Issogne (Borgo)
(Aosta)

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Issogne è un piccolo borgo ubicato alla destra del fiume Dora Baltea e per la maggior parte occupato da boschi. Adagiato nella Valle e immerso in uno spettacolare scenario montano offerto dalla catena alpina valdostana, è noto per il suo superbo Castello medievale che porta il suo nome.
L’uomo preistorico, che sicuramente ha percorso i sentieri di queste montagne a iniziare dalla fine delle glaciazioni quaternarie, iniziata circa due milioni di anni fa, non ha lasciato tracce visibili nel territorio di Issogne. Nei paesi limitrofi le testimonianze di una frequentazione preistorica sono ben documentate attraverso i ritrovamenti di incisioni rupestri, di materiali litici e ceramici e di tombe.

I primi ritrovamenti databili, riferiti alla presenza umana, sono di età romana. Indagini archeologiche condotte nei sotterranei del castello nel 1972 hanno portato alla luce resti murari delimitanti una serie di vani contigui. Le strutture si impostano su un orizzonte di età tardo repubblicana, ma rimane il problema della datazione complessiva della costruzione, i cui scavi hanno fornito scarsi materiali di studio. Il pezzo più importante tra questi è una stele funeraria in marmo grigio, risalente al I o al II secolo d.C., murata sin dalla fine del XV secolo in una edicola del giardino interno del maniero. 

Un’altra importante testimonianza della frequentazione della zona in epoca romana è data dal toponimo Fleuran, appartenente a una frazione della cosiddetta Rivière de Verrès, il quale potrebbe risalire a un prediale indicante la presenza di una villa residenziale (forse quella stessa rinvenuta sotto il castello) connessa a un fondo agricolo.

La prima menzione in un documento storico della nostra località risale alla metà del XII secolo e sembra attestare la presenza a Issogne di una casaforte appartenente al vescovo di Aosta. In base agli ultimi scavi nella zona del castello, sappiamo che quest’edificio doveva occupare gran parte degli spazi della precedente costruzione romana.

Nella sua qualità di signore di Issogne, anche in ambito civile, il vescovo concesse intorno al 1255 ai suoi soggetti uno dei primi statuti valdostani, una sorta di regolamento di giustizia che stabiliva una serie di pene pecuniarie per alcuni delitti. Una particolare attenzione era dedicata al mondo dell’agricoltura, relativamente al quale si punivano i ladri di noci, uva e castagne, coloro che intorbidivano le acque destinate all’abbeveramento degli animali o che inclinavano verso le capre i rami in gemme degli alberi.

La giurisdizione del vescovo di Aosta fu varie volte contestata dai signori di Verrès (i De Verrecio), la cui competenza territoriale di estendeva sui villaggi della Rivière. La rivalità giunse al livello più alto nel 1333, allorché Aimoneto di Verrès attaccò la torre di Issogne, saccheggiando anche parte dell’abitato.

Estenuato dal burrascoso rapporto con i signori vicini, nel 1379 il vescovo Jacques Ferrandin decise di cedere la giurisdizione di Issogne al capitano Ibleto di Challant, signore di Villa Challand, Graines, Montjovet, Verrès e Châtillon, in cambio di beni siti a Charvensod. Fu questi a trasformare l’edificio vescovile in un vero e proprio castello, che sarebbe stato ulteriormente modificato – circa cent’anni dopo – da Giorgio di Challant, fino ad assumere l’aspetto attuale.

Il figlio di Ibleto (+1409), Francesco, divenne conte di Challant nel 1424 e morì senza eredi maschi nel 1442, scatenando una cruenta lotta per la successione tra le figlie e i loro cugini diretti. Tra questi ebbe alla fine la meglio Giacomo di Aymavilles, che divenne conte di Challant nel 1456.

Figura di spicco dei successivi signori di Issogne fu il conte Renato di Challant (ca. 1504-1565), figlio di Filiberto e di Louise d’Aarberg, la quale portò in dote  alla famiglia la signoria svizzera di Vallangin e la baronia lorenese di Bauffremont. Barone di Aymavilles, signore di Châtillon, Ussel e Saint-Marcel, Issogne, Verrès, Virieu-Le-Grand e Coligny, Renato divenne personaggio tra i più prestigiosi della corte di Chambéry, assumendo le funzioni di luogotenente generale della Savoia e del Piemonte e governatore della Savoia e della Valle d’Aosta in un momento delicatissimo della vita del ducato, occupato dalle truppe francesi. 

La sua vita familiare fu, come quella politico-diplomatica, intensa e travagliata. La prima moglie, Biancamaria di Gaspardone (o Scapardone), appartenente a una ricca famiglia di Casale, fuggì dal castello di Issogne pochi mesi dopo il matrimonio, per nostalgia della bella vita milanese condotta nella giovinezza, e finì giustiziata nel castello sforzesco per aver commissionato un assassinio. La seconda moglie, Mencia di Braganza, cugina del re del Portogallo, dell’imperatrice e della duchessa di Savoia, si rivelò abile governatrice degli interessi del marito, nei lunghi periodi di assenza di questi, ma si lasciò morire di inedia per l’onta della fuga della figlia primogenita con uno scudiero del padre proprio la vigilia del matrimonio con un nobile trentino. Giovanni Federico Madruzzo – questo il suo nome – andò in sposo all’altra figlia, che, alla morte del padre, dovette combattere contro tutti (sorella e cugini) per conservare l’eredità. I suoi discendenti, fra cui si contano principi vescovi di Trento e il cardinale Carlo Gaudenzio Madruzzo, conservarono la signoria fino al 1696, anno in cui una sentenza riassegnò la successione del conte Renato ai discendenti dei suoi cugini maschi, i baroni di Châtillon.

Nel 1841, quando ormai la comunità si era affrancata da ogni dipendenza signorile, morì l’ultima contessa di Challant, la baronessa Gabriella Canalis di Cumiana, passando al secondo marito, Amedeo Passerin d’Entrèves, l’eredità di una delle più illustri e longeve famiglie nobili dei territori sabaudi.

Nella seconda metà del Settecento la corte torinese, nell’intento di modernizzare le strutture istituzionali dello Stato, dopo la fine del feudalesimo, promosse il catasto dei beni immobili, l’organizzazione del territorio in intendenze e la formazione dei nuovi consigli comunali, caratterizzati dall’elezione popolare e dall’esercizio a turno, da parte dei consiglieri, della funzione di sindaco. In Valle quest’ultima novità viene introdotta con il “Règlement pour l’administration économique du Duché d’Aoste” del 1762.

Le riforme successive alla promulgazione dello statuto albertino non ottennero l’adesione in massa del popolo valdostano, in gran parte conservatore e molto legato alle tradizioni religiose. L’abolizione di alcune feste religiose e l’introduzione di nuove tasse spinsero alcune comunità della bassa Valle a ribellarsi contro il governo di Cavour. Iniziata a Champorcher il 26 dicembre 1853 e sostenuta da alcuni sacerdoti, l’insurrezione si estese ai paesi vicini. Nella notte stessa a Issogne un gruppo di insorti si impadronì delle armi della guardia nazionale conservate nel municipio e diede fuoco a una bandiera del Regno. Una messa per il felice esito della sommossa fu celebrata dal parroco Antoine Gorret, successivamento incarcerato nel forte di Bard, ma tutto ebbe fine entro pochi giorni.

Nel 1867 una epidemia di colera colpì duramente la regione, provocando oltre mille morti, 96 dei quali solo a Issogne, il cui lazzaretto fu allestito nel castello.

Quarantasei sarebbero state le vittime della febbre spagnola del 1918, per lo più bambini; particolarmente tragica fu la vicenda della famiglia Quey, che in meno di due settimane vide morire la mamma trentanovenne, due figlie adolescenti e una neonata.

Una grave crisi economica spinse, a cavallo dei due secoli, numerosi abitanti a cercare lavoro all’estero. Nel 1913 si contavano un centinaio di emigrati: un decimo della popolazione, composto dalle persone più forti e abili al lavoro.

La comunità subì gravissime perdite anche nel corso della Grande Guerra: tra il 1915 e il 1918 morirono infatti, caduti in combattimento o a seguito di infezioni causate da ferite trentatré giovani soldati nostri concittadini.

Analoga sorte toccò a numerosi soldati della secondo guerra mondiale, tutti molto giovani: nove dei dieci soldati di Issogne morti avevano meno di 30 anni. Il più giovane tra quelli che non tornarono a casa, fu il ventenne Ottaviano Ruggeri, nato in provincia di Bologna nel 1923 e disperso dal 1943, l’anno dopo essere partito per l’Africa.

La costituzione dei primi nuclei di Resistenza in Valle d’Aosta è promossa da quelle forze autonomiste radicate nel mondo cattolico che nel corso del ventennio si erano raccolte nella Jeune Vallée d’Aoste e da nuclei di sinistra legati al mondo operaio.

Nella bassa Valle, una delle principali bande si forma a Issogne, in un ambiente in cui l’antifascismo ha radici profonde. In una riunione svoltasi il 27 novembre, alcuni giovani, tra i quali Martino Dublanc, i fratelli Vittorio e Mirco Borettaz, Aldo Dublanc, Attilio Cout, Aladino Cout e Mario Cout, decidono di costituire un primo nucleo armato, origine di quella che diventerà la seconda brigata Garibaldi (poi 176a).
Per la vita della banda fondamentale è il contributo della popolazione civile, che interviene per rifornimento di generi alimentari e vestiario, cura dei feriti e degli ammalati, raccolta e trasmissione di informazioni. Le armi sono strappate direttamente al nemico. Il 18 marzo 1944 dal presidio della Guardia nazionale repubblicana di Champérioux vengono prelevati un mitragliatore, tre mitra, 14 fucili, 70 bombe a mano e numerose munizioni.

Tra le principali azioni a cui partecipa la banda di Issogne vi è l’occuypazione di Verrès, il 1° maggio 1944: i partigiani scendono a Verrès dalla Valle d’Ayas, mentre da Arnad giunge anche la banda di Riccardo Joly. La popolazione di Verrès, raggiunta da abitanti dei paesi vicini, si riversa nelle case e forma un corteo lungo le vie del centro.

Talvolta la banda di Issogne opera congiuntamente ad altre formazioni partigiane: all’inizio del marzo 1944 interviene, attraversando il Col Finestra, a sostegno della banda di Perloz, attaccata da ingenti forze nazifasciste; a fine maggio raggiungere la Valle di Champorcher per contrastare un imponente rastrellamento; in luglio partecipa all’attacco al presidio delle SS di Brusson e, nel marzo 1945, alla battaglia che coinvolge tutta la bassa Valle.

Quasi duecento furono i caduti valdostani nella lotta di liberazione, fra cui i due capi riconosciuti, Emile Chanoux, leader politico autonomista e Pierre Lexert, carismatico capo militare.

Anche Issogne versò il suo tributo di sangue. Il 19 aprile 1944, Giovanni Battista Mussitelli, rientrato in paese dopo essere emigrato per motivi politici, viene sorpreso a Fleuran da una pattuglia di moschettieri delle Alpi e ferito mortalmente. Il 22 agosto seguente muore Martino Dublanc, stimato vicecomandante della brigata. In combattimento, cadono anche Mario Cout, Camillo Borettaz, Feruccio Foy e Giocondo Jacquin, mentre Aladino Cout muore nel campo di concentramento di Mauthausen.

Castello di Issogne

Una torre o casaforte fu costruita dal vescovo di Aosta, forse già nel XII secolo, sul luogo occupato dai resti di una villa “rustica” di epoca romana, venuta alla luce una cinquantina di anni fa nel sottosuolo dell’attuale castello. L’edificio antico è messo in relazione sia al toponimo Fleuran (Fioranum), riferito a una frazione del paese, sia a una iscrizione in latino rinvenuta durante gli scavi per la ricostruzione quattrocentesca del maniero e murata in una edicola del giardino interno.

A Issogne, il vescovo di Aosta afgiva sia come capo della diocesi, da cui dipendeva la locale parrocchia, sia come detentore della giurisdizione temporale.

Il suo potere “laico” venne tuttavia ripetutamente osteggiato dai vicini signori di Verrès, che si ritenevano i legittimi feudatari del territorio. Questi giunsero, nel 1333, ad attaccare la torre, che il vescovo aveva appena rafforzato con più efficaci sistemi difensivi, seminando terrore e morte. Bruciato e ridotto a rovina, l’edificio fu acquisito mezzo secolo dopo da Ibleto di Challant, che nel frattempo era subentrato anche ai Verrès nella signoria omonima.

Fu lui a ricostruire la torre, a edificare un importante corpo di abitazione, ricavando, tra queste e altre costruzioni, un piccolo cortile e racchiudendo il tutto entro una cinta muraria.

Alla sua morte il castello pervenne al figlio Francesco, che nel 1424 ottenne dai Savoia il titolo di conte. Per esigenze economiche, questi impegnò la signoria ad altri nobili e, nel 1442, morì privo di figli maschi.

La lotta per la sua successione tra le figlie – in particolare Caterina, la cui ribellione è celebrata durante il carnevale di Verrès – e i cugini maschi si risolse con la vittoria di Giacomo di Challant-Aymavilles (1456).

E’ probabilmente al figlio e successore di Giacomo, Luigi, che si deve l’idea di trasformare il castello di Issogne in un vero palazzo. Egli tuttavia morì giovane (1487) e l’iniziativa fu presa dalla vedova, Marguerite de La Chambre, e dal cugino priore Giorgio di Challant-Varey, grande figura di mecenate e committente, che gli studi universitari tra Francia e Italia avevano reso colto e aperto alle diverse correnti artistiche del tempo.

I lavori al castello si svolsero circa l’ultimo decennio del XV secolo, e consistettero più nel ricongiungere edifici di epoche diverse, attraverso loggiati e corridoi che non nel ricostruire ex-novo il maniero. Il tutto fu ricoperto da uno strato di intonaco e decorato con varie serie di affreschi. La facciata verso valle – ora grigia e slavata – fu probabilmente dipinta di bianco, in modo da attrarre lo sguardo di coloro che transitavano per la strada al di là della Dora. Alcuni finti cornicioni, che da lontano sembravano di pietra e di mattone mattone, furono dipinti sotto il tetto o attorno alle finestre per far sembrare il tutto più ricco e rifinito e probabilmente per evocare i colori araldici di Casa Challant.

Il castello che fu consegnato a Filiberto di Challant, figlio del conte Luigi, e alla sua sposa, Louise d’Aarberg, doveva risplendere di una bellezza mai vista nei territori alpini, ricco di colori e di elementi simbolici, degna residenza di una delle famiglie più in vista nella corte sabauda. Un inventario del 1565, stilato alla morte del conte Renato, figlio di Filiberto, ci trasmette l’immagine di un castello ancora riccamente ammobiliato, dotato di arazzi, dipinti e corredi di pregio.

Dopo i fasti del Cinquecento, il castello, che fu abitato sempre con minore intensità senza peraltro venire mai abbandonato, declinò a partire dal secolo successivo. Dopo essere stato nelle mani dei discendenti di Isabella di Challant, i Madruzzo principi di Trento, e in quelle dei discendenti di questi, i Lenoncourt e i Carretto di Balestrino, tornò agli Challant sul finire del Seicento.

Estintasi la casata fondatrice nel 1841 con la morte dell’ultima contessa, Gabriella Canalis di Cumiana, il castello pervenne ai nobili Passerin d’Entrèves. Nel 1872, dopo un paio di ulteriori passaggi di prioprietà, fu acquistato da Vittorio Avondo, un pittore di Torino impegnato nel recupero dei castelli medievali in Piemonte e Valle d’Aosta, che riportò l’edificio allo splendore originale, aprendolo poi al pubblico come museo.

Essendo privo di discendenza diretta, Avondo stabilì che alla sua morte (1910) il castello passasse allo Stato italiano, perché continuasse a essere visitato dagli appassionati di arte e di storia.

La facciata grigia che accoglie oggi il visitatore era un tempo scialbata e doveva essere notata anche da lontano, dai viandanti che percorrevano la strada principale, oltre la Dora Baltea. Le cornici delle finestre erano decorate ora a finta pietra, ora a finto mattone, proponendo, insieme al bianco delle pareti, i colori araldici della famiglia fondatrice.

Frutto di interventi successivi, succedutisi dall’epoca romana fino al definitivo assetto tardoquattrocentesco, e persa anche la cromia originale, l’esterno non si rivela oggi particolarmente attraente e non appare certo quello scrigno di quelle bellezze artistiche che invece si rivelano appena varcato il portale di ingresso.

L’ampio cortile interno, su cui si affaccia un giardino all’italiana circondato da mura di contenimento del terreno circostante, è dominato da una particolarissima fontana, che desta meraviglia per la bellezza del manufatto e per la ricchezza di simboli che intende rappresentare.
Si tratta di una vasca ottagonale, che evoca i battisteri paleocristiani, dunque la rigenerazione cristiana, al cui centro è un albero di ferro battuto, con i frutti del melograno, simbolo di prosperità, e le foglie della quercia, simbolo della fortezza d’animo e della longevità. Tra i rami, sbucano quattro zampilli, che evocano i fiumi del paradiso terrestre, sovrastati da altrettanti piccoli draghi. Questi ultimi erano gli attributi iconografici di due santi, Giorgio e Margherita di Antiochia, e probabilmente rappresentavano la firma dei committenti del rinnovo del castello, Giorgio di Challant e Marguerite de La Chambre.

A fare come da quinta alla fontana, le pareti del cortile interamente affrescate con stemmi dei personaggi più importanti della famiglia Challant, “miroir pour les enfants” , esempio per le nuove generazioni, come diceva una scritta ora scomparsa.

Il giardino occidentale è separato dal cortile da alcuni gradini e da due grandi volute in muratura, quanto rimane della cinta muraria del maniero più antico. Anche le sue pareti erano interamente affrescate, con le immagini dei grandi letterati della classicità greca e romana e con le figure degli eroi ed eroine della mitologia, della Bibbia e della storia, di cui rimangono ormai poche tracce.

Il porticato d’ingresso al castello, che dava in origine accesso al cortile, è a sua volta interamente dipinto con popolarissime scene di vita tardomedievali. Attraverso la rappresentazione degli ambienti commerciali, il committente ha voluto probabilmente esaltare la floridezza economica assicurata dal buon governo dei conti di Challant. Così, nell’affresco del corpo di guardia, si osservano i soldati in abiti civili bere e giocare al tavolo di una taverna; nell’affresco del mercato, una varietà inverosimile di merce è disposta sui banchi dei venditori, in un ambiente di grande vivacità, mentre il panettiere inforna sfoglie di pasta di pane, probabilmente farcite di frattaglie, e il sarto è impegnato nel tagliare stoffe e confezionare vestiti. L’affresco dello speziale si presenta a sua volta molto ricco di particolari, riconducibili alle diverse “categorie” della medicina del tempo: quella ufficiale (appese ci sono spugne soporifere, usate per le operazioni chirurgiche), quella popolare, a base di piante ed erbe, e infine quella devozionale, rappresentata dagli oggetti ex-voto di cera appesi all’ultimo ripiano, in alto. Infine, il formaggiaio e salumiere mostra intere forme di diverse qualità di formaggi – tra cui senza dubbio la fontina e il seras -, salumi e, in primo piano, due botti contenenti probabilmente acciughe in salamoia.

L’attuale allestimento interno del castello risale al tempo di Vittorio Avondo (1910), ultimo proprietario privato, che già volle aprire il maniero alle visite.

La sala da pranzo, col tavolo imbandito, la cucina col suo monumentale camino, la cosidetta “sala delle armi”, in cui è stata ricreata con corredi soldateschi la scena affrescata nel porticato, l’appartamento di Giorgio di Challant, il cui oratorio è interamente affrescato, come quello sottostante della camera “della contessa”, sono begli esempi di ambienti riconducibili all’epoca tardogotica.

Tuttavia, sono la cappella, la camera “del re di Francia” e la sala “di giustizia” a testimoniare quanto fosse ricco il castello alle sue origini.
Nella cappella risplende in tutta la sua doratura l’altare di legno scolpito e dipinto secondo lo stile borgognone, risalente ai primi anni del Cinquecento. L’Annunciazione, il matrimonio della Vergine, l’Adorazione dei magi, la Circoncisione e la Strage degli innocenti sono raffigurate sulle ante del polittico, mentre al centro è scolpita la Natività.

Nella camera detta “del re di Francia” spicca la decorazione con stemmi a gigli dorati su fondo blu, sul camino e sul soffitto, che, tra l’altro, alla luce delle candele o dei lumini a olio doveva apparire come un cielo stellato, mentre le pareti sono decorate a finte tappezzerie. La sala “di giustizia” o “baronale”, spazio pubblico di rappresentanza, si presenta interamente affrescata e arredata con una lunga cassapanca neogotica. I feudi dei signori di Challant, Gerusalemme, scene di caccia e di partenze di navi sono affrescati sulle pareti, circondando interamente il visitatore. Sopra il trono è dipinto il giudizio di Paride, ulteriore testimonianza della cultura classica che ha ispirato il fondatore.

Chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta

Non sappiamo in quali circostanze i nostri antenati di Issogne abbiano aderito, al tempo del declino della civiltà romana (V secolo), alla religione di Cristo. Possiamo immaginare che il passaggio sia stato graduale: la necropoli pagana si è probabilmente trasformata un po’ alla volta in un cimitero cristiano e attorno a questo la gente ha cambiato altrettanto gradualmente la mentalità, iniziando a credere nel messaggio evangelico e a nutrire speranza nella vita eterna.

La prima testimonianza storica sulla presenza di un edificio religioso a Issogne risale tuttavia solo al 1152: una bolla del papa Eugenio III di quell’anno menziona tra i beni dipendenti dal vescovo di Aosta una cappella in un luogo identificabile col nostro paese. La stessa cappella è definita “chiesa” appena ventiquattro anni dopo, nella bolla del papa Alessandro III del 20 aprile 1176, nella quale figura anche la chiesa di Saint-Solutor.

Quest’ultima, indicata nei documenti antichi col titolo di “annexe”, è stata sempre unita a quella di Issogne e non ha mai avuto titolari propri, pur conservando fino ai nostri giorni prerogative riservate solitamente alle chiese parrocchiali, come la celebrazione delle funzioni festive e dei funerali e la presenza del cimitero.

Sulla nostra comunità il vescovo conservò a lungo anche un potere civile (ne era cioè signore), che cedette solo nel 1379 ad Ibleto di Challant. Centro della sua giurisdizione era una torre, a partire dalla quale si sviluppò l’attuale castello.

La dipendenza della parrocchia dal vescovo di Aosta fu attenuata nel 1665. Il diritto di scelta del parroco passò allora ai conti di Challant, che tra alterne vicende lo conservarono fino alla rinuncia definitiva da parte della vedova dell’ultimo conte, nel 1825.

Non conosciamo il luogo in cui si trovava la chiesa di cui parlano i documenti più antichi. Nel XV secolo l’edificio parrocchiale si trovava addossato al castello. In occasione della visita pastorale del 1528 il vescovo Gazino, d’accordo con Renato di Challant, diede ordine che fosse ricostruito altrove, ma i lavori non vennero eseguiti.
Agli inizi del Settecento la stessa chiesa fu seriamente danneggiata nelle sue strutture – pare a causa di un’alluvione – e resa impraticabile. Solo allora, al tempo del parroco Jean-Martin Lucat, non potendo rimandare il problema, si decise di ricostruirla.

Il 12 dicembre 1730 la comunità di Issogne e il conte Charles-François si accordarono sulla spartizione degli oneri: la popolazione si impegnò a demolire il vecchio edificio e a fornire la manodopera per il trasporto del materiale necessario alla costruzione del nuovo. Il conte di Challant mise a disposizione la parte di sua pertinenza dell’appezzamento su cui sarebbe sorta, a sue spese, la nuova chiesa, in cambio dell’acquisizione della zona sgomberata. Il cantiere durò una decina d’anni. Il 24 aprile 1745 l’edificio potè infine essere consacrato dal vescovo Pierre-François de Sales.

Della chiesa più antica rimase attivo ancora a lungo il campanile, utilizzato anche come torre d’angolo del castello. Nonostante le ripetute proteste dei conti di Challant, costretti a sentire rimbombare tutte le stanze del maniero ogni qual volta le campane si mettevano a suonare, la nuova torre campanaria non veniva costruita. Ancora nel 1877, Parrocchia e Amministrazione comunale, unite, vinsero un processo contro il nuovo proprietario del castello, il pittore torinese Vittorio Avondo, sulla proprietà della torre in questione.

L’archivio parrocchiale di Issogne conserva varie testimonianze di lavori successivi. Nel 1816-1818 Luigi Artari eseguì alcune pitture, fra le quali forse anche la Vergine Assunta sulla facciata. Nel 1869 fu firmata una convenzione tra la “fabrique” della parrocchia e gli impresari muratori Giuseppe e Costante Vercellone per una serie di riparazioni al tetto e alla volta della chiesa. Nel 1878 lo stesso Costante Vercellone presentò un preventivo per il restauro della facciata, per il quale fu proposto nel 1890 un nuovo progetto, a testimonianza che gli interventi non erano stati nel frattempo eseguiti. Nel 1890 fu rifatta dall’impresario Joseph Bosonin di Donnas la volta della chiesa, che presentava vistose crepe e minacciava di rovinare; quattro anni dopo fu chiamato ad affrescare la chiesa il pittore Pietro Silvestro di Aosta.

Importanti lavori furono eseguiti nell’immediato dopoguerra. Furono restaurati il tetto e la facciata (risalgono solo a quest’epoca le statue poste nelle nicchie della facciata). Il pittore Ettore Mazzini decorò l’abside con le rappresentazione dell’Ultima Cena, dell’Assunzione della Vergine e della Croficissione (1947). Successivamente fu risistemato il coro con le nuove boiseries e furono sostituiti i banchi. Nel 1958-59 furono costruiti il nuovo campanile e la casa del parroco, quindi, nel 1963, fu installato l’organo.

L’ultimo importante cantiere che ha coinvolto la nostra chiesa prima degli ultimi lavori è stato quello per la ridecorazione dell’interno da parte dell’artista Luciano Bartoli di Padova (1972-73).

Tra il 2002 e il 2003 si è infine provveduto a rifare il tetto, ridipingere la facciata e rintonacare il campanile. Quest’ultimo lavoro ha potuto essere eseguito grazie all’importante contributo dell’Amministrazione comunale.

La ridipintura della facciata – avvenuta in seguito ad indagini stratigrafiche condotte da una ditta di restauratori – ha restituito all’edificio l’aspetto che possedeva in origine, dal colore paglierino uniforme interrotto dalla fascia orizzontale a losanghe azzurre lungo il cornicione del timpano.

Chiesa di Saint-Solutor

La zona della Rivière, dipendente nell’ambito religioso dalla parrocchia di Issogne, apparteneva un tempo per il civile alla signoria di Verrès. Solo nel 1781 il territorio delle frazioni di Clapeyas, Fava, Fleuran e Mure fu aggregato a quello di Issogne.

La chiesa di Saint-Solutor conserva elementi architettonici molto antichi, che la fanno risalire almeno ai primi secoli del secondo millennio.

All’esterno, la struttura medievale dell’edificio è ben percepibile nelle lesene romaniche terminanti in alto con archetti ciechi e negli affreschi della facciata, datati agli anni ’20 del Quattrocento e attribuiti allo stesso maestro che aveva decorato, qualche anno prima, la chiesa di S. Martino di Arnad. A sinistra, entro uno spazio delimitato dagli archetti, campeggia in grandi dimensioni la figura di san Cristoforo, riconoscibile dal bastone fiorito, dai piedi nudi immersi nell’acqua e dalla presenza del Bambino sulla spalla sinistra; al centro è rappresentato san Francesco che riceve le stimmate; a destra si osserva la Madonna seduta in trono, col Bambino sulle ginocchia.

Lo spazio interno ha subito nel corso dei secoli alcuni rimaneggiamenti, fino ad assumere l’aspetto attuale. In particolare sono state costruite le volte in luogo dell’originario soffitto di legno e sono state aperte nuove finestre per favorire l’illuminazione della navata.

L’aggiunta di un’abside quadrata, in cui sistemare il bell’altare barocco dipinto e dorato, ha comportato l’allungamento dello spazio interno della chiesa.

Oratori

La devozione nutrita dai vecchi abitanti di Issogne nei confronti della Vergine e dei Santi è testimoniata dalla presenza di un gran numero di oratori eretti nei villaggi, lungo i sentieri e le strade. I più importanti sono quelli di Mure e di Télin, meta un tempo con quello di Echallod delle processioni delle Rogazioni. 

L’oratorio di Télin fu costruito sul luogo di una sorgente che sarebbe scaturita miracolosamente dal terreno in un periodo di grande siccità. Secondo una pia tradizione, la Vergine venerata in quel luogo procura agli agonizzanti che a lei ricorrono una morte dolce e serena.

L’edificio medievale dai finestroni a volta che sorge sul sagrato della chiesa rappresenta, assieme al vicino castello, alla torre “Colombière”, alla cappella del Saint-Suaire e alla chiesa di Fleuran, quanto rimane delle strutture medievali del paese.

Nell’inventario dei beni del castello redatto alla morte del conte René de Challant (1565), la costruzione figura come maison appellée les escuries du chasteau, avec ses pagliers au dessus. Si può immaginare che, nata con le funzioni di scuderia del castello, sia stata trasformata nella prima metà del Cinquecento in abitazione.

Nel 1730 la parte inferiore della parete occidentale divenne muro di contenimento del terrapieno su cui fu costruita la nuova chiesa parrocchiale, fino ad allora addossata al castello.

Abbandonato nei primi anni ’70 del nostro secolo, il vecchio edificio si ridusse in condizioni deplorevoli. Acquisto e restaurato dal Parroco (1995-1996) è oggi sede dell’Oratorio.

Cappella del Saint-Suaire

La cappella del Saint-Suaire, all’ingresso del paese, fu fatta costruire probabilmente dal fondatore del castello Giorgio di Challant o dal conte Renato di Challant, all’inizio del Cinquecento. 

Sin dai primi tempi, nella Settimana Santa era meta di una processione che partiva dalla cappella del castello. 

Nel passato era anche tradizione che i fedeli portassero i berretti dei bambini pieni di grano o altre offerte per ottenere la guarigione dalla crosta lattea e dalle fontanelle.

Cappella di Saint Roch e Saint Clair

La cappella di Saint Roch e Saint Clair a Bosset fu costruita dopo la terribile epidemia di peste degli anni 1629-1630 per volontà dell’amministrazione comunale del tempo. Sulla facciata sono dipinte le immagini dei santi titolari, assieme a quella della Vergine. 

La festa patronale è celebrata il 16 agosto e si conclude con la distribuzione del pane benedetto e l’incanto a beneficio della cappella.

L’edificio, gli affreschi interni ed esterni, e i suoi dipinti sono attualmente sottoposti a restauro.

Cappella di Visey  

La cappella di Visey è dedicata alla Madonna della Neve. Fondata da Pierre Allemand nel 1681, è meta la domenica più vicina al 5 agosto (festa patronale) di una processione che parte da Pianfey. Anche la messa celebrata a Visey si conclude con la distribuzione del pane benedetto e con la vendita all’incanto di prodotti offerti dai fedeli. Oggetto di profonda devozione è l’immagine della Madonna: una statua dorata risalente probabilmente alla fondazione della cappella.

Parco naturale del Mont Avic

Il parco naturale del Mont Avic (in francese, Parc naturel du Mont Avic) è un'area naturale protetta della Valle d'Aosta e ha una superficie di oltre 5.747 ettari. Primo parco naturale regionale della regione, dopo il parco nazionale del Gran Paradiso, creato nel 1989 ed ampliato nel 2003, è esteso tra il vallone di Champdepraz e la Valle di Champorcher, solcato dal torrente Chalamy, in posizione appartata rispetto alle grandi rotte turistiche valdostane. Le alte vette aguzze dei monti Avic (3003 metri), Iverta (2936 metri) e Glacier (3186 metri) separano il vallone di Champdepraz dalla valle di Champorcher. Nel parco è presente la più estesa foresta di pini uncinati (Pinus mugo) della Valle d'Aosta: oltre 980 ettari.  

Diversi sono i sentieri del parco: il più frequentato è quello che parte dalla valle di Champorcher ed attraverso il Colle del Lago Bianco (in francese, Col du lac blanc) scende nel vallone di Champdepraz, con in sfondo il Cervino e il Monte Rosa, tocca il lac Blanc, affiancato dal Rifugio Barbustel (2200 metri), ed il lac Cornu, per raggiungere poi il Gran Lago (Grand Lac), il più esteso lago naturale della Valle d'Aosta; percorrendo invece la Valle di Champorcher si può raggiungere il lago Misérin (22 ettari) a 2576 metri di quota, e, lungo l'antica strada di caccia dei Savoia, la Fenêtre de Champorcher, valico situato a 2826 metri di quota che permette l'accesso al vallone dell'Urtier.

Esistono altri sentieri che partono dalle frazioni di Chevrère e di Veulla (capoluogo) di Champdepraz, a quota 1300 metri, e toccano altri laghi, altre foreste e alcune testimonianze di attività minerarie del passato.  

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