La Valle
d'Aosta è una regione
autonoma a
statuto speciale
dell'Italia
Nord-Occidentale
di circa 120
mila abitanti,
con capoluogo Aosta.
Confina a
nord con la Svizzera
(Canton
Vallese), a
ovest con la Francia
(dipartimenti
dell'Alta
Savoia e
della Savoia
nella regione Rodano-Alpi),
a sud e ad est
col Piemonte
(Provincia
di Torino, Provincia
di Biella, Provincia
di Vercelli).
Il
significato del
nome della
regione è
chiaro: la valle
di Aosta,
l'unica città
della regione,
il cui nome a
sua volta in
origine era Augusta
Praetoria
(in onore
dell'imperatore
romano Augusto).
Delimitata
a nord dalla
Svizzera, a
ovest dalla
Francia
e a sud-est dal
Piemonte, la
Valle d'Aosta
costituisce
l'estrema
regione nord-occidentale
d'Italia. Aperta
soltanto in
corrispondenza
del fondovalle
della Dora
Baltea, essa è
circondata dalle
più elevate
montagne
d'Europa: il
monte Bianco
(4810 m), il
Cervino
(4478 m), il
monte Rosa (4634
m), il Gran
Paradiso
(4061 m).
Le
rocce di questi
massicci sono
rappresentate da
grossi cristalli
di quarzo, mica
e feldspati, che
si sono
formati durante
il paleozoico e
l'archeozoico e
in seguito sono
andati soggetti
a complessi
fenomeni e
movimenti
orogenetici.
Scavata
e modellata
dall'azione
erosiva degli
antichi
ghiacciai
all'inizio
dell'era
quaternaria, la
Valle d'Aosta è
costituita dal
solco vallivo
della Dora
Baltea, che ne
rappresenta il
filone
principale, e da
una serie di
valli laterali
che scendono
quasi parallele
fra loro dalle
catene delle
Alpi Graie e
delle Alpi
Pennine.
Tributane della
valle della Dora
Baltea sono,
alla sua
testata, la val
Veny e la val
Ferret, che
confluiscono
nella
conca di
Courmayeur alle
falde del monte
Bianco.
Dal
versante di
destra (Alpi
Graie) scendono
sei valli: la
valle di La
Thuile, la
Valgrisenche, la
valle di Rhémes,
la
Valsavarenche,
la valle di
Cogne, la valle
di Champorcher.
Altre
sei valli
scendono dal
versante di
sinistra (Alpi
Pennine): la
valle del
Buthier, che si
dirama nella
valle d'Artanavaz
e nella
Valpelline, la
valle di Saint-Barthélemy,
la
Valtournenche,
la valle d'Ayas
e la valle di
Gressoney.
Il
territorio
valdostano
occupa una
superficie di
3262 km2, di cui
soltanto il
fondovalle della
Dora, fra
Saint-Vincent e
il confine con
il Piemonte, si
trova a
un'altitudine
inferiore a 500
m; 1/5 è
situato al di
sotto dei 1500
m; il 58% circa
è compreso fra
i 1500 e ì 2700
m; il 20% supera
questa quota e
il 6% è coperto
da ghiacciai per
un'estensione
complessiva di
190 km2, Questi
ghiacciai
alimentano il
principale asse
idrografico
della regione,
che è
costituito dal
bacino della
Dora Baltea e
dei suoi
affluenti.
La
Dora Baltea ha
origine nel
massiccio del
monte Bianco,
nei pressi di
Entrèves,
alla confluenza
della Dora di
Veny con quella
di Ferret. Il
fiume, tributario
del Po, prima di
sfociare nella
pianura
piemontese
scorre nel
territorio
valdostano per
oltre 100 km,
ricevendo da
destra le acque
delle Dorè
della
Valgrisenche e
di Rhèmes, del
Savara, del
Grand Eyvia; da
sinistra quelle
del Buthier, del
Marmore, dell'Evançon
e del Lys.
Le
abbondanti
risorse idriche
della Dora e dei
suoi affluenti
permettono di
far fronte alla
scarsità
di pioggia,
che, con 1.580
mm nella conca
di Aosta e 1.405
mm nella valle
di Cogne, fa
registrare
valori fra i più
bassi
d'Italia.
Tale
scarsità
di
precipitazioni,
dovuta in gran
parte all'azione
protettiva delle
elevate catene
montuose, rappresenta
uno dei fattori
fondamentali del
clima della Valle d'Aosta,
che, pur
rappresentando
sensibili
differenze fra
zona e zona, a seconda
dell'altitudine
e dell'esposizione
dei versanti, ha
in generale caratteristiche
semicontinentali.
Sopra
12500 m si
registra una
temperatura
media annua di
1°C
con una forte
escursione
termica (la
temperatura
durante il
giorno sale a
valori elevati
per l'intensa
insolazione e,
durante la
notte, scende
sotto lo 0
anche d'estate).
Nel fondovalle
le temperature
annue oscillano
fra i 12° e i 9°C a seconda
dell'altitudine
della piana, che
varia dai 1000 m
di Pré-Saint-Didier
ai 310 di
Pont-Saint-Martin.
La nevosità si
attiene sui
valori medi, ma
nei versanti
più umidi e
freddi il manto
nevoso permane
anche per sette
mesi all'anno.
Nonostante
i
disboscamenti
attuati a favore
dell'agricoltura
e del pascolo,
il bosco rimane
ancora
l'elemento
predominante del
paesaggio. Fino
a 800 metri
prevalgono
robinie, querce,
castagni,
faggi; sopra ì
1000 metri pini,
larici e abeti;
fra i 2000-2500
metri grandi
estensioni di
rododendri;
oltre
questi limiti
altimetrici
muschi e
licheni. Ricche
e varie sono le
specie della
flora, per la
difesa
e la
conservazione
delle quali è
stato istituito
nel 1955 il
Giardino Alpino
Paradisia.
Storia
Sembrano
assai scarse le
probabilità
di una
frequentazione
dell'uomo
durante il
periodo
quaternario:
eventuali tracce
sarebbero state
comunque
cancellate
dall'ultima
avanzata dei
ghiacciai
nell'età wurmiana.
È invece
probabile che
esistano
testimonianze
degli ultimi
cacciatori del
Paleolitico
superiore, che
potevano
inoltrarsi lungo
le balze erbose
e i fianchi del
ghiacciaio
oramai in fase
di definitivo
ritiro (circa 10.000-5.000
a.C). Mancano
finora anche
tracce delle
fasi iniziali e
medie del
Neolitico; le
testimonianze più
antiche venute
in luce
risalgono a
momenti finali
del Neolitico,
attorno al
termine del IV
millennio e agli
inizi del III
millennio a.C.
(Saint-Pierre).
Con
l'affacciarsi
del III
millennio a.C.
compaiono
culture di tipo
nuovo,
portatrici della
metallurgia e di
molte altre
innovazioni
tecnologiche.
Tali culture
sono
testimoniate
dalla presenza
di consistenti
necropoli -
caratterizzate
da tombe a cista
litica e
contenenti
deposizioni
singole o
plurime di
inumati
rannicchiati -
messe in luce a
Villeneuve,
Saint-Nicolas,
Montjovet,
Vollein (Quart).
All'occupazione
quasi
sistematica del
territorio,
specie in
presenza di
filoni
metalliferi
(rame, argento,
oro), fa
riscontro
l'imponente
presenza
dell'area
megalitica di
Aosta, situata
esattamente nel
luogo dove, dopo
tre millenni,
sarebbe sorta la
città
romana di "Augusta
Praetoria".
L'area
megalitica di
St-Martin-de-Corléans
si può definire
in sintesi un
luogo di culto e
di sepoltura
rimasto in uso
per quasi tutto
l'arco del III
millennio a.C. e
caratterizzato
dalla presenza
di monumenti
megalitici di
vario tipo
(allineamenti di
stele
antropomorfe,
tombe
megalitiche),
nonché da varie
testimonianze
attinenti al
culto e alla
religiosità
dell'epoca.
Scarsi
sono i
ritrovamenti
riferibili
all'antica e
media età
del Bronzo; più
numerosi gli
insediamenti
cronologicamente
inquadrabili tra
la tarda età
del Bronzo e
l'età del
Ferro. Le
principali
espressioni
culturali di
questa facies
sono la comparsa
di tombe a
tumulo e
l'occupazione
delle alture
arroccate,
condizionata da
fattori di
ordine
socio-economico
(attività
agro-pastorali e
minerarie). Si
tratta in molti
casi di
insediamenti
d'altura, difesi
naturalmente o
circoscritti da
spesse murature
a secco
delimitanti
nuclei o
aggregati di
capanne. Sono
dislocati a
partire dal
fondovalle
principale,
quasi sempre in
posizioni
dominanti e
strategiche, e
risalgono in
quasi tutte le
valli laterali
fino a notevole
altezza; le loro
posizioni spesso
sono state
rioccupate in
epoca medievale
dai castelli.
Nel
corso del IV
secolo a.C.
nuove genti
portatrici della
cultura La Tene
si installano in
Valle d'Aosta a
seguito dei
movimenti
migratori delle
tribù
galliche.
Il
gruppo etnico
dei Salassi,
che oltre
l'odierno
territorio della
Valle d'Aosta
occupava la
pianura
canavesana, fa
il suo ingresso
nelle fonti,
sotto questo
nome, solo nel
II secolo a.C.
Dai dati
archeologici
attualmente
rilevati si può
ritenere che la
Valle d'Aosta
fosse abitata da
una popolazione
celto-ligure,
derivante
dall'incontro-fusione
delle
popolazioni
indigene con
quelle celtiche
provenienti da
nord. L'economia
delle genti
salasse non era
esclusivamente
agricola, ma era
legata
all'attività
mineraria e
commerciale
connessa al
transito alpino.
L'intervento
di Roma nel 143
a.C, motivato da
discordie e
pressioni
interne fu
inizialmente di
carattere
militare. Dopo
un insuccesso
iniziale, il
console Appio
Claudio Pulcro
riportò
la vittoria nel
140 a.C: i
Salassi furono
costretti a
cedere ai Romani
le miniere e il
fondovalle.
Nulla sappiamo
di preciso sul
periodo compreso
tra la vittoria
di Appio Claudio
e la loro totale
sottomissione.
Fatto importante
è la fondazione
di "Eporedia"
(Ivrea) nel 100
a.C: la colonia,
quale base
operativa in
posizione
strategica
dominante
l'imbocco della
valle, veniva a
restringere
notevolmente
l'area di
influenza dei
Salassi,
limitata alla
zona più
settentrionale.
Da questo
momento ha
inizio una
penetrazione più
intensa, di
ordine militare
e commerciale,
che vede la
valle come
tramite verso il
continente
europeo.
La
lunga
opposizione dei
Salassi a Roma
termina nel 25
a.C. con la loro
resa
incondizionata.
Aulo Terenzio
Varrone Murena,
legato di
Augusto, riservò
loro un
trattamento
molto duro:
secondo le
fonti, 36.000
prigionieri - di
cui 8000
combattenti -
cioè la quasi
totalità della
popolazione,
furono deportati
a "Eporedia"
e venduti come
schiavi. E
ancora secondo
la tradizione
militare romana,
il territorio
dei Salassi, a
causa della loro
fiera
resistenza, fu
colonizzato.
Viene fondata
"Augusta
Praetoria
Salassorum".
La
colonizzazione
segnò
una frattura con
il passato: da
un sistema di
modeste
aggregazioni e
di villaggi
fortificati di
altura si passò,
per effetto di
una volontà
politica, a una
ristrutturazione
globale del
territorio
conquistato,
secondo una
programmazione
ormai
sperimentata
comportante il
tracciamento
delle rete
viaria,
l'impianto della
città e
l'organizzazione
fondiaria. La
scelta
topografica
della città
riflette un
criterio
selettivo che
teneva conto di
fattori
idrogeologici e
ambientali di
carattere
funzionale, ma
anche di altre
esigenze, quali
la centralità
territoriale e
la viabilità in
funzione
strategico-militare.
Sulla
storia di "Augusta
Praetoria"
la tradizione
tace. La città
di nuova
fondazione, per
la sua posizione
geografica,
veniva a
svolgere un
ruolo di
rilevante
interesse
politico-strategico,
attestato dalle
imponenti opere
stradali.
L'organicità
formale delle
grandi
realizzazioni
pubbliche - il
foro, il teatro
e l'anfiteatro -
la decorazione
architettonica,
i frammenti di
statue in bronzo
e la
concomitante
crescita
dell'edilizia
privata
documentano un
incremento della
città almeno a
partire dall'età
claudia.
Nel
corso del II
secolo si
verificò
l'occupazione
progressiva di
tutta l'area
urbana di "Augusta
Praetoria":
la disponibilità
di spazio, anche
nel periodo di
maggior
estensione
dell'abitato,
consentì
comunque uno
sviluppo
regolare e
uniforme, nel
rispetto del
piano
urbanistico
originariamente
concepito. La
configurazione
monumentale
della città e
la conseguente
qualificazione
degli spazi
pubblici era
prevista anche
in funzione del
rapporto città-territorio:
"Augusta
Praetoria"
costituiva
infatti il
centro
direzionale,
politico,
amministrativo e
la sede dei
servizi rivolti
all'intero
territorio.
Raggiunta la
massima
espansione
all'interno
delle mura,
l'abitato
precipitò
gradualmente
nella stasi
edilizia o nel
reimpiego
(ristrutturazione
di isolati), e
gli interventi
edilizi si
settorializzarono.
Nel
IV secolo "Augusta
Praetoria",
ormai urbe di
confine,
assumeva una
rinnovata
importanza
strategico-militare
per la posizione
geografica e
itineraria, come
testimonia la
riorganizzazione
della rete
stradale
attestata da
alcuni cippi
miliari di età
costantiniana.
L'abitato in sé
non sembra
subire radicali
trasformazioni:
la cinta muraria
rimane
funzionante e
gli scavi
evidenziano una
certa validità
economica e una
persistenza
demografica
almeno sino alla
fine del secolo.
Nemmeno la
diffusione del
cristianesimo
sembra aver
molto innovato:
nei luoghi in
precedenza
adibiti a
necropoli,
appena fuori
delle porte
urbiche alla
fine del IV
secolo,
sorgevano le
nuove aree
cimiteriali con
edifici funerari
e di culto, e
all'interno
dell'area urbana
si impiantava,
su precedenti
costruzioni
civili, la prima
chiesa (attuale
Cattedrale).
Periodi
di incursioni e
di disordini
interessarono la
Valle d'Aosta
quale terra di
confine
nell'alto
Medioevo. In
questo periodo
di crisi delle
istituzioni
pubbliche e di
gravi squilibri
sociali si
assiste alla
disgregazione
del tessuto
urbano, a un
processo di
ruralìzzazione
e a un
accentuarsi
della vita
urbana lungo gli
assi viari
principali. La
tradizione
cittadina
tuttavia non si
estinse: mutando
il nome in
"Augusta",
l'abitato
conservò nella
sua topografia
stradale
l'immagine
fedele della
concezione
morfologica e
formale della
colonia romana.

Una
precisa identità
storica
valdostana venne
affermandosi nei
secoli. Il
territorio,
prima
appartenente
alle diocesi di
Milano e
Vercelli, fu
eretto in
diocesi autonoma
già intorno
all'inizio del V
secolo. Nei
vescovi di Aosta
venne a
identificarsi
anche la massima
autorità civile
quantomeno nei
due secoli a
cavallo
dell'anno Mille,
a fronte della
scarsa incisività
del potere laico
centrale
contrastato dai
feudatari
locali. Del
resto, quando
Tommaso I conte
di Savoia
riuscirà, dopo
più di un
secolo
dall'investitura,
ad affermare
concretamente la
signoria della
propria casata
sulla nobiltà
valdostana
(1191), dovrà
ottenere
l'avallo dei
vescovi locali
tramite la
stipula di un
trattato di
amicizia.
Popolata
sin dall'età
neolitica e
assoggettata dal
25 a.C. ai
Romani, durante
la cui fase di
dominio i
passaggi lungo
la strada
consolare delle
Gallie da "Eporedia"
(Ivrea) a "Lugdunum"
(Lione) avevano
coinvolto la
valle nel
sistema dei
grandi commerci
internazionali,
dopo un periodo
di dominazioni
diverse il
territorio era
divenuto nel 904
dominio dei re
della Borgogna
transgiuriana.
Già nel terzo
decennio dell'XI
secolo Umberto
Biancamano,
ritenuto il
capostipite dei
Savoia (e già
consigliere dei
re borgognoni),
subentrava nel
possesso e
veniva insignito
del titolo di
conte di Aosta.
La signoria dei
Savoia - poi
trasformata in
ducato dal 1416
- perdurò nei
secoli sino
all'età
contemporanea
tranne per
brevissimi
periodi di
dominazione
francese.
Il
rapporto della
valle con i suoi
signori venne
configurandosi
con
caratteristiche
tali da
garantire a
quelle terre di
montagna una
certa autonomia.
La contea
risultava
inizialmente un
aggregato
disuniforme di
circoscrizioni
regolate da
rapporti feudali
diversi: solo
alcuni territori
erano sotto
l'effettivo
controllo
sabaudo, altri
lo divennero poi
per conquista,
come nel caso di
Bard e Montjovet
con le loro
rocche
fortificate. La
città di Aosta
pervenne sotto
la giurisdizione
diretta dei
Savoia nel 1191,
con il conte
Tommaso I che,
nell'occasione,
stipulò la
"Carta
delle franchigie"
regolamentando i
doveri dei
cittadini nei
confronti della
signoria
centrale e
proteggendoli
nel contempo
dalle angherie
dei vassalli
valdostani. Il
dominio dei
conti su Aosta
fu garantito in
loco dapprima da
un visconte
appartenente
alla famiglia
degli Challant -
che divenne la
più potente
nella valle - e
dal 1263 da un
balivo, che
dalla sede in
città
esercitava la
giurisdizione su
tutti i
territori di
diretta
pertinenza dei
Savoia.
Anche
come diretta
conseguenza
degli accordi
del 1191 si era
venuto a creare
un fenomeno
fondamentale per
l'assetto del
territorio: i
nobili di Aosta,
privati dei
poteri che
esercitavano
nella città,
emigrarono nelle
valli
stabilendovi la
propria
residenza, onde
esercitare un
controllo
diretto sulle
terre che, anche
in alta quota,
venivano
trasformate in
redditizi
comprensori
agricoli con
opere di
disboscamento,
con la creazione
di terrazzamenti
per la
formazione di
aree coltivabili
lungo le dorsali
dei monti, con
massicce e
ardite opere di
canalizzazione
delle acque.
Al
fenomeno della
ruralizzazione
corrispose la
creazione di
nuovi
insediamenti,
anche lontani
dalla rete dei
percorsi
tradizionali, e
l'erezione di un
gran numero di
nuovi castelli,
che vennero a
integrare la
preesistente
rete di "luoghi
forti".
Torri e difese
di tipo
elementare
dominavano sui
rilievi
montuosi, in
collegamento
visivo tra loro
tanto da far
ipotizzare un
sistema
poligonale di
osservazione
esteso in tutta
la valle, ma più
verosimilmente
funzionante per
settori.
Le
strutture
fortificate
fungevano da
presidi sulle
principali vie
di comunicazione
per l'esazione
di pedaggi,
oppure da centri
di controllo dei
domini agricoli,
luoghi di
rifugio delle
scorte
alimentari e
della
popolazione in
tempo di
invasioni o di
guerre locali,
nei quali il
castellano -
direttamente o
per interposta
persona -
raccoglieva i
tributi e
amministrava la
giustizia.
Con
la rifondazione
dello Stato
sabaudo,
Emanuele
Filiberto
veniva
predisponendo un
imponente piano
strategico per
la difesa
esterna dei suoi
territori di qua
e di là dai
monti e, nel
contempo,
attuava una dura
politica volta a
garantirsi la
sicurezza
interna.
Sospettoso nei
confronti della
lealtà dei
propri vassalli,
il duca aveva
infatti ribadito
il divieto di
edificare o di
riparare
qualsivoglia
manufatto
militare,
avocando questo
diritto
unicamente allo
stato. In effetti,
solo le
roccaforti di
Bard e di
Montjovet, in
posizione
strategica per
la difesa del
territorio e
sotto stretto
controllo
sabaudo, vennero
poi sottoposte a
migliorie.
Nella
seconda metà
del XVI secolo e
nei primi
decenni del
successivo si
venne a godere
di un periodo di
tranquillità
pur se di
stenti, anche a
causa delle
condizioni
climatiche
avverse che
avevano ridotto
di quota le aree
coltivabili.
Nuove terre
venivano
comunque
bonificate e
l'insediamento
nelle zone
agricole si
consolidava
ulteriormente,
sia con
l'ampliamento
delle borgate
preesistenti,
sia con la
costruzione di
nuovi nuclei
rurali: la
crescita della
popolazione era
infatti
continua. Veniva
frattanto
affermandosi un
nuovo modello
insediativo:
sorgevano in
gran numero
fuori dai centri
urbani piccoli
palazzi della
nuova borghesia
(notai,
funzionari
sabaudi) o di
responsabili
locali delle
grandi signorie,
disseminati un
po' ovunque nei
luoghi ove la
produzione
agricola
necessitava di
un controllo.
Queste
costruzioni sono
caratterizzate
da una
architettura in
pietra, robusta
tanto da
apparire atta
alla difesa ma
nella realtà
funzionale
contro i furti,
non certo contro
attacchi
armati.
Un
evento esiziale
per la
popolazione
valdostana fu,
nel 1630, il
diffondersi
della peste, che
risulta aver
ucciso
70.000 persone,
pari a quasi i
due terzi degli
abitanti. Anche
il periodo di
relativa pace di
cui il
territorio aveva
potuto godere
precedentemente
per la sua
posizione
marginale
rispetto ai
principali
teatri di guerra
veniva a
interrompersi
sul finire del
XVII secolo,
durante la
guerra di
successione
spagnola, con
una prima
invasione
francese nel
1691 e la
successiva
occupazione
(1704-1706). Il
ducato di
Savoia,
conclusosi il
conflitto, era
ormai alla
vigilia della
sua
trasformazione
in regno e
sopprimeva ogni
particolarismo
regionale: la
Valle d'Aosta
perdeva quei
privilegi
politici e
amministrativi
di cui aveva
fino ad allora
fruito. L'antica
nobiltà
valdostana era
del resto in
fase di declino
economico e di
estinzione (la
famiglia stessa
degli Challant
si estinguerà
agli inizi
dell'Ottocento):
molti castelli e
giurisdizioni
erano stati
ceduti a signori
piemontesi o
savoiardi
residenti
altrove. Questa
situazione
veniva
originando un
fenomeno diffuso
di abbandono
delle dimore
nobiliari, con
il conseguente
degrado delle
costruzioni,
spesso
trasformate in
cascinali o
lasciate alla
rovina.

La
Valle d'Aosta,
nuovamente terra
di battaglia
durante la
campagna
napoleonica -
che provocò
la totale
distruzione
dell'antica
fortezza di
Bard, poi
riedificata nel
1838 - dopo
l'Unità
d'Italia fu
annessa alla
provincia di
Torino, con una
definitiva
perdita di quei
caratteri di
autonomia che
l'avevano
contraddistinta
nei secoli. Tale
perdita,
destinata a
divenire
drammatica
durante il
fascismo che
imporrà
l'abbandono del
dialetto
franco-provenzale
e della lingua
francese,
italianizzando
anche i toponimi
storici, verrà
reintegrata
dalla
proclamazione
dell'autonomia
regionale con la
legge del 1948.
Ritornando al
XIX secolo, si
deve evidenziare
che la creazione
della ferrovia
Torino-Aosta nel
1886 aveva
provocato un
fenomeno di riavvicinamento
della valle al
Piemonte:
l'economia
alpina chiusa,
che per decine
di secoli si era
sviluppata con
rapporti
commerciali
attraverso le
montagne, veniva
a esaurirsi,
convertendosi in
una economia
aperta a
nuovi
scambi con la
pianura.
Con la
crisi degli
ultimi decenni
del secolo
iniziava però
lo spopolamento
del territorio,
che in una
ventina d'anni
portava
all'emigrazione
circa un quarto
degli abitanti;
solo a partire
dal 1910
l'economia
riceveva un
nuovo impulso
con
l'insediamento
di alcune grandi
industrie
attirate dalla
ricchezza di
energia
elettrica
disponibile,
industrie che
venivano ad
affiancarsi a
quelle legate
alle attività
minerarie. Il
riflesso a
livello
insediativo
dell'apertura di
nuove fonti di
lavoro,
alternative a
quelle agricole
o pastorali
della secolare
tradizione, si
coglie nel
progressivo
ingrandimento
dei centri di
fondovalle, che
venivano
ospitando le
popolazioni
prima
concentrate
prevalentemente
nei villaggi
collinari e
montani.
Anche
l'avvio e il
consolidamento
del turismo ebbero
forte incidenza
sull'assetto del
territorio. Gli
ospiti per
soggiorni
estivi, per cure
termali, per
escursioni e
scalate,
divenivano
sempre più
numerosi,
incentivati da
un diffuso e
crescente
interesse per le
bellezze
naturali della
zona, cinta da
uno dei tratti
più eccezionali
della catena
alpina;
interesse al
quale non risultò
estranea la
preferenza
accordata alla
valle dai re
d'Italia, prima
per le grandi
cacce di
montagna poi per
i soggiorni
estivi. Allo
sviluppo
turistico
conseguì da un
lato la
creazione di una
rete di strade
carrozzabili che
venne man mano
integrando e
sostituendo
quella delle
antiche
mulattiere,
dall'altro una
sensibile
trasformazione
dei paesi, con
la comparsa di
nuove tipologie
edilizie, quali
i grandi
alberghi e le
ville
stagionali, non
di rado di
notevole
interesse per la
loro
architettura.
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