Issogne è un piccolo borgo ubicato alla destra del
fiume Dora
Baltea e per la
maggior parte
occupato da
boschi. Adagiato
nella Valle e
immerso in uno
spettacolare
scenario montano
offerto dalla
catena alpina
valdostana, è
noto per il suo
superbo Castello
medievale che porta il suo nome.
L’uomo
preistorico, che
sicuramente ha
percorso i
sentieri di
queste montagne
a iniziare dalla
fine delle
glaciazioni
quaternarie,
iniziata circa
due milioni di
anni fa, non ha
lasciato tracce
visibili nel
territorio di
Issogne. Nei
paesi limitrofi
le testimonianze
di una
frequentazione
preistorica sono
ben documentate
attraverso i
ritrovamenti di
incisioni
rupestri, di
materiali litici
e ceramici e di
tombe.
I
primi
ritrovamenti
databili,
riferiti alla
presenza umana,
sono di età
romana. Indagini
archeologiche
condotte nei
sotterranei del
castello nel
1972 hanno
portato alla
luce resti
murari
delimitanti una
serie di vani
contigui. Le
strutture si
impostano su un
orizzonte di età
tardo
repubblicana, ma
rimane il
problema della
datazione
complessiva
della
costruzione, i
cui scavi hanno
fornito scarsi
materiali di
studio. Il pezzo
più importante
tra questi è
una stele
funeraria in
marmo grigio,
risalente al I o
al II secolo
d.C., murata sin
dalla fine del
XV secolo in una
edicola del
giardino interno
del
maniero.
Un’altra
importante
testimonianza
della
frequentazione
della zona in
epoca romana è
data dal
toponimo
Fleuran,
appartenente a
una frazione
della cosiddetta
Rivière de Verrès,
il quale
potrebbe
risalire a un
prediale
indicante la
presenza di una
villa
residenziale
(forse quella
stessa rinvenuta
sotto il
castello)
connessa a un
fondo agricolo.
La
prima menzione
in un documento
storico della
nostra località
risale alla metà
del XII secolo e
sembra attestare
la presenza a
Issogne di una
casaforte
appartenente al
vescovo di
Aosta. In base
agli ultimi
scavi nella zona
del castello,
sappiamo che
quest’edificio
doveva occupare
gran parte degli
spazi della
precedente
costruzione
romana.
Nella
sua qualità di
signore di
Issogne, anche
in ambito
civile, il
vescovo concesse
intorno al 1255
ai suoi soggetti
uno dei primi
statuti
valdostani, una
sorta di
regolamento di
giustizia che
stabiliva una
serie di pene
pecuniarie per
alcuni delitti.
Una particolare
attenzione era
dedicata al
mondo
dell’agricoltura,
relativamente al
quale si
punivano i ladri
di noci, uva e
castagne, coloro
che
intorbidivano le
acque destinate
all’abbeveramento
degli animali o
che inclinavano
verso le capre i
rami in gemme
degli alberi.
La
giurisdizione
del vescovo di
Aosta fu varie
volte contestata
dai signori di
Verrès (i De
Verrecio), la
cui competenza
territoriale di
estendeva sui
villaggi della
Rivière. La
rivalità giunse
al livello più
alto nel 1333,
allorché
Aimoneto di Verrès
attaccò la
torre di
Issogne,
saccheggiando
anche parte
dell’abitato.
Estenuato
dal burrascoso
rapporto con i
signori vicini,
nel 1379 il
vescovo Jacques
Ferrandin decise
di cedere la
giurisdizione di
Issogne al
capitano Ibleto
di Challant,
signore di Villa
Challand,
Graines,
Montjovet, Verrès
e Châtillon, in
cambio di beni
siti a
Charvensod. Fu
questi a
trasformare
l’edificio
vescovile in un
vero e proprio
castello, che
sarebbe stato
ulteriormente
modificato –
circa
cent’anni dopo
– da Giorgio
di Challant,
fino ad assumere
l’aspetto
attuale.
Il
figlio di Ibleto
(+1409),
Francesco,
divenne conte di
Challant nel
1424 e morì
senza eredi
maschi nel 1442,
scatenando una
cruenta lotta
per la
successione tra
le figlie e i
loro cugini
diretti. Tra
questi ebbe alla
fine la meglio
Giacomo di
Aymavilles, che
divenne conte di
Challant nel
1456.
Figura
di spicco dei
successivi
signori di
Issogne fu il
conte Renato di
Challant (ca.
1504-1565),
figlio di
Filiberto e di
Louise
d’Aarberg, la
quale portò in
dote alla
famiglia la
signoria
svizzera di
Vallangin e la
baronia lorenese
di Bauffremont.
Barone di
Aymavilles,
signore di Châtillon,
Ussel e
Saint-Marcel,
Issogne, Verrès,
Virieu-Le-Grand
e Coligny,
Renato divenne
personaggio tra
i più
prestigiosi
della corte di
Chambéry,
assumendo le
funzioni di
luogotenente
generale della
Savoia e del
Piemonte e
governatore
della Savoia e
della Valle
d’Aosta in un
momento
delicatissimo
della vita del
ducato, occupato
dalle truppe
francesi.
La
sua vita
familiare fu,
come quella
politico-diplomatica,
intensa e
travagliata. La
prima moglie,
Biancamaria di
Gaspardone (o
Scapardone),
appartenente a
una ricca
famiglia di
Casale, fuggì
dal castello di
Issogne pochi
mesi dopo il
matrimonio, per
nostalgia della
bella vita
milanese
condotta nella
giovinezza, e
finì
giustiziata nel
castello
sforzesco per
aver
commissionato un
assassinio. La
seconda moglie,
Mencia di
Braganza, cugina
del re del
Portogallo,
dell’imperatrice
e della duchessa
di Savoia, si
rivelò abile
governatrice
degli interessi
del marito, nei
lunghi periodi
di assenza di
questi, ma si
lasciò morire
di inedia per
l’onta della
fuga della
figlia
primogenita con
uno scudiero del
padre proprio la
vigilia del
matrimonio con
un nobile
trentino.
Giovanni
Federico
Madruzzo –
questo il suo
nome – andò
in sposo
all’altra
figlia, che,
alla morte del
padre, dovette
combattere
contro tutti
(sorella e
cugini) per
conservare
l’eredità. I
suoi
discendenti, fra
cui si contano
principi vescovi
di Trento e il
cardinale Carlo
Gaudenzio
Madruzzo,
conservarono la
signoria fino al
1696, anno in
cui una sentenza
riassegnò la
successione del
conte Renato ai
discendenti dei
suoi cugini
maschi, i baroni
di Châtillon.
Nel
1841, quando
ormai la comunità
si era
affrancata da
ogni dipendenza
signorile, morì
l’ultima
contessa di
Challant, la
baronessa
Gabriella
Canalis di
Cumiana,
passando al
secondo marito,
Amedeo Passerin
d’Entrèves,
l’eredità di
una delle più
illustri e
longeve famiglie
nobili dei
territori
sabaudi.
Nella
seconda metà
del Settecento
la corte
torinese,
nell’intento
di modernizzare
le strutture
istituzionali
dello Stato,
dopo la fine del
feudalesimo,
promosse il
catasto dei beni
immobili,
l’organizzazione
del territorio
in intendenze e
la formazione
dei nuovi
consigli
comunali,
caratterizzati
dall’elezione
popolare e
dall’esercizio
a turno, da
parte dei
consiglieri,
della funzione
di sindaco. In
Valle
quest’ultima
novità viene
introdotta con
il “Règlement
pour
l’administration
économique du
Duché
d’Aoste” del
1762.
Le
riforme
successive alla
promulgazione
dello statuto
albertino non
ottennero
l’adesione in
massa del popolo
valdostano, in
gran parte
conservatore e
molto legato
alle tradizioni
religiose.
L’abolizione
di alcune feste
religiose e
l’introduzione
di nuove tasse
spinsero alcune
comunità della
bassa Valle a
ribellarsi
contro il
governo di
Cavour. Iniziata
a Champorcher il
26 dicembre 1853
e sostenuta da
alcuni
sacerdoti,
l’insurrezione
si estese ai
paesi vicini.
Nella notte
stessa a Issogne
un gruppo di
insorti si
impadronì delle
armi della
guardia
nazionale
conservate nel
municipio e
diede fuoco a
una bandiera del
Regno. Una messa
per il felice
esito della
sommossa fu
celebrata dal
parroco Antoine
Gorret,
successivamento
incarcerato nel
forte di Bard,
ma tutto ebbe
fine entro pochi
giorni.
Nel
1867 una
epidemia di
colera colpì
duramente la
regione,
provocando oltre
mille morti, 96
dei quali solo a
Issogne, il cui
lazzaretto fu
allestito nel
castello.
Quarantasei
sarebbero state
le vittime della
febbre spagnola
del 1918, per lo
più bambini;
particolarmente
tragica fu la
vicenda della
famiglia Quey,
che in meno di
due settimane
vide morire la
mamma
trentanovenne,
due figlie
adolescenti e
una neonata.
Una
grave crisi
economica
spinse, a
cavallo dei due
secoli, numerosi
abitanti a
cercare lavoro
all’estero.
Nel 1913 si
contavano un
centinaio di
emigrati: un
decimo della
popolazione,
composto dalle
persone più
forti e abili al
lavoro.
La
comunità subì
gravissime
perdite anche
nel corso della
Grande Guerra:
tra il 1915 e il
1918 morirono
infatti, caduti
in combattimento
o a seguito di
infezioni
causate da
ferite trentatré
giovani soldati
nostri
concittadini.
Analoga
sorte toccò a
numerosi soldati
della secondo
guerra mondiale,
tutti molto
giovani: nove
dei dieci
soldati di
Issogne morti
avevano meno di
30 anni. Il più
giovane tra
quelli che non
tornarono a
casa, fu il
ventenne
Ottaviano
Ruggeri, nato in
provincia di
Bologna nel 1923
e disperso dal
1943, l’anno
dopo essere
partito per
l’Africa.
La
costituzione dei
primi nuclei di
Resistenza in
Valle d’Aosta
è promossa da
quelle forze
autonomiste
radicate nel
mondo cattolico
che nel corso
del ventennio si
erano raccolte
nella Jeune Vallée
d’Aoste e da
nuclei di
sinistra legati
al mondo
operaio.
Nella
bassa Valle, una
delle principali
bande si forma a
Issogne, in un
ambiente in cui
l’antifascismo
ha radici
profonde. In una
riunione
svoltasi il 27
novembre, alcuni
giovani, tra i
quali Martino
Dublanc, i
fratelli
Vittorio e Mirco
Borettaz, Aldo
Dublanc, Attilio
Cout, Aladino
Cout e Mario
Cout, decidono
di costituire un
primo nucleo
armato, origine
di quella che
diventerà la
seconda brigata
Garibaldi (poi
176a).
Per la vita
della banda
fondamentale è
il contributo
della
popolazione
civile, che
interviene per
rifornimento di
generi
alimentari e
vestiario, cura
dei feriti e
degli ammalati,
raccolta e
trasmissione di
informazioni. Le
armi sono
strappate
direttamente al
nemico. Il 18
marzo 1944 dal
presidio della
Guardia
nazionale
repubblicana di
Champérioux
vengono
prelevati un
mitragliatore,
tre mitra, 14
fucili, 70 bombe
a mano e
numerose
munizioni.
Tra
le principali
azioni a cui
partecipa la
banda di Issogne
vi è
l’occuypazione
di Verrès, il 1°
maggio 1944: i
partigiani
scendono a Verrès
dalla Valle
d’Ayas, mentre
da Arnad giunge
anche la banda
di Riccardo
Joly. La
popolazione di
Verrès,
raggiunta da
abitanti dei
paesi vicini, si
riversa nelle
case e forma un
corteo lungo le
vie del centro.
Talvolta
la banda di
Issogne opera
congiuntamente
ad altre
formazioni
partigiane:
all’inizio del
marzo 1944
interviene,
attraversando il
Col Finestra, a
sostegno della
banda di Perloz,
attaccata da
ingenti forze
nazifasciste; a
fine maggio
raggiungere la
Valle di
Champorcher per
contrastare un
imponente
rastrellamento;
in luglio
partecipa
all’attacco al
presidio delle
SS di Brusson e,
nel marzo 1945,
alla battaglia
che coinvolge
tutta la bassa
Valle.
Quasi
duecento furono
i caduti
valdostani nella
lotta di
liberazione, fra
cui i due capi
riconosciuti,
Emile Chanoux,
leader politico
autonomista e
Pierre Lexert,
carismatico capo
militare.
Anche
Issogne versò
il suo tributo
di sangue. Il 19
aprile 1944,
Giovanni
Battista
Mussitelli,
rientrato in
paese dopo
essere emigrato
per motivi
politici, viene
sorpreso a
Fleuran da una
pattuglia di
moschettieri
delle Alpi e
ferito
mortalmente. Il
22 agosto
seguente muore
Martino Dublanc,
stimato
vicecomandante
della brigata.
In
combattimento,
cadono anche
Mario Cout,
Camillo
Borettaz,
Feruccio Foy e
Giocondo
Jacquin, mentre
Aladino Cout
muore nel campo
di
concentramento
di Mauthausen.
Castello
di Issogne
Una
torre o
casaforte fu
costruita dal
vescovo di
Aosta, forse già
nel XII secolo,
sul luogo
occupato dai
resti di una
villa
“rustica” di
epoca romana,
venuta alla luce
una cinquantina
di anni fa nel
sottosuolo
dell’attuale
castello.
L’edificio
antico è messo
in relazione sia
al toponimo
Fleuran
(Fioranum),
riferito a una
frazione del
paese, sia a una
iscrizione in
latino rinvenuta
durante gli
scavi per la
ricostruzione
quattrocentesca
del maniero e
murata in una
edicola del
giardino
interno.
A
Issogne, il
vescovo di Aosta
afgiva sia come
capo della
diocesi, da cui
dipendeva la
locale
parrocchia, sia
come detentore
della
giurisdizione
temporale.
Il
suo potere
“laico”
venne tuttavia
ripetutamente
osteggiato dai
vicini signori
di Verrès, che
si ritenevano i
legittimi
feudatari del
territorio.
Questi giunsero,
nel 1333, ad
attaccare la
torre, che il
vescovo aveva
appena
rafforzato con
più efficaci
sistemi
difensivi,
seminando
terrore e morte.
Bruciato e
ridotto a
rovina,
l’edificio fu
acquisito mezzo
secolo dopo da
Ibleto di
Challant, che
nel frattempo
era subentrato
anche ai Verrès
nella signoria
omonima.
Fu
lui a
ricostruire la
torre, a
edificare un
importante corpo
di abitazione,
ricavando, tra
queste e altre
costruzioni, un
piccolo cortile
e racchiudendo
il tutto entro
una cinta
muraria.
Alla
sua morte il
castello
pervenne al
figlio
Francesco, che
nel 1424 ottenne
dai Savoia il
titolo di conte.
Per esigenze
economiche,
questi impegnò
la signoria ad
altri nobili e,
nel 1442, morì
privo di figli
maschi.
La
lotta per la sua
successione tra
le figlie – in
particolare
Caterina, la cui
ribellione è
celebrata
durante il
carnevale di
Verrès – e i
cugini maschi si
risolse con la
vittoria di
Giacomo di
Challant-Aymavilles
(1456).

E’
probabilmente al
figlio e
successore di
Giacomo, Luigi,
che si deve
l’idea di
trasformare il
castello di
Issogne in un
vero palazzo.
Egli tuttavia
morì giovane
(1487) e
l’iniziativa
fu presa dalla
vedova,
Marguerite de La
Chambre, e dal
cugino priore
Giorgio di
Challant-Varey,
grande figura di
mecenate e
committente, che
gli studi
universitari tra
Francia e Italia
avevano reso
colto e aperto
alle diverse
correnti
artistiche del
tempo.
I
lavori al
castello si
svolsero circa
l’ultimo
decennio del XV
secolo, e
consistettero più
nel
ricongiungere
edifici di
epoche diverse,
attraverso
loggiati e
corridoi che non
nel ricostruire
ex-novo il
maniero. Il
tutto fu
ricoperto da uno
strato di
intonaco e
decorato con
varie serie di
affreschi. La
facciata verso
valle – ora
grigia e slavata
– fu
probabilmente
dipinta di
bianco, in modo
da attrarre lo
sguardo di
coloro che
transitavano per
la strada al di
là della Dora.
Alcuni finti
cornicioni, che
da lontano
sembravano di
pietra e di
mattone mattone,
furono dipinti
sotto il tetto o
attorno alle
finestre per far
sembrare il
tutto più ricco
e rifinito e
probabilmente
per evocare i
colori araldici
di Casa
Challant.
Il
castello che fu
consegnato a
Filiberto di
Challant, figlio
del conte Luigi,
e alla sua
sposa, Louise
d’Aarberg,
doveva
risplendere di
una bellezza mai
vista nei
territori
alpini, ricco di
colori e di
elementi
simbolici, degna
residenza di una
delle famiglie
più in vista
nella corte
sabauda. Un
inventario del
1565, stilato
alla morte del
conte Renato,
figlio di
Filiberto, ci
trasmette
l’immagine di
un castello
ancora
riccamente
ammobiliato,
dotato di
arazzi, dipinti
e corredi di
pregio.
Dopo
i fasti del
Cinquecento, il
castello, che fu
abitato sempre
con minore
intensità senza
peraltro venire
mai abbandonato,
declinò a
partire dal
secolo
successivo. Dopo
essere stato
nelle mani dei
discendenti di
Isabella di
Challant, i
Madruzzo
principi di
Trento, e in
quelle dei
discendenti di
questi, i
Lenoncourt e i
Carretto di
Balestrino, tornò
agli Challant
sul finire del
Seicento.
Estintasi
la casata
fondatrice nel
1841 con la
morte
dell’ultima
contessa,
Gabriella
Canalis di
Cumiana, il
castello
pervenne ai
nobili Passerin
d’Entrèves.
Nel 1872, dopo
un paio di
ulteriori
passaggi di
prioprietà, fu
acquistato da
Vittorio Avondo,
un pittore di
Torino impegnato
nel recupero dei
castelli
medievali in
Piemonte e Valle
d’Aosta, che
riportò
l’edificio
allo splendore
originale,
aprendolo poi al
pubblico come
museo.
Essendo
privo di
discendenza
diretta, Avondo
stabilì che
alla sua morte
(1910) il
castello
passasse allo
Stato italiano,
perché
continuasse a
essere visitato
dagli
appassionati di
arte e di
storia.

La
facciata grigia
che accoglie
oggi il
visitatore era
un tempo
scialbata e
doveva essere
notata anche da
lontano, dai
viandanti che
percorrevano la
strada
principale,
oltre la Dora
Baltea. Le
cornici delle
finestre erano
decorate ora a
finta pietra,
ora a finto
mattone,
proponendo,
insieme al
bianco delle
pareti, i colori
araldici della
famiglia
fondatrice.
Frutto
di interventi
successivi,
succedutisi
dall’epoca
romana fino al
definitivo
assetto
tardoquattrocentesco,
e persa anche la
cromia
originale,
l’esterno non
si rivela oggi
particolarmente
attraente e non
appare certo
quello scrigno
di quelle
bellezze
artistiche che
invece si
rivelano appena
varcato il
portale di
ingresso.
L’ampio
cortile interno,
su cui si
affaccia un
giardino
all’italiana
circondato da
mura di
contenimento del
terreno
circostante, è
dominato da una
particolarissima
fontana, che
desta meraviglia
per la bellezza
del manufatto e
per la ricchezza
di simboli che
intende
rappresentare.
Si tratta di una
vasca
ottagonale, che
evoca i
battisteri
paleocristiani,
dunque la
rigenerazione
cristiana, al
cui centro è un
albero di ferro
battuto, con i
frutti del
melograno,
simbolo di
prosperità, e
le foglie della
quercia, simbolo
della fortezza
d’animo e
della longevità.
Tra i rami,
sbucano quattro
zampilli, che
evocano i fiumi
del paradiso
terrestre,
sovrastati da
altrettanti
piccoli draghi.
Questi ultimi
erano gli
attributi
iconografici di
due santi,
Giorgio e
Margherita di
Antiochia, e
probabilmente
rappresentavano
la firma dei
committenti del
rinnovo del
castello,
Giorgio di
Challant e
Marguerite de La
Chambre.
A
fare come da
quinta alla
fontana, le
pareti del
cortile
interamente
affrescate con
stemmi dei
personaggi più
importanti della
famiglia
Challant,
“miroir pour
les enfants” ,
esempio per le
nuove
generazioni,
come diceva una
scritta ora
scomparsa.
Il
giardino
occidentale è
separato dal
cortile da
alcuni gradini e
da due grandi
volute in
muratura, quanto
rimane della
cinta muraria
del maniero più
antico. Anche le
sue pareti erano
interamente
affrescate, con
le immagini dei
grandi letterati
della classicità
greca e romana e
con le figure
degli eroi ed
eroine della
mitologia, della
Bibbia e della
storia, di cui
rimangono ormai
poche tracce.
Il
porticato
d’ingresso al
castello, che
dava in origine
accesso al
cortile, è a
sua volta
interamente
dipinto con
popolarissime
scene di vita
tardomedievali.
Attraverso la
rappresentazione
degli ambienti
commerciali, il
committente ha
voluto
probabilmente
esaltare la
floridezza
economica
assicurata dal
buon governo dei
conti di
Challant. Così,
nell’affresco
del corpo di
guardia, si
osservano i
soldati in abiti
civili bere e
giocare al
tavolo di una
taverna;
nell’affresco
del mercato, una
varietà
inverosimile di
merce è
disposta sui
banchi dei
venditori, in un
ambiente di
grande vivacità,
mentre il
panettiere
inforna sfoglie
di pasta di
pane,
probabilmente
farcite di
frattaglie, e il
sarto è
impegnato nel
tagliare stoffe
e confezionare
vestiti.
L’affresco
dello speziale
si presenta a
sua volta molto
ricco di
particolari,
riconducibili
alle diverse
“categorie”
della medicina
del tempo:
quella ufficiale
(appese ci sono
spugne
soporifere,
usate per le
operazioni
chirurgiche),
quella popolare,
a base di piante
ed erbe, e
infine quella
devozionale,
rappresentata
dagli oggetti
ex-voto di cera
appesi
all’ultimo
ripiano, in
alto. Infine, il
formaggiaio e
salumiere mostra
intere forme di
diverse qualità
di formaggi –
tra cui senza
dubbio la
fontina e il
seras -, salumi
e, in primo
piano, due botti
contenenti
probabilmente
acciughe in
salamoia.

L’attuale
allestimento
interno del
castello risale
al tempo di
Vittorio Avondo
(1910), ultimo
proprietario
privato, che già
volle aprire il
maniero alle
visite.
La
sala da pranzo,
col tavolo
imbandito, la
cucina col suo
monumentale
camino, la
cosidetta
“sala delle
armi”, in cui
è stata
ricreata con
corredi
soldateschi la
scena affrescata
nel porticato,
l’appartamento
di Giorgio di
Challant, il cui
oratorio è
interamente
affrescato, come
quello
sottostante
della camera
“della
contessa”,
sono begli
esempi di
ambienti
riconducibili
all’epoca
tardogotica.
Tuttavia,
sono la
cappella, la
camera “del re
di Francia” e
la sala “di
giustizia” a
testimoniare
quanto fosse
ricco il
castello alle
sue origini.
Nella cappella
risplende in
tutta la sua
doratura
l’altare di
legno scolpito e
dipinto secondo
lo stile
borgognone,
risalente ai
primi anni del
Cinquecento.
L’Annunciazione,
il matrimonio
della Vergine,
l’Adorazione
dei magi, la
Circoncisione e
la Strage degli
innocenti sono
raffigurate
sulle ante del
polittico,
mentre al centro
è scolpita la
Natività.
Nella
camera detta
“del re di
Francia”
spicca la
decorazione con
stemmi a gigli
dorati su fondo
blu, sul camino
e sul soffitto,
che, tra
l’altro, alla
luce delle
candele o dei
lumini a olio
doveva apparire
come un cielo
stellato, mentre
le pareti sono
decorate a finte
tappezzerie. La
sala “di
giustizia” o
“baronale”,
spazio pubblico
di
rappresentanza,
si presenta
interamente
affrescata e
arredata con una
lunga cassapanca
neogotica. I
feudi dei
signori di
Challant,
Gerusalemme,
scene di caccia
e di partenze di
navi sono
affrescati sulle
pareti,
circondando
interamente il
visitatore.
Sopra il trono
è dipinto il
giudizio di
Paride,
ulteriore
testimonianza
della cultura
classica che ha
ispirato il
fondatore.
Chiesa
parrocchiale
Santa Maria
Assunta
Non
sappiamo in
quali
circostanze i
nostri antenati
di Issogne
abbiano aderito,
al tempo del
declino della
civiltà romana
(V secolo), alla
religione di
Cristo. Possiamo
immaginare che
il passaggio sia
stato graduale:
la necropoli
pagana si è
probabilmente
trasformata un
po’ alla volta
in un cimitero
cristiano e
attorno a questo
la gente ha
cambiato
altrettanto
gradualmente la
mentalità,
iniziando a
credere nel
messaggio
evangelico e a
nutrire speranza
nella vita
eterna.
La
prima
testimonianza
storica sulla
presenza di un
edificio
religioso a
Issogne risale
tuttavia solo al
1152: una bolla
del papa Eugenio
III di
quell’anno
menziona tra i
beni dipendenti
dal vescovo di
Aosta una
cappella in un
luogo
identificabile
col nostro
paese. La stessa
cappella è
definita
“chiesa”
appena
ventiquattro
anni dopo, nella
bolla del papa
Alessandro III
del 20 aprile
1176, nella
quale figura
anche la chiesa
di
Saint-Solutor.
Quest’ultima,
indicata nei
documenti
antichi col
titolo di
“annexe”, è
stata sempre
unita a quella
di Issogne e non
ha mai avuto
titolari propri,
pur conservando
fino ai nostri
giorni
prerogative
riservate
solitamente alle
chiese
parrocchiali,
come la
celebrazione
delle funzioni
festive e dei
funerali e la
presenza del
cimitero.
Sulla
nostra comunità
il vescovo
conservò a
lungo anche un
potere civile
(ne era cioè
signore), che
cedette solo nel
1379 ad Ibleto
di Challant.
Centro della sua
giurisdizione
era una torre, a
partire dalla
quale si sviluppò
l’attuale
castello.
La
dipendenza della
parrocchia dal
vescovo di Aosta
fu attenuata nel
1665. Il diritto
di scelta del
parroco passò
allora ai conti
di Challant, che
tra alterne
vicende lo
conservarono
fino alla
rinuncia
definitiva da
parte della
vedova
dell’ultimo
conte, nel 1825.
Non
conosciamo il
luogo in cui si
trovava la
chiesa di cui
parlano i
documenti più
antichi. Nel XV
secolo
l’edificio
parrocchiale si
trovava
addossato al
castello. In
occasione della
visita pastorale
del 1528 il
vescovo Gazino,
d’accordo con
Renato di
Challant, diede
ordine che fosse
ricostruito
altrove, ma i
lavori non
vennero
eseguiti.
Agli inizi del
Settecento la
stessa chiesa fu
seriamente
danneggiata
nelle sue
strutture –
pare a causa di
un’alluvione
– e resa
impraticabile.
Solo allora, al
tempo del
parroco
Jean-Martin
Lucat, non
potendo
rimandare il
problema, si
decise di
ricostruirla.
Il
12 dicembre 1730
la comunità di
Issogne e il
conte
Charles-François
si accordarono
sulla
spartizione
degli oneri: la
popolazione si
impegnò a
demolire il
vecchio edificio
e a fornire la
manodopera per
il trasporto del
materiale
necessario alla
costruzione del
nuovo. Il conte
di Challant mise
a disposizione
la parte di sua
pertinenza
dell’appezzamento
su cui sarebbe
sorta, a sue
spese, la nuova
chiesa, in
cambio
dell’acquisizione
della zona
sgomberata. Il
cantiere durò
una decina
d’anni. Il 24
aprile 1745
l’edificio potè
infine essere
consacrato dal
vescovo
Pierre-François
de Sales.
Della
chiesa più
antica rimase
attivo ancora a
lungo il
campanile,
utilizzato anche
come torre
d’angolo del
castello.
Nonostante le
ripetute
proteste dei
conti di
Challant,
costretti a
sentire
rimbombare tutte
le stanze del
maniero ogni
qual volta le
campane si
mettevano a
suonare, la
nuova torre
campanaria non
veniva
costruita.
Ancora nel 1877,
Parrocchia e
Amministrazione
comunale, unite,
vinsero un
processo contro
il nuovo
proprietario del
castello, il
pittore torinese
Vittorio Avondo,
sulla proprietà
della torre in
questione.
L’archivio
parrocchiale di
Issogne conserva
varie
testimonianze di
lavori
successivi. Nel
1816-1818 Luigi
Artari eseguì
alcune pitture,
fra le quali
forse anche la
Vergine Assunta
sulla facciata.
Nel 1869 fu
firmata una
convenzione tra
la
“fabrique”
della parrocchia
e gli impresari
muratori
Giuseppe e
Costante
Vercellone per
una serie di
riparazioni al
tetto e alla
volta della
chiesa. Nel 1878
lo stesso
Costante
Vercellone
presentò un
preventivo per
il restauro
della facciata,
per il quale fu
proposto nel
1890 un nuovo
progetto, a
testimonianza
che gli
interventi non
erano stati nel
frattempo
eseguiti. Nel
1890 fu rifatta
dall’impresario
Joseph Bosonin
di Donnas la
volta della
chiesa, che
presentava
vistose crepe e
minacciava di
rovinare;
quattro anni
dopo fu chiamato
ad affrescare la
chiesa il
pittore Pietro
Silvestro di
Aosta.
Importanti
lavori furono
eseguiti
nell’immediato
dopoguerra.
Furono
restaurati il
tetto e la
facciata
(risalgono solo
a quest’epoca
le statue poste
nelle nicchie
della facciata).
Il pittore
Ettore Mazzini
decorò
l’abside con
le
rappresentazione
dell’Ultima
Cena,
dell’Assunzione
della Vergine e
della
Croficissione
(1947).
Successivamente
fu risistemato
il coro con le
nuove boiseries
e furono
sostituiti i
banchi. Nel
1958-59 furono
costruiti il
nuovo campanile
e la casa del
parroco, quindi,
nel 1963, fu
installato
l’organo.
L’ultimo
importante
cantiere che ha
coinvolto la
nostra chiesa
prima degli
ultimi lavori è
stato quello per
la ridecorazione
dell’interno
da parte
dell’artista
Luciano Bartoli
di Padova
(1972-73).
Tra
il 2002 e il
2003 si è
infine
provveduto a
rifare il tetto,
ridipingere la
facciata e
rintonacare il
campanile.
Quest’ultimo
lavoro ha potuto
essere eseguito
grazie
all’importante
contributo
dell’Amministrazione
comunale.
La
ridipintura
della facciata
– avvenuta in
seguito ad
indagini
stratigrafiche
condotte da una
ditta di
restauratori –
ha restituito
all’edificio
l’aspetto che
possedeva in
origine, dal
colore
paglierino
uniforme
interrotto dalla
fascia
orizzontale a
losanghe azzurre
lungo il
cornicione del
timpano.
Chiesa
di Saint-Solutor
La
zona della Rivière,
dipendente
nell’ambito
religioso dalla
parrocchia di
Issogne,
apparteneva un
tempo per il
civile alla
signoria di Verrès.
Solo nel 1781 il
territorio delle
frazioni di
Clapeyas, Fava,
Fleuran e Mure
fu aggregato a
quello di
Issogne.
La
chiesa di
Saint-Solutor
conserva
elementi
architettonici
molto antichi,
che la fanno
risalire almeno
ai primi secoli
del secondo
millennio.
All’esterno,
la struttura
medievale
dell’edificio
è ben
percepibile
nelle lesene
romaniche
terminanti in
alto con
archetti ciechi
e negli
affreschi della
facciata, datati
agli anni ’20
del Quattrocento
e attribuiti
allo stesso
maestro che
aveva decorato,
qualche anno
prima, la chiesa
di S. Martino di
Arnad. A
sinistra, entro
uno spazio
delimitato dagli
archetti,
campeggia in
grandi
dimensioni la
figura di san
Cristoforo,
riconoscibile
dal bastone
fiorito, dai
piedi nudi
immersi
nell’acqua e
dalla presenza
del Bambino
sulla spalla
sinistra; al
centro è
rappresentato
san Francesco
che riceve le
stimmate; a
destra si
osserva la
Madonna seduta
in trono, col
Bambino sulle
ginocchia.
Lo spazio interno ha subito nel corso dei secoli
alcuni
rimaneggiamenti,
fino ad assumere
l’aspetto
attuale. In
particolare sono
state costruite
le volte in
luogo
dell’originario
soffitto di
legno e sono
state aperte
nuove finestre
per favorire
l’illuminazione
della navata.
L’aggiunta di un’abside quadrata, in cui
sistemare il
bell’altare
barocco dipinto
e dorato, ha
comportato
l’allungamento
dello spazio
interno della
chiesa.
Oratori
La
devozione
nutrita dai
vecchi abitanti
di Issogne nei
confronti della
Vergine e
dei Santi è
testimoniata
dalla presenza
di un gran
numero di
oratori eretti
nei villaggi,
lungo i sentieri
e le strade. I
più importanti
sono quelli di
Mure e di Télin,
meta un tempo
con quello di
Echallod delle
processioni
delle
Rogazioni.
L’oratorio
di Télin fu
costruito sul
luogo di una
sorgente che
sarebbe
scaturita
miracolosamente
dal terreno in
un periodo di
grande siccità.
Secondo una pia
tradizione, la
Vergine venerata
in quel luogo
procura agli
agonizzanti che
a lei ricorrono
una morte dolce
e serena.
L’edificio
medievale dai
finestroni a
volta che sorge
sul sagrato
della chiesa
rappresenta,
assieme al
vicino castello,
alla torre
“Colombière”,
alla cappella
del Saint-Suaire
e alla chiesa di
Fleuran, quanto
rimane delle
strutture
medievali del
paese.
Nell’inventario
dei beni del
castello redatto
alla morte del
conte René de
Challant (1565),
la costruzione
figura come
maison appellée
les escuries du
chasteau, avec
ses pagliers au
dessus. Si può
immaginare che,
nata con le
funzioni di
scuderia del
castello, sia
stata
trasformata
nella prima metà
del Cinquecento
in abitazione.
Nel
1730 la parte
inferiore della
parete
occidentale
divenne muro di
contenimento del
terrapieno su
cui fu costruita
la nuova chiesa
parrocchiale,
fino ad allora
addossata al
castello.
Abbandonato
nei primi anni
’70 del nostro
secolo, il
vecchio edificio
si ridusse in
condizioni
deplorevoli. Acquisto
e restaurato dal
Parroco
(1995-1996) è
oggi sede
dell’Oratorio.
Cappella
del Saint-Suaire

La
cappella del
Saint-Suaire,
all’ingresso
del paese, fu
fatta costruire
probabilmente
dal fondatore
del castello
Giorgio di
Challant o dal
conte Renato di
Challant,
all’inizio del
Cinquecento.
Sin
dai primi tempi,
nella Settimana
Santa era meta
di una
processione che
partiva dalla
cappella del
castello.
Nel
passato era
anche tradizione
che i fedeli
portassero i
berretti dei
bambini pieni di
grano o altre
offerte per
ottenere la
guarigione dalla
crosta lattea e
dalle
fontanelle.
Cappella
di Saint Roch e
Saint Clair
La
cappella di
Saint Roch e
Saint Clair a
Bosset fu
costruita dopo
la terribile
epidemia di
peste degli anni
1629-1630 per
volontà
dell’amministrazione
comunale del
tempo. Sulla
facciata sono
dipinte le
immagini dei
santi titolari,
assieme a quella
della
Vergine.
La
festa patronale
è celebrata il
16 agosto e si
conclude con la
distribuzione
del pane
benedetto e
l’incanto a
beneficio della
cappella.
L’edificio, gli affreschi interni ed esterni, e i
suoi dipinti
sono attualmente
sottoposti a
restauro.
Cappella
di Visey
La
cappella di
Visey è
dedicata alla
Madonna della
Neve. Fondata da
Pierre Allemand
nel 1681, è
meta la domenica
più vicina al 5
agosto (festa
patronale) di
una processione
che parte da
Pianfey. Anche
la messa
celebrata a
Visey si
conclude con la
distribuzione
del pane
benedetto e con
la vendita
all’incanto di
prodotti offerti
dai fedeli.
Oggetto di
profonda
devozione è
l’immagine
della Madonna:
una statua
dorata risalente
probabilmente
alla fondazione
della cappella.
Parco
naturale del
Mont Avic
Il parco
naturale del
Mont Avic (in francese, Parc
naturel du Mont
Avic) è un'area
naturale
protetta della Valle
d'Aosta e
ha una
superficie di
oltre 5.747
ettari. Primo
parco naturale
regionale della
regione, dopo il parco
nazionale del
Gran Paradiso,
creato nel 1989
ed ampliato nel
2003, è esteso
tra il vallone
di Champdepraz e
la Valle
di Champorcher,
solcato dal
torrente Chalamy,
in posizione
appartata
rispetto alle
grandi rotte
turistiche
valdostane. Le
alte vette
aguzze dei monti Avic (3003
metri), Iverta (2936
metri) e Glacier (3186
metri) separano
il vallone
di Champdepraz dalla
valle di
Champorcher. Nel
parco è
presente la più
estesa foresta
di pini
uncinati (Pinus
mugo)
della Valle
d'Aosta:
oltre 980
ettari.
Diversi
sono i sentieri
del parco: il più
frequentato è
quello che parte
dalla valle
di Champorcher ed
attraverso il
Colle del Lago
Bianco (in francese, Col
du lac blanc)
scende nel vallone
di Champdepraz,
con in sfondo il Cervino e
il Monte
Rosa,
tocca il lac
Blanc,
affiancato dal Rifugio
Barbustel (2200
metri), ed il lac
Cornu,
per raggiungere
poi il Gran Lago
(Grand Lac), il
più esteso lago
naturale della
Valle d'Aosta;
percorrendo
invece la Valle
di Champorcher si
può raggiungere
il lago
Misérin (22
ettari) a 2576
metri di quota,
e, lungo
l'antica strada
di caccia dei Savoia,
la Fenêtre
de Champorcher,
valico situato a
2826 metri di
quota che
permette
l'accesso al vallone
dell'Urtier.
Esistono
altri sentieri
che partono
dalle frazioni
di Chevrère e
di Veulla
(capoluogo) di Champdepraz,
a quota 1300
metri, e toccano
altri laghi,
altre foreste e
alcune
testimonianze di
attività
minerarie del
passato.
Fonte
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