Saint Pierre
(Aosta)

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Situato alla sinistra orografica della Dora Baltea, al confine dell'agglomerazione della Plaine di Aosta, all'adret rispetto a Aymavilles, è una delle zone più soleggiate della Valle d'Aosta.  

Alcuni gruppi abitativi ritrovati sulla collina di Châtelair risalenti al 3000 a.C. fanno di Saint-Pierre uno dei primi villaggi della Valle d'Aosta.

La presenza di due castelli sono l'inequivocabile memoria delle due nobili famiglie che governarono la località lungo il corso del Medioevo: quella dei Sancto Petro e quella dei Sarriod de la Tour.

Durante il periodo fascista i comuni di Saint-Pierre, VilleneuveSaint-NicolasAymavilles e Introd furono accorpati in un'unica amministrazione recante la denominazione di Villanova Baltea. Dopo la caduta del regime, i comuni furono ristabiliti.  

Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica dell'8 agosto 1994.

«Di argento, alle due crocette patenti, poste in palo, la superiore di rosso, l'inferiore di nero, accostate da due chiavi, poste in palo, con l'ingegno all'insù e volto verso i lembi dello scudo, di rosso. Ornamenti esteriori da Comune.»

Lo stemma comunale riprende il blasone dela famiglia de Saint-Pierre, presente in Val d'Aosta dalla fine del XII secolo (d'argento, a due crocette patenti ordinate in palo, di rosso, accostate da due chiavi addossate dello stesso), variando soltanto il colore di una delle crocette da rosso a nero in modo da ottenere la bicromia presente nella bandiera della Regione.

Il gonfalone è un drappo partito di nero e di rosso.

Il comune di Saint Pierre, oltre 2600 ettari di natura e cultura dell'uomo, è l’ambiente ideale per ritrovare dal vivo le suggestioni e le tante notizie apprese nella visita al suo museo. Si tratta di un ambiente conservato con attenzione, per poterne utilizzare le risorse senza impoverirlo, garantendone l'uso alle generazioni future. È un continuo scoprire di valli, boschi, torrenti, pascoli, in un susseguirsi di ambienti di grande pace e suggestione. Improvvisi antiche dimore appaiono immerse in grandi frutteti, testimonianza perenne dell'incessante lavoro di una popolazione inserita da sempre nella natura.

Una natura che si potrà scoprire con infinite offerte di escursioni e sport come il trekking e le passeggiate a cavallo con cui si potranno attraversare vallate, fiumi, crinali e torrenti, vivendo il paesaggio nella sua forma migliore. Proprio nelle acque limpide e impetuose dei tanti torrenti che solcano le montagne, si potranno praticare sport più avventurosi come il rafting, le discese dei fiumi con i gommoni, la canoa, il kayak, l'idrospeed.

In una regione che vanta quasi tutte le cime d’Europa oltre i 4000 metri, lo sport principe non poteva che essere l'alpinismo e qui c'è solo l'imbarazzo della scelta, tra free-climbing, arrampicate sulle cascate di ghiaccio e salite tradizionali su infinite pareti di ogni difficoltà.

Ciò che colpisce, in particolare, in tutta la Regione, è la straordinaria unità culturale e paesaggistica che la popolazione è riuscita a conservare nei secoli; anche dal punto di vista puramente estetico, ogni centro, infatti, anche il più piccolo, ha sempre rispettato un'architettura pratica ed elegante nella sua semplicità. Basti osservare i tetti, tutti costruiti con una particolare pietra che, nella sua uniformità, conferisce ad ogni paese uno stile inconfondibile. Uno stile che costa caro, dal momento che il materiale ha un prezzo superiore alle banali tegole e, per di più, a causa del suo peso, obbliga a costruzioni più solide, ma che è mantenuto maniacalmente in tutta la regione, quasi a voler ricordare sempre al visitatore l'orgoglio di appartenere ad una terra unita e dalla storia antica.

Così come antichi sono i ritmi e i metodi di lavorazione della terra, vecchia amica trattata sempre con rispetto e umiltà.  

La bellezza ambientale e l'estrema cordialità dei valdostani non poteva poi non favorire la nascita di vacanze nella natura; ecco allora i tanti agriturismi accoglienti e tradizionali dimore spesso dotate di stalle e animali, dove i proprietari accolgono gli ospiti nella loro vita quotidiana. Si scoprono così i segni che l'uomo e la natura hanno lasciato nella terra e si partecipa alle esperienze degli uomini della montagna, a cominciare dall'attività principe, il pascolo del bestiame.

Le mucche in Val d'Aosta non solo animali qualsiasi, la loro straordinaria utilità nel costruire una catena alimentare di grande sapore e genuinità ha portato ad un rispetto assoluto per questi animali che, pur se allevati oggi in stalle attrezzate con le più sofisticate ed tecnologie, all'apparire della buona stagione vengono immediatamente portate sui pascoli per permettere un'alimentazione e un ritmo biologico che non conosce le devastanti conseguenze prodotte dalla moderna chimica alimentare. È quindi l'assoluta genuinità di vita e di nutrizione, che ha portato questa particolare razza bovina a diventare una delle più conosciute e stimate d’Europa. Un rispetto così alto per questi animali può non far comprendere il significato di una delle tradizioni valdostane più antiche, la battaglia delle regine. Veri e propri tornei dove splendidi esemplari si sfidano fino all'elezione, appunto, della regina; un ennesimo simbolo del forte attaccamento dei valdostani alla loro cultura popolare. Gli scontri, naturalmente, sono assolutamente incruenti, dal momento che l'indole di questi animali, è buona proprio come il loro latte. Un latte mitico dal quale, collaborazioni spesso ancorate alla preistoria ma ancora perfettamente validi oltre che molto suggestive per il visitatore, vengono tratti i prodotti ormai conosciuti in tutto il mondo.

Di tutti i prodotti però uno merita una citazione particolare, la fontina, il mitico formaggio con denominazione di origine protetta che è certamente una delle tentazioni gastronomiche valdostane più seducenti. È un formaggio prodotto con latte intero a pasta semicotta con elevatissimo valore nutritivo e proteico anch'esso lavorato con attrezzi e tecniche semplici e codificati da secoli di esperienza. Ed è proprio la fontina ad essere alla base di molti piatti che vanno a formare la straordinaria gastronomia valdostana, una gastronomia che è possibile apprezzare sia nelle ricette della tradizione che nelle lavorazioni più attuali, ma sempre basate sui prodotti che la terra generosamente dona.  

E un'altra cultura secolare, quella della vite, permette a questa piccola regione di produrre oltre 25 vini doc, bianchi, rossi e spumanti, apprezzati ovunque per la loro qualità. Vini che accompagnano poi la tradizione delle grappe, aromatizzate con fantasia. Tipico proprio di San Pierre è il rinomato vino Torrette.

Anche l'artigianato segue le regole del tempo, utilizzando i materiali di sempre, soprattutto in legno, talora affiancati da strumenti più moderni per la lavorazione, come nel caso delle grolle. Si tratta di tipici boccali in legno spesso scavati e scolpiti a mano con motivi e decorazioni di origine medievale, il cui nome sembra derivi addirittura dalla tradizione del sacro Graal, la Coppa in cui bevve Gesù nell'ultima cena. Il loro uso, insieme alla coppa dell'amicizia, un altro recipiente in legno, dai cui numerosi beccucci si beve a turno caffè caldo aromatizzato con liquore, è nato proprio per vivere in gruppo e in allegria, cementando quella cordialità e ospitalità che fa, da sempre, di questa terra un mondo cordiale e felice.

E l’insieme di tutto ciò che abbiamo visto, gastronomia, musica, tradizioni, divertimento, costituisce stesso l'ingrediente delle feste e delle sagre che a Saint Pierre e negli altri comuni del comprensorio del Gran Paradiso, animano i paesi. Queste occasioni di serenità, unite a scenari quasi irreali per la loro suggestione, compongono un ambiente vivo, dinamico, in simbiosi con una cultura millenaria. Un territorio che ancora oggi segue i cicli della natura, raccogliendone con parsimonia i suoi frutti, un ambiente da conoscere e visitare, affinché la sua tutela rappresenti la necessaria continuità fra un passato glorioso in un futuro ugualmente importante.  

Monumenti e luoghi d'interesse

CASTELLO DI SAINT-PIERRE - Collocato su uno sperone roccioso in località Tache, inconfondibile per la sua foggia fiabesca, il castello di Saint Pierre rappresenta un unicum nel suo genere.

Le famose quattro torrette laterali (aggiunte nell´800) rendono quasi disneyano quello che risulta essere uno tra i più antichi manieri della regione. La struttura primitiva dovrebbe risalire al XII secolo in quanto, nella famosa Carta delle Franchigie del 1191, figurano i nomi dei fratelli de castro Sancti Petri, comproprietari di una parte del castello. Tra i proprietari che si susseguirono merita una citazione Pietro Filiberto Roncas, che ampliò il castello e diede al suo interno numerosi ricevimenti.

Da allora, era il Seicento, il castello subì alcune modifiche e soprattutto cambiò più volte i proprietari sino ai giorni nostri dove, divenuto di proprietà del Comune di Saint Pierre venne utilizzato come sede del Museo Regionale di Scienze Naturali dal 1985 fino alla sua chiusura, resasi necessaria per lavori di restauro.

Messe in sicurezza le strutture architettoniche e consolidati i solai lignei ed i pavimenti, sono stati installati nuovi impianti tecnologici ed un ascensore. Il restauro delle facciate esterne e delle sale interne ha permesso la riallestimento del museo e la sua riapertura a fine 2022.

CASTELLO DI SARRIOD DE LA TOUR - L’esistenza della nobile famiglia Sarriod, legata politicamente ma non da vincoli di parentela ai signori di Bard, è attestata fin dal XII secolo. Rimangono comunque oscure le origini del castello, situato a Saint-Pierre in una zona pianeggiante a poca distanza dalla strada statale.

L’impianto più antico comprendeva la cappella e la torre centrale a pianta quadrata (donjon) circondata da una cinta muraria, configurazione tipica dei castelli valdostani risalenti al X-XII secolo.

Nel 1420 Jean Sarriod fece costruire, dove già esisteva la torre denominata fin dal XIV secolo “turris Sariodorum”, un vero e proprio castello con funzioni di rappresentanza mediante l’aggiunta di una serie di corpi al donjon preesistente. A questo intervento risalgono la realizzazione della scala a chiocciola della torre (viret) e l’inserimento delle finestre crociate in pietra da taglio caratteristiche del Quattrocento valdostano. Nel 1478 il figlio di Jean, Antoine Sarriod de la Tour, trasformò la cappella intitolata alla Vergine e a San Giovanni Evangelista, occasione in cui furono realizzati gli affreschi esterni con la Crocifissione e San Cristoforo e fu elevato il piccolo campanile. Nell’ala nord, al piano terreno, si apre un vasto locale di servizio con copertura in legno; al primo piano è situata la cosiddetta “sala delle teste”, che prende il nome dalla decorazione del soffitto ligneo.

Nel tardo XV secolo la cinta muraria venne munita di torri difensive a pianta circolare e semicircolare e fu aperto sul lato orientale il nuovo ingresso al castello con portale a sesto acuto e archivolto scolpito recante lo stemma dei Sarriod.

La discontinuità fra le quote di livello nei vari ambienti attesta i diversi interventi succedutisi nei secoli successivi. Nel XVI secolo sorse l’ala che oggi costituisce il prospetto orientale, la torre all’angolo nord risale al XVII secolo e alcuni frammenti di pitture murarie e un camino in stucco sono della prima metà del ‘700.

Il castello rimase di proprietà dei Sarriod de la Tour fino al 1923 quindi passò alla famiglia Bensa di Genova. Dal 1970 appartiene alla Regione autonoma Valle d’Aosta.  

COMPLESSO D'EPOCA DEL PRIORATO DI SAINT-JACQUEME - L’origine del Priorato di Saint-Pierre è incerta, tanto da aver generato discussioni e parecchi equivoci.

Una tradizione antica, ma acritica e non basata su documenti, riteneva di poter far risalire la fondazione del “Prieuré de Saint-Jacqueme de Chatel-Argent” al V secolo, ad opera dello stesso S. Giacomo (Saint-Jacqueme), primo vescovo di Tarantasia (inizio del V secolo d.C.).

La prima notizia, storicamente certa, relativa a questo Priorato ci è offerta dalla Bolla papale di Alessandro III, del 25 marzo 1176, indirizzata all’Arcivescovo di Tarantasia Aimone, nostro Metropolita, in cui sono ricordate tra le Chiese di sua diretta dipendenza, in Valle d’Aosta, oltre a quelle di Pollein e di Saint-Jacqueme in Aosta (attuale Seminario Maggiore), Ecclesiam Sancti Jacobi de Castro Argenteo cum pertinenciis suis (la Chiesa del Priorato di Saint-Pierre, allora detto di Saint-Jacqueme, con l’indicazione del toponimo di Chatel-Argent, cioè “Castro Argenteo” in latino, per distinguerlo dall’omonimo Priorato cittadino).

Nei primi anni del ‘200 il Priorato passa ai canonici di Saint-Gilles di Verrès e, da questi, alla Congregazione del Mont-Joux, detta anche del Gran San Bernardo, in quanto facente capo all’Ospizio posto su questo valico.

Tuttavia, come anche l’omonimo Priorato di Aosta, il complesso godette sempre di una certa indipendenza rispetto alla Congregazione, ciò che gli permise di non risentire del declino subìto dall’Ordine negli anni tra il 1438 ed il 1586 a causa del Consiglio di Basilea, delle Guerre di Borgogna e, soprattutto, della Riforma che avevano minato la solidità di una Prevostura (quella del Gran San Bernardo) che aveva possedimenti sui due versanti delle Alpi e doveva giostrarsi tra le varie fazioni.

La situazione del Priorato, alla metà del ‘500, è solida e fornisce proventi adeguati, ma i rapporti con il Vescovo della Diocesi sono piuttosto tesi: facendosi scudo dell’esenzione totale, concessa da papa Giovanni XIII, revocata da Martino V, e faticosamente riconquistata, l’Ordine del Gran San Bernardo, da cui il Priorato dipende, rifiuta la visita pastorale del Vescovo che, pure, ne rivendica il diritto, essendo i domini dei Canonici posti entro la sua Diocesi. La questione può sembrare oziosa, ma fu all’origine di discordie insanabili tra Ordine, Vescovo, Metropolita e Santa Sede.  

La situazione del Priorato rimane sostanzialmente stabile fino alla metà del ‘600 per precipitare il 22 febbraio 1676, quando alcuni soldati appiccarono il fuoco all’edificio che bruciò completamente, ad eccezione della Chiesa e della Torre. 

I documenti d’archivio parlano, piuttosto, di uno sparo accidentale d’archibugio tra la paglia, ma gli effetti furono disastrosi e l’allora prevosto Norat non poté affrontare che la spesa  per la risistemazione dei vani abitati dall’economo e dal fattore.

L’investitura di Jean-Pierre Persod a Prevosto (1693-1724) muta le sorti del Priorato che, per sua iniziativa, viene in parte ricostruito e dotato di una nuova Chiesa, per la quale egli pagò a Giacomo Pico e Giò Battista Cariste l’ingente somma di 5.080 lire.

Il Vescovo di Aosta benedice la prima pietra della nuova Chiesa nel corso del 1698 ed il suo coadiutore Bonifacio consacra la Chiesa ormai completata il 17 giugno 1700; queste date d’archivio trovano ampia conferma nel campanile, datato 1699.

Lo stesso Persod, nel 1700, sconsacra il vecchio cimitero, delimitandone uno nuovo e, tra il 1701 ed il 1702, fa riedificare con grande solennità la casa del Priorato, affidando la direzione dei lavori –pare- all’architetto Jacques Pie di Valsesia.

La situazione del Priorato peggiora rapidamente nel corso della prima metà del XVIII secolo: troppo appetibile dominio è attaccato più volte e saccheggiato dai Francesi, mentre le controversie sorte all’interno dell’Ordine, tra Prevosto, Consiglio e Sovrano di Casa Savoia, si 

concludono con la Bolla di Benedetto XIV che sancisce la separazione tra i due rami dell’Ordine e secolarizza tutti i beni del Grand-Saint-Bernard, affidandoli alla Sacra Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro (Ordine Mauriziano) di cui il Sovrano è Gran Maestro.

È l’anno 1752, che segna la fine dell’indipendenza del Priorato (ormai già detto comunemente di Saint-Pierre, ma ancora indicato negli atti ufficiali come Saint-Jacqueme de Chatel Argent) e dà inizio ad un periodo molto buio della sua storia.  

La Sacra Religione (Mauriziano) aveva solo interessi economici verso i possedimenti valdostani, di cui fa un accurato censimento; il notaio Antoine Borelly viene inviato, nel corso del 1753, a Saint-Pierre con l’incarico di stabilire il valore dell’immobile con i terreni di sua pertinenza e procedere alla vendita dei mobili e delle suppellettili reputate superflue.

Il Priorato, che era rimasto ininterrottamente sotto l’Ordine S. Bernardo dal 1466 al 1752, si vede così, spogliato di tutti i suoi beni, che vanno ad arricchire le casse della Sacra Religione.  

Da questo momento e fino al 1841 del Priorato si sa ben poco; il 20 novembre 1841 i Padri Gesuiti, rettori del Collegio di Aosta, propongono all’Ordine Mauriziano una permuta tra una montagna di loro proprietà alle falde del Monte Rosa ed il Priorato di Saint-Pierre, che vorrebbero rendere adatto a ritiro per esercizi spirituali; la proposta viene rifiutata perché una apposita commissione giudica la montagna offerta impervia e di scarso valore finanziario.

Una serie di conti da pagare per opere di manutenzione ed un incendio sviluppatosi, per cause accidentali, il 22 dicembre 1850, spingono l’Ordine Mauriziano a disfarsi di un immobile per cui non avevano mai avuto un serio interesse. È così che, nel gennaio del 1859, si conclude la vendita del Priorato alla Diocesi di Aosta nella persona del suo Vescovo Mons. André Jourdain per la somma di 47.000 lire.

Questo acquisto veniva incontro ai desideri del Clero valdostano che, da tempo, chiedeva al Vescovo di creare una casa di riposo per i sacerdoti anziani della Diocesi e getta le basi del Priorato attuale come luogo di pace e di meditazione.

I lavori di risistemazione cominciarono nel mese di maggio del 1859 e si conclusero nel dicembre dell’anno successivo, quando i primi sacerdoti anziani poterono entrarvi; tuttavia ancora una questione restava pendente: la “legittimità” della Chiesa del Priorato rispetto alla Chiesa parrocchiale. 

Il 26 ottobre 1863 il Vicario della Diocesi autorizza la pratica religiosa nella Cappella del Priorato pur ribadendo i diritti parrocchiali della Chiesa principale.

Nel primo decennio del ‘900 altri Ordini subivano, nel resto d’Europa, un regime di smembramento e confisca in cui la Francia inaugurava un atteggiamento di aperto anticlericalismo e la rottura delle relazioni con la Santa Sede; numerosi religiosi francesi cercarono, allora, rifugio in Valle ed il Priorato ospitò gli Oblati di Maria Immacolata che vi rimasero fin dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.  

Del 1956 sono i primi lavori di trasformazione in senso moderno della casa, con la sistemazione degli impianti e delle coperture; nel 1960 il canonico Alfonso Commod ingrandì il complesso per inserirvi un centro di spiritualità.

Negli anni 80 i fratelli canonici Camillo e Giulio Rosset continuarono questa opera di ingrandimento portando a 55 le camere per accogliere gli ospiti.

Dal 2005 al 2010 il sacerdote Luigi Maquignaz apportò delle grandi migliorie all'opera dei canonici Rosset.  

Oggi questa casa ha due scopi:

- ospitare i sacerdoti anziani: con cappella e sale proprie.

- accogliere gli ospiti: con camere singole, due saloni per riunioni, due biblioteche, due sale da pranzo e cappella privata.

CHIESA PARROCCHIALE DEI SANTI PIETRO E PAOLO - L’attuale chiesa di Saint-Pierre fu costruita interamente nel 1871-72 sui resti delle precedenti chiese di origine medievale. L’edificio è a pianta rettangolare ad una sola navata: i fratelli Alessandro ed Auguste Artari hanno decorato, nei primi anni del Novecento, la facciata e la volta e hanno raffigurato l’ultima Cena, gli evangelisti e alcuni santi valdostani sull’altare maggiore in marmo bianco, sormontato da una bella tela dipinta dallo Stornone nel 1889 in cui si distinguono Nostro Signore e San Pietro. La grande cornice è un’opera dello scultore Comoletti.

La chiesa ospita un pulpito in noce del diciottesimo secolo i cui pannelli intagliati rievocano la vita di San Pietro. Il campanile risale al dodicesimo secolo: si tratta di una torre squadrata in pietra intonacata che presenta feritoie dalla base alla cima e aperture a uno, due e fino a tre vani nell’alloggiamento delle campane.

CAPPELLA DI RUMIOD del XVI secolo;

CAPPELLA DI VETAN, precedente al XV secolo.

CHATEAU-FEUILLET, complesso non fortificato, a dispetto del nome, voluto dalla famiglia Gerbore nel XIX secolo.  

Fonte