Storico
capoluogo della Calabria
Ultra per oltre duecento anni,
la città è
sede dell'Università
degli Studi "Magna Græcia", il secondo ateneo calabrese
per numero di iscritti.
Alle sue porte vi sono i resti dell'antica città magnogreca e
poi romana di Skylletion,
patria di Cassiodoro,
che le fonti antiche dicono fondata dagli ateniesi guidati
dal loro leggendario re Menesteo.
Il capoluogo è
una città di collina - anzi, di colline, visto che occupa tre colli delimitati
da valli profonde - ma anche di mare. Il punto più alto del territorio comunale
si trova a quasi 700 metri di altitudine, quello più basso è la spiaggia di
Catanzaro Lido, che ovviamente è al livello del mare.
Il quartiere
costiero di Catanzaro ha poco da invidiare alle località balneari più famose
della Calabria: la spiaggia, di sabbia mista a piccoli ciottoli grigi, è lunga
e ben atrtrezzata e l'acqua è molto trasparente.
Catanzaro è
soprannominata "la città tra i due mari" perchè sorge nel punto più
stretto della Penisola, l'istmo di Catanzaro, dove lo Ionio e il Tirreno distano
tra loro appena 30 chilometri.
Il primo nucleo
dell'odierna città, posto su un'altura al centro e a difesa del golfo
di Squillace, sorse in epoca bizantina,
quando gli esuli di Scolacium (nome romano di Skylletion) e dei villaggi vicini
si rifugiarono sui colli in prossimità della costa per sfuggire alle razzie dei saraceni.
Questi primi abitanti erano probabilmente di etnia greca, come dimostra il
toponimo del più antico quartiere del centro storico, la Grecìa.
Le origini bizantine sono alla base dell'introduzione a Catanzaro dell'arte
della seta,
che portò la città a diventare e rimanere per diversi secoli il più
importante centro serico d'Europa.
Catanzaro era
anticamente conosciuta come la Città delle tre "V", riferite
alle sue tre caratteristiche distintive:
- V di San
Vitaliano, santo patrono;
- V di vento,
in quanto costantemente battuta da forti brezze provenienti dal mar
Ionio e dalla Sila;
- V di velluto,
in riferimento alla lavorazione della seta ("V V V" era la sigla con
cui venivano identificati, sui mercati nazionali ed esteri, i velluti, i damaschi ed
i broccati provenienti
da Catanzaro).
L'elemento
centrale dello stemma della città è l'aquila imperiale accordata da Carlo
V nel 1528,
in seguito alla resistenza offerta dai catanzaresi contro il francese Odet
de Foix de Lautrec, che voleva conquistare la Calabria; lo stemma è
completato da uno scudo che riproduce i tre colli su cui si erge la città e da
un nastro azzurro, stretto dal becco dell'aquila, su cui è riportato il motto
"Sanguinis effusione" ("con spargimento di sangue, ottenuta è
sottinteso"), motivato dalle perdite riportate in varie battaglie dai
combattenti catanzaresi.

Gli
insediamenti nella zona risalgono alla preistoria. Vari
ritrovamenti in contrada Pirivoli (quartiere Gagliano) di alcune asce amigdale e
di alcune grotte esistenti nella stessa zona testimoniano la presenza dell'uomo
fin dal Paleolitico.
L'ascia amigdale era a forma di mandorla e veniva ricavata da ciottoli
scheggiati da ogni lato. Altri ritrovamenti di notevole importanza datati
20.000 a.C. sono avvenuti nel quartiere presilano Cavorà,
in una grotta a circa 50 m di distanza dal Corace.
Lo storico
Lovisato afferma che "l'uomo preistorico ebbe le sue principali officine
litiche nell'istmo
catanzarese a partire dalle falde del colosso silano".
Hanno rilevante importanza i ritrovamenti di una stazione litica nei pressi del
quartiere di Catanzaro
Lido in cui sono stati rinvenuti numerosi oggetti e manufatti datati
12.000 a.C. A questo periodo vengono fatti risalire le prime forme di
commercio, soprattutto di ossidiana,
particolarmente abbondante nella zona tra Petrusa e Gallianus.
Nel tardo
neolitico comincia a prendere forma un'area policentrica formata da piccoli
villaggi sui colli Petrusa, Trivonà, Pozzo, Fontanelle e sulle rive dei fiumi
come Crotalla sul Crotalo e
Palepoli sul Massente, oggi Fiumarella.
Se oggi il centro nevralgico è il Trivonà, a quei tempi era Petrusa ove oggi
sono situati i quartieri Gagliano, Mater Domini e Sant'Antonio.
Intorno al
5.000 a.C. iniziò nell'area catanzarese un
forte sfruttamento delle miniere di rame,
situate nelle valli in prossimità degli attuali colli della città e in quelli
immediatamente vicini come Gimigliano e Tiriolo.
La lavorazione avveniva in alcuni antichi stabilimenti lungo la costa, a prova
di ciò sono stati fatti ritrovamenti di vaschette utilizzate per la fusione del
metallo nell'area di scolacium e
nell'attuale quartiere Catanzaro
Lido. Il rame estratto dalle miniere veniva inviato sulla costa tramite il Corace,
a quei tempi navigabile, e scaricate su alcune banchine situate in prossimità
della foce del fiume.
La presenza di
queste miniere, uniche in Calabria,
permise un forte sviluppo dell'area, soprattutto per via degli scambi
commerciali con altri metalli quali oro e argento, facilitati dalla posizione al
centro dell'istmo che
permetteva il rapido trasporto sulla sponda Tirrenica.
Proprio la posizione di dominio sull'istimo consentì
un ulteriore sviluppo dell'area in quanto rappresentata il passaggio terrestre
più agevole tra il Mar
Egeo ed il Mar
Tirreno. Nel suo "Catanzaro e Temesa, due storie:la stessa
storia", Luigi De siena identifica l'italica "Petrusa" con la
mitica "Temesa" omerica; Petrusa fu chiamata Temesa, che in semitico
significa "fonderia", dai commercianti orientali che la frequentavano
per le sue celebri miniere ma anche come via più veloce per raggiungere le
coste iberiche attraverso l'istmo catanzarese. Fra le tante prove che lo storico
cita nella sua opera si parla anche della scomparsa definitiva e immediata da
tutte le fonti storiche del mitico nome "Temesa" contemporaneamente
all'apparire del nuovo nome "Catanzaro".
Diversi
ritrovamenti datati intorno al II millennio a.C. di cuspidi, fibule, anelli,
catenelle, rasoi, piattini di bronzo confermano,
le tesi di molti storici, nel far partire l'Età
del Bronzo in Calabria intorno
tra il III ed il II millennio a.C. Questo periodo vide l'incremento di scambi
commerciali con Micenei e Fenici,
questi ultimi specialmente interessati al rame in
quanto piuttosto carente nella loro area di origine. La ricchezza portata dai
commerci, produsse un forte sviluppo e l'aumento della popolazione, soprattutto
lunga la costa che era oggetto di migrazioni da parte degli abitanti delle
alture circostanti.
L'espansione di molti antichi centri, come Crotalla (attuale
quartiere Marina
di Catanzaro) e altri villaggi della valle del Corace portò
ad un'unificazione territoriale dando vita ad un grosso centro che dopo fu
ribattezzato Scolacium.
Questo fiorente periodo fu però interrotto intorno al I millennio a.C. dallo
scoppio della Guerra
di Troia.
Intorno al X
secolo a.C., giunsero nell'area catanzarese gli Enotri,
che da un secolo circa si stavano stabilendo in Italia.
L'integrazione con le popolazioni locali fu pacifica e consentì un ulteriore
aumento della popolazione soprattutto sulla costa. Alcuni ritrovamenti di
antiche necropoli con iscrizioni riconducibili a questo popolo, sono avvenuti
nell'attuale quartiere Germaneto,
in un'area adiacente all'antica Scolacium lungo
il fiume
Corace.
In questo periodo l'intero istmo
di Catanzaro fu dominato dagli Enotri,
capeggiati dal Re Enotrio Italo,
che si stanziò definitivamente nella terra tra i due golfi.
Il reale motivo
per cui gli Enotri si
stabilirono definitivamente in quest'area fu la sconfitta subita dai Lucani,
in Puglia, Basilicata e Calabria
settentrionale che spinsero questo popolo a scendere fino ad occupare
parte della Calabria centro-meridionale
fino all'attuale zona della piana di Gioia dove presero il nome di Ausoni da
Re Siculo Ausone figlio
di Re Enotrio Italo.
Secondo Strabone,
Italo fu il fondatore di Pandosia
Bruzia, la capitale del suo Regno, probabilmente da identificare con
l'odierna città di Acri.
Alla fine del X
secolo a.C. la maggior parte della popolazione era concentrata sulla
costa e lungo il Corace.
Questo è il periodo dei maggiori ritrovamenti di arnesi per l'estrazione dei
minerali, per l'agricoltura e la pesca. La zona in questione era divenuta famosa
soprattutto per la lavorazione dei metalli come bronzo, ferro,
ed in particolar modo rame e
proprio il commercio di questi metalli portò alla creazione delle importanti
vie commerciali:
- Mar
Ionio - istmo
di Catanzaro - Mar
Tirreno direttrice Est -ovest, era la tratta utilizzata dalle
popolazioni medio-orientali soprattutto Fenici;
- Corace - Crati - Sibari tratto
da Tolo a Sibari. Tolo era
una località situata tra gli attuali quartieri Germaneto e Lido a
circa 350 m dalla foce del Corace,
ed era l'ultima fermata per lo scarico di merci prima del mare. Le altre
"stazioni" erano denominate Tole, Tuls, Tule ed
erano distribuite lungo la via che partendo da Catanzaro,
attraversava Gimigliano
Inferiore, Porto, Carlopoli, Soveria, Rogliano, Sibari per
un totale di quasi 30 ore di viaggio. L'antico tragitto è oggi utilizzato dalla Strada
statale 19 delle Calabrie.
- Petrusa-Crichi-Uria-Cropani-Crotone che
collegava la dorsale ionica con Crotone.
È importante
notare che le vie Corace-Sibari e
Petrusa-Crotone sono
esistenti sin dal paleolitico come testimoniano alcuni reperti in pietra
rinvenuti in località Pirivoli.
Le peculiarità
climatico-ambientali, l'abbondanza di legno estratto dai boschi silani e
la presenza costante di vento consentivano di raggiungere la temperatura
necessaria per i forni in cui veniva lavorato il rame e
gli altri metalli. I ritrovamenti delle antiche miniere tra i colli Petruso e
Trivonà e i numerosi resti di stabilimenti e arnesi per la lavorazione, sono la
prova dell'intensa attività protoindustriale di quel tempo.

Alcune ipotesi
fanno risalire l'origine di Catanzaro ad un'antica colonia
greca nel luogo che in seguito divenne l'antica Scolacium,
oppure ritengono che sia sorta sulle rovine dell'antica città di Trischines.
Altre ipotesi più accreditate individuano la fondazione da alcuni insediamenti
posti in ordine sparso nella zona dell'attuale Catanzaro
Marina, Tiriolo (anticamente
Teura), Santa
Maria di Catanzaro, sul colle Trivonà (Trischines) e
lungo la valle del Corace che
formavano l'antica "Terra dei Feaci". E proprio alla foce del
torrente, secondo la leggenda, Ulisse fondò
l'antica Skilletion.
Nel 2008,
durante gli scavi per la costruzione della cittadella della regione Calabria nel
quartiere Germaneto,
lungo la valle del Corace,
sono stati portati alla luce reperti ricollegabili a una necropoli greca del V
secolo a.C. e a un antico centro romano,
i quali testimoniano la presenza di antichi insediamenti lungo la valle del
Corace. Al 2019 risale
invece il ritrovamento di reperti rivenuti contestualmente ai lavori per la
nuova Metropolitana. Dai
ritrovamenti archeologici emerge che l'attuale territorio comunale era compreso
nell'area abitata fin dall'età del ferro dalla popolazione dei
"Vituli", così chiamati perché adoratori del simulacro del vitello,
che i greci ribattezzarono "Italoi" (adoratori del vitello) e
governati dal famoso re
Italo (dal quale in seguito prese il nome tutta la penisola
italiana), fratello di Dardano progenitore
dei troiani.
Secondo la
leggenda due condottieri bizantini, Cattaro
e Zaro, condussero le popolazioni rivierasche della città magno-greca di
Skilletion o Skillakion,
corrispondente alla romana Scolacium (nei
pressi dell'odierno quartiere Lido),
prima sullo Zarapotamo (oggi Santa
Maria) poi successivamente sul Trivonà, in una fortezza militare
(secondo alcune ipotesi già esistente da qualche secolo nel luogo che
attualmente è il quartiere che porta il nome di Grecìa). La
scelta territoriale sarebbe stata legata alle continue incursioni saracene, che
spinsero a spostare l'abitato in zone più elevate. Tale
fondazione è attribuita tradizionalmente alla seconda metà del IX
secolo, per decisione del generale bizantino Niceforo
Foca il vecchio, dal quale avrebbe inizialmente preso il nome di
"Rocca di Niceforo".
Il passaggio da
fortezza a centro urbano vero e proprio avvenne ad opera del generale Flagizio che
avviò la costruzione di una cittadella, di un recinto fortificato e infine la
sistemazione di cisterne e provviste di grani. Potenziato dall'accentramento di
popolazione, prese forma urbana ed in seguito fu incastellato e assunse la
denominazione di Katantzárion, con il permesso dell'Imperatore ottenuto da
Flagizio. Secondo
alcune ipotesi, proprio da questo periodo che vide lo sviluppo di officine per
la lavorazione della seta importata dall'oriente e delle coltivazioni di gelso,
deriva il nome attuale della città dal termine greco Katartarioi, ovvero
filatori di seta. Tuttavia
l'etimologia più probabile, ipotizzata dal linguista locale Giovanni
Alessio e avvalorata dal collega tedesco Gerhard
Rohlfs, suggerisce la fusione tra due componenti, la prima greca (káta,
ossia "sotto") e la seconda dialettale calabrese (anzàru, probabile
arabismo significante
"[il] pianoro"), con evidente riferimento alla posizione geografica
del centro storico.
Agli inizi del X
secolo la città bizantina fu infatti occupata dai Saraceni,
che vi fondarono un emirato e
prese il nome arabo di Qatansar. La
presenza araba è testimoniata dai ritrovamenti ottocenteschi di
una necropoli che restituì oggetti con iscrizioni arabe.
Durante il
periodo Arabo la
città si ribellò più volte. Nel 929 a
seguito di una nuova rivolta e del rifiuto di pagare i tributi, Catanzaro venne
duramente saccheggiata dal generale saraceno Al-Mahdi.
Intorno al 1000 Catanzaro
si ribellò al dominio saraceno, tornando per un breve periodo nuovamente sotto
controllo bizantino. Nel 1069 fu
l'ultima città calabrese, dopo mesi di resistenza, a cadere sotto l'assedio dei Normanni di Roberto
il Guiscardo che eressero il Castello Normanno, e la città fu
feudo della famiglia Altavilla con
il conte Rodolfo († 1098), figlio di Goffredo
d'Altavilla. In
quest'epoca conobbe la fioritura delle arti e dei mestieri, e in particolare la
lavorazione della seta,
con scambi commerciali sia con le altre regioni d'Italia che
con i paesi orientali ed europei.
Per farne un
centro di dominio, i Normanni l'elessero
a Contea, conferendola a Ugone Falluc e alla sua discendenza, per passare poi
sotto il controllo di un ramo cadetto degli Altavilla con Rao (Radulfo) da
Loritello. Alla metà del XIII
secolo in pieno periodo svevo, la città fu feudo delle famiglia Ruffo che
ebbe nel calabrese Pietro I, grande marescalco di Federico
II, il primo dei Conti Ruffo di Catanzaro "Dei Gratia Comes
Catanzarii". Da questi perduta nelle sue lotte contro Manfredi, la città
ritornò ai Ruffo quando Carlo
I d'Angiò la donò al secondo Pietro Ruffo, pronipote del
precedente, suo generale nella guerra
del Vespro. Per
quattordici anni, ad opera del Re
Ladislao, rimase nel demanio regio.
Nel 1420,
la città ritornò a Nicolò Ruffo. Ultima Ruffo fu Enrichetta, figlia di Nicolò,
che andò sposa ad Antonio
Centelles. In seguito alla ribellione di costui che fomentò le plebi
rurali, Alfonso I ne fece di nuovo una città demaniale. Per cui pochi anni
dopo, nel 1460,
si accese una nuova guerra durante la quale Catanzaro trucidò i partigiani di
Centelles, il quale, per sopprimere la rivolta della popolazione, fece appiccare
un incendio che distrusse l'allora quartiere Paradiso, che da quel momento in
poi prese il nome di Case
Arse.
Ritornata la
pace, la città ebbe concessi nuovi privilegi che favorirono enormemente
l'affermarsi della sua industria della seta, per cui i suoi damaschi andavano
noti in tutta Europa.
Si
ritiene che l'arte della seta sia
stata introdotta a Catanzaro nel 1072 da una casta di Orientali che abitava la
città. Secondo la tradizione catanzarese, sia il gelso che il baco sarebbero
stati introdotti in Europa proprio
in quel secolo che vide la nascita della città. Alcune ipotesi fanno derivare
il nome stesso della città dal termine "katartarioi", ovvero
"filatori di seta".
È
certo che i primi centri europei dove si lavorò la seta, tra la fine del IX e i
primi anni del X
secolo d.C., sono italiani, per l'esattezza Catanzaro e Palermo.
La spiegazione è intuitiva: la prima era sotto il dominio dei bizantini, la
seconda era araba, quindi tutte e due strettamente legate a culture orientali,
allora molto forti.
Agli
inizi del Quattrocento,
sotto il dominio Aragonese,
si ebbe un ulteriore periodo di sviluppo dovuto all'antica tradizione della
lavorazione e del commercio della seta.
Nel 1519 re Carlo V riconosce il Consolato dell'Arte
della Seta, anche se gli Statuti dell'Arte della Seta a
noi pervenuti sono dell'8 maggio 1568. È certo che a Catanzaro l'arte della
seta era già florida in tempi precedenti: infatti, alcuni artigiani furono
chiamati in Sicilia (a Palermo nel
1432 e a Messina nel
1468) per insegnare l'arte del velluto,
e in Francia (a Lione nel
1466 e Tours nel
1470) quando il re Luigi
XI decise di istituire nei propri domini la manifattura della seta,
dove comparve il primo telaio meccanizzato attribuito a "Giovanni il
Calabrese".
Grande
importanza in tal senso ebbero gli ebrei,
ma quando vennero banditi da tutti i territori dominati dalla Spagna,
anche la tradizione manifatturiera declinò, in quanto opera prevalentemente di
questa popolazione.
Ne resta traccia nel quartiere tuttora chiamato Filanda,
dove anticamente erano ubicati i laboratori per la tessitura e la filatura della
seta.
Nel 1519,
in virtù della radicata tradizione serica, Carlo
V concesse l'istituzione del Consolato dell'arte della seta, il
cui statuto originale, scritto in italiano,
è conservato presso la biblioteca della Camera di commercio della città. Da
quel tempo, Catanzaro acquista sempre più l'aspetto e l'importanza di quieta
città aristocratica ed artigianale. Tuttavia questa condizione le conferisce
l'energia di comportarsi eroicamente, nel 1528, e di resistere all'assedio posto
dai francesi,
meritandosi da Carlo V il titolo di "Magnifica et Fidelissima" e
l'autorizzazione a fregiare il proprio stemma con l'aquila imperiale.
L'importanza
economica, ma soprattutto militare portò, pochi anni dopo, nel 1593, la città
ad essere nominata capoluogo della provincia Calabria
Ulteriore.
Fin
dalla sua fondazione Catanzaro fu costruita con precisi scopi difensivi, capace
di resistere a lunghi assedi. Era una città fortezza dotata di torri, bastioni,
porte civiche e racchiusa in una cinta muraria di circa 7 km.
L'impianto
difensivo era di tipo complesso: la città era difesa dalla sua stessa
posizione, accerchiata da profondi e ripide valli, ed inoltre in prossimità
delle mura c'erano fossati e trincee fortificate. In realtà la struttura
difensiva iniziava fin dalla costa. Infatti, sulle colline che fiancheggiano la
valle, dove oggi sorgono i quartieri Sala, Santa
Maria e Lido,
ci fu un susseguirsi di torri d'avvistamento fino alla costa; una delle torri
cavallare è ancora visibile sulle colline del quartiere Aranceto.
Le
porte di accesso erano 6:
-
Porta
Marina o Granara,
sicuramente la porta principale perché consentiva l'accesso dalla costa ed era
utilizzata per il commercio del frumento; secondo il D'Amato, qui erano
posizionate 4 torri di guardia, 3 bastioni con cannoni e poco distante il
baluardo dei Palmeti;
-
Porta
di San Giovanni o Castellana,
posizionata nei pressi dell'attuale piazza Matteotti. Adiacente a questa porta
vi era un profondo fossato, chiamato fosso rivellino, attraversabile tramite un
ponte levatoio;
-
Porta
Prattica consentiva
l'accesso da Occidente al rione
Paradiso, oggi
quartiere Case
Arse. Di fianco, a
difesa della porta, vi era il bastione di San Nicola Caracitano;
-
Porta
Stratò, situata
nell'omonimo rione ad Oriente del centro storico, era una porta civica ad arco a
sesto chiuso nascosta dalla chiesetta di Santa Maria della Portella, che
svolgeva la duplice funzione di luogo di culto e di postazione di avvistamento,
in quanto in caso di pericolo veniva suonata la campana che avvertiva la
popolazione della chiususa delle porte. È tuttora visibile il sentiero che sale
dalla valle del Musofalo e giunge fino alla chiesetta. Il nome stesso (Stratò)
deriverebbe dal toponimo greco che
significa occulto, nascosto;
-
Porta
del Gallinaio era
un porta civica secondaria, utilizzata per l'accesso del bestiame;
-
Porta
Silana, anch'essa porta
civica secondaria, utilizzata per il passaggio di bestiame, consentiva l'accesso
alla città dal retrostante altopiano della Sila.
In
posizione rialzata rispetto al resto dell'antica città, sul colle
del Castello, fu eretto
il castello Normanno o D'Altavilla, oggi complesso monumentale San Giovanni,
sotto il quale erano costruiti lunghi cunicoli sotterranei, visitabili ancora
oggi.
Il 1461 fu
un anno sanguinoso. Da tempo il potente marchese Centelles, uomo avido e
violento che tiranneggiò in modo spietato sulla città, appoggiato da vari
nobili dell'epoca, cercava di organizzare una rivolta contro il sovrano Alfonso
V d'Aragona. I primi
mesi del 1461 furono
particolarmente spietati, per timore di essere scoperto, il marchese non esitava
a far imprigionare o giustiziare chiunque destasse sospetto.
La pazienza dei catanzaresi terminò l'8
maggio 1461, quando la
città intera si ribellò al feudatario tiranno.
Di la notte un gruppo di cittadini tentò l'assalto al castello del marchese. La
notizia si sparse rapidamente dappertutto, dando vita alla sommossa che
costrinse il marchese Centelles alla fuga.
Durante gli scontri scoppiò un
grande incendio nel quartiere Paradiso adiacente
al castello,
ma le fiamme (secondo la leggenda per intercessione di San
Vitaliano) furono deviate
miracolosamente dal mutare del vento contenendo
il numero di vittime ed evitando che il fuoco si propagasse all'interno della
città.
In seguito a questo evento l'antico rione Paradiso fu
ribattezzato con il nome, che tuttora possiede, di Case
Arse.
Quando
l'imperatore Carlo
V divenne re
di Napoli, la città
dimostrò la propria fedeltà alla Corona. Nel 1528 il
francese Odet
de Foix de Lautrec fu
incaricato dal re Francesco
I di conquistarla
al Regno
di Francia. Perciò
inviò in Calabria due
contingenti, comandati da Simone Tebaldi, conte di Capaccio,
e da Francesco di Loria da Tortorella. Ad essi si associarono diversi nobili
parteggianti per la Francia:
calabresi, come il marchese di Crotone,
e pugliesi, come il marchese di Taranto,
che formarono un esercito di circa 35.000 uomini. Il viceré della provincia di Calabria
Ulteriore Don
Pedro d'Alarcon de Mendoza, con 11.000 uomini forniti dai nobili rimasti fedeli
alla Corona, organizzò la difesa della Calabria
Ulteriore eleggendo
la città di Catanzaro, considerata inespugnabile, piazza
d'armi e comando
generale delle operazioni.
La
città venne invano assediata per settimane. Nonostante la netta inferiorità
numerica, i catanzaresi resistettero eroicamente fino al 28 agosto 1528. Dopo la
vittoria l'Imperatore le
concesse il diritto di utilizzare come suo simbolo l'aquila imperiale,
recante sul petto uno scudo rappresentante i tre colli della città, sormontati
da una corona, e reggente col becco un nastro azzurro col motto "Sanguinis
Effusione". Nello stesso periodo a Catanzaro fu concessa l'esenzione
dai tributi regi e la facoltà di battere moneta, del valore di un carlino. Le
monete provenienti da Catanzaro recavano su una faccia la scritta "OBSISSO
CATHANZARIO" e sull'altra "CAROL. V S IMP".
Nel
1584 la città di Reggio
Calabria riuscì a
farsi trasferire da Catanzaro gli Uffici della Regia Udienza di Calabria Ultra.
Ma nel 1594, quando per la disastrosa incursione di Bascià
Cicala la città
di Reggio fu terribilmente saccheggiata, compresi gli archivi e i tribunali, gli
uni e gli altri ebbero definitiva sistemazione in Catanzaro, e la loro
permanenza divenne fondamentale per l'affermarsi della città quale sede
centrale della vita civile della regione.
Nel
corso del Cinquecento erano stati costruiti edifici di culto affiancati ai più
antichi insediamenti francescani e domenicani già presenti in città. Nel corso
del Seicento tale fenomeno si ridimensionò e vennero mantenuti solamente il
convento del Carmine e quello dei Teatini; entrambi svolgevano un'illecita
attività finanziaria di prestito ad interesse, che aggravò maggiormente la
condizione economica della popolazione già soggetta all'ennesimo aumento della
gabella. Il 26 luglio 1647 i
catanzaresi al grido di "fuori gabella" si avviarono verso
l'ufficio degli arrendatori, ovvero coloro i quali riscuotevano la gabella, ma
trovandoli vuoti, sfogarono la rivolta sulle abitazioni degli stessi. Alcune
vennero incendiate, altre risparmiate grazie all'intervento delle squadre armate
inviate dai tre ceti influenti della città che mantennero l'ordine cittadino
anche nei mesi successivi. Quando il Preside della Provincia si accorse che i
moti non erano del tutto sedati, ordinò di impiccare i capi dei ribelli,
provocando la fuga del resto dei rivoluzionari dalla città.
Tra
il 1657 e 1658 la Calabria fu messa in ginocchio da disastri che si susseguirono
a distanza di poco tempo: una carestia, un'eccezionale nevicata e due terremoti.
Solo il catanzarese rimase miracolosamente indenne, ma due incendi distrussero
la sagrestia della Cattedrale e la volta del Collegio di Gesù tra il 1660 e
1661.
Fu
una suddivisione amministrativa prima del Regno
di Napoli e poi
del Regno
delle Due Sicilie. Dal 1806 e
fino alla fine del 1816 fu
subordinata alla provincia di Calabria
Ulteriore;
successivamente e fino alla sua soppressione nel 1860 costituì
un distretto della provincia di Calabria
Ulteriore Seconda .
Fu
costituito con la legge 132 del 1806 Sulla divisione ed amministrazione
delle province del Regno, varata l'8 agosto di quell'anno da Giuseppe
Bonaparte. Con
l'occupazione garibaldina e
l'annessione al Regno
di Sardegna del
1860, l'ente fu soppresso.
Il
distretto era suddiviso in sottolivelli amministrativi gerarchicamente
dipendenti dal livello precedente. Al livello successivo al distrettuale
individuiamo i circondari,
a loro volta costituiti dai comuni, l'unità di base della struttura
politico-amministrativa dello Stato moderno. A questi ultimi potevano far capo i villaggi,
centri a carattere prevalentemente rurale.
- Prima
della soppressione i circondari del distretto di Catanzaro ammontavano ad
undici:
- Circondario
di Catanzaro
- Circondario
di Soveria
- Circondario
di Cropani
- Circondario
di Taverna
- Circondario
di Tiriolo
- Circondario
di Borgia
- Circondario
di Squillace
- Circondario
di Gasperina
- Circondario
di Chiaravalle
- Circondario
di Davoli
- Circondario
di Badolato
-

A
seguito della perdita del ruolo di capoluogo di Calabria
Ulteriore a favore
di Monteleone (l'odierna Vibo
Valentia), Catanzaro
perse le funzioni amministrative e giudiziarie, anche se restava pur sempre un
caposaldo militare e civile. Tali ruoli, unitamente alla riforma dell'istruzione
di Giuseppe
Bonaparte, le permisero
di promuovere la rigenerazione della società tramite la scuola e la cultura. Le
idee illuministe che avevano animato gli anni della rivoluzione francese erano
giunte, infatti, anche a Catanzaro. Uomini di cultura, quali il filosofo
Gregorio Aracri ed il poeta e cantante Luigi
Rossi, avevano
apertamente diffuso le nuove idee; all'interno della città operavano logge
massoniche fondate sugli stessi principi della rivoluzione.
Nel
1808 a Catanzaro fu istituito un Real Collegio, che diede alla cultura Orazio
Lupis, e nel 1812 un
Real Liceo, al quale fu annesso un corso universitario di medicina e
giurisprudenza. Nello stesso anno fu aperta la Scuola Agraria che ebbe notevole
importanza nello sviluppo economico e culturale, così come anche l'industria
tipografica, sostenuta dagli avvocati della città.
Se
grazie a questi nuovi istituiti di formazione Catanzaro acquistava credito in
campo intellettuale e culturale, continuavano a sussistere gravi problemi
strutturali, come la necessità di un nuovo acquedotto che erogasse acqua
pulita. In città, infatti, giungevano solo acque malsane erogate da due fontane
pubbliche, insufficienti ai bisogni della popolazione oltre che dannose. A causa
di problemi tecnici, sociali e d'interesse privato la nuova fontana rimase a
lungo un miraggio, tanto che Pietro Colletta osservò che Catanzaro era come
Tantalo nella favola, nuota nell'acqua e soffre la sete, almeno fino al 22
giugno 1810. In tale
data Gioacchino
Murat decretò
l'avvio della costruzione della fontana che sarebbe stata completata nel 1840.
data Gioacchino
Murat decretò
l'avvio della costruzione della fontana che sarebbe stata completata nel 1840.
Tutto
ciò continuava però a non soddisfare le esigenze del popolo, povero e
sofferente, come testimoniava l'alto numero di neonati abbandonati all'Ospedale
dei Projetti (o Trovatello)
in cui si trovava la ruota della città .
Già
agli inizi del secolo il governo aveva imposto ai comuni onerose tassazioni a
beneficio dei projetti, ma quando le risorse finanziarie si rivelarono
insufficienti e i pagamenti alle nutrici si fermarono, i bambini furono
abbandonati sulla pubblica via. Nel Consiglio Generale degli Ospizi vi
è inoltre riportata la statistica annotata dal canonico Greco, secondo cui dal
1802 al 1811 su circa 498 nati 162 erano i morti per scarsa assistenza ricevuta
durante i primissimi giorni di vita; invece nel 1813 è riportato un numero di
nascite pari a 509: 398 legittimi, 9 illegittimi e ben 95 trovatelli. La perdita
del ruolo di capoluogo aveva portato la città di Catanzaro a creare un nuovo
organismo decurionale che permetteva al governo centrale di avere un maggior
controllo sul governo locale; pertanto il ruolo di decurione (o sindaco) non
acquisì una buona reputazione, tanto che i cittadini tentavano a mantenersi ben
distanti da esso.
Con
il ritorno di Ferdinando
I sul trono regio
a Napoli nel 1816,
Catanzaro conquistò quella ripartizione amministrativa già auspicata dagli
illuministi riformatori prima della caduta borbonica e acquistò il ruolo di
capoluogo della neo nata Calabria
Ulteriore Seconda,
lasciando a Reggio
Calabria il
capoluogo della Calabria
Ulteriore Prima.
Catanzaro ebbe merito di ospitare la Gran Corte Civile delle Calabrie e divenne
un luogo importante per il governo centrale, dove nel frattempo erano tornati i Borboni,
con l'obiettivo di reintegrare il vecchio ordine così come
deciso nel Congresso
di Vienna. Catanzaro
rientrò perfettamente nell'immobilismo che sembrava dover caratterizzare il
periodo della Restaurazione.
Tuttavia
le idee liberali continuavano a circolare, soprattutto tra le menti più
giovani, e nel tempo accolsero un cospicuo numero di persone, tanto da rendere
Catanzaro uno dei centri carbonari più attivi del Mezzogiorno, merito
oltretutto dell'arciprete Domenico
Angherà. Non si
conoscono i nomi dei carbonari di Catanzaro, ma si suppone ci fossero personalità
d'importanza e di cultura che ostentavano un rispetto formale per il governo
borbonico, nascondendo le loro reali intenzioni. Tale atteggiamento portò ad
accrescere dubbi sugli ideali che animavano gli animi, soprattutto all'interno
della scuola: i docenti sospettati di avere contatti con la Carboneria vennero
dimessi dalle cariche. Iniziò così anche a Catanzaro la persecuzione borbonica
contro i principi liberali e si fece spazio l'idea di instaurare un governo
cittadino che punisse i liberali. A Catanzaro vennero richiamate a tale scopo
personalità d'eccellenza, quali i magistrati Ilario de Basio e Carlo De Nobili,
il professor Costantino Lopez e il giurista Vincenzo Catalani.
Nonostante
l'assopimento generale, la diffusione del pensiero liberale acquistò maggior
vigore con l'avvento di Luigi
Settembrini, giunto da Napoli nel
1835 per la cattedra di eloquenza e di greco presso il liceo cittadino,
attraverso la quale faceva proseliti di idee liberali e della società segreta
“Figlioli della Giovane Italia” fondata da Benedetto
Musolino, analoga alla Giovane
Italia mazziniana.
Con
l'inizio degli anni '50 l'ambiente catanzarese si apre progressivamente alla
cultura europea e nazionale, come prova l'ampia attività pubblicistica di
carattere politico-culturale ed economico dell'epoca. La Società Economica
catanzarese si interessò particolarmente ai temi di sviluppo economico e
sociale; tra i membri si ricordano i nomi di Carlo De Nobili, Giuseppe Caruso,
Giuseppe Cua, Francesco Codispoti, Antonio Zuccaro, Vincenzo De Grazia e Gennaro
Menichini. Altre personalità di spessore estranee all'ambiente economico ma
ugualmente impegnate al recupero economico e civile di Catanzaro furono il
letterato Liborio Menichini e Luigi Grimaldi, tecnico dinamico e dalla mente
poliedrica.
Dopo
i moti del 1821,
del 1837 e
del 1844,
il 1848 non
colse i catanzaresi impreparati. Causa scatenante furono i fatti di Napoli del
15 maggio,
che fratturarono definitivamente l'equilibrio dei rapporti tra la monarchia e la
borghesia. Il tentativo del re Ferdinando II di rendere inoperante la
Costituzione da lui stesso concessa a febbraio provocò un fremito
d'indignazione in tutto il regno. La Calabria fu in subbuglio; Catanzaro e Cosenza furono
i focolari più importanti, mentre Reggio
Calabria, che aveva
tentato di insorgere già un anno prima, risentiva ancora del recente
fallimento. Pertanto anche a Catanzaro si formarono comitati aventi lo scopo di
organizzare la lotta armata contro la prevedibile reazione borbonica. La
partecipazione fu numerosa, soprattutto da parte di contadini e agricoltori. I
comitati avevano però carenza di fondi, e ciò rese inoperosi i volontari che
non vennero né armati né remunerati e, con l'avvicinarsi del periodo della
mietitura, preferirono abbandonare gli ideali per tornare ai campi. Pertanto
all'alba del 27 giugno 1848,
giorno del combattimento
all'Angitola, i
rivoltosi dimezzati ricevettero una dura sconfitta dal generale Alessandro
Nunziante che
aveva ricevuto rinforzi da Napoli.
Stessa
sorte toccò ai rivoltosi di Pizzo
Calabro e Filadelfia;
diversi comitati cittadini si sciolsero, compreso quello di Catanzaro, i cui
capi più compromessi e sopravvissuti alle battaglie si diedero alla fuga per
non rischiare l'ergastolo, come accadde a chi fu catturato. Ciò non spense gli
animi rivoluzionari catanzaresi .

Lo
sbarco di Giuseppe
Garibaldi e dei
Mille a Reggio
Calabria il 21
agosto 1860 diede
una nuova speranza agli animi liberali calabresi e risolse contrasti e
incertezze di nuovi gruppi finora titubanti che si schierarono a favore dei
liberali, incrementando concretamente le condizioni favorevoli all'insurrezione.
Di nuovo, però, il moto insurrezionale filounitario non era presente in tutta
la regione; soprattutto a Catanzaro vi erano forti disaccordi tra i pensatori
liberali radicali come Antonio Greco, Domenico
Angherà e il
generale Francesco Stocco ed i liberali moderati guidati dal sindaco Giovanni
Marincola e l'Intendente Leonardo
Larussa. I contrasti si
acutizzarono nel momento della designazione dei candidati per le elezioni
politiche fissate in Calabria per il 26 agosto 1860,
che videro predominare nel capoluogo Greco per l'ala democratica e Vincenzo
Stocco, nipote del generale Francesco
Stocco, per l'ala
moderata. La scelta di due uomini d'orientamento tanto diverso non fece che
rallentare il moto d'insurrezione nella provincia di Catanzaro; inoltre il
dissidio non tanto aveva valore ideologico quanto era strettamente correlato a
rivalità locali, inerenti per lo più agli interessi amministrativi o
familiari.
Intanto
il generale Stocco, richiamato a Napoli da
Garibaldi e ormai governatore riconosciuto dei moderati, rafforzava via via il
desiderio di annessione al Piemonte,
che gli permise di confermare la vittoria nel Plebiscito del
21 ottobre 1860,
inserendo la provincia di Catanzaro nell'ala conservatrice. Il risultato non
piacque all'ala democratica che non fece altro che accentuare il dissidio
riguardo all'elezione del primo parlamentare catanzarese in seguito
all'unificazione.
Il
passaggio dal vecchio al nuovo regime e l'importanza del plebiscito
del 1860 ebbe una
valenza politica piuttosto contraddittoria, ma fu un momento di particolare
importanza nel processo di sviluppo del moto unitario.
Durante
i moti del '48, i catanzaresi si rifugiarono all'interno della recinzione
muraria della città. La protezione fornita dalle mura le fece riacquistare il
ruolo di città-guarnigione, che era andato perduto assieme al ruolo di
capoluogo di Calabria
Ulteriore nel 1806.
Non a caso nel 1857 da
Catanzaro partirono le operazioni contro il brigantaggio guidate da Afan De
Rivera.
A
metà del XIX secolo Catanzaro subì un processo di trasformazione e adeguamento
delle strutture urbanistiche con l'obiettivo di restituirle decoro e migliorare
le condizioni di vita attraverso l'attivazione di strutture pubbliche: fu
completata la Nuova Fontana, venne costruito il Teatro Comunale e nuovi palazzi
privati di pregevole fattura, quali palazzo Alemanni e palazzo Doria, mentre
altre strutture danneggiate dal sisma del 1783 vennero restaurate. I lavori
proseguirono anche per gran parte del Novecento. Le varie migliorie permisero
oltretutto di sviluppare il mercato edilizio che, almeno per i palazzi
nobiliari, riuscì a risollevarsi, mentre per le zone abitate da contadini e
artigiani si dovette aspettare il periodo post-unificazione prima di vedere
miglioramenti. Secondo il piano regolatore approvato nel 1877, Catanzaro veniva
allargata; il Corso e le aree limitrofe coincidenti con l'asse centrale della
città dovevano essere livellate per riordinare le costruzioni erette in seguito
al terremoto distruttivo del 1783 e per adeguare il tessuto cittadino alle nuove
esigenze di traffico, mobilità e conservare il ruolo amministrativo della
giustizia negli istituti universitari, nei comandi militari e altre istituzioni
regionali.
La
componente sociale cittadina era nel frattempo mutata: la fetta più larga era
composta da professionisti e funzionari amministrativi, mentre il resto della
popolazione (contadini, artigiani, operai sottopagati) formavano una quota
certamente rilevante, ma meno cospicua rispetto al passato.
Si
formò a Catanzaro nel quartiere Lido,
sotto il comando del colonnello Ferella Gaetano, nei primi mesi del 1915. Pochi
giorni dopo la dichiarazione di guerra il reggimento era stanziato in Friuli e
faceva parte della Terza Armata (Armata del Carso), agli ordini di Emanuele
Filiberto di Savoia,
Duca d'Aosta. Ebbe il battesimo del fuoco partecipando con la Brigata
Sassari all'assalto
del Trincerone di Bosco Cappuccio che riuscì a conquistare con slancio
ammirevole. In seguito fu impiegata come brigata d'assalto, in tutte le battaglie
dell'Isonzo, fu una
delle più valorose e sfruttate unità dell'Esercito
italiano. Formata per
lo più da calabresi (circa 6.000), comprendeva il 141º e 142º Reggimento
fanteria Ordine Militare d'Italia (già Ordine Militare di Savoia). Fu
protagonista dell'episodio del recupero dei cannoni italiani caduti in mano
nemica, dopo un furibondo combattimento in cima al Mosciagh (Altopiano
dei Sette Comuni) che
si svolse nella notte tra il 27 ed il 28 di maggio. L'ardita impresa fu marcata
dalla differenza di armamento che c'era tra la Brigata italiana e i
corrispettivi austriaci. Fu in seguito a questo evento che nacque il nuovo motto
della Brigata
Catanzaro:
«Su
Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone» .
Fu
proprio dopo quest'episodio che la Brigata ricevette la prima Medaglia d'Oro al
Valor Militare.
La brigata
Catanzaro, come tante
altre, aveva avuto i suoi giorni in linea (23 e 24 maggio) e pur con perdite
notevoli era stata ricondotta in trincea (Hermada) 10 giorni dopo. Ritirata
nuovamente a Santa
Maria la Longa, paesino
della bassa friulana il 24 giugno (64% gli effettivi) si paventò subito un suo
reimpiego. Il malcontento divampò tra i soldati, privati dello sperato riposo.
Il parroco del paese aveva avuto sentore che qualcosa si andava tramando, dai
discorsi fatti nelle osterie. Credette suo dovere mettere sull'avviso il
comandante della Brigata, ma fu tranquillizzato dal fatto che quelle erano
ritenute normali lamentele. Quando di lì a qualche giorno la Brigata ricevette
l'ordine di tornare al fronte, la sommossa divampò. Alle 22.30 del 15 luglio,
con un violento fuoco di fucileria, razzi multicolori ascesero il cielo per dare
il segnale della rivolta ad altre Brigate. Viene dato l'allarme al Comando
Supremo a Udine.
Nel cuore della notte gruppi di artiglieria, carabinieri e squadroni di
cavalleria circondano la Brigata
Catanzaro .
Verso
le 3.00 del mattino la rivolta è spenta. Si istruì il processo per
direttissima a seguito del quale 28 militari furono condannati a morte, passati
per le armi e gettati in una fossa comune. Qualche ora dopo, sotto buona scorta
la Catanzaro fu rispedita nella bolgia. Lungo la strada altri dieci vennero
condannati e fucilati per insubordinazione di fronte al nemico. Facevano parte
di quei 114 uccisi con esecuzione sommaria.
La
tragica vicenda della rivolta di Reggio
Calabria per la
scelta del capoluogo della regione venne vissuta in maniera meno drammatica a
Catanzaro. Dopo le elezioni regionali del 1970, era previsto che la prima
riunione del nuovo consiglio regionale si tenesse nelle città sede di Corte
d'Appello, quindi, per la Calabria,
a Catanzaro. Ma rimaneva e rimase impregiudicato per mesi quale sarebbe stata la
scelta della città capoluogo, che spettava comunque al consiglio regionale.
Alle manifestazioni reggine c'era il timore che si reagisse con manifestazioni
catanzaresi e qualche avvisaglia la si ebbe con l'attentato che, durante una
manifestazione antifascista, costò la vita all'operaio Malacaria; invece, la
città delle tre V e la sua classe dirigente dimostrarono nell'occasione grande
maturità civile e democratica.
La scelta di suddividere tra Catanzaro e Reggio
le nuove istituzioni regionali, concentrando nella prima, nominata capoluogo
della Calabria, la giunta e gli assessorati, e nella seconda il consiglio
regionale, fu accettata dai catanzaresi come politicamente equa .
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