Il territorio
comunale si sviluppa lungo la costa orientale dello stretto
di Messina per circa 32 km e verso est, da mare a monti, per altri
30 km circa, con zone di mezza costa, collinari e montuose.
Il centro
storico è stato ricostruito a un'altitudine media di 31 m s.l.m.
lasciando la parte costiera più bassa libera da costruzioni civili data
l'eccessiva prossimità al mare che durante il maremoto del 1908 comportò
migliaia di morti. L'intera costa antistante il centro storico è stata dunque
livellata su tre volumi, via marina bassa, via marina alta e striscia botanica.
Geograficamente il nucleo principale è compreso tra la fiumara dell'Annunziata
(nord) e la fiumara del Calopinace (sud),
mentre il restante territorio comunale si sviluppa da Catona (nord)
a Bocale (sud).
Reggio è
situata sulla punta dello "stivale", alle pendici dell'Aspromonte.
A ovest si affaccia sullo stretto di Messina, braccio di mare di circa 3,5 km
che la separa da Messina, sponda occidentale dello stretto. Insieme le due città
formano l'Area
metropolitana dello Stretto, l’esatto centro geografico di quello che
per gli antichi romani era il “Mare Nostrum”.
Il territorio è caratterizzato da una particolare fertilità dovuta
all'abbondanza di acqua, il solo territorio metropolitano è attraversato da
sette fiumare, e dal clima mite, nonostante l'orografia sia per lo più
collinare e montuosa a strapiombo sul mare, aspetto che ha favorito le
coltivazioni a terrazzamento e la lavorazione delle colture alberate che si
adattano facilmente a qualsiasi terreno e svolgono al contempo una funzione
drenante dell'erosione del territorio. Lungo la fascia costiera meridionale si
sviluppano agrumi, viti e in particolare gli alberi di bergamotto.
Sempre nella
costa meridionale è particolarmente diffuso l'albero di gelso,
pianta essenziale in passato per la produzione della seta, essendo i suoi frutti
il nutrimento preferito dai bachi. In passato la città ospitava diverse filande
nella zona di Villa San Giovanni e a partire dal 1600 era fortemente
rinomata per la qualità dei tessuti esportati nel resto del continente e
la grande quantità produttiva che era espressione di sistema industriale
avanzato.
La bachicoltura
e l'intera filiera produttiva della seta entrarono in profonda crisi nella
seconda metà del Novecento fino ad azzerarsi con la scoperta delle fibre
sintetiche e la modifica delle tecniche produttive.

Rhegion fu una
delle prime colonie greche fondate in Italia meridionale verso la metà
dell'VIII secolo a.C. (intorno al 730
a.C.) da genti calcidesi e messeniche; è considerata una delle più
antiche città d'Europa.
Il sito dove fu
fondata la città era già abitato dagli Ausoni, ricordati da Diodoro Siculo e
dagli Enotri citati da Dionigi di Alicarnasso e da Strabone, la cui presenza è
attestata dal rinvenimento di tombe in loco. Secondo il mito, fu l'oracolo di
Delfi a indicare loro il luogo dove fondare la nuova città: «Laddove l'Apsias,
il più sacro dei fiumi, si getta nel mare, laddove, mentre sbarchi, una femmina
si unisce ad un maschio, là fonda una città; (il dio) ti concede la terra
ausone».
Il toponimo,
similmente a Roghudi e Riace, viene interpretato come derivato da “Ruha
ake”, luogo del vento nelle lingue sumero-accadiche. L'antichità del toponimo
è sostenuta da quella del fiume Apsias, derivata da Apsu, l'acqua primordiale
nelle religioni mesopotamiche.
Reggio fu una
tra le più importanti città della Magna
Grecia raggiungendo nel V
secolo a.C. una notevole importanza politica ed economica sotto il
governo di Anassila che
giunse a controllare entrambe le sponde dello Stretto. La polis ottenne
un grande pregio artistico-culturale grazie alla sua scuola
filosofica pitagorica e alle sue scuole di scultura e
di poesia nelle
quali si formeranno artisti come Pitagora
di Reggio e Ibico.
Divenne alleata
di Atene nella guerra
del Peloponneso e successivamente fu espugnata dai siracusani di Dionigi
I nel 387
a.C. Città autonoma nelle istituzioni governative, Rhegium fu
importante alleata e socia navalis di Roma.
Successivamente
in età imperiale divenne uno dei più importanti e floridi centri dell'Italia
meridionale, essendo tra l'altro sede del Governatore della Regio
III Lucania et Bruttii (Regione di Lucania e Bruzio). Era inoltre il
capolinea della Via
Capua-Regium che la collegava a Capua in Campania e
attraversava tutto il versante tirrenico meridionale della penisola.
Con
la fine dell'Impero Romano d'Occidente, divenne roccaforte dell'Impero Romano
d'Oriente e delle cultura greca in Italia. In epoca tardo antica, dopo la
riconquista d'Italia da parte di Giustiniano, avvenuta nel 555 al termine delle
guerre gotiche, Reggio divenne capitale del Tema di Calabria e Metropoli
religiosa.
Dopo il VI
secolo l'amministrazione Greco Romana garantì quattro secoli di sostanziale
stabilità economica e culturale. Gli scambi commerciali e i viaggi dei reggini
verso l'Oriente erano all'ordine del giorno, così come avveniva tra le terre
siciliane e il resto dell'Impero romano. Molti Santi calabresi furono ospiti dei
monasteri greci dell'Athos e della corte imperiale a Costantinopoli.
Dal VII secolo
iniziano le incursioni arabe sulle coste, che nel corso di un secolo
provocheranno lo spostamento verso le colline di molti abitanti della costa
ionica con lo spostamento dei centri abitati in zona montana facilmente
difendibile. Sorgeranno così le acropoli di Bova, Gerace, Stilo. Le aree
rivierasche verranno ripopolate solo dalla fine del '700. Al contrario, Reggio,
fortificata con un castello, una cinta muraria e diversi avamposti sulle
colline, rimarrà città di mare, nonostante i ripetuti attacchi e le temporanee
occupazioni, a testimonianza dell'interesse strategico per il controllo militare
dello Stretto, e della sua importanza come porto commerciale.
Dalla metà del
IX secolo la Sicilia, conquistata dagli Arabi, verrà a trovarsi di fronte alle
terre dell'Impero Romano, ma i commerci e gli scambi culturali continueranno.
Nel 1060 i
Normanni la sottrassero per sempre ai Greco-Romani, portandola progressivamente
nell'ambito culturale latino sotto l'impulso papale che intendeva estendere il
proprio potere sull'intera penisola. Nonostante ciò la prevalenza
dell'ortodossia orientale si è conservata fino al XVI secolo, quando, intorno
al 1570, il rito greco fu abolito con la forza.
Inoltre, fino al 1570
circa, i monasteri reggini e in particolare il monastero di San Nicola di
Calamizzi, produssero una grande quantità di manoscritti conosciuti in tutto il
mondo per la loro straordinaria qualità (stile o grafia di Reggio). Purtroppo
la città fu spogliata di queste opere, che oggi sono custodite nella Biblioteca
apostolica Vaticana a Roma, alla Biblioteca
Marciana a Venezia, nella Biblioteca
nazionale Austriaca di Vienna, presso il Monastero
Sacro di San Giovanni il Teologo a Patmos ed in altre biblioteche
nel mondo.
Tramite alterne
vicende finì sotto il controllo delle casate spagnole degli Aragonesi e degli
Angioini e nel 1282 durante
i Vespri
Siciliani si schierò al fianco di Messina e
delle altre città della Sicilia orientale,
con cui condivideva storia, interessi commerciali e culturali, nella rivolta
anti-angioina con
le forze aragonesi.
Successivamente la città venne assegnata al Regno
di Napoli nel XIV
secolo e ottenne nuovi poteri amministrativi di larga base comunale.
Nel XV e XVI
secolo grazie all'introduzione dell'industrie della seta e dell'agrumicoltura,
all'industria dei metalli, alla nascita della stampa tipografica,
all'oreficeria, e allo sviluppo dei commerci, si ebbe un lungo periodo di
benessere, che continuò fino alla fine del 1500.
Nei secoli 17°e
18° le frequenti incursioni barbaresche, le epidemie e l'oppressivo fiscalismo
della dominazione spagnola portarono Reggio a una decadenza che culminò con il
disastroso terremoto
del 1783. Il sisma infatti danneggiò gravemente la città e tutta la
Calabria meridionale.
Nel 1806 Napoleone occupò
la città, destinandola a ducato e
a suo quartier
generale. Le idee napoleoniche ebbero grandi effetti nella Reggio
liberale, al punto da porla al centro di alcuni avvenimenti precursori del moti
del 1848: nel 1847 il
rivoluzionario Domenico
Romeo tentò di strappare la città ai Borbone finendo ucciso.
Durante quegli anni molti nobili e popolani furono condannati a morte o
all'esilio.
La città fu
protagonista anche nella spedizione
dei Mille: all'alba del 21 agosto 1860 vi
si svolse la Battaglia
di Piazza Duomo, all'esito della quale Giuseppe
Garibaldi conquistò la città. Il sindaco della città Bruno
Antonio Rossi fu dunque il primo del Regno a proclamare la fine del dominio di Francesco
II e l'inizio della dittatura
di Garibaldi.
Spartiacque
nella storia recente della città fu il 28 dicembre 1908,
quando Reggio subì uno degli eventi più catastrofici del XX
secolo, il terremoto
e maremoto che raggiunse magnitudo 7,1 e investì con onde altissime
Reggio e Messina distruggendo, devastando e uccidendo nella sua furia qualsiasi
cosa incontrasse (solo nella sponda reggina provocò la morte di circa 30 000
persone).
Durante il
fascismo la città ospitò diverse strutture militari strategiche per il regime
e fu visitata da Mussolini nel 1939. Ciò comporto che le forze Alleate, fra
maggio e settembre 1943,
nel quadro dell'Operazione
Baytown, dovettero pesantemente bombardare l'abitato
per aprire la strada alle truppe dell'8ª Armata britannica; in particolare
rasero al suolo i quartieri di Santa Caterina, Arangea, Tremulini e Sbarre,
uccidendo circa 4 000 civili.
Dopo la seconda
guerra mondiale la città è cresciuta notevolmente, quasi
raddoppiando la sua popolazione fino ai circa 200 000 abitanti, accogliendo
molti abitanti del circondario.
Nei primi anni
settanta a Reggio si ebbero sconvolgimenti di carattere
amministrativo a seguito dei violenti
disordini di piazza dovuti alla rivendicazione dello status di
capoluogo regionale, che per effetto del nuovo statuto ordinario regionale era
stato assegnato a Catanzaro.
La cessazione dei disordini fu raggiunta con un compromesso che prevedeva la
divisione delle sedi istituzionali, il governo regionale insediato a Catanzaro,
con sede nel Palazzo denominato Cittadella che ospita la Giunta,
la Presidenza e gran parte degli uffici amministrativi, mentre il Consiglio
regionale venne posto a Reggio Calabria presso Palazzo
Campanella.
Tra gli anni
settanta e ottanta la
città attraversò un ventennio buio che favorì il dilagare della criminalità
organizzata e del degrado urbano, ma a partire dai primi anni
novanta ebbe inizio un periodo di rinnovamento, la cosiddetta "Primavera
di Reggio", per opera dall'allora sindaco Italo
Falcomatà, che ha consentito alla città di ritrovare la sua identità e
di favorire la ripresa sociale ed economica. La città è stata al centro di una
trasformazione urbana e architettonica improntata alla modernità e
all'innovazione. Una delle opere più importanti fu il completamento del Lungomare.

Reggio è il paradiso della
Calabria. Coperta da un cielo terso e blu, bagnata da un mare ancora più terso
e blu, la città è mollemente adagiata, o piuttosto coricata ai piedi delle
alte creste boscose dell’Aspromonte; difesa grazie ad esse dai venti aspri,
riposa in mezzo ai melograni, agli aloi in fiore, e il capo ombreggiato da
pergolati e palme s’inebria dell’eterno profumo degli aranci e dei limoni (Charles-Emmanuel
Nicolas Didier, Viaggio in Calabria, 1830)
Ripetutamente
colpita da terremoti disastrosi, l’antichissima Reggio è una città
dall’aspetto moderno, pianificata all’inizio del Novecento con ampi viali
rettilinei, ville Liberty e un lungomare lussureggiante.
Prima greca,
poi romana, poi araba, bizantina, normanna, sveva, angioina, aragonese,
borbonica... Reggio Calabria ha davvero attraversato i millenni, anche se il suo
aspetto moderno tende talvolta a farlo dimenticare. Questa città sull’estrema
punta della Penisola, distesa tra le pendici orientali dell’Aspromonte e il
mare in una stupenda posizione paesaggistica, discende dall’antica Rhegion
fondata a metà dell’VIII secolo a.C. da un gruppo di coloni greci che
provenivano dalla polis di Calcide, sull’isola di Eubea.
Rhegion fu la
prima polis della Magna Grecia nell’area calabrese, la terza in assoluto
insieme a Zancle (Messina) dopo Cuma e Pithecusa (Ischia). Gli storici antichi
raccontavano che i calcidesi, a cui si unirono alcuni profughi messeni, avevano
scelto di stabilirsi in questo punto preciso della costa ionica dopo aver
interrogato l’oracolo di Apollo a Delfi. “Là dove l’Apsia, il più sacro
dei fiumi, si getta nel mare, là dove ci si imbatte in una femmina che si
unisce a un maschio, in quel punto fonda una città”, fu il suggerimento
divino secondo lo storico Diodoro Siculo (I secolo a.C.). L’Apsia è
l’attuale fiumara Calopinace; la femmina che si unisce a un maschio era una
vite avviluppata a un fico. La posizione individuata era altamente strategica.
Da Rhegion - e
da Zancle sull’altra sponda dello Stretto - si poteva controllare tutta la
navigazione da e verso il Tirreno, lungo una delle rotte commerciali più
importanti del mondo antico. Dopo essere stata una fiorente polis greca, Rhegion
diventò romana con il nome di Rhegium Julii. E poi i secoli passarono, ma
purtroppo le devastazioni dovute alle incursioni saracene, alle guerre e ai
ripetuti terremoti hanno cancellato molte tracce di questo trascorrere del
tempo. Terribili furono in particolare il sisma del 1783 e soprattutto quello,
catastrofico, del 28 dicembre 1908 che rase al suolo la città facendo circa
12.000 morti.
La scossa durò
37 interminabili secondi e raggiunse un’intensità di 7,3 gradi della scala
Richter; come se non bastasse, fu seguita da un maremoto di immane violenza con
onde alte parecchi metri. Ecco perché Reggio Calabria ha pochi monumenti
storici e un aspetto complessivamente moderno, fatto di villini Liberty e di un
tessuto viario razionale, con strade rettilinee che si intersecano tra loro a
scacchiera e palazzine basse in grado di fronteggiare meglio eventuali altri
eventi sismici. E con un vero gioiello: il lungomare.
Castello
Aragonese
Una
parte di storia della città è sicuramente rappresentata dal suo sistema di
fortificazioni, strutture architettoniche, rocche, castelli, torri e bastioni di
epoca diversa. Essi costituiscono quello che fu un sistema di difesa di cui la
città, in tempi diversi, ebbe necessità di dotarsi a causa della propria
configurazione geografica.
E’
considerato, insieme ai Bronzi
di Riace, uno dei principali simboli storici della città di Reggio. Dal 1956 ospita
l'osservatorio dell'Istituto nazionale di geofisica.
Pur
se universalmente noto come "aragonese", il castello di Reggio ha in
realtà origini molto più antiche, tracce di una fortificazione di questa zona
della città infatti risalgono ad epoche di molto precedenti alla costruzione
del castello vero e proprio.
Oggi
la collina sulla quale si erge la fortezza è molto meno evidente, ma
nell'antichità essa rappresentava un punto importante per la tutela del sistema
delle mura. Molto probabilmente la cinta della palaiapolis (la palèpoli che
era l'arcaica città fondata nell'VIII
secolo a.C. dai calcidesi) aveva, come angolo inferiore delle mura che
discendevano dall'acropoli, proprio l'area dell'attuale castello. Nel periodo
ellenistico, con l'allargamento della città verso il mare, la collina rimase un
luogo fortificato di notevole importanza militare, mentre le mura, che nella
polis d'epoca classica piegavano verso nord, scendevano ora fino al porto; il
sito archeologico delle "Mura greche" sul lungomare Matteotti mostra
infatti l'angolo della cinta.
In
epoca romana, durante il periodo imperiale, le mura non furono probabilmente
curate e restaurate, vista la prosperità di cui godeva l'impero, e i forti più
importanti lungo la cinta furono abbandonati al loro destino.
Sotto
l'imperatore Giustiniano I, durante la guerra tra i Goti e i Bizantini, Belisario entrò
a Reggio per liberarla dai barbari e trovò la città priva di
fortificazioni, così il generale ordinò immediatamente il restauro della cinta
muraria. Egli non poteva infatti permettere che la città fosse sguarnita visto
l'importante ruolo che il porto di Reggio ricopriva nei collegamenti
tra
l'Italia e Costantinopoli.
Si riprese dunque la parte inferiore delle mura che erano appoggiate al porto, la
collina del castello divenne quindi il bastione angolare della cinta,
rivolto verso la montagna. Tutto ciò creò un centro fortificato che proteggeva
il porto di Reggio e tutta la Calabria meridionale. L'esistenza documentata di
un vero e proprio castello risale quindi all'anno 536.
Nel 1059 la
fortezza passò dai Bizantini ai Normanni e
nel 1266 a Carlo
I d'Angiò. Dall'epoca dei Normanni, che vi stabilirono la corte, il
castello fu modificato ed ampliato in più riprese.
Una
sostanziale parte del lavoro avvenne durante il lungo regno di Federico II
di Svevia, quando l'autorità imperiale dovette provvedere ad un sistema
difensivo statale del Regno di Sicilia. L'area interessata doveva avere
ospitato una fortezza angolare delle
mura bizantine,
e un donjon (una torre-mastio) durante la dominazione normanna.
La parte sveva del castello di Reggio rimase in piedi fino a dopo il terremoto
del 1908, ed era una costruzione a pianta quadrata, con quattro torri angolari,
anch'esse di forma quadrata.
Venne
restaurato nel 1327, dopo le ripetute guerre
tra Angioini ed Aragonesi, quindi fortificato
nel 1381 dalla
regina Giovanna I.
Nel 1382 Carlo
di Durazzo ordinò al capitano governatore di Reggio la restaurazione del
castello ponendo scrupolosa attenzione affinché i lavori fossero adempiti da
tutti gli addetti.
I restauri del castello di Reggio erano in relazione con la guerra allora
scoppiata tra Carlo di Durazzo e l'altro pretendente al trono
napoletano Luigi d'Angiò.
Pare
inoltre che tra i partecipanti al restauro del castello ci fosse anche Agatro
Malarbi da Gerace, il quale contribuì non poco a mantenere
tranquilla la Calabria.
Dal
momento della sua costruzione, data l'importanza strategica, il castello subì
una continua serie di restauri e di modifiche, tutti tesi ad adeguare la
struttura difensiva all'evoluzione delle macchine d'assedio, e poi alle
artiglierie con polvere da sparo.
A
questo scopo, in epoca spagnola, re Ferrante fece eseguire nel 1458 le
modifiche più sostanziali sotto la direzione dei lavori di Baccio Pontelli (noto
architetto e discepolo di Giorgio Martini): si aggiunsero due grosse torri
merlate verso sud e
un rivellino (opera
esterna con artiglieria) ad oriente; fu aggiunto il fossato, alimentato dal
torrente Orangi (che scorreva nei pressi dell'attuale piazza Orange). Dopo
un primo intervento si dovette alzare l'opera di svariati metri per permettere
ai cannoni di colpire fino al quartiere extraurbano di Sbarre.
Nel 1539 Pietro
da Toledo ne fece aumentare la capienza interna in modo da poter rifugiare
quasi 1000 persone, permettendo di salvare più volte i reggini dalle invasioni
dei Turchi durante le quali il castello fu usato come prigione.
Nonostante
numerosi interventi, l'aspetto del castello rimase pressoché inalterato
dall'epoca di Ferdinando I fino a quando ne venne decisa la
riconversione in caserma che comportò l'abbattimento del rivellino con
l'unificazione del piano interno; durante
il Risorgimento il
castello aragonese divenne infatti prigione politica e luogo di esecuzione dei
ribelli.
Nel 1860,
la città e il castello vengono espugnati da Giuseppe Garibaldi, quindi con
l'unità d'Italia e il nuovo piano regolatore della città (redatto nel 1869),
il bastione venne considerato un "corpo estraneo" nel nuovo assetto
urbanistico, volendo al suo posto ricavare una grande piazza. Ciò fece
scoppiare delle diatribe tra chi voleva demolire il castello per fare scomparire
l'ultima testimonianza del dominio spagnolo e chi voleva impedirne la
demolizione perché monumento storico di antiche ed importanti memorie
cittadine. All'idea del Comune di Reggio — che nel 1874 lo
acquistò dal Governo per demolirlo -
si
oppose l'allora ministro della Pubblica Istruzione, affermando che il castello
era un monumento archeologico.
Nel 1892 la
Commissione provinciale dei beni archeologici decretò una parziale demolizione
del castello ma con la conservazione delle due torri poiché "Monumento
storico della città", e cinque anni dopo (nel 1897) il castello venne
dichiarato monumento nazionale.
Nei
primi anni del '900 fu utilizzato da una brigata di artiglieria. Il terremoto
del 1908 danneggiò i locali più antichi lasciando però illese le due
torri; il danneggiamento, se pur minimo, della struttura fece sì che un decreto
legge del Genio Civile del 1917 indicasse le modalità di demolizione,
ma nello stesso anno il castello fu risparmiato poiché adibito a caserma .
Probabilmente l'odio politico dei reggini verso ciò che aveva rappresentato
negli ultimi anni, fece prevalere la decisione di abbattere il castello
aragonese, che pur avendo resistito ai terremoti e ai decreti di demolizione, fu
deliberatamente mutilato della sua parte più antica, anche in nome di una
struttura urbanistica più razionale. Vennero quindi demoliti i 9/10 della sua
struttura in diverse occasioni, ma fu mantenuta la parte più significativa del
bastione: quella con le due torri aragonesi, che ancora oggi si ergono maestose
al centro della piazza.
Dal primo
dopoguerra al 1986 il castello aragonese è stato sede
dell'osservatorio dell'Istituto nazionale di geofisica, dotato di un centro
sismico e di uno meteorologico.
Dal
1983 al 1986 la sala circolare del torrione sud del castello è stata sede
dell'Associazione Ambientalista Kronos 1991, la quale a sua volta ha ospitato il
Club UNESCO di Reggio, l'ENPA, e numerose associazioni culturali.
Il
7 maggio 1986, a causa di inadeguati lavori di restauro, crollò una parte
del castello sul versante nord-ovest.
Dichiarato
inagibile, il castello, negli anni successivi, fu oggetto di attenzione
dell'associazionismo cittadino per chiederne il restauro.
Con
la riqualificazione dell'ambiente circostante (piazza Castello e via Aschenez),
e con la ristrutturazione completa, il castello aragonese è divenuto uno spazio
per eventi culturali e sociali.
Castello
di San Niceto

Il Castello
di Santo Niceto (o San Niceto) o anche Motta Santo Niceto è
una fortificazione bizantina costruita nella prima metà dell'XI
secolo sulla cima di un'altura rocciosa, tra quelle che dominano la città
di Reggio Calabria, nei pressi del centro abitato di Motta San
Giovanni. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto medievale
calabrese, nonché una delle poche fortificazioni bizantine sottoposte a lavoro
di restauro e recupero.
Edificato durante l'impero romano d'oriente la fortificazione è di fatto
un Kastron bizantino che serviva a mettere in salvo le
merci (soprattutto la preziosissima seta prodotta nel territorio
reggino per sostenere l'economia di Costantinopoli) e tenere al sicuro la
popolazione di Reggio durante le incursioni.
Anche
dopo il 1060 quando la città fu presa dai Normanni, il castello non
perse la sua funzione di avvistamento e di rifugio per la popolazione reggina,
in seguito all'intensificarsi delle scorribande saracene lungo le
coste calabresi e siciliane. Da questo momento ci rimangono
documenti che ne danno notizia.
Nel
corso del XIII secolo il castello divenne il centro
di comando del fiorente feudo di Santo Niceto che nel 1200 fu
tormentato dalle guerre tra Angioini ed Aragonesi che si
avvicendavano sul territorio reggino e, come molte altre zone della Calabria,
passò in diverse mani; nel 1321 fu consegnato agli Angioini.
Nel 1434 Santo
Niceto diventa baronia e domina sui territori di Motta San
Giovanni, Montebello e Paterriti (un riferimento antecedente
a Motta San Giovanni si trova in un documento del 1412).
Nel XV
secolo Santo Niceto, al pari delle altre motte filo-angioine,
entrò in conflitto con la città stessa di Reggio appoggiata dagli Aragonesi.
Nel 1459, con il beneplacito del Duca Alfonso di Calabria, i reggini
espugnarono Santo Niceto attraverso uno stratagemma: durante una notte buia, le
squadre di armigeri reggini si appostarono in una valle nei pressi del castello,
e dal lato opposto di esso lasciarono vagare un gregge di capre a cui erano
stati applicate dei lumini accesi sulle corna. I castellani, scambiando il
gregge per un esercito nemico, si lanciarono su di esso lasciando sguarnito
Sant'Aniceto: i soldati reggini, approfittando della situazione, assalirono ed
invasero il castello, mettendolo a ferro e fuoco.
In
un documento del 1604 Santo Niceto è detto appartenere
alla Baronia di Motta San Giovanni.

Il
castello presenta una pianta irregolare, che ricorda la forma di una nave con
la prua rivolta alla montagna e la poppa al mare.
In
prossimità dell'ingresso sono visibili due torri quadrate ed ai piedi della
breve salita che la collega con la pianura sottostante vi è una chiesetta
munita di una cupola affrescata con un dipinto del Cristo Pantocratore,
soggetto tipico dell'arte bizantina.
Le
mura hanno un'altezza variabile da 3 a 3,5 metri, uno spessore di circa un
metro e sono ancora in ottimo stato di conservazione. I materiali di costruzione
utilizzati sono per lo più costituiti da pietra squadrata, laterizi e malta molto
resistente.
La dedica del castello a Santo Niceto tradisce l'origine siciliana di parte dei
fondatori: in quegli anni infatti in Sicilia era particolarmente diffusa la
devozione all'ammiraglio bizantino San Niceta, vissuto fra il VII e
l'VIII secolo. Sbarcati in Calabria con il sostegno del governo bizantino, i
profughi siciliani parteciparono con le popolazioni locali alla edificazione di
un kastron, chiamandolo col nome del loro santo protettore.
Il
Castello di Santo Niceto, fino a qualche anno fa in completo stato di abbandono
da parte degli organi competenti, è entrato a far parte di quei complessi
architettonici che sono stati restaurati per consentire la loro conservazione
futura e soprattutto la loro valorizzazione storica e culturale.
Torri
costiere, fortini e batterie militari
Le torri presenti in prossimità dell'area dello stretto facevano parte del
sistema delle torri costiere del Regno di Napoli. Esse costituivano il sistema
difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo la fascia costiera del regno
di Napoli. Furono costruite per arginare le frequenti incursioni saracene e
corsare.
Alcune sono andate distrutte mentre di altre rimangono alcuni resti.
Tra esse si ricordano:
Torre
Ravagnese (Cuglari)
Torre
San'Agata (Lupo)
Torre
Pentimele
Torre
Gallico
Torre
Gallico
Torre
Pellaro (Castiglia)
Forte
di Catona, nell'omonimo quartiere;
Batteria
Modena nel rione Modena;
Batteria
Gullì nel quartiere di Arghillà;
Batteria
San Leonardo nel quartiere Catona;
Batteria
Pellizzeri e Batteria Pentimele Sud sulla collina di Pentimele
- I Fortini
di Pentimele, vecchie fortificazioni militari, sono posti in posizione
panoramica sulla città di Reggio Calabria e dominanti
sullo Stretto di Messina. Essi sorgono sulla collina
di Pentimele e per accedervi occorre attraversare un'angusta stradina.
Per
conoscere l'origine della fortificazione bisogna risalire al 1547, anno in
cui, a causa delle varie scorrerie per opera dei pirati, venne ordinata la
costruzione di un castello. I lavori del castello purtroppo vennero sospesi per
la mancanza di fondi e così si pensò di erigere la Torre di Reggio
chiamata Pendimeri (rectius: pentimeli).
Nel 1860,
con l'Unità d'Italia, le funzioni militari vennero affidate ad un sistema di
fortificazioni attestato sulla prima linea collinare delle riva orientale dello
Stretto.
Si pensò quindi di costruire i forti di Capo d'Armi, la batteria
di Punta Pellaro, i fortini collinari di Arghillà, le fortificazioni
dei Piani di Matiniti e di Pentimele, che con le loro
architetture mimetizzate, avrebbero assicurato la difesa, sino alla seconda
guerra mondiale. In particolare, i fortini di Pentimele furono edificati intorno
al 1896 come risulta da un documento presente presso l'Archivio di
Stato di Reggio Calabria.
Il
luogo, dopo aver per anni versato in stato di degrado, è stato recentemente
oggetto di un processo di restauro e riqualificazione.
I
due fortini di Pentimele, identici in ogni loro forma, distinti dai
nomi Batteria Pentimele nord (Fortino Nord) e Batteria
Pellizzeri (Fortino Sud), sono costruiti con pietre naturali e mattoni che
incorniciano anche le finestre e le sommità del muro di cinta.
Il
fortino Nord (in ottimo stato) presenta anche un ponte levatoio ed ha alla sua
entrata due colonne rivestite da pietra calcarea arenaria, utilizzata
anche per lo scolo delle acque. Entrando vi sono sulla sinistra quattro cisterne
utilizzate per la raccolta dell'acqua, sempre verso sinistra vi erano gli
alloggi forniti di bagno e scuderia per gli ufficiali. Sui lati si trovavano i
dormitori dei soldati e nel posto più interno, due stanze (su ogni lato)
adibite per il deposito delle armi. Nel soffitto vi sono due forature che
permettevano il passaggio delle armi al piano superiore, dove era posto un vano
che serviva da deposito.
Entrando
al fortino, sulla parte destra invece, troviamo una scala che conduce in un
locale sotto la zona d'ingresso, dalla quale si operava l'apertura del ponte
levatoio, (nel fortino Sud, questa parte è andata distrutta). Gli stanzoni
presenti sulla destra erano adibiti a scuderia e durante la seconda guerra
mondiale, furono trasformati in dormitori.
Sempre
sulla destra vi è una torre a due piani, nel piano inferiore venivano gettati i
prigionieri (non vi sono scale) e sorvegliati dal piano superiore. Sia sulla
destra che sulla sinistra troviamo due lunghi corridoi poco illuminati con
pianta rettangolare, creati di proposito per indurre in errore, l'eventuale
nemico che vi accedeva durante qualche inseguimento e che non conoscendo il
luogo, sarebbe finito contro un muro.
Lungo
la parete dei due corridoi interni vi sono due piccole finestre da cui si poteva
controllare l'esterno del fortino accorgendosi di un'eventuale irruzione nemica.
La zona centrale dei fortini è costituita da quattro rampe, da qui venivano
trasportati i cannoni e riposti entro due fosse circolari poco profonde. Al
centro del piano superiore vi era il deposito di materiale di artiglieria e per
la manutenzione dei cannoni.
All'interno
dei fortini, vi sarebbero due passaggi segreti, uno che condurrebbe dai fortini
al porto e l'altro dai fortini al Castello Aragonese. I due
passaggi segreti, si troverebbero alla fine dei due lunghi corridoi interni, in
cui vi si troverebbero delle botole nascoste. È molto probabile, secondo
recenti ipotesi effettuate da vari studiosi locali, che vi sia un solo accesso o
botola che collegherebbe tra loro i due fortini.
Tale
zona intorno agli anni '80, quando nacquero le radio private, fu invasa da
decine di antenne FM che tuttora sono in funzione ad uso specialmente dei grandi
network nazionali. Tale zona gode infatti di un'ottima copertura radio, che si
estende da Villa San Giovanni sino punta Pellaro in Calabria, e
da Messina sino Taormina in Sicilia: alcune lambiscono anche le
pendici dell'Etna. Le stazioni sono visibili da ogni punto della città di
Reggio Calabria e si trovano a circa 50 metri più a valle rispetto alla
fortificazione sud.
Batteria
Fondo Versace-Spirito Santo - La Batteria
Fondo Versace è una delle opere di fortificazione militare della città
di Reggio Calabria. Si trova sul versante nord della vallata
del Calopinace, su una delle alture che dominano la città a circa
150 m s.l.m., per la precisione sopra le gallerie
della tangenziale di Reggio Calabria nei pressi dello svincolo
di Spirito Santo e alle adiacenze del quartiere di Fondo Versace. Per
la sua posizione la batteria domina la zona Sud di Reggio compresa tra
la fiumara del Calopinace e Punta Pellaro.
Fu
costruita, come le altre batterie, verso la metà-fine degli anni 30 nell'ambito
della difesa del territorio cittadino. Si tratta di una batteria doppiocompito
su 4 piazzole semicircolari che ospitavano altrettanti cannoni da 76/40,
presenti in loco le strutture di alloggio e guardia. La funzione principale
della batteria gestita dalla XIV legione Milmart consisteva nella difesa aerea e
navale.

Le
Motte
Le
Motte (dal francese antico motte, "castello in posizione elevata")
erano strutture militari destinate a controllare il passaggio nello Stretto.
Costruite dai Normanni furono successivamente potenziate dagli Angioini e dagli
Aragonesi. Nei primi decenni del Quattrocento, una dopo l'altra, tutte le Motte
furono distrutte a causa delle lotte tra i reggini e gli invasori arabi che vi
si rifugiavano. Anche se sono più di quattro, si è soliti identificare le
motte reggine come le "Quattro Motte", di cui le principali sono:
Motta
Anòmeri ubicata ad Ortì
Motta
Rossa ubicata sotto Sambatello
Motta
San Cirillo ubicata a Terreti
Motta
Sant'Aniceto posta tra Motta San Giovanni e Paterriti.
Oltre
a Motta Sant'Agata ubicata tra Cataforio e San Salvatore e il Castello Normanno
di Calanna.
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