Reggio Calabria

 

Video - Video 2 - Video 3 - Video 4


Il territorio comunale si sviluppa lungo la costa orientale dello stretto di Messina per circa 32 km e verso est, da mare a monti, per altri 30 km circa, con zone di mezza costa, collinari e montuose.

Il centro storico è stato ricostruito a un'altitudine media di 31 m s.l.m. lasciando la parte costiera più bassa libera da costruzioni civili data l'eccessiva prossimità al mare che durante il maremoto del 1908 comportò migliaia di morti. L'intera costa antistante il centro storico è stata dunque livellata su tre volumi, via marina bassa, via marina alta e striscia botanica. Geograficamente il nucleo principale è compreso tra la fiumara dell'Annunziata (nord) e la fiumara del Calopinace (sud), mentre il restante territorio comunale si sviluppa da Catona (nord) a Bocale (sud).

Reggio è situata sulla punta dello "stivale", alle pendici dell'Aspromonte. A ovest si affaccia sullo stretto di Messina, braccio di mare di circa 3,5 km che la separa da Messina, sponda occidentale dello stretto. Insieme le due città formano l'Area metropolitana dello Stretto, l’esatto centro geografico di quello che per gli antichi romani era il “Mare Nostrum”.

Il territorio è caratterizzato da una particolare fertilità dovuta all'abbondanza di acqua, il solo territorio metropolitano è attraversato da sette fiumare, e dal clima mite, nonostante l'orografia sia per lo più collinare e montuosa a strapiombo sul mare, aspetto che ha favorito le coltivazioni a terrazzamento e la lavorazione delle colture alberate che si adattano facilmente a qualsiasi terreno e svolgono al contempo una funzione drenante dell'erosione del territorio. Lungo la fascia costiera meridionale si sviluppano agrumi, viti e in particolare gli alberi di bergamotto.

Sempre nella costa meridionale è particolarmente diffuso l'albero di gelso, pianta essenziale in passato per la produzione della seta, essendo i suoi frutti il nutrimento preferito dai bachi. In passato la città ospitava diverse filande nella zona di Villa San Giovanni e a partire dal 1600 era fortemente rinomata per la qualità dei tessuti esportati nel resto del continente e la grande quantità produttiva che era espressione di sistema industriale avanzato.

La bachicoltura e l'intera filiera produttiva della seta entrarono in profonda crisi nella seconda metà del Novecento fino ad azzerarsi con la scoperta delle fibre sintetiche e la modifica delle tecniche produttive.

Rhegion fu una delle prime colonie greche fondate in Italia meridionale verso la metà dell'VIII secolo a.C. (intorno al 730 a.C.) da genti calcidesi e messeniche; è considerata una delle più antiche città d'Europa.

Il sito dove fu fondata la città era già abitato dagli Ausoni, ricordati da Diodoro Siculo e dagli Enotri citati da Dionigi di Alicarnasso e da Strabone, la cui presenza è attestata dal rinvenimento di tombe in loco. Secondo il mito, fu l'oracolo di Delfi a indicare loro il luogo dove fondare la nuova città: «Laddove l'Apsias, il più sacro dei fiumi, si getta nel mare, laddove, mentre sbarchi, una femmina si unisce ad un maschio, là fonda una città; (il dio) ti concede la terra ausone».

Il toponimo, similmente a Roghudi e Riace, viene interpretato come derivato da “Ruha ake”, luogo del vento nelle lingue sumero-accadiche. L'antichità del toponimo è sostenuta da quella del fiume Apsias, derivata da Apsu, l'acqua primordiale nelle religioni mesopotamiche.

Reggio fu una tra le più importanti città della Magna Grecia raggiungendo nel V secolo a.C. una notevole importanza politica ed economica sotto il governo di Anassila che giunse a controllare entrambe le sponde dello Stretto. La polis ottenne un grande pregio artistico-culturale grazie alla sua scuola filosofica pitagorica e alle sue scuole di scultura e di poesia nelle quali si formeranno artisti come Pitagora di Reggio e Ibico.

Divenne alleata di Atene nella guerra del Peloponneso e successivamente fu espugnata dai siracusani di Dionigi I nel 387 a.C. Città autonoma nelle istituzioni governative, Rhegium fu importante alleata e socia navalis di Roma.

Successivamente in età imperiale divenne uno dei più importanti e floridi centri dell'Italia meridionale, essendo tra l'altro sede del Governatore della Regio III Lucania et Bruttii (Regione di Lucania e Bruzio). Era inoltre il capolinea della Via Capua-Regium che la collegava a Capua in Campania e attraversava tutto il versante tirrenico meridionale della penisola.

Con la fine dell'Impero Romano d'Occidente, divenne roccaforte dell'Impero Romano d'Oriente e delle cultura greca in Italia. In epoca tardo antica, dopo la riconquista d'Italia da parte di Giustiniano, avvenuta nel 555 al termine delle guerre gotiche, Reggio divenne capitale del Tema di Calabria e Metropoli religiosa.

Dopo il VI secolo l'amministrazione Greco Romana garantì quattro secoli di sostanziale stabilità economica e culturale. Gli scambi commerciali e i viaggi dei reggini verso l'Oriente erano all'ordine del giorno, così come avveniva tra le terre siciliane e il resto dell'Impero romano. Molti Santi calabresi furono ospiti dei monasteri greci dell'Athos e della corte imperiale a Costantinopoli.

Dal VII secolo iniziano le incursioni arabe sulle coste, che nel corso di un secolo provocheranno lo spostamento verso le colline di molti abitanti della costa ionica con lo spostamento dei centri abitati in zona montana facilmente difendibile. Sorgeranno così le acropoli di Bova, Gerace, Stilo. Le aree rivierasche verranno ripopolate solo dalla fine del '700. Al contrario, Reggio, fortificata con un castello, una cinta muraria e diversi avamposti sulle colline, rimarrà città di mare, nonostante i ripetuti attacchi e le temporanee occupazioni, a testimonianza dell'interesse strategico per il controllo militare dello Stretto, e della sua importanza come porto commerciale.

Dalla metà del IX secolo la Sicilia, conquistata dagli Arabi, verrà a trovarsi di fronte alle terre dell'Impero Romano, ma i commerci e gli scambi culturali continueranno.

Nel 1060 i Normanni la sottrassero per sempre ai Greco-Romani, portandola progressivamente nell'ambito culturale latino sotto l'impulso papale che intendeva estendere il proprio potere sull'intera penisola. Nonostante ciò la prevalenza dell'ortodossia orientale si è conservata fino al XVI secolo, quando, intorno al 1570, il rito greco fu abolito con la forza. 

Inoltre, fino al 1570 circa, i monasteri reggini e in particolare il monastero di San Nicola di Calamizzi, produssero una grande quantità di manoscritti conosciuti in tutto il mondo per la loro straordinaria qualità (stile o grafia di Reggio). Purtroppo la città fu spogliata di queste opere, che oggi sono custodite nella Biblioteca apostolica Vaticana a Roma, alla Biblioteca Marciana a Venezia, nella Biblioteca nazionale Austriaca di Vienna, presso il Monastero Sacro di San Giovanni il Teologo a Patmos ed in altre biblioteche nel mondo.

Tramite alterne vicende finì sotto il controllo delle casate spagnole degli Aragonesi e degli Angioini e nel 1282 durante i Vespri Siciliani si schierò al fianco di Messina e delle altre città della Sicilia orientale, con cui condivideva storia, interessi commerciali e culturali, nella rivolta anti-angioina con le forze aragonesi. Successivamente la città venne assegnata al Regno di Napoli nel XIV secolo e ottenne nuovi poteri amministrativi di larga base comunale.

Nel XV e XVI secolo grazie all'introduzione dell'industrie della seta e dell'agrumicoltura, all'industria dei metalli, alla nascita della stampa tipografica, all'oreficeria, e allo sviluppo dei commerci, si ebbe un lungo periodo di benessere, che continuò fino alla fine del 1500.

Nei secoli 17°e 18° le frequenti incursioni barbaresche, le epidemie e l'oppressivo fiscalismo della dominazione spagnola portarono Reggio a una decadenza che culminò con il disastroso terremoto del 1783. Il sisma infatti danneggiò gravemente la città e tutta la Calabria meridionale.

Nel 1806 Napoleone occupò la città, destinandola a ducato e a suo quartier generale. Le idee napoleoniche ebbero grandi effetti nella Reggio liberale, al punto da porla al centro di alcuni avvenimenti precursori del moti del 1848: nel 1847 il rivoluzionario Domenico Romeo tentò di strappare la città ai Borbone finendo ucciso. Durante quegli anni molti nobili e popolani furono condannati a morte o all'esilio.

La città fu protagonista anche nella spedizione dei Mille: all'alba del 21 agosto 1860 vi si svolse la Battaglia di Piazza Duomo, all'esito della quale Giuseppe Garibaldi conquistò la città. Il sindaco della città Bruno Antonio Rossi fu dunque il primo del Regno a proclamare la fine del dominio di Francesco II e l'inizio della dittatura di Garibaldi.

Spartiacque nella storia recente della città fu il 28 dicembre 1908, quando Reggio subì uno degli eventi più catastrofici del XX secolo, il terremoto e maremoto che raggiunse magnitudo 7,1 e investì con onde altissime Reggio e Messina distruggendo, devastando e uccidendo nella sua furia qualsiasi cosa incontrasse (solo nella sponda reggina provocò la morte di circa 30 000 persone).  

Durante il fascismo la città ospitò diverse strutture militari strategiche per il regime e fu visitata da Mussolini nel 1939. Ciò comporto che le forze Alleate, fra maggio e settembre 1943, nel quadro dell'Operazione Baytown, dovettero pesantemente bombardare l'abitato per aprire la strada alle truppe dell'8ª Armata britannica; in particolare rasero al suolo i quartieri di Santa Caterina, Arangea, Tremulini e Sbarre, uccidendo circa 4 000 civili.

Dopo la seconda guerra mondiale la città è cresciuta notevolmente, quasi raddoppiando la sua popolazione fino ai circa 200 000 abitanti, accogliendo molti abitanti del circondario.

Nei primi anni settanta a Reggio si ebbero sconvolgimenti di carattere amministrativo a seguito dei violenti disordini di piazza dovuti alla rivendicazione dello status di capoluogo regionale, che per effetto del nuovo statuto ordinario regionale era stato assegnato a Catanzaro. La cessazione dei disordini fu raggiunta con un compromesso che prevedeva la divisione delle sedi istituzionali, il governo regionale insediato a Catanzaro, con sede nel Palazzo denominato Cittadella che ospita la Giunta, la Presidenza e gran parte degli uffici amministrativi, mentre il Consiglio regionale venne posto a Reggio Calabria presso Palazzo Campanella.

Tra gli anni settanta e ottanta la città attraversò un ventennio buio che favorì il dilagare della criminalità organizzata e del degrado urbano, ma a partire dai primi anni novanta ebbe inizio un periodo di rinnovamento, la cosiddetta "Primavera di Reggio", per opera dall'allora sindaco Italo Falcomatà, che ha consentito alla città di ritrovare la sua identità e di favorire la ripresa sociale ed economica. La città è stata al centro di una trasformazione urbana e architettonica improntata alla modernità e all'innovazione. Una delle opere più importanti fu il completamento del Lungomare.

Reggio è il paradiso della Calabria. Coperta da un cielo terso e blu, bagnata da un mare ancora più terso e blu, la città è mollemente adagiata, o piuttosto coricata ai piedi delle alte creste boscose dell’Aspromonte; difesa grazie ad esse dai venti aspri, riposa in mezzo ai melograni, agli aloi in fiore, e il capo ombreggiato da pergolati e palme s’inebria dell’eterno profumo degli aranci e dei limoni (Charles-Emmanuel Nicolas Didier, Viaggio in Calabria, 1830)

Ripetutamente colpita da terremoti disastrosi, l’antichissima Reggio è una città dall’aspetto moderno, pianificata all’inizio del Novecento con ampi viali rettilinei, ville Liberty e un lungomare lussureggiante.

Prima greca, poi romana, poi araba, bizantina, normanna, sveva, angioina, aragonese, borbonica... Reggio Calabria ha davvero attraversato i millenni, anche se il suo aspetto moderno tende talvolta a farlo dimenticare. Questa città sull’estrema punta della Penisola, distesa tra le pendici orientali dell’Aspromonte e il mare in una stupenda posizione paesaggistica, discende dall’antica Rhegion fondata a metà dell’VIII secolo a.C. da un gruppo di coloni greci che provenivano dalla polis di Calcide, sull’isola di Eubea.

Rhegion fu la prima polis della Magna Grecia nell’area calabrese, la terza in assoluto insieme a Zancle (Messina) dopo Cuma e Pithecusa (Ischia). Gli storici antichi raccontavano che i calcidesi, a cui si unirono alcuni profughi messeni, avevano scelto di stabilirsi in questo punto preciso della costa ionica dopo aver interrogato l’oracolo di Apollo a Delfi. “Là dove l’Apsia, il più sacro dei fiumi, si getta nel mare, là dove ci si imbatte in una femmina che si unisce a un maschio, in quel punto fonda una città”, fu il suggerimento divino secondo lo storico Diodoro Siculo (I secolo a.C.). L’Apsia è l’attuale fiumara Calopinace; la femmina che si unisce a un maschio era una vite avviluppata a un fico. La posizione individuata era altamente strategica.

Da Rhegion - e da Zancle sull’altra sponda dello Stretto - si poteva controllare tutta la navigazione da e verso il Tirreno, lungo una delle rotte commerciali più importanti del mondo antico. Dopo essere stata una fiorente polis greca, Rhegion diventò romana con il nome di Rhegium Julii. E poi i secoli passarono, ma purtroppo le devastazioni dovute alle incursioni saracene, alle guerre e ai ripetuti terremoti hanno cancellato molte tracce di questo trascorrere del tempo. Terribili furono in particolare il sisma del 1783 e soprattutto quello, catastrofico, del 28 dicembre 1908 che rase al suolo la città facendo circa 12.000 morti.

La scossa durò 37 interminabili secondi e raggiunse un’intensità di 7,3 gradi della scala Richter; come se non bastasse, fu seguita da un maremoto di immane violenza con onde alte parecchi metri. Ecco perché Reggio Calabria ha pochi monumenti storici e un aspetto complessivamente moderno, fatto di villini Liberty e di un tessuto viario razionale, con strade rettilinee che si intersecano tra loro a scacchiera e palazzine basse in grado di fronteggiare meglio eventuali altri eventi sismici. E con un vero gioiello: il lungomare.

Castello Aragonese

Una parte di storia della città è sicuramente rappresentata dal suo sistema di fortificazioni, strutture architettoniche, rocche, castelli, torri e bastioni di epoca diversa. Essi costituiscono quello che fu un sistema di difesa di cui la città, in tempi diversi, ebbe necessità di dotarsi a causa della propria configurazione geografica.

E’ considerato, insieme ai Bronzi di Riace, uno dei principali simboli storici della città di Reggio. Dal 1956 ospita l'osservatorio dell'Istituto nazionale di geofisica.

Pur se universalmente noto come "aragonese", il castello di Reggio ha in realtà origini molto più antiche, tracce di una fortificazione di questa zona della città infatti risalgono ad epoche di molto precedenti alla costruzione del castello vero e proprio.  

Oggi la collina sulla quale si erge la fortezza è molto meno evidente, ma nell'antichità essa rappresentava un punto importante per la tutela del sistema delle mura. Molto probabilmente la cinta della palaiapolis (la palèpoli che era l'arcaica città fondata nell'VIII secolo a.C. dai calcidesi) aveva, come angolo inferiore delle mura che discendevano dall'acropoli, proprio l'area dell'attuale castello. Nel periodo ellenistico, con l'allargamento della città verso il mare, la collina rimase un luogo fortificato di notevole importanza militare, mentre le mura, che nella polis d'epoca classica piegavano verso nord, scendevano ora fino al porto; il sito archeologico delle "Mura greche" sul lungomare Matteotti mostra infatti l'angolo della cinta.

In epoca romana, durante il periodo imperiale, le mura non furono probabilmente curate e restaurate, vista la prosperità di cui godeva l'impero, e i forti più importanti lungo la cinta furono abbandonati al loro destino.

Sotto l'imperatore Giustiniano I, durante la guerra tra i Goti e i Bizantini, Belisario entrò a Reggio per liberarla dai barbari e trovò la città priva di fortificazioni, così il generale ordinò immediatamente il restauro della cinta muraria. Egli non poteva infatti permettere che la città fosse sguarnita visto l'importante ruolo che il porto di Reggio ricopriva nei collegamenti tra l'Italia e Costantinopoli. Si riprese dunque la parte inferiore delle mura che erano appoggiate al porto, la collina del castello divenne quindi il bastione angolare della cinta, rivolto verso la montagna. Tutto ciò creò un centro fortificato che proteggeva il porto di Reggio e tutta la Calabria meridionale. L'esistenza documentata di un vero e proprio castello risale quindi all'anno 536.

Nel 1059 la fortezza passò dai Bizantini ai Normanni e nel 1266 a Carlo I d'Angiò. Dall'epoca dei Normanni, che vi stabilirono la corte, il castello fu modificato ed ampliato in più riprese.

Una sostanziale parte del lavoro avvenne durante il lungo regno di Federico II di Svevia, quando l'autorità imperiale dovette provvedere ad un sistema difensivo statale del Regno di Sicilia. L'area interessata doveva avere ospitato una fortezza angolare delle mura bizantine, e un donjon (una torre-mastio) durante la dominazione normanna. La parte sveva del castello di Reggio rimase in piedi fino a dopo il terremoto del 1908, ed era una costruzione a pianta quadrata, con quattro torri angolari, anch'esse di forma quadrata.

Venne restaurato nel 1327, dopo le ripetute guerre tra Angioini ed Aragonesi, quindi fortificato nel 1381 dalla regina Giovanna I.

Nel 1382 Carlo di Durazzo ordinò al capitano governatore di Reggio la restaurazione del castello ponendo scrupolosa attenzione affinché i lavori fossero adempiti da tutti gli addetti.

I restauri del castello di Reggio erano in relazione con la guerra allora scoppiata tra Carlo di Durazzo e l'altro pretendente al trono napoletano Luigi d'Angiò. 

Pare inoltre che tra i partecipanti al restauro del castello ci fosse anche Agatro Malarbi da Gerace, il quale contribuì non poco a mantenere tranquilla la Calabria.

Dal momento della sua costruzione, data l'importanza strategica, il castello subì una continua serie di restauri e di modifiche, tutti tesi ad adeguare la struttura difensiva all'evoluzione delle macchine d'assedio, e poi alle artiglierie con polvere da sparo.

A questo scopo, in epoca spagnola, re Ferrante fece eseguire nel 1458 le modifiche più sostanziali sotto la direzione dei lavori di Baccio Pontelli (noto architetto e discepolo di Giorgio Martini): si aggiunsero due grosse torri merlate verso sud e un rivellino (opera esterna con artiglieria) ad oriente; fu aggiunto il fossato, alimentato dal torrente Orangi (che scorreva nei pressi dell'attuale piazza Orange). Dopo un primo intervento si dovette alzare l'opera di svariati metri per permettere ai cannoni di colpire fino al quartiere extraurbano di Sbarre.

Nel 1539 Pietro da Toledo ne fece aumentare la capienza interna in modo da poter rifugiare quasi 1000 persone, permettendo di salvare più volte i reggini dalle invasioni dei Turchi durante le quali il castello fu usato come prigione.

Nonostante numerosi interventi, l'aspetto del castello rimase pressoché inalterato dall'epoca di Ferdinando I fino a quando ne venne decisa la riconversione in caserma che comportò l'abbattimento del rivellino con l'unificazione del piano interno; durante il Risorgimento il castello aragonese divenne infatti prigione politica e luogo di esecuzione dei ribelli.

Nel 1860, la città e il castello vengono espugnati da Giuseppe Garibaldi, quindi con l'unità d'Italia e il nuovo piano regolatore della città (redatto nel 1869), il bastione venne considerato un "corpo estraneo" nel nuovo assetto urbanistico, volendo al suo posto ricavare una grande piazza. Ciò fece scoppiare delle diatribe tra chi voleva demolire il castello per fare scomparire l'ultima testimonianza del dominio spagnolo e chi voleva impedirne la demolizione perché monumento storico di antiche ed importanti memorie cittadine. All'idea del Comune di Reggio — che nel 1874 lo acquistò dal Governo per demolirlo - si oppose l'allora ministro della Pubblica Istruzione, affermando che il castello era un monumento archeologico.

Nel 1892 la Commissione provinciale dei beni archeologici decretò una parziale demolizione del castello ma con la conservazione delle due torri poiché "Monumento storico della città", e cinque anni dopo (nel 1897) il castello venne dichiarato monumento nazionale.

Nei primi anni del '900 fu utilizzato da una brigata di artiglieria. Il terremoto del 1908 danneggiò i locali più antichi lasciando però illese le due torri; il danneggiamento, se pur minimo, della struttura fece sì che un decreto legge del Genio Civile del 1917 indicasse le modalità di demolizione, ma nello stesso anno il castello fu risparmiato poiché adibito a caserma.

Probabilmente l'odio politico dei reggini verso ciò che aveva rappresentato negli ultimi anni, fece prevalere la decisione di abbattere il castello aragonese, che pur avendo resistito ai terremoti e ai decreti di demolizione, fu deliberatamente mutilato della sua parte più antica, anche in nome di una struttura urbanistica più razionale. Vennero quindi demoliti i 9/10 della sua struttura in diverse occasioni, ma fu mantenuta la parte più significativa del bastione: quella con le due torri aragonesi, che ancora oggi si ergono maestose al centro della piazza.

Dal primo dopoguerra al 1986 il castello aragonese è stato sede dell'osservatorio dell'Istituto nazionale di geofisica, dotato di un centro sismico e di uno meteorologico.

Dal 1983 al 1986 la sala circolare del torrione sud del castello è stata sede dell'Associazione Ambientalista Kronos 1991, la quale a sua volta ha ospitato il Club UNESCO di Reggio, l'ENPA, e numerose associazioni culturali.

Il 7 maggio 1986, a causa di inadeguati lavori di restauro, crollò una parte del castello sul versante nord-ovest.

Dichiarato inagibile, il castello, negli anni successivi, fu oggetto di attenzione dell'associazionismo cittadino per chiederne il restauro.

Con la riqualificazione dell'ambiente circostante (piazza Castello e via Aschenez), e con la ristrutturazione completa, il castello aragonese è divenuto uno spazio per eventi culturali e sociali.

Castello di San Niceto

Il Castello di Santo Niceto (o San Niceto) o anche Motta Santo Niceto è una fortificazione bizantina costruita nella prima metà dell'XI secolo sulla cima di un'altura rocciosa, tra quelle che dominano la città di Reggio Calabria, nei pressi del centro abitato di Motta San Giovanni. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto medievale calabrese, nonché una delle poche fortificazioni bizantine sottoposte a lavoro di restauro e recupero.

Edificato durante l'impero romano d'oriente la fortificazione è di fatto un Kastron bizantino che serviva a mettere in salvo le merci (soprattutto la preziosissima seta prodotta nel territorio reggino per sostenere l'economia di Costantinopoli) e tenere al sicuro la popolazione di Reggio durante le incursioni.

Anche dopo il 1060 quando la città fu presa dai Normanni, il castello non perse la sua funzione di avvistamento e di rifugio per la popolazione reggina, in seguito all'intensificarsi delle scorribande saracene lungo le coste calabresi e siciliane. Da questo momento ci rimangono documenti che ne danno notizia.

Nel corso del XIII secolo il castello divenne il centro di comando del fiorente feudo di Santo Niceto che nel 1200 fu tormentato dalle guerre tra Angioini ed Aragonesi che si avvicendavano sul territorio reggino e, come molte altre zone della Calabria, passò in diverse mani; nel 1321 fu consegnato agli Angioini.

Nel 1434 Santo Niceto diventa baronia e domina sui territori di Motta San Giovanni, Montebello e Paterriti (un riferimento antecedente a Motta San Giovanni si trova in un documento del 1412).

Nel XV secolo Santo Niceto, al pari delle altre motte filo-angioine, entrò in conflitto con la città stessa di Reggio appoggiata dagli Aragonesi. Nel 1459, con il beneplacito del Duca Alfonso di Calabria, i reggini espugnarono Santo Niceto attraverso uno stratagemma: durante una notte buia, le squadre di armigeri reggini si appostarono in una valle nei pressi del castello, e dal lato opposto di esso lasciarono vagare un gregge di capre a cui erano stati applicate dei lumini accesi sulle corna. I castellani, scambiando il gregge per un esercito nemico, si lanciarono su di esso lasciando sguarnito Sant'Aniceto: i soldati reggini, approfittando della situazione, assalirono ed invasero il castello, mettendolo a ferro e fuoco.

In un documento del 1604 Santo Niceto è detto appartenere alla Baronia di Motta San Giovanni.

Il castello presenta una pianta irregolare, che ricorda la forma di una nave con la prua rivolta alla montagna e la poppa al mare.

In prossimità dell'ingresso sono visibili due torri quadrate ed ai piedi della breve salita che la collega con la pianura sottostante vi è una chiesetta munita di una cupola affrescata con un dipinto del Cristo Pantocratore, soggetto tipico dell'arte bizantina.

Le mura hanno un'altezza variabile da 3 a 3,5 metri, uno spessore di circa un metro e sono ancora in ottimo stato di conservazione. I materiali di costruzione utilizzati sono per lo più costituiti da pietra squadrata, laterizi e malta molto resistente.

La dedica del castello a Santo Niceto tradisce l'origine siciliana di parte dei fondatori: in quegli anni infatti in Sicilia era particolarmente diffusa la devozione all'ammiraglio bizantino San Niceta, vissuto fra il VII e l'VIII secolo. Sbarcati in Calabria con il sostegno del governo bizantino, i profughi siciliani parteciparono con le popolazioni locali alla edificazione di un kastron, chiamandolo col nome del loro santo protettore.

Il Castello di Santo Niceto, fino a qualche anno fa in completo stato di abbandono da parte degli organi competenti, è entrato a far parte di quei complessi architettonici che sono stati restaurati per consentire la loro conservazione futura e soprattutto la loro valorizzazione storica e culturale.

Torri costiere, fortini e batterie militari

Le torri presenti in prossimità dell'area dello stretto facevano parte del sistema delle torri costiere del Regno di Napoli. Esse costituivano il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo la fascia costiera del regno di Napoli. Furono costruite per arginare le frequenti incursioni saracene e corsare. 

Alcune sono andate distrutte mentre di altre rimangono alcuni resti. Tra esse si ricordano:  

Torre Ravagnese (Cuglari)

Torre San'Agata (Lupo)

Torre Pentimele

Torre Gallico

Torre Gallico

Torre Pellaro (Castiglia)

Forte di Catona, nell'omonimo quartiere;

Batteria Modena nel rione Modena;

Batteria Gullì nel quartiere di Arghillà;

Batteria San Leonardo nel quartiere Catona;

Batteria Pellizzeri e Batteria Pentimele Sud sulla collina di Pentimele - I Fortini di Pentimele, vecchie fortificazioni militari, sono posti in posizione panoramica sulla città di Reggio Calabria e dominanti sullo Stretto di Messina. Essi sorgono sulla collina di Pentimele e per accedervi occorre attraversare un'angusta stradina.

Per conoscere l'origine della fortificazione bisogna risalire al 1547, anno in cui, a causa delle varie scorrerie per opera dei pirati, venne ordinata la costruzione di un castello. I lavori del castello purtroppo vennero sospesi per la mancanza di fondi e così si pensò di erigere la Torre di Reggio chiamata Pendimeri (rectius: pentimeli).

Nel 1860, con l'Unità d'Italia, le funzioni militari vennero affidate ad un sistema di fortificazioni attestato sulla prima linea collinare delle riva orientale dello Stretto. 

Si pensò quindi di costruire i forti di Capo d'Armi, la batteria di Punta Pellaro, i fortini collinari di Arghillà, le fortificazioni dei Piani di Matiniti e di Pentimele, che con le loro architetture mimetizzate, avrebbero assicurato la difesa, sino alla seconda guerra mondiale. In particolare, i fortini di Pentimele furono edificati intorno al 1896 come risulta da un documento presente presso l'Archivio di Stato di Reggio Calabria.

Il luogo, dopo aver per anni versato in stato di degrado, è stato recentemente oggetto di un processo di restauro e riqualificazione.

I due fortini di Pentimele, identici in ogni loro forma, distinti dai nomi Batteria Pentimele nord (Fortino Nord) e Batteria Pellizzeri (Fortino Sud), sono costruiti con pietre naturali e mattoni che incorniciano anche le finestre e le sommità del muro di cinta.

Il fortino Nord (in ottimo stato) presenta anche un ponte levatoio ed ha alla sua entrata due colonne rivestite da pietra calcarea arenaria, utilizzata anche per lo scolo delle acque. Entrando vi sono sulla sinistra quattro cisterne utilizzate per la raccolta dell'acqua, sempre verso sinistra vi erano gli alloggi forniti di bagno e scuderia per gli ufficiali. Sui lati si trovavano i dormitori dei soldati e nel posto più interno, due stanze (su ogni lato) adibite per il deposito delle armi. Nel soffitto vi sono due forature che permettevano il passaggio delle armi al piano superiore, dove era posto un vano che serviva da deposito.

Entrando al fortino, sulla parte destra invece, troviamo una scala che conduce in un locale sotto la zona d'ingresso, dalla quale si operava l'apertura del ponte levatoio, (nel fortino Sud, questa parte è andata distrutta). Gli stanzoni presenti sulla destra erano adibiti a scuderia e durante la seconda guerra mondiale, furono trasformati in dormitori.

Sempre sulla destra vi è una torre a due piani, nel piano inferiore venivano gettati i prigionieri (non vi sono scale) e sorvegliati dal piano superiore. Sia sulla destra che sulla sinistra troviamo due lunghi corridoi poco illuminati con pianta rettangolare, creati di proposito per indurre in errore, l'eventuale nemico che vi accedeva durante qualche inseguimento e che non conoscendo il luogo, sarebbe finito contro un muro.

Lungo la parete dei due corridoi interni vi sono due piccole finestre da cui si poteva controllare l'esterno del fortino accorgendosi di un'eventuale irruzione nemica. La zona centrale dei fortini è costituita da quattro rampe, da qui venivano trasportati i cannoni e riposti entro due fosse circolari poco profonde. Al centro del piano superiore vi era il deposito di materiale di artiglieria e per la manutenzione dei cannoni.

All'interno dei fortini, vi sarebbero due passaggi segreti, uno che condurrebbe dai fortini al porto e l'altro dai fortini al Castello Aragonese. I due passaggi segreti, si troverebbero alla fine dei due lunghi corridoi interni, in cui vi si troverebbero delle botole nascoste. È molto probabile, secondo recenti ipotesi effettuate da vari studiosi locali, che vi sia un solo accesso o botola che collegherebbe tra loro i due fortini.

Tale zona intorno agli anni '80, quando nacquero le radio private, fu invasa da decine di antenne FM che tuttora sono in funzione ad uso specialmente dei grandi network nazionali. Tale zona gode infatti di un'ottima copertura radio, che si estende da Villa San Giovanni sino punta Pellaro in Calabria, e da Messina sino Taormina in Sicilia: alcune lambiscono anche le pendici dell'Etna. Le stazioni sono visibili da ogni punto della città di Reggio Calabria e si trovano a circa 50 metri più a valle rispetto alla fortificazione sud.

Batteria Fondo Versace-Spirito Santo - La Batteria Fondo Versace è una delle opere di fortificazione militare della città di Reggio Calabria. Si trova sul versante nord della vallata del Calopinace, su una delle alture che dominano la città a circa 150 m s.l.m., per la precisione sopra le gallerie della tangenziale di Reggio Calabria nei pressi dello svincolo di Spirito Santo e alle adiacenze del quartiere di Fondo Versace. Per la sua posizione la batteria domina la zona Sud di Reggio compresa tra la fiumara del Calopinace e Punta Pellaro.

Fu costruita, come le altre batterie, verso la metà-fine degli anni 30 nell'ambito della difesa del territorio cittadino. Si tratta di una batteria doppiocompito su 4 piazzole semicircolari che ospitavano altrettanti cannoni da 76/40, presenti in loco le strutture di alloggio e guardia. La funzione principale della batteria gestita dalla XIV legione Milmart consisteva nella difesa aerea e navale.

Le Motte

Le Motte (dal francese antico motte, "castello in posizione elevata") erano strutture militari destinate a controllare il passaggio nello Stretto. Costruite dai Normanni furono successivamente potenziate dagli Angioini e dagli Aragonesi. Nei primi decenni del Quattrocento, una dopo l'altra, tutte le Motte furono distrutte a causa delle lotte tra i reggini e gli invasori arabi che vi si rifugiavano. Anche se sono più di quattro, si è soliti identificare le motte reggine come le "Quattro Motte", di cui le principali sono:

Motta Anòmeri ubicata ad Ortì

Motta Rossa ubicata sotto Sambatello

Motta San Cirillo ubicata a Terreti

Motta Sant'Aniceto posta tra Motta San Giovanni e Paterriti.

Oltre a Motta Sant'Agata ubicata tra Cataforio e San Salvatore e il Castello Normanno di Calanna.

Pag. 2