in loco dapprima da un visconte appartenente alla famiglia degli Challant - che divenne la più potente nella valle - e dal 1263 da un balivo, che dalla sede in città esercitava la giurisdizione su tutti i territori di diretta pertinenza dei Savoia.

Anche come diretta conseguenza degli accordi del 1191 si era venuto a creare un fenomeno fondamentale per l'assetto del territorio: i nobili di Aosta, privati dei poteri che esercitavano nella città, emigrarono nelle valli stabilendovi la propria residenza, onde esercitare un controllo diretto sulle terre che, anche in alta quota, venivano trasformate in redditizi comprensori agricoli con opere di disboscamento, con la creazione di terrazzamenti per la formazione di aree coltivabili lungo le dorsali dei monti, con massicce e ardite opere di canalizzazione delle acque. 

Al fenomeno della ruralizzazione corrispose la creazione di nuovi insediamenti, anche lontani dalla rete dei percorsi tradizionali, e l'erezione di un gran numero di nuovi castelli, che vennero a integrare la preesistente rete di "luoghi forti". Torri e difese di tipo elementare dominavano sui rilievi montuosi, in collegamento visivo tra loro tanto da far ipotizzare un sistema poligonale di osservazione esteso in tutta la valle, ma più verosimilmente funzionante per settori. 

Le strutture fortificate fungevano da presidi sulle principali vie di comunicazione per l'esazione di pedaggi, oppure da centri di controllo dei domini agricoli, luoghi di rifugio delle scorte alimentari e della popolazione in tempo di invasioni o di guerre locali, nei quali il castellano - direttamente o per interposta persona - raccoglieva i tributi e amministrava la giustizia.

Con la rifondazione dello Stato sabaudo, Emanuele Filiberto veniva predisponendo un imponente piano strategico per la difesa esterna dei suoi territori di qua e di là dai monti e, nel contempo, attuava una dura politica volta a garantirsi la sicurezza interna. Sospettoso nei confronti della lealtà dei propri vassalli, il duca aveva infatti ribadito il divieto di edificare o di riparare qualsivoglia manufatto militare, avocando questo diritto unicamente allo stato. In ef­fetti, solo le roccaforti di Bard e di Montjovet, in posizione strategica per la difesa del territorio e sotto stretto controllo sabaudo, vennero poi sottoposte a migliorie.

Nella seconda metà del XVI secolo e nei primi decenni del successivo si venne a godere di un periodo di tranquillità pur se di stenti, anche a causa delle condizioni climatiche avverse che avevano ridotto di quota le aree coltivabili. Nuove terre venivano comunque bonificate e l'insediamento nelle zone agricole si consolidava ulteriormente, sia con l'ampliamento delle borgate preesistenti, sia con la costruzione di nuovi nuclei rurali: la crescita della popolazione era infatti continua. Veniva frattanto affermandosi un nuovo modello insediativo: sorgevano in gran numero fuori dai centri urbani piccoli palazzi della nuova borghesia (notai, funzionari sabaudi) o di responsabili locali delle grandi signorie, disseminati un po' ovunque nei luoghi ove la produzione agricola necessitava di un controllo. Queste costruzioni sono caratterizzate da una architettura in pietra, robusta tanto da apparire atta alla difesa ma nella realtà funzionale contro i furti, non certo contro attacchi armati. 

Un evento esiziale per la popolazione valdostana fu, nel 1630, il diffondersi della peste, che risulta aver ucciso 70.000 persone, pari a quasi i due terzi degli abitanti. Anche il periodo di relativa pace di cui il territorio aveva potuto godere precedentemente per la sua posizione marginale rispetto ai principali teatri di guerra veniva a interrompersi sul finire del XVII secolo, durante la guerra di successione spagnola, con una prima invasione francese nel 1691 e la successiva occupazione (1704-1706). Il ducato di Savoia, conclusosi il conflitto, era ormai alla vigilia della sua trasformazione in regno e sopprimeva ogni particolarismo regionale: la Valle d'Aosta perdeva quei privilegi politici e amministrativi di cui aveva fino ad allora fruito. L'antica nobiltà valdostana era del resto in fase di declino economico e di estinzione (la famiglia stessa degli Challant si estinguerà agli inizi dell'Ottocento): molti castelli e giurisdizioni erano stati ceduti a signori piemontesi o savoiardi residenti altrove. Questa situazione veniva originando un fenomeno diffuso di abbandono delle dimore nobiliari, con il conseguente degrado delle costruzioni, spesso trasformate in cascinali o lasciate alla rovina.

La Valle d'Aosta, nuovamente terra di battaglia durante la campagna napoleonica - che provocò la totale distruzione dell'antica fortezza di Bard, poi riedificata nel 1838 - dopo l'Unità d'Italia fu annessa alla provincia di Torino, con una definitiva perdita di quei caratteri di autonomia che l'avevano contraddistinta nei secoli. Tale perdita, destinata a divenire drammatica durante il fascismo che imporrà l'abbandono del dialetto franco-provenzale e della lingua francese, italianizzando anche i toponimi storici, verrà reintegrata dalla proclamazione dell'autonomia regionale con la legge del 1948. Ritornando al XIX secolo, si deve evidenziare che la creazione della ferrovia Torino-Aosta nel 1886 aveva provocato un fenomeno di riavvicinamento della valle al Piemonte: l'economia alpina chiusa, che per decine di secoli si era sviluppata con rapporti commerciali attraverso le montagne, veniva a esaurirsi, convertendosi in una economia aperta a nuovi scambi con la pianura.

Con la crisi degli ultimi decenni del secolo iniziava però lo spopolamento del territorio, che in una ventina d'anni portava all'emigrazione circa un quarto degli abitanti; solo a partire dal 1910 l'economia riceveva un nuovo impulso con l'insediamento di alcune grandi industrie attirate dalla ricchezza di energia elettrica disponibile, industrie che venivano ad affiancarsi a quelle legate alle attività minerarie. Il riflesso a livello insediativo dell'apertura di nuove fonti di lavoro, alternative a quelle agricole o pastorali della secolare tradizione, si coglie nel progressivo ingrandimento dei centri di fondovalle, che venivano ospitando le popolazioni prima concentrate prevalentemente nei villaggi collinari e montani.

Anche l'avvio e il consolidamento del turismo ebbero forte incidenza sull'assetto del territorio. Gli ospiti per soggiorni estivi, per cure termali, per escursioni e scalate, divenivano sempre più numerosi, incentivati da un diffuso e crescente interesse per le bellezze naturali della zona, cinta da uno dei tratti più eccezionali della catena alpina; interesse al quale non risultò estranea la preferenza accordata alla valle dai re d'Italia, prima per le grandi cacce di montagna poi per i soggiorni estivi. Allo sviluppo turistico conseguì da un lato la creazione di una rete di strade carrozzabili che venne man mano integrando e sostituendo quella delle antiche mulattiere, dall'altro una sensibile trasformazione dei paesi, con la comparsa di nuove tipologie edilizie, quali i grandi alberghi e le ville stagionali, non di rado di notevole interesse per la loro architettura.

 

Fonte

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